Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Euridice100    24/09/2021    3 recensioni
“Penelope ha avuto la meglio perché appartiene al mito. Nella realtà, l’attesa di Penelope non porta a nulla. E lui è stanco di cose vane nella vita – di speranze, di illusioni, di qualunque cosa non sia la realtà fredda e oggettiva.”
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Bruno Bucciarati, Giorno Giovanna, Leone Abbacchio, Trish Una
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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N.B.: In questa storia ci sono diversi balzi temporali. Per facilitare la comprensione, i flashback recheranno l’indicazione del periodo in cui si svolgono.
 
 
Bring a little lovin’
 
 “Riusciremo a cambiare
o usciremo a guardare
le nuvole passare"
 
Quando Leone Abbacchio ritorna a casa, si aspetta di trovare ad attenderlo chiunque, eccetto lui.
Che ci fa sul pianerottolo Bruno Bucciarati, una valigia scura al suo fianco, il volto che si illumina quando lo scorge?
- Ciao. -
Porca puttana, non di nuovo. Com’è successo, stavolta? È una domanda legittima: l’ultima volta che ha visto gente dal suo passato era morto.
In effetti, non è che si senta tanto bene, mentre fissa questo Bucciarati che indossa una giacca di pelle, ha i capelli più lunghi e la stessa aura elegante e ineffabile di un tempo.
Questo presunto Bucciarati.
Se il corpo resta lì impalato, il cervello lavora in fretta. Abbacchio non è neanche sicuro di essere vivo, ora come ora. Come può essere certo si tratti del vero Bucciarati? Potrebbe essere chiunque. Per esempio, uno Stand nemico in grado di assumere sembianze altrui.
È rimasto fregato già una volta; ripetere l’esperienza non è tra le sue priorità.
- Chi sei? -
- Come chi sono?! – l’altro accusa il colpo – Sono Bruno. -
- E grazie al cazzo. Ma il vero Bucciarati me lo sarei ritrovato direttamente sul divano. Quindi, chi sei? -
Il tizio fa una smorfia.
- Non mi pareva opportuno entrare con Sticky Fingers dop-
Abbacchio non gli permette di concludere la frase.
- Dimmi qualcosa che solo Bucciarati sa di me. -
Il sospiro del ragazzo indispettisce ancora di più l’ex poliziotto.
- Ti chiami Leone Abbacchio, sei nato a Napoli il 25 marzo 1980 e il tuo Stand è-
- Questo lo sanno anche i muri. Qualcosa che solo Bucciarati sa, ho detto, – Abbacchio già si prepara a combattere.
Il possibile Bruno alza il capo. Leone non sa definire la strana scintilla nei suoi occhi chiari.
- Quando ci siamo conosciuti pioveva. Porti gli occhiali, ma non li metti mai, nemmeno a casa, e poi ti lamenti perché ti viene mal di testa. Hai una cicatrice sul costato e, se Gold Experience Requiem ha funzionato come su di me, ora una anche sul petto. Quando compri un libro, leggi sempre una pagina a caso prima di iniziarlo. Non avevi mai visto “Il postino” prima che lo vedessimo assieme da me, e non ti è piaciuto, ma mi hai detto di sì per farmi contento. Il 20 marzo 2001, – il giovane resta serio – Il 20 marzo 2001 tu e io abbiamo scritto un resoconto in questa casa. -
Abbacchio si morde l’interno della guancia.
Dovrebbe attivare Moody Jazz per verificare l’identità del suo interlocutore. Avvertire il team. Ma adesso non riesce neppure a pensare. Si limita a estrarre le chiavi dalla tasca, ad aprire la porta. Ci impiega decisamente più tempo del solito – le dita non collaborano.
Oltrepassa la soglia. Bruno non lo segue.
Sì. È impazzito. È così pazzo che tre anni, 773 chilometri e mille promesse fatte a se stesso svaniscono in un attimo dinanzi a una domanda.
- Come stai? -
 
“Non riusciremo a capire
la luna nuova cos'ha da dire”
 
(Lunedì 04 giugno 2001)
 
Male.
È l’unica sensazione che prova. Un dolore di fuoco, cento lame che gli trapassano le carni, il petto. Leone non capisce – chi gli sta facendo questo, come, perché?
Sua mamma, Dio, chiunque – chiunque possa farlo smettere, per favore, per favore. Il sapore del sangue in gola, le preghiere sono rantoli muti, parole che non vedono la luce. È morto. Sa di esserlo: ha rivisto Marco 1, ha parlato con lui. Ma allora stava bene. Perché tutto questo dolore adesso?
Una spiaggia, dei bambini, un pallone.
Era – è – in Sardegna. Ma la Sardegna è una stanza bianca, un rumore di macchinari, un odore asettico?
Una spiaggia, dei bambini, un pallone.
Un lampo lo investe. Una mano sfiora la sua.
Cristalli sminuzzati nell’aria – gli feriscono la gola, i polmoni.
Ferite cosparse di sale e aceto.
La mano si allontana.
Un altro lampo – capelli neri, occhiaie scure su pelle olivastra.
Una voce bassa, un mormorio che forse non esiste, ma che si stampa nella memoria con la forza di mille soli.
- Perdonami. -
E Leone precipita di nuovo nel buio.
 
“Cosa volevi?
Siamo lontani, sono saltati tutti i piani.”
 
- Bene, – Abbacchio si volta e recupera la facoltà di parola con un contegno e una rapidità superiori a qualunque aspettativa – Tu? -
Bucciarati muove un passo verso di lui. Fa come per abbracciarlo, ma qualcosa lo fa desistere. Forse la sua espressione. Chissà che faccia deve star facendo. Per quel briciolo di amor proprio che gli resta, non vuole scoprirlo. In ogni caso, meglio così: rivederlo è già un colpo sufficiente, morire di nuovo non è certo il modo ideale di salutarsi.
Ciò che però non può ignorare è Bruno, che non pare aver udito la domanda e sorride incantato.
- Hai i capelli più corti. E sei diventato ancora più alto, possibile? -
Leone darebbe un rene per una risposta sagace, ma ha la bocca secca, deve impegnarsi persino per formulare la constatazione più ovvia.
- Non sapevo arrivassi oggi. -
- Non lo sa nessuno. Ho deciso all’ultimo, – si sistema una ciocca dietro l’orecchio, esita appena prima di continuare – Posso entrare? -
 Abbacchio si sposta, ma una mano resta stretta allo stipite.
- Casa fa schifo. -
- Sai quanto sono disordinato io. -
Come ha fatto a dubitare fosse Bruno Bucciarati? È lui, più lui che mai. Chiede il permesso, ma anche se non gli viene accordato trova la breccia per imporsi, invade spazi. Fugge, ma non lascia fuggire. Bruno Bucciarati gli rientra in casa, gli rientra nella vita e sorride, con quel sorriso da ragazzino che ha combinato un guaio e vuole essere perdonato.
- Valigia piccola. Non è da te, – un’osservazione neutra per porre fine al flusso di pensieri.
- Domenica riparto. -
Domenica. Tre giorni da oggi.
Pensavi tornasse per sempre?
Se cerchi la parola “illuso” nel dizionario, trovi la tua stessa foto.
Non esistono osservazioni neutre, se si parla di Bruno Bucciarati.
- Se ti lasciano ripartire. Quando i ragazzi sapranno che sei a Napoli… -
- …Mi rinchiuderanno da qualche parte e non mi lasceranno andare più, lo so. Mi minacciano sempre. Mi sa che si sono scordati di Sticky Fingers. -
Da quanto non sentiva nominare il suo Stand.
- Meglio che ti rinchiudano loro che qualche nemico. Sei venuto fin qui da solo, vero? -
- Certo. Perché? -
Abbacchio scuote la testa. Da quando Giorno controlla Passione, la situazione è più tranquilla, ma frange resistenti sono sempre pronte ad agire. E quale trofeo migliore di Bruno Bucciarati, l’ex Capo a lungo creduto morto e ricomparso una sera di maggio? Potrebbero averlo già intercettato.
- Posso scoprire se ti hanno seguito, ma nel caso Moody Jazz non basterebbe, – riflette ad alta voce – Chiamo gli altri. -
Il più giovane alza un sopracciglio.
- Mi sa che anche qualcun altro qui ha scordato un po’ di cose. So come muovermi. -
- Non puoi rischiare. -
Bruno lo guarda dritto in volto.
Non spetta a Leone distogliere lo sguardo. Lui ha la coscienza pulita.
- Non sei cambiato. Non sei cambiato per niente. Nulla è cambiato… – la voce è un soffio – Tutto come una vita fa.
Abbacchio resta indifferente. Almeno in apparenza.
Ho provato a cambiare, invece. Ci ho provato con tutto me stesso.
Eppure, è bastato rivederti per…
- Non me ne starò rinchiuso per paura, lo sai. Non intendo sprecare neanche un secondo. Anzi, – aggiunge subito – So che siamo appena entrati, ma ti propongo una cosa. Hai ancora la macchina?
Leone annuisce piano.
- Mi porti a casa? -
 
