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Autore: Clementine84    26/09/2021    1 recensioni
Due amiche e una crociera nel Mediterraneo con una band famosa. Una delle due, fan fedele sin dagli inizi, si fa accompagnare dall’altra, che non ha mai capito cosa ci trovino tutte nel biondino del gruppo, considerato un rubacuori in grado di far cadere qualunque donna ai suoi piedi. Un incontro casuale basterà a lui per decidere che vale la pena farglielo scoprire, costi quel che costi.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nick Carter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 9 – Everything

 

You see everything
You see every part
You see all my light
And you love my dark
You dig everything
Of which I'm ashamed
There's not anything
To which you can't relate
And you're still here

(Everything – Alanis Morrisette)

 

“Mi dispiace abbandonarti, amore, ma devo proprio andare a fare questa intervista” mi disse Nick, dandomi l’ennesimo bacio, sulla porta di casa.

Mi venne da ridere. “Sembra che dispiaccia molto di più a te che a me” commentai, sarcastica.

Lui fece una faccia offesa, io gli posai i palmi delle mani sul petto e lo spinsi fuori dalla porta.

“Prima vai, prima torni” sentenziai, dandogli un ultimo veloce bacio.

Quando mi richiusi la porta alle spalle, tornai in cucina, mi preparai una tazza di the e andai sul divano, decisa a guardare un film.

Era un freddo – per gli standard di Las Vegas – pomeriggio di metà gennaio, e ormai vivevo con Nick da più di un mese. Non potevo ancora affermare di essermi completamente ambientata in quella nuova realtà, così diversa da tutto quello a cui ero abituata, ma, tutto sommato, la mia nuova vita mi piaceva. Soprattutto, mi piaceva svegliarmi ogni mattina accanto a Nick, con una sua mano sul fianco, e guardarlo stropicciarsi gli occhi, con quella faccia buffa da bambino imbronciato e i capelli arruffati. Adoravo le domeniche lente, passate sul divano a guardare le partite di football, con la testa posata sulle gambe di Nick e una sua mano che giocava distrattamente con i miei capelli. Non avrei più potuto fare a meno di sentire le sue braccia che mi cingevano la vita, mentre mi stavo lavando i denti, prima di andare a dormire, le labbra che si posavano sul mio collo, lasciando una scia di piccoli baci delicati, con il preciso scopo di farmi venire la pelle d’oca. Adesso che ero con lui, mi chiedevo come avessi fatto a resistere sei lunghi mesi senza averlo vicino.

Sapevo che si trattava dell’idillio dei primi tempi e che, presto, le cose si sarebbero complicate ma, per adesso, tutto andava a gonfie vele e anche i reciproci difetti, che ovviamente stavamo iniziando a scoprire – io lasciavo sempre il tubetto del dentifricio aperto e Nick sembrava non essere in grado di far arrivare i vestiti sporchi nella cesta della biancheria, preferendo spargerli per casa, ad esempio – non ci infastidivano più di tanto. Ci amavamo e, piano piano, stavamo imparando a conoscere tutto l’uno dell’altra, nella speranza di riuscire a costruire un radioso futuro insieme.

Avevamo passato il Natale da Kevin, nella sua casa in montagna. Nick avrebbe preferito restarsene a casa con me, ma Kevin e Kristin avevano insistito e, alla fine, ci eravamo divertiti ed era stato bello passare le feste in una sorta di famiglia. Per capodanno, invece, eravamo stati invitati da A.J. e Rochelle. Nessuna festa da celebrità, soltanto una cena in casa, a base di pizza – preparata da me – e tacos, ma dovevo ammettere che era stato uno dei capodanni migliori della mia vita, il cui punto più alto era stato quando io ed A.J. avevamo deciso di sfidarci al karaoke con le canzoni della Disney, sotto lo sguardo affascinato della piccola Ava, e con Nick e Rochelle che ridevano fino alle lacrime, osservando la nostra eccessiva competitività. Allo scoccare della mezzanotte, mentre i padroni di casa erano in giardino con Ava a far scoppiare i fuochi d’artificio, Nick mi aveva baciata, annunciandomi che il suo desiderio per l’anno nuovo era passare il resto della vita insieme a me. Per confermare la sua risoluzione, aveva tirato fuori dalla tasca della giacca una scatoletta di velluto nero, che mi aveva consegnato, con gli occhi lucidi. Quando l’avevo aperta, e vi avevo trovato un anello col diamante, gli avevo rivolto uno sguardo sconvolto.

