Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Kimando714    22/09/2021    1 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 2 - SONG TO SAY GOODBYE



 
You were mother nature’s son
Someone to whom I could relate
Your needle and your damage done
Remains a sordid twist of fate
Now I’m trying to wake you up
To pull you from the liquid sky
‘Cause if I don’t we’ll both end up
With just your song to say goodbye
My, oh my
 

Erano passati a malapena due giorni dalla serata passata all’appartamento di Giulia e Filippo, ed Alessio aveva la netta sensazione che quei due giorni appena trascorsi fossero stati tra i più difficili da vivere in tutta la sua convivenza con Pietro sotto lo stesso tetto.
Si erano rivolti la parola giusto il necessario, lasciando che per il resto del tempo ci fosse solo silenzio. Alessio doveva ammettere che quello dipendeva quasi totalmente da se stesso: troppa vergogna, troppa rabbia repressa, troppo tutto. Preferiva tenere la bocca chiusa e le giuste distanze, prima di rendere la situazione ancor più insostenibile. D’altro canto, Pietro non aveva fatto nulla per venirgli incontro: doveva aver intuito la sua volontà, accettandola con un muto assenso che lasciava trasparire con un’implicita malinconia che Alessio riusciva a leggere sul suo volto tirato.
Ciò che lo rassicurava in parte era che Pietro non sembrava arrabbiato per l’ultimo scambio di parole con Giada; al massimo poteva essere deluso, Alessio ne era sicuro, ma non irato o offeso. Non era certo Pietro ad esserlo, tra loro due.
Alessio si alzò dal letto, tirando un sospiro lungo: la sessione invernale era appena iniziata, nulla di strano quindi che quella giornata fosse la prima di un periodo in qui si sarebbe ritrovato a condividere la casa tutto il giorno da solo con Pietro.
In realtà non avevano passato molte ore insieme: avevano pranzato insieme, ma per  tutta la mattina ognuno era rimasto in stanze separate. Ora che il pomeriggio era appena iniziato, Alessio non aveva idea di che stesse facendo Pietro: poteva essere in camera sua a studiare, o in salotto a non fare nulla di preciso. Escludeva solamente il fatto che potesse essere uscito: lo avrebbe comunque avvisato, e poi la bufera di vento e pioggia che si stava scatenando fuori di certo non era invitante per fare una passeggiata.
Non sapeva bene cosa avrebbe dovuto fare in quel momento, in piedi davanti alla porta della sua stanza, chiusa e che gli impediva di vedere all’esterno.
In realtà sapeva cosa doveva fare, ma forse quello che gli mancava per farlo era proprio il coraggio.
Il coraggio di dare la notizia del suo trasferimento a Pietro, il coraggio per guardarlo in faccia nel dirgli che non ce l’aveva fatta a dirglielo prima, il coraggio per lasciarlo andare.
Alessio portò la mano alla maniglia, tirandola giù e spingendo la porta; gli ci vollero vari attimi prima di decidersi a fare il primo passo fuori nel corridoio, e prima di farne un secondo, un terzo ed un quarto.
Vagava per l’appartamento senza nemmeno sapere dove fosse Pietro: non seppe se tirare un sospiro di sollievo o se sentirsi ancor più agitato, quando una volta arrivato in salotto lo trovò subito. Era steso sul divano, gli occhiali che usava per leggere che gli donavano quell’aria da intellettuale che solitamente non aveva mai, e le braccia alzate sopra il viso, nel tentativo di reggere Il giovane Holden.
-Leggi?- chiese spontaneamente Alessio, sentendosi uno stupido subito dopo: la risposta era fin troppo ovvia.
Pietro sussultò appena: non doveva essersi accorto del suo arrivo. Si voltò verso di lui per un attimo, prima di riportare gli occhi al libro con un sorriso appena accennato:
-“Mi è già capitato di lasciare scuole e altri posti senza nemmeno sapere che me ne stavo andando. Ed è una cosa che odio. Non importa se è un addio triste o brutto: io, quando me ne vado da un posto, voglio sapere che me ne sto andando. Altrimenti stai ancora peggio”-.
