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Autore: AlsoSprachVelociraptor    25/09/2021    0 recensioni
La vita perfetta di Bob ha le ore contate- tra pochi giorni verrà sfrattato, licenziato, e finirà per strada, dopo aver vissuto nel lusso e sulle spalle degli altri per tutta la sua vita.
Bob non è una buona persona, eppure uno strano uomo fluorescente con le corna, apparso magicamente nel suo appartamento, ha dei piani più alti per lui.
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LIBRO DELL'APOCALISSE!AU
Un mio AU nel fandom (disabitato) di Dennis Pennis, non bisogna conoscere serie e film da cui sono tratti i personaggi per leggere questa storia.
Basata sul Libro dell'Apocalisse e frammentato in diverse one-shot. La seconda, ma la prima in ordine cronologico della storia.
I protagonisti sono Bob Slay da Perfect World(2000) e Frankie Wilde (anche se qui non nominato) da It's All Gone Pete Tong(2005)
Genere: Comico, Fantasy, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il tardo pomeriggio, per Bob, si stava svolgendo nella completa normalità della sua vita ben poco normale col crepuscolo rossastro che imprimeva il suo colore caldo sulle pareti del salotto dell’amico di Bob, Vaughan, in cui lui risiedeva a tempo indeterminato e a spese del povero Vaugh.
In realtà, Bob non aveva amici, e quel bastardo di Vaughan non era suo amico, e mai lo sarebbe stato. 
Erano colleghi di lavoro, e fino a qualche settimana prima Bob era il capo di Vaughan, ma un minuscolo, insignificante ritardo di una settimana sul posto di lavoro aveva fatto scalare Bob nella gerarchia lavorativa nell’ufficio in cui lavorava, e quel maledetto di Vaughan ne aveva preso il posto.
Bob aveva perso la sua posizione lavorativa elevata, la sua fidanzata- presso il quale alloggiava, dato che Bob non aveva mai posseduto una dimora, né un’auto, né nulla in realtà- aveva scoperto la valanga di bugie sotto cui l’aveva sotterrata, e l’aveva lasciato.
Aveva persino dormito nel suo ufficio nel suo posto di lavoro, ma ora non aveva nemmeno più quello. 
Per colpa di Vaughan, sicuramente.
Per sdebitarsi, o forse per i sensi di colpa, Vaughan aveva acconsentito affinchè Bob abitasse a casa sua e della sua nuova moglie per un po’, finchè Bob non si fosse deciso a farsi una vita propria, coi suoi unici sacrifici, senza usare fidanzate ricche. Gli aveva dato un mese, e il mese stava per scadere- mancavano solo due giorni.
Il matrimonio era stato ventotto giorni prima, e Bob aveva partecipato e aveva mangiato come un pazzo al banchetto gratis. Cioè, era gratis solo per lui. 
Vaughan e quella stronza dalla vocina irritante erano andati in luna di miele, e sarebbero tornati in due giorni.
E, Vaughan aveva detto, se l’avesse ancora trovato nella sua casa al ritorno dalla luna di miele, non solo l’avrebbe cacciato di casa e buttato per strada, ma anche licenziato da lavoro, e sicuramente non ne avrebbe trovato un altro, con quella laurea finta e passato da orfano cresciuto in orfanotrofio. Ora i controlli per le assunzioni erano molto più severi, e incastrare il capo con una fluida parlantina e occhioni verdi da cerbiatto non sarebbe funzionato in altri lavori strapagati come quello che aveva- ma non aveva più.
Bob era più arrabbiato che preoccupato, ma una vena di preoccupazione pulsava comunque nella sua tempia. Cosa avrebbe fatto, tra due giorni?
Aveva avuto la grande idea di richiedere, a lavoro dove presto sarebbe stato licenziato, una vacanza. Massì, era una grande idea: sarebbe partito il giorno prima del ritorno di Vaughan, così non avrebbe potuto né cacciarlo di casa, né licenziarlo- perchè non era a casa sua, e non era a lavoro!