“Insegnami il dolore,
l’interconnessione.”
 
(Lunedì 04 giugno 2001)
 
Quando Leone Abbacchio si risveglia definitivamente, accanto a lui non c’è l’autore della frase forse immaginata, ma una ragazza addormentata.
Leone è debole, ma almeno il dolore pare svanito. Si puntella sui gomiti per sollevarsi. Che diamine è successo? Prova a concentrarsi, respira a fondo – ed è allora che il petto torna a urlargli.
L’imprecazione soffiata tra i denti è sufficiente a risvegliare Trish. Batte le palpebre confusa una, due volte, forse neanche lei capisce perché si trova in una stanza che pare d’ospedale. Guarda l’uomo come fosse un morto redivivo.
- Hai il rossetto tutto sbavato. -
La sua prima frase è un commento sul makeup di un’adolescente scampata per miracolo al suo stesso padre. Di miracoli ce ne sono molti, e non solo tra queste quattro mura.
C’è un sedicenne biondo sbucato dal nulla, un ladruncolo da quattro soldi riuscito a giungere al vertice della più potente organizzazione criminale nell’arco di una settimana. È lui stesso ad annunciarglielo quando, dopo la visita dei medici della fondazione Speedwagon, compare al suo capezzale a fare il punto sulla nuova situazione.
E, come se ciò non bastasse, questo ragazzino ha riportato in vita i compagni caduti nell’impresa.
Giorno Giovanna usa il plurale e il cuore di A perde il primo colpo della sua nuova vita.
- Chi altri è morto? -
Narancia.
(Narancia, che ha pianto per lui, che hanno dovuto trascinare via dal suo corpo, gli racconta Giorno.
Narancia, che è stato il primo a respirare di nuovo.)
Quando Giorno pronuncia quel cognome, Abbacchio non reagisce. Ripete nella mente le dieci lettere, le urla fortissimo dentro di sé. Chiude gli occhi mentre il nuovo Boss continua a parlare. Che vuol dire che in realtà Bucciarati è morto a Venezia? Lui c’era, a Venezia. Bruno è trasalito quando Leone gli ha detto la verità che già conosceva. Un cadavere non lo avrebbe fatto.
Tutto questo non ha senso.
Bruno è morto.
Le sue mani non erano morbide, non erano delicate, ma quanto erano gentili sulla sua pelle.
Bruno è morto e Giorno dice che è tornato, ma lui ha bisogno di sentirselo ripetere, no, ha bisogno di vedere coi suoi occhi che respira, parla, si muove, che – che vive.
Perdonami – la parola che gli torna in mente è mai stata pronunciata?
- Fammi parlare con Bucciarati. -
Abbacchio non è nella posizione di ordinare alcunché, ma non vi è dubbio sulla natura della sua frase.
La risposta di Giorno è altrettanto secca.
- È partito. -
- Che significa? -
- Quello che ho detto. -
- Neanche il tempo di risorgere e già lo mandi a morire di nuovo? -
Il ragazzo lo guarda impassibile.
- Gli ho chiesto di restare per aiutarmi a ricostruire Passione. L’ho chiesto a lui, a Mista, a Narancia, come lo chiedo a te. Gli altri hanno accettato, lui no. Lui ha deciso di andarsene.
Impossibile. Bucciarati ha tradito Passione nel momento in cui ha visto stravolto ogni suo principio. Ma non è fuggito nella vana speranza di salvarsi, anzi: ha lottato fino allo stremo, sacrificandosi pur di sconfiggere il Boss. I fatti gli avevano dato ragione: con la vittoria di Giorno, iniziava una nuova era, in linea coi suoi ideali e cui avrebbe potuto contribuire in prima linea.
Allora, perché andarsene ora, perché farlo così?
- Ha aspettato che tu tornassi. Non si è mosso dal tuo fianco per giorni. Ma stamattina, quando ti sei svegliato per la prima volta, è venuto a parlarmi. Ci ha salutati e se n’è andato. -
Non si è mosso dal tuo fianco per giorni – ci ha salutati e se n’è andato.
Leone non sa su quale contraddizione soffermarsi.
- Dov’è andato? -
- A Milano. Ha detto che tornerà, ma che-
Da sua madre, allora. Deve mettersi sulle sue tracce, subito. 
Fa per alzarsi, ma la vista gli si annebbia. È Golden Experience Requiem a doverlo sostenere.
- Lasciami, – un ringhio più che una parola – Devo trovare Bucciarati. -
- Abbacchio – Bucciarati ha chiesto di non cercarlo. -
Che ne sa Giorno? Può aver complottato con lui, averne raccolto il testimone, può conoscere Bucciarati, ma non Bruno. Non sa nulla del suo passato, del disordine che regna nella sua vita, dello zucchero che mette nel caffè e degli altri tatuaggi che vuole farsi.
Giorno non è morto. Non sa quanto fa paura capire che la corsa è giunta al capolinea.
Giorno non sa un cazzo e crede di sapere tutto.
- Bene così, allora, – la violenza con cui sputa le frasi è poca cosa, rispetto a ciò che prova – Se Bucciarati ha detto questo, è tutto a posto. Fa niente se è appena risorto, se al mondo ha solo una madre con cui nemmeno parla, noi ce ne freghiamo e andiamo avanti, giusto? -
Il più giovane controbatte all’istante.
- Siamo tutti preoccupati. Ma anche Bucciarati meritava la libertà di scelta che voi avete avuto a Venezia e che avete ora. -
Leone si conficca le unghie nei palmi. La pacatezza di Giorno lo esaspera. Questo ragazzo non può avere sangue nelle vene. Non può.
- Se è così, allora ho deciso. Non accetto la tua proposta. Vado via anch’io. -
Una reazione infantile? Non gliene importa. È resuscitato da neanche due ore e già il mondo complotta per ammazzarlo di nuovo. Può concedersi una reazione simile.
Giorno annuisce.
- Se è una tua decisione, me ne dolgo, ma la accetto. Saresti stato fondamentale nei miei progetti. Se invece, – il suo tono è netto mentre lo dice – Se invece lo fai per seguire Bucciarati, contro ogni sua volontà, da Boss ti chiedo di fermarti e riflettere.
Maledettissimo Giorno Giovanna. Sedici anni e una simile determinazione. È nato per il potere – sa quali sono i punti deboli dell’interlocutore, come e quando colpirli con una grazia greggia così fuoriposto per il suo ruolo, eppure così consona a lui.
Bruno, cosa vuoi che io faccia?
Conosce la risposta, anche se vorrebbe ignorarla.
Per Leone, il Capo sarà sempre un ventenne dal sorriso sbeccato. Obbedirà a questo qui per mero dovere. Perché è ciò che Bruno vorrebbe.
Lo fa per Bruno, non per Giorno.
Giorno che odia, così simile a lui da piccolo, con quell’idealismo che uno ha saputo far risplendere e l’altro ha barattato per un fascio di banconote. Giorno che odia, perché ha conquistato Bruno al punto da ridargli una ragione per combattere quando si stava spegnendo. Giorno che ama, perché ha riconsegnato Bruno al mondo – e per quanto possa essere lontano, per quanto non sappia cosa stia facendo, se stia bene, la consapevolezza che Bruno esiste, anche a mille chilometri da lui, gli toglie il fiato dalla gioia.
- Non devi rispondere subito. È giusto tu voglia riflettere. Non ti negherò mai la possibilità di farlo, – il ragazzo si alza dalla sedia – Ti lascio riposare. -
Anche a Venezia, Abbacchio ha avuto l’impressione che Giorno avesse intuito tutto.
- Almeno sappiamo quando tornerà? -
Giorno scuote appena il capo. Una sfumatura di stanchezza incupisce i tratti gentili dell’adolescente.
Rapida com’è apparsa, l’espressione scompare.
Forse è stato solo un gioco di luci.
- Mi dispiace. Ha detto che ha bisogno di tempo. -
Il giovane lo lascia solo con un unico pensiero.
Bruno, perché?
 