Alessio rimase in silenzio, ascoltando la voce di Pietro leggere quelle parole. Avrebbe voluto dire che era d’accordo, anche lui avrebbe voluto dire addio a lui e a quella casa in maniera quantomeno decente. Invece si ritrovava lì, combattuto ed incapace anche solo di dire ad alta voce che se ne sarebbe andato di lì a poco.
-Ho cominciato a leggere meno di due minuti fa, comunque- riprese Pietro, abbassando il volume e tornando con lo sguardo su Alessio – Era da un po’ che volevo iniziare questo libro-.
-Dicono sia bello- commentò Alessio, evitando gli occhi neri dell’altro.
-Lo spero-.
Alessio abbassò il capo: Pietro sembrava sereno, almeno in apparenza, e già così si sentiva ancor più in colpa per quello che avrebbe dovuto dirgli tra poco. Non accennò ad avvicinarsi, non ancora, e a stento riuscì a rialzare lo sguardo, solo per non sembrare troppo vigliacco:
-Dobbiamo parlare-.
Pietro non rispose, limitandosi ad annuire. Si rimise seduto, poggiando il libro sul divano, prima di prendere un sospiro lungo e rivolgere lo sguardo nuovamente ad Alessio:
-Vuoi forse spiegarmi cosa ti è preso l’altra sera, per essere stato così ingiusto con Giada?- domandò, ed Alessio non poté fare a meno di trattenere un moto indispettito e sorpreso allo stesso tempo: era la prima volta che Pietro prendeva le difese di Giada dopo uno dei loro litigi, e non lo prese affatto come un segno positivo.
-No, a dire il vero no- si ritrovò a borbottare, ancora incapace di trovare le parole adatte – Volevo parlarti di una cosa che riguarda me. Me ed Alice-.
Pietro rimase nuovamente in silenzio; dopo alcuni attimi si alzò dal divano, aggirandolo in pochi passi e ritrovandosi di fronte ad Alessio. Non sembrava intenzionato a parlare: sembrava essere in attesa, in un muto invito ad Alessio ad andare avanti.
-Tra un mese andrò a vivere da lei-.
Le parole erano scivolate fuori fin troppo velocemente, tanto che Alessio stesso stentò a credere di averlo detto sul serio. Per i primi secondi sembrò quasi che nessuno dei due avesse ancora detto niente: fu solo quando vide lo sguardo di Pietro incrinarsi e i lineamenti del viso farsi più tesi, che Alessio si rese conto di aver appena detto ciò che si teneva dentro già da diverso tempo.
-Cosa?- la voce di Pietro risultò atona, poco più che sussurrata.
-Hai capito- borbottò di rimando Alessio, scostando gli occhi da quelli scuri e cupi dell’altro. Avrebbe solamente voluto dire che no, non era vero che se ne stava andando, che era solamente uno scherzo. Si morse il labbro inferiore per trattenersi dall’aggiungere qualsiasi altra parola.
-Quando lo avete deciso?- dopo interminabili attimi Pietro parlò ancora, la vitalità di poco prima che sembrava averlo abbandonato del tutto.
-A dicembre-.
-E in tutto questo tempo non ti è neanche passata per la mente l’idea di dirmelo?-.
Alessio alzò lentamente il capo, trovandosi di fronte gli occhi di Pietro che lo osservavano con durezza. Aveva parlato piano, forse trattenendosi a stento dall’alzare la voce, ma bastava guardarlo in faccia per capire cosa gli stesse passando per la mente in quel momento. Era un misto di rabbia e delusione, e vederlo così non era affatto una novità: ci erano già passati diverse volte, in quegli ultimi due anni, ma Alessio era altrettanto sicuro di non averlo mai visto così profondamente ferito.
-Certo che ci ho pensato, ci ho pensato ogni maledetto giorno- si sforzò a rispondere, più per orgoglio personale che per convinzione.
-Ma non l’hai fatto- completò Pietro, annuendo piano e sbuffando sarcasticamente subito dopo. Si voltò verso un’altra direzione scuotendo il capo, ridendo piano amaramente; ora che Alessio non sentiva più il suo sguardo tagliente addosso riusciva a sentirsi meno sotto pressione, ma non meno colpevole.
-Non sapevo come fare. Non sapevo come l’avresti presa-.