E poi, quando sarebbe tornato da lavoro? Non importava.
Domani, domani sarebbe partito, avrebbe preso il primo aereo disponibile e sarebbe volato verso una meta lontana con la sua valigia con quel poco che possedeva- quasi nulla, sinceramente. Qualche vestito elegante, un paio di rolex comprati coi soldi di ricche fidanzate, scarpe italiane e cellulare. 
Al futuro, oltre alla sua vacanza, Bob non ci pensava. Non importava. Sarebbe stato un pensiero per il Bob del futuro.
Bob era spaparanzato sul costoso divano nuovo dell’amico, che ormai aveva sporcato con l’olio e i fluidi corporei non bene identificati contenute nella pranzo che Vaughan aveva preso per festeggiare il matrimonio con sua moglie, di cui sinceramente Bob non ricordava nemmeno il nome. Non che fosse importante come quella cozza dai capelli ossigenati si chiamasse. 
Ma quella incredibile bistecca fiorentina era sprecata, per due sfigati come loro. Così, Bob aveva deciso che sarebbe stato meglio se fosse finita nella sua pancia, piuttosto che nel putrido stomaco di quei due. Non ci sarebbe stata tutta, d’altronde, pensava Bob mentre prendeva la bistecca dal frigorifero e la sbatteva nel microonde. Loro erano così bassi, e Bob così alto e snello e bisognoso di carboidrati! Le bistecche contenevano carboidrati, no?
E poi, in due giorni non sarebbe stata più così buona come in quel momento.
L’uomo era consapevole di aver sporcato il microonde con il sangue che ancora colava dalla bistecca quando l’aveva estratta, messa su un piatto troppo piccolo e portata sul divano davanti al televisore, a godersi qualche show su Netflix che, ovviamente, non aveva minimamente pagato.
Bob non pagava nulla, e mai l’aveva fatto- d’altronde, era cresciuto in un orfanotrofio e nessuno si era degnato di adottarlo, dunque il mondo gli doveva tutto ciò che lui voleva. E poi, tra qualche giorno non sarebbe più stato affare suo.
Nessun film e show su Netflix era degno del suo interesse, e il suo dito unto di bistecca al sangue continuava a pigiare sul telecomando, annoiato come mai. Mordicchiando il telecomando con i suoi stranamente appuntiti canini, stava pensando a qualche film avrebbe potuto piratare o pagare coi soldi di Vaughan, quando, semplicemente, calò il buio.
La fioca luce arancione sulla sala si spense come una lampadina, lasciando spazio a un’intensa sensazione di freddo e buio.
Bob si gelò sul posto, il telecomando ancora tra i denti, mentre udiva lo scrosciare della pioggia sui vetri delle finestre, veloce, forte, impossibile.
Impossibile. 
C’era il sole fino a un istante prima, non c’erano nuvole nel cielo e, benchè il clima di Londra fosse pazzo, non lo era così tanto.
Il silenzio venne presto rotto.
"Bob, voltati." esordì una voce familiare che, tuttavia, Bob era sicuro di non aver mai sentito.
Bob obbedì, lentamente e senza movimenti esagerati- era un ladro? Un rapinatore, magari violento?
Gli occhi verdi di Bob scorsero nel buio una figura luminosa.
Non era illuminata, no, emanava lei stessa una luce, calda come quella del tramonto. Bob dovette stringere gli occhi per assaporare quella vista.
Un uomo fluorescente nel salotto di Vaughan.
"Cosa vuoi?" gli rispose Bob, più stizzito che spaventato, aggrappato al sedile del divano. La bistecca stava tornando fredda, nel frattempo.
L'uomo fece un passo in avanti, verso di lui, e Bob istintivamente scattò in piedi, il divano tra i due uomini.
Bob era molto, molto più alto di questo tizio- sì e no un metro e settanta, vestito di quella che sembrava una tunica bianca legata in vita e dal fisico atletico in bella mostra, un mantello pelliccia di pecora sulle spalle larghe scoperte. I lineamenti erano difficili da scorgere in tutta quella luce, ma non sembravano particolarmente gentili, e i suoi capelli erano acconciati in qualcosa che sembrava una strana cresta da punk.