“Tu sei matto” avevo farfugliato, sotto shock.

Lui mi aveva sorriso e, dopo avermi preso le mani, si era inginocchiato davanti a me.

“Non ti sto proponendo di sposarmi subito” aveva spiegato. “Possiamo farlo, se vuoi, ti sposerei anche domani. Ma possiamo anche aspettare. Non ho fretta. Questo anello è per chiederti se vuoi passare tutta la vita con me”.

Cercando di non scoppiare a piangere dall’emozione, gli avevo preso il viso tra le mani e mi ero chinata a baciarlo.

“Mi sono trasferita dall’altra parte del mondo, per te. Credo che tu sappia già la risposta”.

Lui aveva annuito. “Sì, ma volevo sentirtelo dire” aveva ammesso.

Gli avevo preso le mani, facendolo alzare, poi gli avevo cinto la vita con le braccia, bloccandolo in un abbraccio. Lui mi aveva passato le mani dietro alla schiena, nascondendo il viso nei miei capelli.

“Sì,” avevo sussurrato, con la guancia appoggiata al suo torace, dove potevo sentire il battito del suo cuore “voglio passare tutta la vita con te. E voglio sposarti, Mr. Carter. Quando vorrai e quando potrai. Non ho più paura”.

Nick mi aveva baciato i capelli, per poi appoggiare il mento sulla mia testa. “Il prima possibile” aveva sentenziato.

Io mi ero stretta di più a lui ed eravamo rimasti in quella piacevole posizione finché il rumore dei fuochi d’artificio, che A.J. stava facendo scoppiare per Ava, non si era zittito. Poi ci eravamo presi per mano e avevamo raggiunto i nostri ospiti in giardino, dove, dopo esserci scambiati gli auguri di buon anno, Nick aveva annunciato, con nonchalance “Io e Alice ci sposiamo”.

Rochelle aveva lanciato un gridolino di gioia ed era corsa ad abbracciarmi, mentre A.J., ancora leggermente sconvolto da quella rivelazione inaspettata, aveva abbracciato Nick, commentando “Tu sei completamente pazzo ma, per una volta, non ho niente da obiettare e sono felice per te”.

Nick era scoppiato a ridere, poi A.J. aveva proposto di chiamare gli altri per dargli la bella notizia e avevamo passato il resto della serata al telefono, cerando di contenere l’entusiasmo di Brian, Howie, Kevin e le rispettive consorti.

Dovevo essermi appisolata senza rendermene conto perché, quando il suono del citofono mi svegliò, mi accorsi che si era fatto già più buio. Alzandomi per andare a rispondere, accesi un paio di luci, in modo che la stanza fosse rischiarata. Era Derek, il portiere del palazzo, che si scusava per il disturbo e mi annunciava che il fratello di Nick era nella hall e chiedeva di salire. Tentennai un istante. Nick si era raccomandato di non far entrare nessuno in casa, ma di sicuro la regola non valeva per i famigliari ed ero certa che Derek avesse controllato che il ragazzo fosse veramente chi diceva di essere, prima di chiamare, perché era molto scrupoloso nel suo lavoro e mi fidavo ciecamente di lui. Gli dissi di farlo salire e restai ad aspettarlo sulla porta dell’appartamento. Dopo qualche minuto, l’ascensore si aprì al piano e ne uscì un ragazzo alto e magro, con i capelli biondo chiarissimo e il collo e le braccia coperti di tatuaggi. Era molto magro e il viso era solcato da profonde occhiaie, che gli conferivano un aspetto non proprio sanissimo ma, in ogni caso, la somiglianza con Nick era indubbia.