-Perché, come pensavi l’avrei presa?- sbottò Pietro, rigirandosi di scatto ed abbandonando definitivamente quella parvenza di calma apparente che aveva mantenuto fino a quel momento. Si stava pian piano infervorando, lasciando che la rabbia prendesse il sopravvento.
-Male, come effettivamente sta accadendo. Anche se in fondo sapevi sarebbe successo tra non molto in qualsiasi caso- Alessio si morse il labbro inferiore, nel tentativo di non scaldarsi troppo a sua volta e far finire tutto con urli vuoti – E poi io e Alice stiamo insieme da tanto, non è così strano cominciare a pensare alla convivenza-.
Si sentiva un idiota, a tirare in ballo Alice quando sapeva benissimo che non era quello il nocciolo della questione. Si sentì meschino, troppo egoista per ammettere le colpe che sapeva di avere e per non cercare di giustificarsi.
-No, infatti, non è strano. E non è per questo che l’ho presa male, come dici tu- Pietro sembrava essersi spazientito, d’un tratto più aggressivo – Pensavo solo che me l’avresti detto prima, e non ora, quando hai già una gamba fuori da questa casa-.
-Sono ancora qui, se non te ne sei accorto-.
Alessio serrò le labbra, cercando di sostenere almeno una volta lo sguardo dell’altro. Continuava a faticare a tener testa a Pietro, a non far emergere il senso di colpa che lo attanagliava anche in quel momento, e che preferiva non mostrare.
Stava andando nel modo peggiore in cui si era prefigurato tutto: l’ultima cosa che voleva era proprio quello che stava accadendo, inevitabilmente.
-E gli altri? Lo sanno già che te ne vai da qua?-.
Quella era la domanda trabocchetto, la domanda a cui Alessio non avrebbe voluto rispondere mai. Perché sapeva che mentire ora sarebbe stato del tutto inutile, ancor più deleterio rispetto al dire la verità. Pietro non ci avrebbe impiegato comunque molto a scoprire come erano andate le cose: a che serviva tenerglielo nascosto, per quanto male avrebbe fatto?
-Sì- si ritrovò a sussurrare Alessio, le braccia incrociate contro il petto e lo sguardo abbassato.
-Chi lo sa già?-.
In quel momento si ritrovò a detestare quel voler sapere di Pietro; in fin dei conti, però, non era lui ad essere dalla parte del torto. Non era stato lui a tenergli nascosto la verità per settimane, non era stato Pietro ad aver agito e pianificato tutto a sua insaputa.
-Tutti-.
Pur non osservandolo, Alessio era sicuro che il viso di Pietro apparisse ancora impassibile e freddo. Era ancora immobile, e per alcuni secondi pensò perfino che non stesse nemmeno più respirando, da quanto silenzioso era diventato. Azzardò a sollevare lo sguardo, e si ritrovò a specchiarsi negli occhi neri dell’altro, solo apparentemente distaccati, e colmi invece di una tristezza che raramente vi aveva visto nelle iridi.
-È incredibile come a distanza di cinque anni riesci ancora a stupirmi. Avrei capito se l’avessi detto prima a Nicola e Caterina, ma addirittura anche a Giulia e Filippo ... - Pietro aveva parlato come se stessero discutendo di una cosa futile, eppure proprio in quel modo stava lasciando trasparire tutto ciò che di negativo doveva passargli per la testa in quel momento – Sai, non credevo di arrivare a scoprire così di essere per te l’ultima ruota del carro -.
-Questo non è vero- si ritrovò a replicare blandamente Alessio, conscio che, ormai, avrebbe fatto meglio a tacere che parlare. Non era riuscito a trattenersi: Pietro aveva tutte le ragioni possibili per essere arrabbiato con lui, ma non aveva diritto di prendersela così tanto e ferirlo a sua volta.
O forse quello era il trattamento che si meritava, la giusta pena del contrappasso che gli spettava per tutto quello che aveva sbagliato con lui in quei due anni.
-Ah, no? Eppure è quello che hai appena dimostrato, Alessio- Pietro alzò di nuovo la voce, allargando le braccia come se quella fosse un’ovvietà ormai comprovata ­– Sono anche il tuo coinquilino, non credi che avrei preferito saperlo quanto prima? E per quanto riguarda il fatto che sono anche tuo amico ... Beh, forse quello è venuto già meno-.
