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Autore: Aceaddicted_    23/09/2021    0 recensioni
«Questo profumo dà alla testa…» mormorò Ace quasi infastidito più che ammaliato, mentre si dirigevano verso l’ingresso principale. «È proprio questo l’intento…Per una persona che ha poco auto controllo una volta qui dentro è la fine. Brama e lussuria ti divorano, ed è questo lo scopo del gioco.» continuò Izo. (...)
Sbarcati sull'isola di Wa, i famosi comandanti di Barbabianca: Ace, Marco ed Izo, intraprendono un lungo spionaggio nella Capitale dei Fiori, alla ricerca di informazioni per conto del loro Comandante. I tre giovani si ritroveranno ad affrontare una nuova cultura, avvolta da seta pregiata e incensi profumati, ma che nel buio si macchia di gravi peccati ed ingiustizie.
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Nota: Possibile SPOILER Saga di Wano
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Izou, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Il Paese di Wa, conosciuto anche come Wa no Kuni.
Una nazione del Nuovo Mondo, isolata da influenze esterne, gode di indipendenza totalitaria verso il Governo mondiale. Un’isola avvolta da correnti di fiume, presidiate da Carpe Koi di dimensioni gigantesche le quali assicurano la modalità d’accesso al paese, tramite il medesimo traino o via porto sotterraneo. Ovviamente, usufruibile solo per pochi.
 
La nazione si presentava suddivisa in sei regioni, ognuna governata da un signore diverso, comunemente conosciuti come Daymio. A seguito dell’insediamento dei Pirati delle cento bestie per mano dell’imperatore Kaido, l’isola venne interamente devastata ad eccezione della Capitale dei Fiori e di Bakura. In tutto il paese l’acqua dei fiumi si inquinò di sostanze tossiche, interferendo così con l’intero ecosistema del paese: vegetazione, animali, cibarie ed acqua potabile.
Il degrado del paese fu immane nel corso degli anni, portando la popolazione alla povertà e all’insurrezione. Chiunque avesse conosciuto il Paese di Wa al suo splendore, non sarebbe mai riuscito a riconoscerlo ora. Un paradiso distrutto dall’avidità dell’uomo.
 
Proprio in merito a questo, Barbabianca, uno dei quattro imperatori iniziò a destare preoccupazione sulla situazione di quel paese a lui molto caro, e decise di mandare le sue migliori risorse ad indagare su cosa stesse accadendo. In incognito, avrebbero dovuto raccogliere informazioni, nomi e coinvolgimenti vari, per riportarli alle orecchie del loro Capitano. Essendo Wa un paese completamente estraneo al turismo e all’immigrazione straniera, il riuscire ad infiltrarsi senza problemi si sarebbe rivelata la parte più complicata di tutta la missione.
 
«Siamo arrivati!» esclamò Izo dalla prua della nave, mentre scorgeva all’orizzonte la spiaggia di Kuri, appena dopo aver risalito la cascata trainati dalle Carpe Koi.
Era stata un’esperienza decisamente assurda, chi mai avrebbe pensato di agire in quel modo, se non qualcuno che conoscesse Wano come le proprie tasche. Fortunatamente era la terra natia di Izo, ex samurai al servizio di uno dei Dyamio più famosi della storia.
 
«Oi oi state tutti bene?!» urlò Marco, riportando i piedi sulla nave dopo essersi trasformato in fenice ed aver evitato qualsiasi inconveniente nel risalire una cascata a 90° gradi con il suolo. Assurdo. I vantaggi di possedere un frutto del diavolo dotato di ali.
 
«Che figata pazzesca!!! Dai, rifacciamolo!» esclamò tutto esaltato Ace, mentre si lanciava dall’albero maestro sulla prua della nave per raggiungere Izo.
 
«No, Ace.» lo azzittì il samurai, sempre tutto d’un pezzo qual era.
 
Nonostante fosse tornato nella sua terra natale sapeva benissimo che non erano qui per fare marachelle e combinare guai, com’era solito fare Ace, e tenerlo sotto controllo non sarebbe stato facile. Tutti e tre occupavano il ruolo di comandante delle medesime flotte, giocavano di squadra ed avevano un innato senso del dovere. Si fidavano ciecamente gli uni degli altri, ma Ace era pur sempre Ace.
 
Attraccarono la nave in un punto strategico sotto indicazione del samurai. Lasciarla in bella vista sulla spiaggia di Kuri sarebbe stato il modo più semplice di urlare agli intrusi, tra l’altro i Pirati non erano ben visti dalla popolazione del paese. Una volta pronti avrebbero raggiunto la Capitale dei Fiori, fulcro della bella vita e dei traffici del Pase, e da lì avrebbero iniziato le loro indagini contro Kaido e il nuovo Shogun.
 