"Mi piace come arrivi al punto." gli rispose l'uomo, che, pian piano, sembrò diventare più distinto, meno una macchia di luce nella piena oscurità che era calata tutta ad un tratto- o forse, gli occhi di Bob si stavano adattando a quella situazione.
Si aprì un sorriso sul suo viso, come uno squarcio nella luce. “Ma non mi hai nemmeno chiesto chi sono. Mi piacerebbe presentarmi.”
“E allora presentati.” sbottò Bob, il cui istinto gli stava dicendo di retrocedere, ma i suoi pensieri, freddi e calcolati, lo intimavano di stare fermo e immobile. Mentre si alzava in piedi, si era lasciato scivolare il coltellino con cui stava tagliando la bistecca nella tasca destra dei pantaloni- di marca e da ufficio, roba che era costata un sacco alla sua ex fidanzata, e che ora avrebbe sicuramente dovuto mandare a lavare perchè quel coltello era sporco e non sarebbe mai dovuto entrare a contatto coi suoi puliti e costosi vestiti. Un altro motivo per odiare quell’uomo-lampadina del cazzo davanti a lui.
Bob si chiese se non avesse dover avuto paura, invece che risentimento. C’era uno sconosciuto davanti a lui, stranamente fluorescente. Un pazzo radioattivo? Un nuovo modo per i rapinatori per svaligiare una casa senza dover usare torce o accendere la luce?
“Questa non è casa mia. Puoi prendere il cazzo che vuoi. Cioè, quello che c’è rimasto.” ringhiò Bob, stringendo le labbra e cercando di non sembrare furioso, ma accondiscendente. “So dov’è la roba. So anche la combinazione della cassaforte, se può interessarti.”
Non voleva spartire la refurtiva con quel rapinatore- se era un rapinatore- ma non aveva altra scelta.
Oppure, avrebbe potuto accoltellarlo mentre lo accompagnava alla cassaforte. Massì, sarebbe stato un piano perfetto: lui l’avrebbe accoltellato, magari non ucciso- d’altronde Bob non aveva mai ucciso nessuno. Avere sulle spalle una vita non l’avrebbe di certo aiutato. L’avrebbe accoltellato, fermato, chiamato Vaughan e la polizia, e sarebbe sembrato a tutti come l’eroe. Sicuramente Vaughan e la sua cazzo di moglie non l’avrebbero più potuto cacciare di casa! 
Era un piano grandioso!
Le sue iridi, per una frazione di istante, vagarono in basso, verso la tasca dei suoi pantaloni e dove aveva nascosto il coltello.
Bob strisciò i polpastrelli, leggermente, sulla tasca, solo per darsi una sicurezza che aveva la situazione in pugno.
Le dita toccarono la coscia sotto il tessuto. 
Bob sbiancò, si sentì mancare, come se la gravità terrestre fosse diventata tutto ad un tratto troppo forte per le sue ginocchia tremolanti.
L’uomo stringeva tra le dita il coltellino da carne che Bob aveva, fino a pochi secondi prima, in tasca.
Non sapeva come avesse fatto, non aveva la minima idea di come era riuscito a sfilarglielo di tasca. Era troppo lontano, non c’era nessuna spiegazione logica!
“Stavi cercando questo?” chiese, con quel sorrisaccio sul suo viso affilato. 
L’uomo si avvicinò, fece il giro del divano, e ogni sua lunga falcata il mantello sventolava alle sue spalle, come un vessillo nemico durante una guerra.
Bob cadde in ginocchio, di fronte all’uomo. “Non volevo farti del male! Io..! Ti prego, perdonami!” gridò a gran voce Bob, aggrappandosi alla tunica bianca candida che l’uomo portava ai fianchi. “Farò qualsiasi cosa, ma non uccidermi! Perdonami!” 