Alessio fece qualche passo avanti, pur rimanendo a debita distanza dall’altro; quello era stato un affondo troppo doloroso e ingiusto per non provare nemmeno a reagire:
-Non te l’ho detto perché temevo di litigare di nuovo con te, non per altro! E avevo ragione-. Alessio si ritrovò a urlare a sua volta, gesticolando nervosamente e ad un passo dal perdere il controllo. Temeva di dire qualcosa di cui si sarebbe pentito, ma non fece nulla per fermarsi o per non seguire l’istinto.
-E non è vero che non tengo a te come amico, non è vero da parte mia, almeno! Sei tu quello che spesso e volentieri mi ignora, in certe giornate mi rivolgi a stento la parola!- gridò ancora, incurante del fatto che Pietro sembrasse come incrinarsi sempre di più – Forse non mi lasci nemmeno la minima occasione per dimostrarti il bene che ti voglio-.
Buttò rumorosamente fuori l’aria, forse non rendendosi ancora conto bene di ciò che aveva appena sputato in faccia a Pietro. Si era sfogato, e se possibile si sentiva anche peggio di prima.
Pietro rimase in silenzio, immobile ancora una volta, lo sguardo meno duro e irato. Era ancora teso, Alessio riusciva ad intuirlo dai lineamenti induriti del viso, ma la tensione che lo stringeva sembrava essere diversa: sembrava che la rabbia fosse appena caduta in secondo piano, travolta più dalla delusione e dal pentimento. Sembrava disorientato, perso in chissà quali sensazioni intricate che Alessio faticava enormemente ad intuire.
-Scusa. Scusa, ma davvero ... Stiamo solamente toccando il fondo, così- Alessio mormorò in maniera appena udibile quelle parole, trattenendosi a stento dal fare qualche altro passo per avvicinarsi a Pietro – E non voglio, non lo avrei mai voluto-.
Non ricevette alcuna risposta da Pietro, nemmeno un cenno; si limitò a distogliere gli occhi, spostandoli oltre le spalle dell’altro, come se Alessio non fosse nemmeno stato nella stanza. Sembrava completamente assente, completamente incapace di ribattere o anche solo provarci.
Alessio si sentì quasi a disagio, esitante e dubbioso su cosa avrebbe dovuto fare. In quel momento avrebbe solamente voluto allontanarsi – forse era la stessa cosa che avrebbe voluto Pietro-, restare solo e lasciarlo solo.
Forse lasciar passare un po’ di tempo, prima di parlare ancora, avrebbe giovato ad entrambi.
-Se hai qualche domanda o qualche dubbio sai dove trovarmi. Almeno per ora- mormorò ancora Alessio, prima di fare qualche passo indietro vero il corridoio.
Vide con la coda dell’occhio Pietro annuire, impercettibilmente, e rimanere ancora lì in piedi, fermo come una statua di ghiaccio.
Si sforzò di proseguire in direzione della sua stanza, senza guardarsi indietro, anche se in quel momento, nonostante tutto, l’unica cosa che avrebbe voluto fare sul serio sarebbe stata quella di rimanere lì.
 
*
 
La pioggia continuava a scendere ancora ininterrottamente, e Pietro non poté fare a meno di sentirsi ancor più malinconico di quel che già si sentiva, ascoltando quel ritmico ticchettare contro le finestre.
Doveva essere passata un’ora da quando nel salotto era ripiombato il silenzio, ma non ne era sicuro: gli sembrava piuttosto che fossero passati interi giorni, in quella solitudine che non gli lasciava scampo.
Seduto sul divano non riusciva a smettere di torturarsi le mani, lasciando vagare lo sguardo, gli occhi ancora lucidi che rendevano ogni oggetto e ogni dettaglio più sfocato ed opaco.
Era davvero tutto così indistinto, sentimenti contrastanti che sembravano essere divisi solamente da una sottile linea sfumata, a volte talmente tanto da sembrare assente. Perché poteva sentirsi arrabbiato – o forse addirittura furioso- con Alessio, ed allo stesso tempo avrebbe solamente voluto augurargli buona fortuna, fortuna per trovare quella felicità che a lui sembrava essere stata negata di nuovo.