«Bene, che si fa? Andiamo?» domandò Ace stiracchiandosi stufo di stare ad ammuffire sulla nave dopo le lunghe ore di viaggio.
 
«No. Non potete scendere così, né tu né tu!» continuò Izo, indicando entrambi i comandanti davanti a lui.
 
«Se andaste in giro per la Capitale vestiti in questo modo verreste notati in meno di un minuto, tra i tatuaggi che portate e il vostro… esibizionismo? Sì, dovete cambiarvi. Mettetevi questi…» concluse Izo, lanciando ai compagni due yukata: uno arancione con dei disegni verdi e l’altro azzurro con i decori viola. Aggiungendo in fine due paia di zori di legno.
 
«Scherzi? Pure le ciabattine… come diavolo faccio a combattere con queste cose ai piedi?» contestò sconcertato il corvino, prendendo con una mano gli zori e con l’altra quella palandrana colorata, che già così non sapeva come rigirarsela tra le mani. Inutile dire che tutto questo era molto lontano dal canonico abbigliamento di Pugno di Fuoco; rigorosamente a torso nudo, pantaloni cargo e dei comodi stivali ai piedi. Non dimentichiamo il cappello arancione che lo seguiva d’ovunque.
 
«Oi Ace… non si è mai parlato di combattere.» intervenne il medico, cercando di calmare i due litiganti.
 
«Infatti! Togliti dalla testa tutto ciò Ace, servono solo occhi e orecchie. Quindi gli zoccoli te li puoi tenere ai piedi…» rispose Izo preventivamente allarmato dalle insinuazioni del giovane del gruppo.
 
Ace era il giovincello tra i comandanti, e sapevano fosse anche il più impulsivo tra tutti. Non era un cattivo ragazzo, nonostante lui stesso continuasse a definirsi “il figlio del demonio”, era solamente un ventenne allo sbaraglio e con gli ormoni in subbuglio. Gli adulti avevano già superato quella fase giovanile; ormai uomini tutt’un pezzo e vissuti.
 
Marco ed Ace preso a cambiarsi, spogliandosi e cercando il modo migliore per indossare lo yukata; non era così semplice come sembrava.
 
«Aspetta… prima si mette il lato destro, lo fai passare all’interno, chiudi sopra il lato sinistro e fermi il tutto con la fascia. Ecco fatto.» spiegò amorevolmente il samurai, aiutando Ace nella vestitura e dando le indicazioni anche a Marco, il quale si vestì autonomamente. Almeno uno in meno a cui pensare.
 
I due comandati si guardarono vicendevolmente, mentre giravano sui propri piedi per ammirarsi. Che caldo. Che scomodo. I pensieri di Ace erano visibilmente percepibili dai compagni i quali scoppiarono in una fragorosa risata. Che tenerezza. Pugno di Fuoco fuori dal suo comfort zone era uno spasso.
 
«Senti Izo…» mormorò Ace visibilmente a disagio, mentre muoveva le gambe contemplando lo spacco dello yukata.
 
«Sotto? Uhm… sento troppo fresco… uhm sì dai, hai capito…» mormorò grattandosi la testa in preda all’imbarazzo. Non che temesse che il proprio corpo venisse ammirato, ma non era abituato a sentire i gioielli così arieggiati nonostante le mutande.
 
Marco non proferì parola, si sedette su un barile pronto per godersi lo spettacolo scoppiando a ridere. Che spasso la gioventù.
 
«Niente, dovresti togliere tutto a dire la verità.» rispose serio Izo, fingendo di non capire dove volesse arrivare il giovane comandante.
 
Ace si ammutolì. Il suo viso diventò impassibile, probabilmente il proprio cervello stava elaborando pensieri alla velocità della luce, non permettendo al proprio corpo di compierli. Si portò una mano tra le gambe, quasi a controllare ci fosse ancora tutto, per poi rinsavire.
 
«No, impossibile. Non può essere.» mormorò perplesso.
«Izo fammi vedere tu cos’hai lì sotto! Dai, siamo amici Izo!» esclamò Ace dimenandosi contro Izo, il quale cercava di non farsi spogliare dal corvino. Impiegarono un paio di minuti, finché Ace non vinse e riuscì ad aprirgli lo yukata e vedere sotto di esso delle mutande bianche.
 
«Ace sei un cretino! Prevedo dei giorni di spasso!» esclamò Marco ridendo a crepa pelle nel rivedere il volto di Ace riacquistare un colore naturale, dopo aver scoperto di poter indossare le mutande. Questa scena avrebbe fatto la storia, pronto per ricattarlo in qualunque momento.
 