Bob gridava con tutta la voce che aveva, finse persino di piangere. 
In un qualche modo, dalla posizione inginocchiata in cui Bob era, guardando verso l’alto, sembrava quasi che l’uomo avesse un aureola dietro agli scompigliati capelli biondo-rossicci.
No. Quella era sicuramente un’aureola. E quelli non erano una cresta, ma sette corna che crescevano tra i suoi capelli rossi. E i suoi occhi…
Quando li sbattè, tutti e sette contemporaneamente- tre sulla fronte e due sotto il paio nella posizione normale- Bob capì di essere capitato in una strana, stranissima situazione.
La mano calda dell’uomo solcò la mandibola di Bob, accarezzando la sua pelle immacolata e morbida con i suoi polpastrelli caldi, davvero troppo caldi. Bob deglutì, questa volta sentendo davvero una brutta sensazione di paura alla bocca dello stomaco.
Cos’era, questo tizio? Uno scherzo di Chernobyl, o qualcosa di superiore a ciò?
Vide l’uomo sorridere, i suoi occhi- tutti e sette- che brillavano di una strana luce, che Bob stava fissando col terrore di sapere cosa sarebbe potuto accadere successivamente- si strinsero in un’espressione quasi di scherno.
“Sei così bello, sei perfetto.” disse lui. Ora Bob era sicuro del suo destino. Si inumidì le labbra, sperando di non farsi troppo male. L’uomo, tuttavia, continuò a parlare. “Perfetto. Perfetto nella sporca, caotica imperfezione. La tempesta perfetta, in qualche modo.”
L’uomo si ritrasse, sedendosi scompostamente sul divano. Col coltellino di Bob che stringeva ancora tra le dita, si chinò sulla bistecca e se ne tagliò un bel pezzo, ficcandoselo tutto in bocca. La sua espressione rimase abbastanza confusa.
“Oh, wow, l’ultima volta che sono stato sulla terra non c’era roba così buona. Voi esseri umani avete fatto un sacco di passi in avanti, oltre a un mucchio di passi indietro, eh?”
Poi, il suo sguardo tornò su Bob, e indicò il posto vicino a sé sul divano di Vaughan.
“Devo spiegarti chi sono, vieni qui Bobby. Non sono un ladro. Non ho bisogno di questa cianfrusaglia da pochi spicci del cazzo, io.”
Il tono in cui l’aveva detto era sprezzante, quasi disgustato. Beh, pensò Bob, in effetti quell’uomo sembrava tutto che un poveraccio. Pendendo dal suo collo vi erano un sacco di collane di metalli preziosi, così come gioielli alle sue orecchie, bracciali e cavigliere in oro e rubini, qualche anello infilato nelle inquietanti corna che crescevano dalla linea dei capelli, e anche un paio di denti d’oro nel suo orribile sorriso.
Bob, ancora stordito, si alzò in piedi e lo raggiunse sul divano, ancora le ginocchia tremolanti e la testa pesante. Cercò di schiacciarsi contro il bracciolo opposto a dove era seduto l’uomo, che in realtà si era posto quasi nel mezzo del divano, a cosce spalancate quanto la tunica gli permetteva. Disgustoso.
L’uomo lo stava guardando. Il suo viso, ora, era ben visibile a Bob. I suoi tratti erano abbastanza caratteristici da essere subito riconoscibili e memorabili. Sette iridi di un azzurro chiaro, colore del cielo terso, contornati da lunghe ciglia bionde-rosse come i suoi corti capelli scompigliati, tratti del viso affilati e zigomi alti e una leggera barba rossastra, un’ombra sul suo viso lungo e duro, eppure stranamente attraente per essere un qualche sorta di mostro da film horror.
“Bob, io sono l’agnus dei. L’agnello di Dio, mai sentito?”
Bob negò, un po’ confuso, sotto lo sguardo vagamente stizzito dell’uomo-agnello. 
“Io sono Dio, Bob. Io sono l’Agnello che si è sacrificato per l’umanità molti millenni orsono, e sono qui per darle una fine, ora.”