Mi rivolse uno sguardo sorpreso e mi domandai se Nick gli avesse detto chi ero. Gli sorrisi e gli porsi una mano, salutandolo. “Ciao,” dissi “tu devi essere Aaron. Io sono Alice, la fidanzata di Nick”.

Aaron mi strinse la mano, titubante, e farfugliò “Piacere”.

“Vieni, entra” lo invitai, scostandomi leggermente per farlo passare. Lui mi seguì e io gli feci strada fino al salotto, dove gli dissi di accomodarsi sul divano.

“Posso offrirti qualcosa?” domandai, cercando di comportarmi da brava padrona di casa.

Aaron si guardò intorno e, notando la tazza, che avevo posato sul tavolino di fronte al divano, chiese “Tu cosa stavi bevendo?”

“The,” risposi “ma mi sono addormentata e ormai è freddo”.

“Del the andrà benissimo, grazie” mi disse e io sorrisi.

“Perfetto. Vado a farne un’altra tazza anche per me, allora, e poi ti raggiungo subito”.

Poco dopo, tornai in salotto, con in mano due tazze di the fumanti, e gliene porsi una. Nel prenderla, le nostre mani si sfiorarono e mi accorsi che Aaron aveva notato l’anello che Nick mi aveva regalato. Feci finta di niente e mi accomodai sul divano, accanto a lui.

“Mi dispiace,” dissi “Nick non c’è. Aveva un’intervista e non ho idea di quando sarà di ritorno”.

Il ragazzo scosse la testa. “Non fa niente. Passavo di qui e ho pensato di fargli un saluto. Ma non l’avevo avvertito, quindi non poteva sapere che sarei venuto”.

Entrambi bevemmo un sorso di the, in silenzio, e io ne approfittai per scrutarlo da sopra il bordo della tazza. Aveva gli occhi spenti e gli tremavano le mani. Ed era dannatamente magro, così magro che mi veniva voglia di offrirgli qualcosa da mangiare. Non sembrava stare bene. Ero in difficoltà perché non sapevo praticamente nulla di lui. Nick non amava parlare della sua famiglia e mi aveva detto poco o niente, oltre alle confessioni di quel giorno a Firenze. Sapevo che, in passato, lui e il fratello erano stati molto uniti. Poi era successo qualcosa, avevano litigato e adesso si parlavano lo stretto indispensabile. Lo stesso si poteva dire per la sorella maggiore, con la quale aveva troncato i rapporti in seguito a un litigio avvenuto dopo la morte dell’altra sorella, che aveva minato le fondamenta del loro rapporto. Nick non parlava nemmeno con il padre e la madre, ma era stato molto vago sui motivi che l’avevano portato ad allontanarsi così drasticamente dalla famiglia. L’unica che sentiva regolarmente era Angel, la sorella più piccola, che non avevo ancora avuto modo di conoscere, ma di cui Nick mi parlava spesso.

Anche Aaron sembrava non sapere come comportarsi e si guardava in giro, quasi impaurito. A un certo punto, forse non riuscendo più a sostenere il silenzio opprimente che avvolgeva la stanza, mi chiese “Allora...Alice, giusto?”

Annuii. “Giusto”.

“È da tanto che state insieme, tu e Nick?” domandò.

Scossi la testa. “In realtà no. Ci conosciamo da circa otto mesi, ma stiamo insieme seriamente solo da un mese e mezzo”.

“Tu non sei americana, vero?” si informò.

“No, sono italiana” ammisi.

“Dove vi siete conosciuti?”

“L’ho incontrato durante una delle crociere dei Backstreet Boys” spiegai, sorridendo al ricordo.

“Lavoravi sulla nave?” volle sapere.

Feci cenno di no con la testa. “No, avevo accompagnato una mia amica e gli ho prestato l’accendino”.

Lui annuì. “Ho visto il video della sorpresa che gli hai fatto a Dallas su internet” confessò.