E avrebbe voluto urlargli in faccia che a lui non sarebbe cambiato nulla, il suo andarsene, gli avrebbe voluto gridare che poteva andarsene anche all’istante, ma poi avrebbe anche voluto prenderlo per le spalle, trattenerlo in un abbraccio dal sapore disperato e dall’orgoglio sotterrato, solo per farlo rimanere un attimo di più accanto a sé.
Avrebbe voluto dirgli che lo ignorava perché, in fin dei conti, negli ultimi due anni Giada era stata l’unica a risollevarlo un po’, e non ci era riuscito certo Alessio, che non faceva altro che criticarli. E avrebbe ammesso, una volta per tutte che, se lo ignorava e cercava di stare lontano da lui, era solo per evitare che Giada, incontrandolo anche per puro caso, potesse provocarlo una volta di più.
Gli avrebbe volentieri detto che faceva davvero bene ad andarsene, perché meritava di trovare un po’ di serenità e un po’ di gioia con Alice, ma avrebbe anche sussurrato che, senza lui accanto a sé, la sua, di felicità, non sarebbe davvero mai arrivata.
E con le ultime energie gli avrebbe detto ancora una volta di andarsene, andarsene via per sempre, perché quella doveva essere l’unica soluzione per far sì che Alessio se ne andasse anche dalla sua testa.
Forse, in un ultimo sospiro, invece, gli avrebbe detto di rimanere, perché la vita non meritava di essere vissuta, non lontano dalla persona che amava.
Sapeva che non avrebbe mai detto quelle cose.
Sarebbero rimaste tutte nella sua mente, incastrate in mezzo a sospiri che faticavano ad uscirgli di bocca, parole non dette che avrebbero lasciato il segno per sempre, incise su di sé come vecchie cicatrici. Cicatrici che si sarebbero fatte meno dolorose, più sbiadite, ma sempre presenti, lì sotto lo sguardo, a ricordargli ancora una volta la sua codardia e la sua volontà di lasciare andare Alessio.
Non aveva scelte. Quelli come lui non potevano mai scegliere, non in quelle situazioni.
L’ennesima lacrima gli rigò la guancia, e Pietro fu veloce ad asciugarsela, con un gesto repentino della mano.
Doveva cercare di convincersi che quella era la cosa giusta da fare – lasciarlo andare, una volta per tutte, senza mettersi in mezzo e lasciarlo vivere la sua vita-, che in fin dei conti la felicità di Alessio era importante quanto la sua. Anche se non sarebbero stati insieme come avrebbe desiderato.
Sì, doveva dirgli che, seppur sbagliando a non averglielo detto, avrebbe fatto bene ad andare a vivere con Alice. Avrebbe dovuto dirglielo, pur con la morte nel cuore e con le parole che celava dentro di sé scalpitanti per uscire allo scoperto.
Alla fine entrambi avevano ragione ed entrambi torto, per quanto a Pietro non piacesse minimamente quella prospettiva: aveva ragione Alessio, nel dire che si ignoravano molto di più di quanto non sarebbero mai stati in grado di ammettere. Ma aveva torto, immensamente torto, in ciò che aveva fatto. Non aveva il diritto di nascondergli una cosa che lo riguardava sì come amico, ma anche come coinquilino.
Ed aveva ragione Pietro, nel sentirsi così arrabbiato e a tratti tradito, ma allo stesso tempo sentiva di non aver fatto mai abbastanza per cercare di migliorare le cose. Aveva continuato ad andare avanti per inerzia, facendosi andare bene ed adattandosi a tutto ciò che capitava, senza cercare di alzare di più la testa.
Pensò che di lì a poco si sarebbe ritrovato davvero solo in quella casa, che Alessio non sarebbe più stato nella sua stanza ad aspettare che sbollisse la rabbia. A che serviva rimanere arrabbiato così, se tanto le cose non sarebbero cambiate? Era troppo tardi per fare qualsiasi cosa, ormai, e anche se avesse avuto un’altra possibilità, probabilmente, non avrebbe avuto la forza per afferrarla al volo.