«Scherzi a parte, mi stavo dimenticando. Dobbiamo sistemare anche i vostri capelli. Nel Paese di Wano gli uomini hanno una pettinatura tipica chiamata “chonmage”. Quindi, verreste subito adocchiati come stranieri senza di questa.» spiegò Izo.
 
Questa volta partì dall’acconciare Marco, visto la minore quantità di capelli da dover domare, realizzando questo famoso codino al posto della riconoscibile “testa d’ananas”. Per quanto riguardava Ace, avrebbe speso un po’ più di tempo. Izo conosceva bene le dinamiche della Capitale dei Fiori, sapeva preventivamente che gli occhi di tutte le donne sarebbero stati catturati all’attenzione di Ace. Era un bel ragazzo con una certa prestanza fisica, che anche sotto allo yukata non si nascondeva affatto. Nella capitale l’apparenza era fondamentale, circolavano solo i favoriti dello Shogun e le persone rinomate, e nel quartiere a luci rosse dovevano arrivarci tramite invito ed Ace era una carta giocabile. Gli raccolse accuratamente i capelli creando delle trecce laterali, unendole dietro la testa nel raccolto d’uso comune. Era decisamente affascinante.
 
«Ora sì che possiamo andare in città!» esclamò entusiasta Izo, intraprendendo insieme ai compagni il viaggio verso la Capitale dei Fiori.
 
Il tragitto verso la meta tenne occupati i tre uomini per circa due ore soltanto e tutto ciò grazie alle conoscenze cui il samurai aveva come proprio bagaglio. Per dei forestieri qualunque l’impresa sarebbe risultata molto più impegnativa; uno per via delle bestie pericolose che vivevano allo stato brado nelle foreste del Paese e due perché quel poco di vegetazione lungo le lande desolate era un susseguirsi delle medesime cose fino a perdita d’occhio. Insomma, o ti uccidevano gli animali o ci pensava la sete d’acqua.
 
Partiti dalla regione di Kuri, i tre comandanti attraversarono i confini a piedi, nascondendosi dai soldati di Kaido fino a raggiungere la regione di Kibi, la quale rappresentava la periferia della tanto nominata Capitale.
 
Per il giovane comandate questa era la prima volta nel Paese di Wa, ne aveva sentito parlare a bizzeffe dai suoi compagni più grandi e tanto meno da Barbabianca, il quale nelle serate più alcoliche si perdeva a raccontare le avventure passate.
Ace era sempre stato curioso, ma una curiosità insolita per un ragazzo della sua età. Si interessava alle diversità in tutte le sue forme e colori, forse proprio perché anch’esso era ancora alla ricerca di sé stesso e delle risposte del mondo che ancora non aveva. E giunti alla Capitale dei Fiori, il suo sguardò sembrò quello di un bambino in un negozio di caramelle: estasiato.
 
La Capitale si presentava, fin dal primo passo, caotica ed esuberante. Il vociare della gente si riversava lungo il corso principale, disperdendosi nelle mille mila viuzze che si ramificavano lungo i lati di questo. Sul sottofondo si sentiva una continua melodia di Shamisen, il quale rendeva tutto molto più suggestivo di quanto già solo la vista potessero fare.
 
Gli occhi di Pugno di Fuoco si muovevano rapidi nel cercare di scorgere più informazioni possibili; atteggiamenti delle persone, modi di parlare, usanze, profumi e sapori. E sì, l’olfatto del corvino stava già iniziando a focalizzarsi sul profumo delle pietanze che si disperdeva nell’aria.
 
«Questa è la Capitale dei Fiori, qui possono stare solo le persone nelle grazie dello Shogun, sono tutte persone rinomate e rispettabili… ovviamente per il pensiero interno. Il corso principale attraversa tutta la città concludendosi davanti alla dimora dello Shogun… esattamente là ai piedi di quel grande albero…» spiegò Izo, cercando di condividere più informazioni possibili con i compagni. Dovevano essere preparati ad ogni evenienza.
 
«Stai dicendo che quindi si conoscono quasi tutti?» domandò Marco, guardandosi attorno e notando già qualche sguardo di troppo sulle loro persone. «Tutti no, ma diciamo che in certi quartieri accedono solo alcune persone. La mia idea è quella di riuscire a farci invitare questa sera nel Quartiere a Luci Rosse, ed ho già qualche idea a riguardo.» rispose Izo continuando a camminare.
 