Arrossii. Come avevo previsto, la mia performance sul palco al soundcheck del Jingle Ball era stata filmata dalle ragazze presenti ed era finita online poche ore dopo. Fortunatamente, la reazione delle fan era stata in generale molto positiva ed erano veramente poche quelle che non nutrivano una grande simpatia nei miei confronti. Dopo quello scoop, la notizia che Nick aveva una nuova ragazza si era sparsa a macchia d’olio e Jen aveva iniziato a chiamare tutti i giorni per comunicarci che svariati giornali e televisioni richiedevano a gran voce una nostra intervista ufficiale. Mi ero rifiutata categoricamente di mettere in piazza la mia vita privata e Nick, che inizialmente era stato quasi sul punto di cedere alle insistenze della manager, vedendomi così risoluta – e terrorizzata – alla fine mi aveva accontentata. Non volevo nascondermi, non mi importava se ci vedevano insieme e le foto finivano sui giornali, ma andare a raccontare i fatti nostri in diretta era decisamente un’altra questione. Dopo capodanno, e dopo quella singolare proposta di matrimonio, Jen era tornata alla carica e Nick era stato costretto a rilasciare una dichiarazione per confermare il nostro fidanzamento. Una sera, dopo averne ampiamente discusso, avevo acconsentito a partecipare a una diretta Instagram sul profilo di Nick, così che tutte le fan potessero vedermi, ed eventualmente pormi delle domande. Ero tesissima e non sapevo come comportarmi, ma Nick mi era stato di grande aiuto, facendomi sedere sulle sue gambe e accarezzandomi la schiena per tranquillizzarmi durante tutta la durata della live. Dopo un po’, avevo iniziato a rilassarmi e, verso la fine, avevo addirittura ammesso che era stato divertente. Ovviamente, non tutte le reazioni erano state positive e, dopo quella diretta, avevano iniziato ad arrivare le critiche. Leighanne, la moglie di Brian, nonché la veterana delle mogli dei Backstreet Boys, insieme a Kristin, mi aveva telefonato, chiedendo se poteva essermi d’aiuto a spiegarmi come gestire la cosa. L’avevo ringraziata, dicendole che era stata molto carina a preoccuparsi per me, ma che non mi importava. Non avevo mai avuto la pretesa di piacere a tutti e sapevo che le fan di Nick potevano essere molto possessive. Col tempo avrebbero imparato almeno ad accettarmi, se non ad apprezzarmi.

“Sì, non avevo calcolato di avere pubblico” sentenziai, lasciandomi scappare una risatina nervosa.

Aaron sorrise poi, lanciando un’altra occhiata all’anello che portavo al dito, domandò “Vi sposate?”

“Sì” confermai. “Non abbiamo ancora deciso quando, ma l’idea c’è”.

“Congratulazioni” mi disse, distogliendo lo sguardo.

“Grazie. Ti faremo avere l’invito, quando fisseremo una data”.

Il ragazzo si voltò di scatto a guardarmi, quasi stupito dalla mia affermazione. Mi limitai a sostenere il suo sguardo, senza parlare. Non riuscivo a interpretare la sua reazione e nemmeno a indovinare cosa gli stesse passando per la testa.

Aaron finì di bere il the, poi si voltò a guardarmi e mi fece un timido sorriso. “Grazie mille per il the e la chiacchierata” disse, alzandosi dal divano. “È stato un piacere conoscerti, Alice”.

“Ha fatto piacere anche a me, Aaron” ribattei, alzandomi a mia volta e posandogli una mano sulla spalla. “Dirò a Nick che sei passato”.

Lui annuì, poi lo accompagnai alla porta e lo salutai, restando a osservarlo mentre spariva nell’ascensore. Quando richiusi la porta, mi ritrovai a domandarmi come mai i rapporti tra lui e Nick si fossero ridotti al minimo. Non potevo certo dire di conoscerlo, ma Aaron mi era sembrato un ragazzo gentile ed educato, per lo meno con me. Sospirai e mi strinsi nelle spalle. Ne avrei parlato con Nick non appena fosse tornato a casa.

 

Chiusi lo sportello del forno, dove avevo inserito le lasagne, e impostai il timer. In quel momento, sentii la porta di casa che si apriva e mi voltai, aspettando di veder comparire Nick. Dopo un istante, infatti, il suo viso sorridente fece capolino sulla soglia del grande open space che comprendeva cucina e salotto.