“Fammi dormire male”
 
Casa, per Bruno Bucciarati, sono tre stanze piccole e bianche
Casa è l’unica chiave che non ha mai perso, che ha tenuto accanto al cuore anche quando il mare era un miraggio. È il posto in cui tutto è iniziato o finito – la differenza, ormai, non conta più da tredici anni. Più di quanti ne avesse lui quando ha commesso l’unico crimine di cui va fiero.
- Chi se n’è occupato finora? -
- Giorno ha mandato una persona fidata. -
Anche ora che Bruno è qui, Leone non riesce a ignorare la gelosia che fiorisce in lui al pensiero che, in questi anni, l’altro ha sentito e incontrato tutti eccetto lui. Un sentimento che – dovrebbe essere ormai chiaro – non ha più, non ha mai avuto diritto di provare. E però…
- Ha anche fatto imbiancare i muri. -
(- A giugno devo sistemare casa dei miei. Mi dai una mano? -
Poteva chiederlo a Mista, che aveva un po’ di esperienza.
Ma lo aveva chiesto a lui, che non sapeva neanche da dove iniziare.)
- Già. Forse avremmo fatto un lavoro migliore noi. -
Abbacchio vorrebbe ribattere, ma non fa in tempo: Bucciarati neanche finisce di pronunciare la parole che già scappa verso il patio, verso le scale che portano alla sua nuova meta. È arrivato da neanche un’ora e non riesce a star fermo.
Scappare, scappare sempre – da se stesso, dai pensieri, dal passato, anche se è stato lui stesso a voler tornare in un posto fermo in un’altra epoca.
Forse per questo Bruno Bucciarati ama il mare: non è solo questione di esserci nato e vissuto accanto, ma perché lì l’unico limite è l’orizzonte – ma dopo l’orizzonte, si sa, ce n’è un altro, e un altro, e un altro ancora. Bruno scappa, e scapperebbe anche se non ci fosse nessuno ad attenderlo – ma quel qualcuno c’è, lo segue sulle scale, sulla terrazza, con la stessa fede con cui lo ha seguito su una barca tanto tempo fa. Leone lo segue e guarda il mare in tempesta con lui – anche se non se lo è perso nemmeno per un giorno, perché quest’immensa distesa gli ricordava lui, e qualunque cosa alimentasse l’illusione di averlo vicino era benvenuta, per quanto illusoria, per quanto tossica.
- Quanto mi è mancato, – Bruno chiude gli occhi, inspira a pieni polmoni quel profumo unico e specialissimo. Il cielo preannuncia pioggia, fa freddo per essere fine maggio, ma va bene così. È nel suo posto.
Abbacchio inizia a girare una sigaretta.
- Milano non ti piace? -
L’uomo non risponde subito.
- Non è questione di piacere o non piacere. Ha ritmi diversi. All’inizio non è stato facile, ho avuto bisogno di tempo per abituarmi. Ma non è casa e non lo diventerà mai.
L’altro gli offre la sigaretta, ma Bucciarati scuote il capo.
- Ho smesso. Ho avuto un’altra possibilità, anche se non la meritavo, e non intendo sprecarla. Perciò faccio il bravo: zero fumo, zero alcool… E, altra cosa importante, mi sono rimesso sui libri.
Trattenersi sarebbe vano.
- Davvero? -
Bruno annuisce orgoglioso.
- Davvero. E ora voglio diplomarmi. -
Leone sa che a Bruno è mancato studiare. Non era stata una realizzazione immediata: un ragazzino cui vengono affidati armi e soldi si sente più grande della sua età. A che serve la scuola? È una perdita di tempo, se c’è la vita come insegnante.
Crescendo, però, Bruno aveva capito che suo padre aveva ragione. Dalla strada si impara, sì, ma l’esperienza non è abbastanza. Aveva provato a studiare da solo, ma tra una cosa e l’altra aveva dovuto accantonare l’idea. Perciò, quando necessario, chiedeva aiuto a Fugo o a lui però, gli aveva confidato, si sentiva stupido, e a nulla serviva razionalizzare, ribadire che era stata colpa del contesto. Aveva perso tanto, Bruno, e si sentiva in colpa a farlo perdere agli altri. Anche per questo si era arrabbiato tanto quando Narancia si era rivolto a Polpo disobbedendogli, anche per questo aveva preteso proseguisse gli studi.
Gli altri non sapevano tutto questo. C’erano cose che aveva raccontato solo a lui, in conversazioni infinite, missioni condotte per ore fianco a fianco e momenti vissuti e dimenticati in fretta perché l’intimità che ne scaturiva era troppo intensa per essere tollerata.
Tutte queste cose – neanche tu le hai scordate.
(Per quanto ancora faremo finta di non avere niente da dire?)
- Ti diplomerai. E andrai anche oltre, se vorrai, – ed è un augurio sincero, perché Bucciarati può, la sua volontà può cambiare vite e lo ha dimostrato almeno sei volte, deve farlo una settima – la più importante, quella che riguarda lui stesso.
Bruno abbozza il fantasma di un sorriso e per un istante la tensione cala. Leone si ritrova ad annegare in quegli occhi blu, con le guance che scottano e la voglia di mandare al diavolo ogni proposito già disatteso nel momento in cui è stato fatto.
Ma è solo un secondo – passa in fretta.
Abbacchio accende la sigaretta, anche se non ha davvero voglia di fumarla.
- Stai da tua mamma, vero? Come va con lei? -
- Meglio, per fortuna. Intendiamoci, anche lì c’è voluto del tempo e ce ne vuole ancora. Abbiamo tante cose da recuperare e devo dirle ancora troppe bugie… Certi problemi non si risolveranno mai, – si rivolge a se stesso più che all’interlocutore – Ma va bene così. In fondo entrambi abbiamo le nostre colpe.
(Leone vorrebbe rammentargli che, nelle vicende della sua famiglia, l’unico davvero innocente è lui.
Ma Bruno è un maestro quando si tratta di prendere le colpe degli altri e portarle dentro sé.)
- Lavoro con lei nella sua sartoria. Dice che ho un tocco magico. Se solo sapesse… – ridacchia. È così strano, coi capelli che gli arrivano alle spalle – Povera donna, le avrò fatto venire come minimo un infarto quando le sono comparso davanti. Pensava fossi in qualche brutto giro, droga o cose così. -
- Il che è vero. -
- Sì, ma non come lo intende lei. -
Abbacchio fa un tiro. Non ha mai avuto paura del silenzio eppure, ora che si ritrovano a tacere, si rende conto di essere terrorizzato dai sottintesi di cui stavolta esso è latore.
Si sente un tuono in lontananza. Farebbero meglio a rientrare.
Bucciarati precede ogni azione.
- Tu invece? Che hai fatto in questi anni? -
Ricevere ordini dal Boss. Portare a termine i compiti assegnati. Rendere resoconti.
Ripetere.
Allenarsi finché i muscoli resistono. Ogni tanto, lasciarsi trascinare dai ragazzi. Tornare in una casa quasi sempre vuota.
Ripetere.
Ogni tanto, risvegliarsi a fianco di sconosciuti dagli occhi blu. Pentirsene, sempre – perché a volte è lei, a volte è lui, non è mai lui.
Ripetere.
Rievocare scene. Cercare di andare avanti. Cercare di dormire.
Leone espira il fumo.
- Le solite cose. -
 