L’uomo si scostò qualche gioiello dal petto, rivelando sulla sua pelle una profonda, tremenda cicatrice, vecchia ma dall’aspetto decisamente grave.
Bob fissò la cicatrice, ma non riuscì davvero a credere alle parole del tizio strano luminoso con le corna.
Ancora pensava si trattasse di un tizio strano da Chernobyl o Fukushima, radioattivo e luminoso e pure geneticamente mutato. Chissà se le radiazioni erano contagiose?
“Lo so, stai pensando che non è possibile. Che la religione è una stronzata, ed è proprio questo il cazzo di motivo per cui io sono qui.”
Il suo sguardo era come ghiaccio, freddo e tagliente, contro Bob, ma sulle sue labbra c’era un sorriso. 
Bob provò a sorridere a sua volta. “Se sei Dio, dimmi a cosa sto pensando adesso.”
L’uomo non rispose con un sorriso, stavolta. Le sue labbra si raddrizzarono. “Non posso. Non con te. Ti ho creato apposta così.”
La luce ancora mancava, nulla funzionava né nella casa né in quelle a fianco, dato che, ben visibili dalla finestra, tutte le finestre delle case adiacenti erano nere come la pece. Eppure quel Dio prese il telecomando e pigiò il tasto di accensione. Bob credeva fosse pazzo, in realtà. Un riccone che aveva sniffato troppa roba, forse.
Ma il televisore si accese, mostrando una sfilarata di nuvole, e una montagna altissima sullo sfondo, innevata. La telecamera si stava avvicinando alla montagna, che Bob non riconobbe- era troppo alta per essere qualcosa sul territorio bretone, o europeo- forse l'Himalaya? 
Avvicinandosi, qualcosa non quadrava. Brillava anche quello…
C’era un trono, gigantesco e contornato da arcobaleni, e un sacco di persone che sembravano minuscole rispetto al grosso trono, rosso e trasparente e che sembrava intagliato e risplendere come un gioiello. Era un trono di pietra preziosa!?
“Il mio trono in corniola, granati e smeraldi, che ne pensi?” chiese il Dio, e Bob sbuffò. “Kitsch!”
L’inquadratura sembrò fermarsi davanti al trono, la neve che scendeva brillante attorno al trono, dove delle creature strane stavano aspettando.
L’uomo- pecora o qualsiasi cosa avesse detto di essere si alzò in piedi, in un eleganza inumana, e si voltò verso Bob, allungandogli gentilmente una mano.
“Vieni con me, Bob. Tu sei stato scelto per assistere alla mia Rivelazione.”
Bob rimase fermo immobile, a fissare quella mano protratta verso di sé, luminosa e calda e straniera.
“Rivelazione? E cosa sarebbe?” chiese Bob, davvero incerto, e ora spaventato- forse, un rapinatore mutante da Chernobyl era un’opzione migliore.
“Lo scoprirai. Avanti, tanto non c’è niente per te su questa terra. Non c’è più niente per nessuno, a dire il vero.”
Aveva ragione sul suo fatto, purtroppo.
Fanculo, tanto avrebbe dovuto sloggiare in due giorni. Ovunque quell’uomo cornuto con troppi occhi l’avesse portato, sarebbe stato sicuramente meglio che per strada. Bob prese la sua mano, e la sua stretta era salda e gentile.
“Torniamo entro domani, giusto? Devo andare in vacanza…”
L’uomo strano lo accompagnò verso il grosso televisore a cinquanta pollici di Vaughan, dove si abbassò, si aggrappò alla televisione appesa al muro con la mano libera, e infilò il piede dentro il televisore, che lo accolse come una finestra aperta su un mondo nuovo e brillante.
Bob lo seguì, la brezza fredda della montagna dalla neve di cristallo che gli colpiva il viso.
Domani?” chiese l’uomo, ridendogli in faccia.  “Domani inizia l’Apocalisse, Bob!”
   
 
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