Forse avrebbe fatto bene a godersi quelle ultime settimane, quegli ultimi momenti, prima di separarsene per sempre. Rivedere Alessio, una volta trasferitosi, sarebbe stato quanto di più doloroso avrebbe potuto sopportare: come poteva riuscire ad abituarsi alla sua assenza, dopo più di tre anni di convivenza, e con tutti i rimpianti che si portava appresso?
Sarebbe stato difficile all’inizio, lo sapeva bene, ma forse il tempo lo avrebbe aiutato ad attenuare quel dolore sordo che sentiva già dentro, forse lo avrebbe addirittura aiutato a dimenticare quell’amore che lo faceva sentire sbagliato e senza via di fuga.
Si alzò piano dal divano, dapprima rimanendo immobile per non cadere a causa dei giramenti di testa. Accennò qualche passo, e finalmente si sentì meglio, sufficientemente per raggiungere la camera di Alessio.
Non gli andava davvero di rimanere arrabbiato con lui, non quella volta: se fosse stato un qualsiasi altro loro litigio non avrebbe ceduto così facilmente, non sarebbe tornato da lui così in fretta, ma in quel momento sentiva che doveva farlo, sentiva che non doveva finire così. Non poteva dargli un addio con una maschera rabbiosa in viso e con l’anima spezzata dalla malinconia.
Arrivò di fronte alla porta chiusa della sua stanza in pochi attimi. Sperava di non avere gli occhi troppo arrossati, e soprattutto sperava che Alessio lo lasciasse entrare, senza troppe proteste.
Bussò solamente una volta, prima di tirar giù lentamente la maniglia e aprire un piccolo spiraglio; Alessio era steso sul letto, gli occhi chiusi, ma l’aria vigile. Si riscosse non appena sentì Pietro aprire maggiormente la porta, tirandosi su a sedere e rimanendo ad osservarlo in attesa. Non sembrava voler essere lui a fare la prima mossa.
Pietro respirò a fondo, prima di accennare a qualche altro passo: si ritrovò di fronte al letto di Alessio, gli occhi chiari dell’altro che indugiavano su di lui esitanti come se aspettassero un qualsiasi segno.
-Davvero non me lo hai detto subito solo per la paura che litigassimo?-.
Non sapeva bene perché gli fosse venuta spontanea quella domanda, ma Pietro non aggiunse altro comunque. In una qualche maniera non credeva sul serio che Alessio non glielo avesse detto per quel motivo; gli sembrava quasi di aver la certezza che ci fosse altro dietro, altro che aveva taciuto. Una delle tante cose non dette tra di loro.
Alessio sbuffò piano, abbassando il capo e passandosi una mano tra i capelli biondi. Sembrava in difficoltà, perennemente indeciso su cosa dire o fare. Rialzò gli occhi solo diversi secondi dopo, l’azzurro delle iridi incupito e scurito:
-Avevo paura che ci rimanessi troppo male-.
Ancora una volta Pietro ebbe la netta sensazione che non fosse solo quello, che Alessio non stesse dicendo tutto quello che si teneva dentro. Non insistette in ogni caso, la voglia di litigare se ne era andata già da tempo.
-Hai ragione nel dire che avrei dovuto dirtelo prima, lo so- continuò Alessio, arrossendo lievemente, per niente a suo agio nell’ammettere apertamente una sua colpa – Nicola me ne ha dette di tutti i colori l’altra sera, quando ha scoperto che tu non ne sapevi ancora niente. E aveva ragione. Avete ragione entrambi-.
Pietro annuì, silenziosamente. Riusciva ad intuire tutta l’inquietudine e il senso di colpa che dovevano tenere attanagliato Alessio, in quel momento; anche volendo non sarebbe riuscito a sentirsi ancora in collera con lui neanche per un secondo.
Non rispose nulla: si limitò ad avvicinarsi al letto, sedendovisi sopra, a fianco dell’altro. Sentiva lo sguardo di Alessio fermo su di sé, di nuovo in attesa e insicuro. Eppure non sentiva il bisogno di dire nient’altro: le parole sembrava quanto di più inutile e superfluo in quel momento.