“Fammi tornare a guardare
le nuvole passare”
 
(2002)
 
In dodici mesi possono succedere molte cose.
Fugo torna, dopo una missione i cui contorni restano a lungo poco definiti – ed è diverso, con nuove cicatrici e una nuova maturità forse più inquietante dei suoi vecchi scatti d’ira. Non parla molto, Fugo.
Un po’ tutti hanno smesso di parlare molto, quando si riuniscono.
Bruno non torna e non si fa vivo. O meglio: Giorno è in contatto con lui. Una volta, scortato da Mista, va a Milano per affari, e lì incontra l’ex Capo. Quando rientra a Napoli, non riferisce altro. Neanche le suppliche di Narancia lo impietosiscono.
Quella sera, Abbacchio tira così tanto e così male al sacco che le nocche gli dolgono per giorni.
In attesa che le costruiscano una nuova identità, Trish resta col gruppo. Potrebbe stare nella casa ormai vuota di Bucciarati – è stato lui stesso a proporlo, a quanto pare –, ma stante la situazione vivere da sola è un azzardo che ancora non può permettersi. Tuttavia, al terzo giorno di convivenza con i ragazzi, al colmo della sopportazione, Trish fa le valigie e va altrove.
Leggasi: Abbacchio si ritrova con una coinquilina di cui non avvertiva la necessità, che in casa non muove un dito e per la quale deve dire addio al letto e trasferirsi sul divano per quasi tre mesi.
Ma Trish è anche molte altre cose. È l’adolescente che, con il suo pesante accento calabrese, gli racconta gossip di cui a lui non potrebbe fregare di meno e che pure ascolta e commenta perché Trish ha molto più fegato di quanto sembri, ma ha già affrontato troppe cose brutte per la sua età, se le toglie anche il diritto alla leggerezza la condanna all’infelicità.
È la giovane donna con cui passa ore a truccarsi, l’aspirante diva che canta ogni volta che lui impugna una chitarra lasciata a prendere polvere per troppo tempo.
La ragazzina che, nelle ultime settimane, appena sente la notifica dei messaggi molla qualunque cosa (non) stia facendo e vola a prendere il telefonino.
Leone aveva una sua personale teoria sul mittente, ma l’altra sera Mista era da loro – passa proprio spesso, Mista, da quando Trish abita con Abbacchio – quando la ragazza ha ricevuto una chiamata ed è scomparsa dalla circolazione. Mista è rimasto malissimo.
(A volte Abbacchio si chiede se siano una banda di malavitosi o di teenager da telefilm di bassa lega. La risposta non è tanto immediata.)
Anche stavolta Trish è al telefono da oltre mezz’ora. Quando riemerge dalla camera, ha l’aria sognante che ormai la contraddistingue al termine di ogni conversazione. Si avvicina a Leone, impegnato a lavare i piatti.
- Che stai facendo? – domanda vaga.
- Qualcosa che tu non fai mai. E non dire che è perché ti sei appena fatta le unghie, hanno inventato i guanti. -
-  Ma guarda che prima stavo per fare i piatti, però mi hanno chiamata. Sai chi era? – che l’altro replichi o meno, è indifferente: lei parlerà lo stesso. Ed infatti prosegue incurante – Bucciarati.
Il piatto che Abbacchio sta sciacquando scivola nel lavello, produce un fragore assordante nel silenzio della casa. Trish gli lancia un’occhiata di sbieco.
- Bruno Bucciarati? -
La ragazza si stringe le spalle.
- Conosci altri Bucciarati? -
Respira. Conta fino a tre prima di aprire bocca.
Quando stamani si è svegliato, immaginava lo avrebbe sentito nominare così? Da lei?
Uno. Due. Tr…
- Non sapevo vi sentiste. -
- Mi ha cercata lui qualche settimana fa. Da allora ci sentiamo quasi ogni giorno. -
Leone raccoglie il piatto. Non si è rotto, per fortuna. Lo esamina, ma l’unica cosa che nota è il tremore delle sue stesse mani. Prega di essere l’unico ad accorgersene.
Bruno Bucciarati si è rifatto vivo. Bruno Bucciarati esiste, quindi, non è stato un’allucinazione collettiva. Sta bene – se così non fosse non perderebbe tempo con una diciassettenne annoiata.
Bruno Bucciarati non ha cercato lui. Non ha atteso il suo completo risveglio, incontra Giorno, telefona a Trish e non ha mai contattato lui.
La voglia di scaraventare il piatto per terra è forte.
Eppure, il solo fatto che Bruno abbia dato un vero cenno di vita rende Leone felice, felice da fare schifo.
Da quanto non ti sentivi così?
- Bucciarati è bello, vero?
Si aspettava una frase del genere. Del resto,  l’espressione di Trish alla fine di quelle conversazioni è simile al modo in cui Mista guarda lei, al modo in cui Leone guardava Bruno di nascosto.
È l’espressione di chi è dinanzi all’opera d’arte più straordinaria al mondo: il capolavoro non interagirà, ma l’osservatore si sentirà colmo di felicità per esserne anche solo stato al cospetto.
Ma se il capolavoro è carne e sangue, allora…
Leone intuisce alla perfezione i pensieri della ragazza.
Come può quest’essere meraviglioso cercare davvero me, cos’ho fatto per meritare la sua attenzione?
È così facile innamorarsi di Bruno Bucciarati.
Abbacchio prende un bicchiere e lo riempie. Manda giù l’acqua a grandi sorsi.
È ridicolo: i Portatori di Stand si attraggono, spesso fanno una fine tragica e a quanto pare condividono i gusti in fatto di uomini.
- Ed è gentile. Mi ascolta, mi incoraggia sempre, alle volte mi fa ridere. E in questo periodo ho bisogno di ridere.
È un bene che questo bicchiere sia così alto, può continuare a bere senza dover rispondere.
Trish si carezza una cicatrice a forma di cerniera sul polso.
- Dici che… Voglio dire… Secondo te ho qualche possibilità? Tu che ne pensi? -
Purtroppo, tra i poteri di Moody Jazz non c’è quello di rabboccare i bicchieri all’infinito.
- Io penso che dobbiamo fare la spesa. -
 
 
 
Trish non è l’unica a ricevere notizie. Nei giorni seguenti, è tutto un annunciare festoso di “È incredibile che Bucciarati abbia cercato persino me”, “Indovinate chi mi ha scritto?”, “Bucciarati mi ha chiamato!”.
Solo il cellulare di una persona non squilla.
E così, quella persona inaugura una nuova, pessima abitudine: ogni sera prima di addormentarsi, se non ha cercato troppo il passato in fondo a un bicchiere, compone un messaggio che – per orgoglio, per codardia, per spirito di conservazione – cancella sempre.
 