“Scusa, ho fatto tardi. Non mi lasciavano più venire via” si giustificò, avvicinandosi.

“Non importa” lo rassicurai, mentre mi cingeva la vita, baciandomi il collo.

“Cosa mi hai preparato di buono?” chiese, guardandosi in giro e annusando il profumo proveniente dal forno.

“Lasagne” annunciai, certa di incontrare la sua approvazione.

Infatti, sorrise e sentenziò “La fortuna di avere una fidanzata italiana”. Poi si chinò a baciarmi sulle labbra.

Mentre le lasagne cuocevano, ci sedemmo sul divano, con un bicchiere di vino. Nick si appoggiò al bracciolo, tenendo le gambe leggermente allargate, e io mi ci accomodai in mezzo, con la schiena contro il suo petto. Lo ascoltai, serena, mentre mi raccontava dell’intervista, dandomi dei piccoli baci sul collo, di tanto in tanto, durante il discorso. Quando ebbe esaurito la narrazione, mi domandò “E tu invece? Cos’hai fatto per ingannare il tempo, senza di me?”

“Niente di che” confessai. “Mi sono messa a guardare un film, ma poi mi sono appisolata e mi ha svegliato il campanello”.

Nick mi rivolse uno sguardo stupito. “Il campanello?” si informò. “Chi era?”

“Derek” spiegai. “Mi avvertiva che avevamo una visita”.

Si limitò a fissarmi, incuriosito, quindi annunciai “È passato tuo fratello”.

Non seppi dire esattamente cosa mi mise in guardia, ma la sensazione dei suoi muscoli che si irrigidivano, a contatto con il mio corpo, mi convinse a posare il bicchiere sul tavolino e a scostarmi da lui, per poterlo guardare in faccia. Aveva gli occhi spalancati, la mascella tesa, le labbra serrate e una strana luce negli occhi, ben diversa da quella di quando rideva e che tanto adoravo. Questa mi faceva quasi paura.

“Cosa c’è?” chiesi, spaventata.

Lui non rispose, domandò solamente “Mio fratello?”

Annuii, sempre più confusa. Si stava comportando in modo strano, quasi gli avessi comunicato che avevo ricevuto una visita da Jack lo Squartatore.

“Perché l’hai fatto salire?” mi chiese, in tono severo.

“Perché è tuo fratello?” risposi, incerta. Era chiaro che non era contento di sapere che Aaron era stato lì, ma non riuscivo a capirne il motivo.

“Ti avevo detto di non far salire nessuno” mi rimproverò, fissandomi con aria accusatoria.

“Io...non credevo valesse anche per i famigliari” mi giustificai, sull’orlo delle lacrime.

La reazione di Nick mi sembrava eccessiva e mi stava veramente spaventando. Lui parve accorgersene perché mi sfiorò il viso con la mano e il suo sguardo si fece più dolce.

“Scusa, non volevo essere duro con te” mi sussurrò. “Ma Aaron non può stare qui. Non è il benvenuto”.

“Perché?” domandai, cercando di calmare i battiti del mio cuore.

Nick distolse lo sguardo. “È una storia lunga. Ti basti sapere che c’è un’ordinanza restrittiva che gli vieta di avvicinarsi a me e a chiunque mi sia in qualche modo collegato. Quindi, anche a te” spiegò.

“Non...non lo sapevo” farfugliai, sentendomi una stupida.

Mi sentii prendere il viso tra le mani. “Ehi, non potevi saperlo. È colpa mia. Avrei dovuto dirtelo” mi tranquillizzò.

Gli sorrisi, lieta che la tensione si fosse leggermente smorzata.

“Dimmi cos’è successo” mi spronò, serio.

“Non è successo niente, davvero” raccontai. “Ci siamo presentati, gli ho offerto una tazza di the e mi ha chiesto come ci eravamo conosciuti e da quanto stavamo insieme. Poi ha notato l’anello e ha voluto sapere se avevamo intenzione di sposarci. Finito il the, se n’è andato. Tutto qui”.

“Ti ha detto il motivo per cui è venuto?”