-Perché dobbiamo sempre urlarci addosso tutto il risentimento possibile, per poi renderci conto dei nostri errori e delle nostre mancanze?- Pietro mormorò appena, ma fu sicuro del fatto che Alessio fosse riuscito ad udire quelle parole. Lui non disse niente, forse troppo colpito o forse troppo timoroso di aprire una nuova discussione.
Lo sentì spostarsi appena sul materasso, e pur non voltandosi verso di lui riuscì a percepire il calore del corpo più vicino al suo di quanto non fosse stato fino a quel momento. Non si stupì molto, quando sentì Alessio appoggiare il viso su di lui, il mento che premeva sulla spalla di Pietro. Ebbe la tentazione di fuggire a quel contatto, ritraendosi a quel tocco che desiderava e rifuggiva allo stesso tempo.
Rimase lì con gli occhi chiusi, con il viso di Alessio a pochi centimetri dal suo e con la pioggia che continuava a scendere e picchiettare ritmicamente contro il vetro della finestra, come una nenia infinita, come una canzone d’addio che li accompagnava e che li osservava come un occhio invisibile.
 

“Sometimes being a friend means mastering the art of timing. There is a time for silence. A time to let go and allow people to hurl themselves into their own destiny. And a time to prepare to pick up the pieces when it's all over” - Octavia E. Butler
 
It’s a song to say goodbye
(Placebo - "Song to say goodbye")*
 
*
 
-C’è un volo il 25 marzo a un prezzo non male-.
Alessio registrò l’informazione distrattamente, quasi senza neanche sentirla.
Il suo letto era di nuovo vuoto, a parte la sua stessa presenza. Il peso dell’assenza di Pietro era ancor più pesante adesso che se ne era andato, tornatosene in salotto o nella sua stanza, e reso ancor più devastante dalle coperte ancora spiegazzate nel punto in cui si era seduto poco prima. Alessio era piuttosto sicuro che, se avesse allungato una mano verso quel punto del piumone, avrebbe ancora percepito il calore del suo corpo.
Si sentiva raggelato, da solo in quella stanza, con la voce di Alice proveniente dal cellulare in una chiamata che aveva fatto partire lei stessa. Si era dimenticato che si erano accordati per sentirsi per quell’ora, o si sarebbe inventato una scusa per rimandare quella telefonata di cui perdeva il filo ogni due secondi.
-Atterraggio a London Heathrow la mattina- proseguì Alice, lentamente, come se stesse leggendo, molto probabilmente dallo schermo del pc – Not bad-.
Anche lui avrebbe voluto dire che non stava andando poi così male.
Peccato che stesse andando malissimo, con il cuore dilaniato come se lo stava sentendo in quel momento.
Alice stava continuando a parlare: Alessio ne poteva percepire la voce dall’altra parte della linea, ma non stava davvero seguendo il senso delle sue parole. Avrebbe potuto star confessando di averlo tradito, ma non avrebbe comunque capito.
Continuava a ripetersi nella mente le ultime parole di Pietro, quelle che avevano preceduto un lungo silenzio carico di così tante cose che Alessio non era riuscito a distinguerle – o forse non aveva nemmeno voluto.
“Perché dobbiamo sempre urlarci addosso tutto il risentimento possibile, per renderci conto dei nostri errori e delle nostre mancanze?”.
Alice ancora parlava del viaggio che li avrebbe attesi a fine marzo, quando finalmente lei sarebbe tornata a Londra per qualche giorno per rivedere la sua famiglia, e lui l’avrebbe accompagnata. Alessio continuò a non cogliere nemmeno una parola.
“Non lo so”.
Ripensò alla risposta che non gli aveva dato, limitandosi a stare accanto a Pietro come se potesse bastare quello a fargli capire che quella situazione stava facendo male anche a lui.
“Forse quando si ha paura è troppo difficile essere sinceri sin dall’inizio”.
-Cosa ne dici?-.
Stavolta colse il tono interrogativo nella voce di Alice, l’accento e il fare inglese che un po’ le rendeva complicato far intendere quale era una domanda e quale no.
Alessio si riscosse appena, chiedendosi se fosse il caso di far finta che stesse per cadere la linea. Desistette qualche secondo dopo, troppo apatico persino per quella scappatoia.
-A me va bene qualsiasi opzione- mormorò atono – Decidi tu-.