“Le volpi davanti alla cattedrale,
i cervi per le strade”
 
(Sabato 18 ottobre 2003)
 
La peggior sbronza della vita. Persino peggiore di quelle dell’era pre-Passione. Prevedibile, in fondo: da quando è tornato, ogni percezione è come amplificata, nel bene e nel male.
Una volta ne hanno parlato con Giorno: è forse dovuto al fatto che, quando colpisce un umano, Golden Experience ne accelera le sensazioni? Con Golden Experience Requiem quest’aspetto doveva essersi potenziato
Oppure, ha ipotizzato Narancia, è solo perché sono di nuovo vivi.
- Come i bimbi, hai presente? Per loro è tutto una scoperta. -
A suo tempo la ricostruzione gli è parsa sensata, ma adesso Abbacchio non ha la forza di ragionarci su. Nei brevi momenti in cui è presente, i suoi sforzi sono concentrati sul non vomitare sul pavimento e sfruttare le pause tra un conato e l’altro per bestemmiare l’idiota che è.
Ricorda di aver legato i capelli, ma deve aver perso l’elastico chissà dove, se ora se li ritrova sempre sul volto. Tra l’altro, com’è tornato a casa?
Un altro paio di mani gli scostano le ciocche, una voce diversa dalla sua lo tranquillizza e Leone non sa – non sa chi sia questo sconosciuto ma sicuro è un pazzo se lo ha seguito e lo assiste senza paura di lui o di sporcarsi quel completo bianco che indossa è proprio brutto quel completo magari lo vuole rovinare apposta e questo sconosciuto si sistema la frangia corvina e ha tipo un display in fronte ma quanto ha bevuto per avere le visioni che cazzo di mischione ha fatto no sa benissimo chi è questo ragazzo dai capelli lisci e perché ha dei numeri in fronte e no – non deve accadere basta fa già abbastanza male così ti prego Moody Jazz basta basta
Perché ti sei scordato di me perché non mi chiami io sono innamorato di te lo sai – Bruno.
Bruno.
 
 
 
(Martedì 20 marzo 2001)
 
A distanza di anni, la dinamica resta poco chiara. Leone potrebbe sempre ricostruirla, ma non vuole. È assurdo, perché ha rivissuto alla nausea momenti peggiori, ma quella serata – così comune, così unica – deve restare nei meandri di una memoria umana e fallace, dove i dettagli scoloriscono e si confondono.
Tutto ha inizio a Libeccio.
- Ho bisogno di te per un resoconto. -
Casa di Abbacchio è più vicina al ristorante: naturale recarsi lì. Accade spesso, in effetti, di ritrovarsi da uno o dall’altro a trascorrere le serate insieme, quando non devono lavorare. E, anche quando hanno da fare, se possibile svolgono assieme le missioni. Funzionano bene come colleghi e come amici. Anche se non sono colleghi né tanto meno amici.
Sono… Sono. Leone ha cercato di dare un nome al loro rapporto, soprattutto quando si è reso conto della deriva che prendono i suoi pensieri quando si concentrano sul leader – il che equivale a dire spesso. Molto spesso.
Troppo spesso.
Abbacchio non è estraneo ai sentimenti. Si sforza di vivere come una macchina: input, linea diretta, output. Niente deviazioni, niente complicazioni, niente dolore. Ma c’è stato un tempo in cui ha provato qualcosa per una compagna di classe, per un collega. Semplici cotte, né più né meno, come del resto cotta è quella per Bruno Bucciarati. In fondo, è facile perdere la testa per chi ti salva la vita.
Giusto?
Giusto.
Ma a un certo punto le cotte passano. Questa, invece, non passa.
Bruno – vuole essere chiamato per nome, quando sono soli – attrae i suoi sguardi contro ogni sua volontà. Basta il suo profumo ad alleggerire il costante peso sul petto. Leone sogna le sue dita tra i capelli e qualcosa gli suggerisce di non essere l’unico in simili condizioni.
Il resoconto lo finiscono in fretta, in realtà. Poi, come al solito, si mettono a parlare e, tra i discorsi che si susseguono e l’ennesima sigaretta smezzata, si fa quasi mezzanotte.
Solo ora Bucciarati nota l’ultimo arrivato in casa Abbacchio.
- Ma che meraviglia! – si fionda entusiasta sul giradischi – Non lo aveva mai visto da vivo. Li vendono ancora? -
- Lo stavano buttando via con un sacco di vinili. -
- Che spreco. -
- Già. Per questo mi sono portato a casa il pacchetto completo. Non ho neanche visto di che dischi si tratta. Scegline uno e ti mostro come funziona. -
- Ma è tardi, – obietta il leader – I vicini magari dormono. -
- I vicini cambiano strada quando mi vedono. -
Bruno sospira sconsolato.
- Sei pessimo, – ride, però. Quanto è bella la sua risata – Con me non avresti vita facile. E vabbé, scegliamo la musica. Anzi – la sceglie il caso, – l’indice dell’uomo esita appena prima di fermarsi sul penultimo vinile – Questo. -
Il più grande legge il titolo tra sé e sé.
- Lo conosci? – Bucciarati fa cenno di no – Secondo me ti piacerà. -
Abbacchio posa il 45 giri sul piatto e abbassa lo stilo. La puntina inizia a scorrere nei solchi e le prime note si liberano nell’aria.
E dopo accade una cosa imprevedibile: Bruno Bucciarati inizia a ballare.
 
“I know that it's ten and you're stayin' in”
 
- Che fai? Mi lasci solo? -
Ma come può lui, un sacco di patate, avvicinarsi a Bruno, che era bellissimo e agilissimo e tutti gli –issimi buoni del mondo? Non può neppure respirare la stessa aria di una meraviglia simile, figurarsi stargli così vicino – non è giusto, non ne è degno.
Però Bruno non sente ragioni: arriva e lo costringe a muoversi, ed è questa la sua vera natura – è come il mare, sotto la superficie calma si increspano mille onde. È impossibile stare fermi nel mare ed è impossibile stare fermi con Bruno. Leone ne è la prova: la sua vita era in standby e Bruno l’ha riattivata con una frase sotto la pioggia.
E Leone è al centro della stanza con Bruno, ed è assurdo ballare insieme una canzone simile, neanche nei sogni più bizzarri si assiste a certe scene, eppure è reale, è tutto vero, e Bruno urla le parole in un inglese inventato e Leone lo prende per mano e lo fa volteggiare e ride, ride come non faceva da anni, perché da anni non si sentiva così bene…
 
“And you're stayin' home and I'm all alone”
 
… e a Bruno il cuore scoppia dalla felicità, perché non lo ha mai sentito ridere così ed è un vero peccato che non lo faccia più spesso, Leone è così bello quando ride, no, è così bello sempre, e a Bruno spiace che il mondo lo abbia convinto sia difficile amarlo quando invece per lui è così semplice, così semplice che fa male sapere che non potranno mai…
 
“Won’t you, won't you, won't you
bring a little water, bring a little wine?”
 
… e ogni volta che la canzone finisce Bruno si stacca e va a farla ripartire, ma poi torna sempre, sempre un po’ più vicino, ed è la terza o la quarta volta che la canzone ricomincia quando Leone si rende conto che, se può contare ogni segno e macchia e imperfezione unica e magnifica del suo volto è perché ogni distanza tra di loro si è annullata, e Bruno è vicino, sempre più vicino, così vicino che…
 
“Bring a little lovin' ”
 
Il suo respiro caldo sulla pelle – non è ciò che ha sempre desiderato?
 
“I feel fine”
 
Bruno smette di sorridere. Guarda Leone da sotto le ciglia, le iridi blu due laghi immensi.
Cosa c’è nei tuoi occhi?
Bruno gli prende il viso tra le mani, scorre piano un pollice su uno zigomo. Il contatto è fuoco.
È così che deve andare.
Non avere paura.
E poi, l’unica cosa che Bruno riesce a fare è permettere alle labbra di incontrarsi in un bacio che è principio e fine di tutto.
 
“Know that you want to”
 
Bruno ha la bocca più morbida che Leone abbia mai baciato.
 
“I know that you do”
 
No. No!
Bruno si stacca all’improvviso.
Vede Leone passarsi la lingua sulle labbra, come a voler cogliere di nuovo il suo sapore, cercare la prova di non essersi illuso.
Non lo imita.
Se lo facesse, tornerebbe a baciarlo ancora e ancora.
 