«Oi Ace, non ti fermare…» lo richiamò Marco, voltandosi verso il giovane già intento ad appostarsi presso una bancarella di street food. «Izo, come ci muoviamo? Noi non conosciamo un accidente qui ed ho già capito che tu hai un piano…» continuò la Fenice.
 
Il samurai si guardò un attimo attorno entrando con nonchalance in un vicolo deserto a ridosso del corso principale. La tensione iniziava a crescere. Avevano una sola possibilità e non potevano assolutamente permettersi di fallire. Ne andava del loro onore verso Barbabianca.
 
«Allora ascoltatemi… ho ancora degli agganci fidati in città ed andrò personalmente a parlarci, cercando appunto di trovare un modo per infiltrarci ad hoc. Voi due starete insieme, passate una giornata tranquilla qui nella capitale; mangiate, ascoltate e guardate. Sono tutti occhi ed orecchie dello Shogun, quindi prestate attenzione…» spiegò attentamente il samurai, cercando di essere il più esaustivo possibile.
 
«Ok, abbiamo un punto di ritrovo o un orario?» domandò Ace ancora un po’ spaesato dalla mole di informazioni costretto ad immagazzinare. Doveva cercare in tutti i modi di controllare il proprio essere esuberante.
 
«No nessuno, verrò io a cercarvi e nel frattempo cercherò anche un punto strategico dove poter riposare ed elaborare la situazione. Tenete questi lumacofoni, comunicheremo tramite essi, ma fatelo con disinvoltura…Wano è ancora arretrata.» continuò Izo.
 
«Ah dimenticavo, Marco tienili tu questi e tieni d’occhio Ace…» sospirò porgendo al biondo un sacchetto pieno colmo di pezzi d’oro. Era ben consapevole del fatto che Ace avrebbe provato qualsiasi bancarella lungo la strada, per poi collassare con la sua solita narcolessia da qualche parte.
 
Il trio si separò, lasciando Marco ed Ace ancora titubanti sul da farsi, in quel vicolo stretto. Si guardarono complici ed uscirono immergendosi nel flusso caotico della città. Musica, risate, profumi di spezie e di fiori, era tutto così afrodisiaco che i due non riuscivano a trovare un punto d’inizio.
 
«Senti…mangiamo qualcosa.» spezzò il silenzio Ace, puntando una bancarella lungo la via. Avrebbero sfruttato quell’occasione per cercare di mettersi a loro agio.
 
La giornata passò lentamente, ma tranquilla. Ace e Marco vagarono in lungo e largo tra le bancarelle, facendo delle pause nascosti nei vicoli ogni qualvolta il corvino avesse un attacco improvviso di sonno. Non potevano permettersi di regalare uno show del genere ad ogni tavolo in mezzo alla folla, anche se avrebbe suscitato grasse risate.
 
Il sole stava imbrunendo ed il traffico dei passanti iniziava man mano a ridursi, quando i due ragazzi ricevettero la chiamata di Izo, il quale spiegò loro dove raggiungerlo. Si avventurarono così in una zona non esplorata lungo la giornata, al confine tra la capitale ed il villaggio Ebisu.
Un villaggio al limite della povertà, il quale sopravviveva letteralmente tramite gli avanzi della Capitale dei Fiori.
 
Marco ed Ace continuarono a camminare, notando la differenza lampante che spiccava tra le due cittadine: una navigante nell’oro e l’altra, beh ecco, meglio non dirlo. La stretta al cuore di entrambi i comandanti era evidente. Lungo in cammino incontrarono un po’ di abitanti, i quali sorrisero loro senza nemmeno sapere chi fossero.
 
«Che paese assurdo…» borbottò Ace, in uno stato indefinito tra ribrezzo e stupore. Il suo sguardo passava da una parte all’altra della strada sterrata, notando dei bambini vestiti di niente, giocare insieme. Un tuffo nel passato in cui giocava con i suoi fratelli, Sabo e Rufy.
Aveva toccato con mano la fame e in un certo senso la disperazione, e vedere quella faccia della medaglia appena dopo aver sguazzato nell’oro gli fece male.
 
«Oi, non farti coinvolgere.» lo richiamò Marco.
«Come puoi non reagire ad una cosa simile?» ringhiò Ace, iniziando ad innervosirsi.
«Rifletti. Non sappiamo nulla e sicuramente dare loro soldi ed altro, gli darebbe solo molti più problemi. Non credi?» spiegò il dottore, cercando di far riflettere il giovane impulsivo.
 
Entrambi sapevano che Marco aveva ragione. Cosa potevano sapere o capire dei forestieri? Wano era un paese sotto dominazione, le voci sarebbero corse alla velocità della luce e si sarebbero giocati la testa da soli.
 