Alice sembrò pensarci su per qualche secondo, magari domandandosi se l’aveva effettivamente ascoltata negli ultimi minuti, ma alla fine rispose:
-Ti faccio uno screen con tutte le informazioni. Almeno vedi da te cosa intendo-.
-Perfetto-.
-Dovremmo comprare i biglietti entro la settimana- gli disse ancora, con urgenza nella voce – Prima che i prezzi salgano-.
“Perché tutta questa fretta?”.
Capiva che Alice fosse entusiasta della cosa. Capiva anche che le mancasse la sua famiglia, il suo Paese. Non riuscì comunque a sentirsi minimamente coinvolto. Forse se quella telefonata fosse stata fatta in un qualsiasi altro momento sarebbe stato diverso anche per lui – quasi sicuramente lo sarebbe stato, o almeno così credeva e sperava-, ma ora era solo qualcosa a cui non riusciva a prestare alcuna attenzione, né a condividere la stessa voglia di partire di Alice.
-Sì, mi sembra giusto- bofonchiò a stento.
Ci fu un silenzio che ad Alessio parve assordante, subito dopo quelle sue parole a malapena intendibili. Non lo avrebbe affatto stupito scoprire che Alice aveva capito che c’era qualcosa che non andava: era come se avesse una sensibilità particolare in quei momenti, come se riuscisse a capire ancor prima di lui che sarebbe successo qualcosa che l’avrebbe portato a reagire male.
-Amore?- la sentì chiamare, e nonostante fossero passati anni da quando aveva iniziato a chiamarlo così, c’era sempre qualcosa che strideva in quella parola – Are you ok?-.
“L’ha capito”.
Forse se le avesse parlato, Alice avrebbe compreso il suo dolore. Avrebbe capito che si sentiva in colpa per aver tenuto Pietro all’oscuro di certe sue decisioni, l’unica persona a cui non aveva detto della convivenza. Che si sentiva in colpa anche solo al pensiero di dover lasciare quella casa.
E che si sentiva in colpa anche per gli ultimi anni, perché non era riuscito a mettere da parte la sua ostilità verso Giada e non mettere in mezzo anche Pietro.
Si sentiva in colpa per mille altri motivi ancora, e forse Alice qualcuno lo avrebbe senz’altro compreso.
Ma era lui che non voleva che lo comprendesse. Non voleva farsi vedere.
Non da lei, almeno.
-Sono solo stanco-.
Si passò una mano sul viso, rendendosi conto che quella non era nemmeno una bugia. Era solo una mezza verità, una delle tante.
-Dopo guardo per il volo, promesso-.
Tanto valeva farlo. Forse si sarebbe addirittura distratto. Forse lo avrebbe usato come motivo per non lasciare camera sua, e non rischiare così di incrociare Pietro – e di scoppiare in lacrime nel vederlo di nuovo.
-Don’t worry. Abbiamo ancora qualche giorno di tempo- lo rassicurò Alice, con voce dolce – Sono contenta, però. Non vedo l’ora che a casa ti conoscano, finalmente-.
Alessio si ritrovò ad ascoltarla con così tanto distacco che si ritrovò a chiedere se ne valesse davvero la pena, andare avanti con quel progetto di convivenza.
-Anche io-.
 

 



 
*il copyright della canzone appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori
NOTE DELLE AUTRICI
E concludiamo così anche il secondo capitolo, dal titolo piuttosto evocativo … Sembra proprio che Alessio si sia finalmente deciso a dire la verità a Pietro, ma giustamente quest'ultimo non ha reagito proprio benissimo alle ultime notizie.
Ovviamente un confronto tanto acceso non poteva non portare delle riflessioni e quelle di Pietro sono decisamente auto esplicative.
Sul finale troviamo allo stesso modo un Alessio piuttosto distratto che pensa ancora a quel che è successo con Pietro, ed una Alice che viene ignorata a distanza... Non un gran inizio questo 2017, eh? Secondo voi le cose si risolleveranno, in un qualche modo?
E chissà, forse vedremo anche qualche scorcio di questo fantomatico viaggio verso la Gran Bretagna ... Chi vivrà vedrà!
A mercoledì 6 ottobre con un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy

 
 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Kimando714