“Come in here and love with me”
 
Gli occhi di Bruno ora sono due pozzi spaventati.
- Ehi, – Leone mormora – Che succede? -
La risposta è più fioca di un sussurro
- Non posso. Scusami. Non posso. -
- Cos-
- Devo andare. -
 
H 03:27 “Scusa x prima. Nn dovevo
H 03:29 “Possiamo parlarne, per favore?
H 04:41 “Nn cè niente da dire. Scusa ancora
 
 
 
(Venerdì 23 marzo 2001)
 
Abbacchio non trova pace.
Non è la prima volta che si ritrova con Bruno dopo la sera a casa sua. Già il giorno seguente si sono rivisti per ragioni di lavoro e ok, la presenza degli altri, ok separare vita privata e lavoro, ma anche fossero stati soli si sarebbero comportati allo stesso modo. Bucciarati lo ha salutato come nulla fosse, lui ha risposto come sempre e bene così.
Una canzone ballata assieme, un bacio, dei messaggi sconclusionati? Deve esserseli sognati.
Del resto, non c’è niente da dire.
Col cazzo non c’è niente da dire. Se Bruno gli avesse detto: “Senti, è un errore, fermiamoci prima di fare altri danni”, Leone lo avrebbe compreso. Forse sarebbe persino stato l’incentivo per raffreddare la cotta. Ma Leone conosce Bruno – già prima del bacio la sua non era l’espressione di chi nutre semplice affetto o attrazione. C’era – c’è – dell’altro. Ma allora, perché non parlarne e giungere a una conclusione?
Abbacchio non capisce, non riesce a capire.
Basta, resterà al massimo altri cinque minuti. Perché cazzo ha seguito gli altri in questo locale, poi? Non gli piace, c’è troppo caos, la musica fa schifo e, nella sua situazione, trova intollerabile restare con Bucciarati più del dovuto.
Questi, al suo contrario, pare tranquillissimo. La gente è il suo elemento: salta di persona in persona, sorride, offre da bere a chiunque. Adesso è da un po’ fermo a chiacchierare con un tizio alto e moro che, almeno a giudicare dall’entusiasmo con cui si sono salutati, deve conoscere bene. Fin troppo bene. Si sono messi a ridere e scherzare insieme, vicini, molto vicini – una vicinanza che rievoca una scena di appena tre sere fa. Leone non può far altro che guardarli da lontano quando vanno via insieme.
C’è una ragazza, stasera. Ha i capelli ricci e un vestitino nero che mostra molto più di quanto copra. Gli passa vicino parecchie volte e ogni volta gli lancia occhiate. Abbacchio non è l’unico ad accorgersene.
- Bello mio, pure la tua brutta faccia ha fatto conquiste, – Mista gli ride all’orecchio prima di sparire chissà dove.
Abbacchio non ha idea di cosa gli prenda, ma quando la ragazza gli è di nuovo accanto, non esita: l’afferra per un polso e la guarda negli occhi – azzurri, maledizione, ha gli occhi azzurri. Lei curva le labbra in un mezzo sorriso sghembo e mormora un: – Stavo per arrendermi – che si perde nella confusione generale.
Finiscono per scopare nei bagni del locale, con Leone che pensa a un altro per tutto il tempo.
Alla fine siamo uguali. Non c’è niente da dire, vero?
Quando escono, poggiato ai lavandini c’è lui. Sta fumando.
Quando lo scorge, Leone si sente morire. Gli passa vicino senza il coraggio di alzare la testa.
Bruno lo guarda, invece. Butta fuori il fumo, gli occhi fissi su di lui.
Nei giorni seguenti non gli rivolge parola.
Una settimana più tardi, arriva Giorno Giovanna.
 
 
 
(Domenica 19 ottobre 2003)
 
Non accadrà mai più.
Leone Abbacchio se lo giura quando si risveglia sul pavimento. Si passa una mano sul volto. Ha aperto gli occhi da pochi istanti e già coglie le prime avvisaglie del terribile post sbronza che incombe.
Penelope ha avuto la meglio perché appartiene al mito. Nella realtà, l’attesa di Penelope non porta a nulla. E lui è stanco di cose vane nella vita – di speranze, di illusioni, di qualunque cosa non sia la realtà fredda e oggettiva.
Ha messo di nuovo in pausa la sua vita. Non morire legato al tuo passato, non sono forse state queste le parole di Bucciarati? Eseguirà l’ordine. Sarà l’ultimo atto di obbedienza – un’obbedienza non imposta, ma scelta. Voluta. Forse un tempo anche desiderata.
Ma anche quel tempo è ormai finito.
Si trattava solo di prenderne coscienza – e lui, finalmente, l’ha presa.
In un moto d’orgoglio recupera il cellulare. Alcuni tasti del vecchio Nokia sono più sbiaditi di altri. Non serve uno Stand per scoprire quale nome compongano.
Seleziona il contatto un’ultima volta.
Elimina
Ok”.
 
“Siamo solo due forme di vita
sul terzo pianeta del Sistema Solare.”
 
- Le solite cose? – Bucciarati ripete incredulo.
- Già. -
- Ma sono trascorsi tre anni, avrai pur fatto qualcosa di diverso. Non so – sei andato da qualche parte? Hai conosciuto qualcuno? Hai-
Da poliziotto, Leone Abbacchio ha imparato a ignorare le provocazioni. È un’abilità cui non ricorre più spesso – chi mai minaccerebbe un malavitoso? –, ma che saprebbe rievocare, se volesse.
Ora, però – dinanzi a Bruno Bucciarati che ha problemi di memoria o ha deciso di farlo impazzire o Dio solo sa cosa –, si rende conto di non aver assolutamente voglia di ignorare.
- Non c’è niente da dire. -
Bruno non reagisce, ma Leone sa di aver centrato l’obiettivo.
Vuoi fare lo stronzo? Io so esserlo più di te.
- Colpo basso da parte tua. -
- Ho imparato dal maestro. -
Il più giovane non distoglie lo sguardo.
- La mia era una semplice domanda. -
Se il tutto non fosse tragico, Abbacchio scoppierebbe in una risata isterica. Bucciarati non è cambiato nemmeno nei suoi lati peggiori. Questo vizio di fingere di cascare dalle nubi quando non gli conviene…
- Questa supera anche la volta in cui hai chiesto dove rubare un aereo. Smettiamola con le frasi di circostanza, smettiamola di fingere che tutto vada bene. -
Bruno scuote la testa.
- Lo speravo, sai? Una parte di me ci sperava davvero. Magari, mi sono detto, dopo tanto tempo è riuscito a…-
Ecco cos’è la strana scintilla nei suoi occhi: illusione. Illusione che le cose possano riprendere dal punto in cui si è interrotta quella maledetta, benedetta canzone. Illusione che non ci siano stati nel mezzo un bacio, la morte, la vita.
Tanto bravo a indovinare le bugie altrui quanto incapace a smascherare le proprie.
- E invece aveva ragione l’altra parte. Guarda, Bucciarati, – lo chiama per cognome, rimarca una distanza che magari esistesse – Scusa se mi permetto, ma se devi dire stronzate sta’ zitto. Stai solo peggiorando le cose. -
- Non è questa la mia intenzione – gioca per un momento con una cerniera della giacca, ma tiene gli occhi fermi nei suoi – Non dovevo dar retta a Trish. Non dovevo tornare. -
(Chiamerà Trish e le urlerà contro talmente tanto che non gli rivolgerà parola per il resto dei suoi giorni, quant’è vero che si chiama Leone Abbacchio.)
- Io non so qual è la tua intenzione. Io non so niente. Non so perché hai iniziato a ingannare i tuoi compagni, non so perché hai finto di star bene, non so perché sei scomparso facendo stare tutti in pena…
Non so perché ho permesso a te di avvicinarti come mai avevo permesso a nessuno.
- Giorno ti ha detto tutto quello che dovevi sapere. -
- Quant’è bravo, Giorno Giovanna, quant’è gentile, – perché trattenere il sarcasmo, se Bucciarati non reprime la sua faccia tosta? – Si è addirittura degnato di dirmi che cazzo di fine ha fatto il mio Capo. -
- Non sono più il tuo Capo. -
Lui ha baciato l’anello di Giorno perché doveva – ha giurato fedeltà a un’organizzazione, non a una persona.
Ma la fedeltà, ha scoperto su un molo, ha mille facce, e non sempre quella della testa e del cuore coincidono.
- Sai qual è il problema? – Abbacchio pesta la sigaretta ancora buona con più forza del necessario – Che non capisci dov’è l’errore. Non sono i ruoli il punto della questione. Il punto sei tu che torni e fingi che tutto vada bene, quando invece no – nulla va bene. Nulla va bene da tre anni. -
Un’ombra attraversa il volto dell’altro.
- I ruoli non sono il punto della questione? – ripete scettico – È qui che ti sbagli, Leone. Sai qual è la cosa difficile dell’essere Capo? Portare a termine le missioni e proteggere i propri uomini. Pensavo di essere pronto, di farcela. Quanto ero stupido. -
Abbacchio conosce da sempre il peso che Bucciarati sente addosso. Ma seguirlo è stata una loro scelta, perché si ostina a non accettarlo?
- Hai fatto tutto il possib-.
- Ora sei tu a non voler capire, – la risata di Bruno è amara, Leone ne sente il gusto come fosse sua – Quando mi sono svegliato, Giorno mi ha chiesto di aiutarlo. Ma io vi ho condotti al massacro. Con che coraggio potevo guidarvi ancora? Io volevo solo sparire. I primi mesi a Milano, – continua – parlavo solo con mia madre e suo marito, e solo perché ci vivevo assieme. Ma avevo il terrore di metterli in pericolo, di far loro del male come avevo fatto con voi.
Non dovevo cercarvi mai più, me l’ero giurato. Quella sul mio ritorno era una bugia. Poi una mattina non so cosa mi è preso – stavo lavorando, mi sono ritrovato a pensare che quello che stavo disegnando poteva piacere a Trish e l’ho chiamata. E poi ho chiamato gli altri. Non so perché, non l’ho mai capito, ma è successo. –
A quella confessione, Leone resta sospeso tra la rabbia e la tristezza. Quanta solitudine nasconde la pacatezza di Bucciarati.
Potevamo aiutarci a vicenda – me lo hai insegnato tu.
Abbacchio vorrebbe non credergli, urlargli ancora contro tutto il risentimento che lo smuove, ma a che servirebbe?
Il passato puoi riviverlo quanto vuoi, ma non lo puoi cambiare.
Lui è maestro in quest’arte.
Durante il confronto Bruno non ha mai, neanche per un istante, mostrato esitazione. La verità delle sue parole è contagiosa.
- Perché non hai chiamato anche me? -
Non giunge risposta.
- Bruno – perché non hai chiamato anche me? -
Per un lungo istante l’unico suono è il fragore delle onde che si abbattono sugli scogli.
Poi, finalmente, un sussurro.
- Tu sai. -
 