Ace non parlò più, scosse a spalle e abbassò lo sguardo sui propri piedi, come se fosse l’unico modo per tenere a freno le proprie fiamme, finché non raggiunsero il punto d’incontro.
Davanti a loro una casetta di legno, abbastanza fatiscente e mal messa. Sicuramente non avrebbero dato nell’occhio così.
 
«Ehilà, venite dentro…» li accolse Izo sventolando una mano sulla soglia della porta, accorgendosi subito che qualcosa non andava in Ace. Voltò lo sguardo su Marco, il quale scosse leggermente la testa all’amico, senza dire una parola. I tre compagni si accomodarono all’interno della casa. Dentro sembrava abbastanza attrezzata nonostante il suo aspetto.
 
«Com’è andata?» domandò Marco, versandosi del sakè in una piccola coppa. Fortuna Izo aveva pensato anche a quello. «Meglio del previsto. Abbiamo un incontro fissato per questa notte nella Case da Tè più famosa della capitale!» esultò il samurai, unendosi al compagno versandosi anch’esso da bere. «Ace che hai?» continuò il maggiore, vedendo il corvino restare sulle sue a braccia conserte.
 
«È rimasto infastidito nel vedere la povertà di quest-» cercò di spiegare Marco, venendo interrotto bruscamente da Ace.
 
«Infastidito?! Ma li avete visti quei bambini? Buttati in strada così tra queste case fatiscenti, mentre quei corrotti di merda se ne stanno a fare la bella vita tutti impreziositi nella Capitale?! Quei bambini sorridevano comunque! Avranno del cibo? L’acqua non era contaminata?» sbottò tutto d’un fiato Pugno di Fuoco, con le vene rigonfie e il viso arrossarsi dalla rabbia.
 
«Oi…calmati Ace…» mormorò Marco, poggiandogli una mano sulla spalla.
 
«Questa è una delle facce della medaglia su cui è stata convertita Wano. Una volta non era così, te lo assicuro, ma c’è poco al momento che possiamo fare. Capisco la tua rabbia, ti ricordo che questa è casa mia e vederla ridotta a questo scempio mi è inconcepibile, ma pensaci Ace…» continuò Izo, capendo perfettamente il punto di vista del più giovane.
 
Avevano le mani legate. Loro lì non dovevano esserci e se ci fossero stati avrebbero dovuto essere dei fantasmi con solo occhi e orecchie, quindi come potevano salvare il paese in tre e senza mani?
Ace era sempre stato suscettibile sulle disparità sociali, perché nonostante la sua giovane età, aveva purtroppo testato con mano le difficoltà della vita, costringendolo a crescere molto velocemente. Ricordiamoci che era salpato per mare, da solo, all’età di diciassette anni.
 
«…avete ragione, scusate… quindi questo tè cos’è?» mormorò Ace aggiungendosi alla bevuta dei compagni, i quali al suo commento rischiarono quasi di soffocare dalle risate.
 
«Casa da tè... sono dei locali del piacere nella zona a Luci Rosse della città. Si può accedere solo tramite invito ed ovviamente sono riuscito ad ottenerlo. Sì, lo so sono troppo bravo.» spiegò Izo canzonandosi da solo, prima di venire scrollato dagli altri due per ripicca.
«Ottimo lavoro vecchia volpe! Quindi stasera si beve?» domandò Ace, non sapendo ancora bene cosa li avrebbe attesi in serata.
 
«Anche, ma dobbiamo prima portare a termine l’altra parte del piano. Allora, intanto ci ho costruito un alibi. Stasera incontreremo uno dei sottoposti diretti dello Shogun, nel suo stesso bordello, un certo Kyoshiro. È il capo di una famiglia criminale che controlla la capitale. Noi lo incontreremo per cercare di entrare nel suo giro ed indagare sul traffico d’armi controllato dallo Shogun.» continuò il samurai, mettendo ogni pedina sul tavolo di gioco. Dovevano essere preparati e pronti a tutto. Non potevano permettersi esitazioni o ripensamenti.
 
«Quindi noi siamo dei contrabbandieri? Come facciamo ad assicurarci la sua credibilità non avendo conoscenze?» domandò saggiamente Marco, iniziando a collegare i punti della storia.
 
«Sapevo me l’avresti chiesto, ma a questo ci pensano i miei informatori. Voi stasera fate parlare me, almeno che non sia necessario, andrà bene tranquilli! Ora però facciamoci un bagno, che stasera dobbiamo essere a posto.» concluse il samurai, cacciando i compagni a darsi una lavata.
 
Gli avrebbe attesi una serata importante e, ovviamente, dovevano farsi trovare pronti.
  
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