Scossi la testa. “Ha detto che era di passaggio e voleva salutarti”.

Nick alzò gli occhi al cielo e sospirò. Poi si alzò dal divano e si diresse verso il suo studio – o stanza dei giochi, come la chiamavo scherzosamente io, dato che la maggior parte del tempo che passava chiuso là dentro lo dedicava a giocare ai videogiochi, più che a comporre musica – dicendo “Devo chiamare il mio avvocato”.

Mi alzai anch’io. “Ma le lasagne sono quasi pronte” dissi, con una punta di disperazione nella voce. “Si fredderanno”.

“Scusami. Mangiale tu” replicò, prima di voltarsi e sparire lungo il corridoio, lasciandomi con un groppo in gola a chiedermi cosa diavolo fosse andato storto.

 

Terminai la chiamata e sospirai, passandomi una mano sugli occhi. Non sapevo che ora fosse, tutto aveva perso significato nel momento esatto in cui Alice mi aveva comunicato la visita di Aaron. Avevo avuto paura. Sapere mio fratello così vicino alla donna che amavo, da soli, senza nessuno intorno, mi aveva fatto letteralmente gelare il sangue nelle vene. Avrebbe potuto succedere qualsiasi cosa.

Sentii un lieve bussare alla porta, poi il viso di Alice fece capolino da una fessura. Non aveva la sua solita espressione allegra, sembrava triste e preoccupata. Dovevo aver terrorizzato anche lei, con il mio comportamento. Le rivolsi un debole sorriso, sperando di rassicurarla.

Ti ho portato la cena” disse, avvicinandosi con un piatto di lasagne in mano. “E sono venuta a salutarti, prima di andare a letto”.

Solo in quel momento, mi accorsi che era in pigiama o, meglio, che indossava una delle magliette che io non sapevo nemmeno più di avere nell’armadio, come al solito.

Vieni qui” le dissi, prendendole il piatto dalle mani e posandolo sulla scrivania davanti a me, per poi farla sedere sulle mie gambe. “Scusami,” sussurrai, scostandole una ciocca di capelli dal viso “devo esserti sembrato un pazzo”.

Mi rivolse un sorriso stentato. “Mi hai spaventata” confessò, passandomi un braccio intorno al collo.

Lo so e mi dispiace. Ma mi sono spaventato anch’io” mi giustificai.

Ma perché?” mi chiese, ancora confusa. “Non è successo niente. Abbiamo solo parlato”.

Lo so, grazie al cielo” commentai. “Ma avrebbe potuto andare diversamente. Non me lo sarei mai perdonato, se ti fosse successo qualcosa”.

Non ti sembra di esagerare?” domandò. “Ne parli come se fosse un assassino”.

Scossi la testa. “Tu non capisci. Aaron è schizofrenico, Alice. Se non prende le medicine, diventa aggressivo e violento. Avrebbe potuto farti del male”.

Ma non è successo” mi fece notare lei. “È stato molto carino, invece”.

Questa volta è andata bene, ma non posso rischiare che succeda di nuovo” sentenziai, deciso.

Alice mi rivolse uno sguardo preoccupato. “Cosa pensi di fare?”

Devo proteggerti,” spiegai “almeno finché non saremo sicuri che non ci riprovi. Dirò a Derek di non far salire nessuno, neanche il Padre Eterno. E tu devi promettermi di non uscire di casa senza di me”.

Non puoi rinchiudermi in casa, Nick” sbottò, indispettita.

Mi rendo conto che ti sto chiedendo tanto, ma non posso correre il rischio che ti succeda qualcosa” tentai di farla ragionare.

Ma cosa potrebbe succedermi?” domandò, esasperata. “Cosa potrebbe farmi?”

Potrebbe tentare di avvicinarti, per strada, e farti del male” spiegai.

Del tipo?” volle sapere.

Presi un respiro profondo. Non volevo spaventarla ulteriormente, ma era necessario che capisse la gravità della situazione.

Potrebbe tentare di ucciderti”.