Il sentiero degli Dei,
i progetti che farai
 
(Giovedì 25 marzo 2004)
 
Il cellulare vibra. Abbacchio non fa in tempo a dire pronto che la voce di Trish lo investe.
- Tre, tre…
Cifre. Cifre di un numero che ha cancellato e che ricorda a memoria.
- …Sette, – conclude – Segnato? -
- Buongiorno anche a te. Non ho bisogno di segnare il numero di Bucciarati. Lo abbiamo tutti. -
- E io che credevo lo avessi perso – la distanza non attenua il lampo che, può giurarlo, attraversa gli occhi verdi della ragazza – Sai, il dubbio viene, se non si viene mai chiamati. -
Nella stanza inizia a fare molto caldo.
- Quando servirà, chiamerò Bucciarati. -
- E allora sappi che serve. -
Le dita di Leone serrano il cellulare.
- Perché? -
- Abbacchio – non trattarmi da cretina. Non ti fa onore. -
L’uomo ripensa ai compagni: nessuno sa nulla. Forse quando ha bevuto troppo ha detto cose di cui pentirsi? Pensa – spera – di no. E allora, Trish come fa a…?
L’illuminazione precede la domanda stessa.
Bruno.
Trish vive a Milano come lui. È l’unico che può averle raccontato qualcosa.
Ma ciò suppone che, dopo tanti anni, Bruno lo pensi ancora, cosa inconcepibile. Bucciarati non è Abbacchio. Come minimo si è rifatto una vita, circondato da gente degna di lui. Ricorderà a malapena quel suo sottoposto musone. Di sicuro non si sorprende ancora, in barba a ogni promessa, a rileggere degli SMS mai cancellati. Significherà pur qualcosa se ha riallacciato i rapporti con tutti eccetto lui
Comunque stiano le cose, le loro – non – questioni sono affare privato. Con tutto l’affetto per i ragazzi, ci si muove su tutt’altro piano. Un piano da cui il mondo deve girare alla larga.
- Mista sale oggi, giusto? – tenta di spostare l’attenzione su un altro argomento.
- Arriverà da un momento all’altro. E nel frattempo ne approfitto per farti gli auguri e dirti di chiamare Bruno. -
Tentativo fallito.
- Ecco, proprio perché è il mio compleanno non perseguitarmi almeno oggi. -
-  Non era a te che piaceva Il signore degli anelli? Gli Hobbit non ricevono regali il giorno del compleanno, li fanno. Ecco, il mio regalo è una tua chiamata a Bucciarati. -
- A parte che devono essere oggetti di proprietà, ma che c’entra? E poi, ti paio un Hobbit? -
Trish sbuffa.
- Dettagli. Aspe’, ecco Mista. Divertiti almeno oggi, ok? – Abbacchio la sente salutare qualcuno. Quando torna al telefono, è di nuovo seria – E chiama Bruno. Davvero, Leone. È arrivato il momento, non trovi? -
La giovane riattacca e Abbacchio si ritrova a fissare lo schermo. Una conversazione priva di senso. È arrivato il momento di cosa? Di ripiombare in una spirale da cui entra ed esce a giorni alterni?
Da sei mesi sta cercando di rimettere ordine nella vita e già così non ci riesce. Figurarsi cosa accadrebbe se succedesse la cosa che più teme e desidera al mondo.
E comunque, potrebbe chiamarlo Bucciarati, se ci tiene tanto. Non ha detto di non voler essere cercato? Lui sta solo esaudendo il suo desiderio.
In questa storia si è esposto fin troppo, e con quali risultati? Trish e l’eventuale mandante della telefonata si illudono, se pensano che quattro parole siano sufficienti ad ammansirlo. Ha fatto una promessa a se stesso e la manterrà, costi quel che costi. Lui non chiamerà nessuno.
Mentre lo ripete, è estremamente orgoglioso di se stesso e della maturità acquisita.
Anche se quella stessa notte, nel segreto delle loro case, i vicini si lamenteranno di quel ragazzo alto e assai poco raccomandabile che sta mettendo la stessa vecchissima canzone a ripetizione da ore.
 
Il silenzio tutto attorno a noi
 
- Tu sai. -
Io so. Ma devi dirlo, Bruno. Devi. Merito almeno questo, non credi?
È troppo facile, altrimenti.
Dimostra il coraggio che hai.
- Io so? Cosa so? Io so solo che siamo diventati estranei in un giorno. -
Bucciarati si stringe nella giacca.
- Ti racconto una cosa. A Venezia io pregavo perché ve ne andaste. Per un momento mi sono illuso stesse accadendo. Poi, quando tu hai… – inspira prima di continuare – Quando tu hai detto quelle cose, mi sono reso conto che in realtà sapevo che mi avresti seguito pure in capo al mondo. Ed ero felice, non immagini quanto ero felice, perché nonostante tutto tu eri con me. Ero felice per averti condannato a morte, ti rendi conto? -
Abbacchio serra i pugni. Sa che, qualunque cosa dica, non coglierà nel segno.
- Ti ho chiesto io di controllare chi ci fosse dietro quell’altura -
- E io, anche solo come Capo, non dovevo lasciarti solo. E invece l’ho fatto e tu sei morto. Tu, che sei la persona più importante per me, – Leone tenta invano di non pensare al verbo ancora al presente. Non vuol dire niente – E poi, quando ne ho avuto la possibilità, ho chiesto scusa a tutti e non a te. Leone, – di colpo Bruno pare sperduto – La verità è che ho provato mille volte a chiamarti per dirti che non è vero che non c’è niente da dire. –
Leone deglutisce prima di rispondere, ma il groppo alla gola non va via.
- Ma non lo hai fatto. Sono trascorsi anni e tu non lo hai mai fatto. E non parlo delle scuse per la Sardegna – non le voglio, ti ho detto che non hai niente di che scusarti – ma di una chiamata, una cazzo di chiamata per dirmi che stavi bene. Io volevo questo, solo questo da te. -
- I sensi di colpa erano, sono immensi. Immensi, credimi. Se provavo a chiamarti ti rivedevo su quello scoglio e io… Non ti ho mai potuto piangere. Mai.
Ti sogno da tre anni.
Parevi dormire, sulla spiaggia.
Da tre anni mi sveglio tremando.
- Ma questo non mi giustifica. È tutta colpa mia se ora non c’è davvero niente da dire. -
Eri morto, e anch’io ero morto, non potevo neanche sanguinare, ma mentre me ne andavo mi sono morso le labbra per non urlare. Giorno mi ha avvisato che ero sporco. Capisci? Io sanguinavo. Non ha senso, vero? Come potevo sanguinare, se ero morto? Eppure per te l’ho fatto.
Non so cosa fare, Leone – davvero, non so cosa fare. Con te ho sbagliato su così tanti fronti che ogni gesto è comunque un errore.
Le prime gocce di pioggia iniziano a bagnare la terrazza.
Abbacchio si chiede da dove prenda tutto questo coraggio, lui che  ha gettato tre anni di vita a struggersi per quest’uomo tanto bello quanto complicato e a cercarlo negli estranei.
- Questo non è vero – c’è tanto da dire. A cominciare da quella sera che neanche tu hai dimenticato, a quanto pare. -
Stavolta la replica non si fa attendere.
- Vuoi sapere perché me ne sono andato? Perché ero felice, – sorride appena dinanzi alla perplessità dell’altro – Leone, io conosco il sesso, non le relazioni. Di quelle non so nulla. Il sesso è facile. L’amore no – l’amore distrugge. E con te non era solo sesso.
Abbacchio sposta il peso del corpo da una gamba all’altra. È impossibile soprassedere alle implicazioni dell’ultima frase.
- E poi, – Bucciarati continua con un sospiro – Io ero il tuo leader. Un casino su tutta la linea, insomma. Avremmo sofferto, e io non volevo farti soffrire. -
Leone aggrotta le sopracciglia.
- Ecco, questa cosa mi fa incazzare. Che ne sai tu di quello che fa soffrire me? Tu non mi fai soffrire quando sei con me, – una confessione netta, brutale. Ma se confronto deve essere, che lo sia fino in fondo. Le sue maschere, tanto, sono ormai cadute anni fa – Io sono arrabbiato perché sei sparito, quando sai che ti avrei dato tutto il tempo del mondo se me lo avessi chiesto. E sai quel che è peggio? Che quel tempo io te lo darei ancora.
Ma se sparisci di nuovo, io non posso fare niente. Io resto bloccato e no – sai che non posso, che non devo. Me lo hai chiesto tu. Perciò, per favore Bruno, devi dirmelo, – la sua voce non trema neppure nel momento della verità. Qualunque sia la risposta, Leone è pronto. Questi tre anni sono serviti a prepararlo a oggi e lo capisce solo ora – Dimmi che intenzioni hai. Perché andare avanti così non è cosa, Bruno – con tutto quello che provo per te, non è cosa. -
 Bruno tace.
Sai che le vecchie abitudini sono dure a morire. Scapperai ancora alla prossima difficoltà, stanne certo.
Tanto vale mentire, non trovi?
Non sarebbe neanche una menzogna – perché tu non sei pronto,  Hai ancora tanto da imparare.
La tentazione è seducente, veleno dolce che ferisce e protegge…
- Io non voglio più scappare. Non serve a niente, se il cuore ce l’ho qui. -
Le parole non sono molto, ne sono entrambi consapevoli. Ma sono comunque qualcosa. Un passo in avanti inimmaginabile fino a poco fa. Ove esso conduca, al momento non è importante. Tutto ciò che conta è che questo passo sia stato compiuto – e forse è incerto, zoppicante, pieno di “se” e “però” che ancora devono svegliarsi, ma cos’è un passo, se non un punto di partenza?
Non sanno se ci proveranno, se ci riusciranno, ma sanno che ora sono insieme, ad ascoltare il reciproco silenzio, e va bene – per oggi va bene così.
La frequenza delle gocce aumenta ogni istante che passa, ma Bucciarati non sembra accorgersene.
- Rientriamo in casa, – lo riscuote Abbacchio.
- Va bene, – il giovane accetta, ma non si muove. Chiude le palpebre e sorride, mentre le gocce scivolano sui suoi vestiti – Sai, mi è sempre piaciuta la pioggia. Restiamo qui un altro minuto, ti va? -
Sono già rimasti sotto un acquazzone e forse ci resteranno ancora. Ma non hanno voglia di pensare né al passato né al futuro.
In questo momento, esiste solo il presente.
Uno accanto all’altro, respirano a occhi chiusi l’aria pesante di mare, di umidità. La pioggia diventa insistente, sempre più insistente.
Le dita di Bruno sfiorano Leone. Risalgono il dorso della mano, carezzano lente tendini, vene. Si chiudono dolci attorno al polso di Leone – e Leone sa quello che stanno cercando.
- Tu ci sei. Solo questo conta. -
Lo sa perché, da quando Giorno gli ha detto la verità, ha sognato il momento in cui avrebbe posato una mano sul petto di Bruno.
 
Chissà se anche tu ti senti vivo come mi sento io, finalmente, ora.
 
“Piove sul nostro amore,
sugli alberi del viale
di cui ti sembra di sentire l'odore,
piove sui delfini del Porto Canale,
sulle sirene che senti passare,
corrono verso l'Ospedale del Mare,
siamo solo due forme di vita sul terzo pianeta del Sistema Solare,
due forme di vita sul terzo pianeta del Sistema Solare.”

 “Il sentiero degli dei” – Vasco Brondi
 
 
1 : ho ormai attribuito questo nome al collega di Leone.
 
Ecco la canzone ballata dai due laidi e che dà il titolo alla storia.
 
Gli errori negli SMS sono voluti, visto quanto scritto su Bruno e la scuola. E sì – usa le abbreviazioni da bimbominchia, CASO CHIUSO.
 
 
 
N.d.A.: Grazie di cuore se avete letto questa oneshot infinita e confusa, coi suoi continui balzi temporali e – temo – OOC clamorosi. Spero di non avervi annoiatə troppo: semplicemente, volevo scrivere una storia più allegra del solito e in cui riversare mille headcanon. Avevo bisogno di un immenso sfogo.
Dite la vostra senza pietà: i vostri consigli possono aiutarmi tanto, non abbiate remore! ♥♥♥ 
Potete trovarmi su Twitter, Tumblr e su Ao3, dove pubblico le traduzioni; qui, invece, una playlist BruAbba.
Grazie ancora di tutto e a presto, spero!
Euridice100
 
 
 
P.S.: parrà demenziale, ma purtroppo sono costretta a ricordare che NON SI RIPUBBLICANO LE STORIE ALTRUI SENZA PERMESSO E SENZA I DOVUTI CREDIT. Mi auguro di non doverlo ripetere.
   
 
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