Alice aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono e le mie parole, con tutto il loro potere distruttivo, rimasero sospese, ad aleggiare nella stanza buia, rischiarata solo dalla luce azzurrina del monitor del computer. Rimasi in attesa, guardandola, e sperando che non distruggessero quello che avevamo costruito fino a quel momento e che era, senza dubbio, la cosa più bella che avessi mai avuto nella vita.

Perché dovrebbe farlo?” mi chiese, con un filo di voce.

Perché non sta bene. È malato. Ma non accetta di esserlo e si rifiuta di prendere le medicine. E io ti amo, e se dovesse succederti qualcosa, credo che impazzirei. Quindi, ti prego, lascia che ti protegga. Fallo per me, se non vuoi farlo per te” la supplicai, sforzandomi di trattenere le lacrime.

Lei mi passò anche l’altro braccio intorno al collo, stringendosi a me e posandomi la testa sulla spalla. Io le baciai la fronte e la strinsi forte, nascondendo il viso nei suoi capelli e sentendo una lacrima scendermi lungo la guancia.

Cosa vuoi che faccia?” sussurrò, senza muoversi di un millimetro.

Il mio cuore ebbe un sussulto e mi sentii improvvisamente più leggero. Sollevato. E colmo di amore per quella splendida creatura che si era trovata in mezzo a qualcosa di troppo più grande di lei, ma mi amava così tanto da fidarsi ciecamente di me e lasciarsi guidare.

Ti porto da Kevin” proposi. “Resti da lui finché non avrò sistemato le cose e sarò certo che stare qui sia di nuovo sicuro per entrambi”.

La sentii annuire, quasi impercettibilmente. “Poi tornerai a prendermi?”

Mi chinai su di lei, fino ad appoggiare le labbra sulle sue. “Sempre” dichiarai, guardandola negli occhi. “Tornerò sempre da te. Non dimenticarlo mai”.

 

Stavo finendo di sistemare i pochi vestiti che mi ero portata nell’armadio della stanza degli ospiti, quando sentii bussare alla porta e la testa di Kevin fece capolino.

“Ciao” disse. “Volevo solo accertarmi che fosse tutto okay e vedere se ti serviva qualcosa”.

Gli sorrisi, chiudendo il borsone e sistemandolo sul fondo dell’armadio. “È tutto okay, grazie” lo rassicurai.

Nick mi aveva accompagnata a Los Angeles, da Kevin e Kristin, quella mattina. Si era fermato a pranzo, poi era tornato a Las Vegas, dove aveva in programma una serie di incontri con avvocato, giudice e polizia, per capire quali erano le condizioni di Aaron e come gestire la situazione. Odiavo stargli lontano, ma sarebbe stato ancora più terribile restare chiusa in casa, da sola, con i nervi a fior di pelle a ogni minimo rumore, cercando di trovare il modo di ingannare il tempo e far trascorrere quelle interminabili ore che mi separavano dal suo ritorno. Quindi, tutto sommato, l’idea di essere ospite di Kevin e Kristin per qualche giorno mi era sembrata quasi una sorta di liberazione. In ogni caso, Nick era così preoccupato che non me la sarei sentita di rifiutarmi.

Kevin fece un passo dentro alla stanza, stropicciandosi le mani, come se fosse in imbarazzo.

“Mi chiedevo anche se per caso volessi parlare” aggiunse, facendomi un sorriso.

Annuii e mi sedetti sul letto. Lui si avvicinò e prese posto accanto a me.

“Posso solo immaginare come devi sentirti” iniziò, lanciandomi un’occhiata preoccupata.

Alzai le spalle. “La verità è che non lo so nemmeno io come mi sento” confessai. “Sono solo molto confusa. Non credo di capire esattamente cosa sta succedendo”.

“Nick non ti ha spiegato?” domandò.

Scossi la testa. “Non proprio. Ha farfugliato qualcosa riguardo un’ordinanza restrittiva e che temeva che Aaron potesse farmi del male. Non so nient’altro. Credevo esagerasse, ma era così sinceramente preoccupato che non me la sono sentita di andargli contro”.

Kevin sospirò e mi posò una mano sul ginocchio. Poi iniziò a parlare. “Non sta a me raccontarti i dettagli, ma devi sapere che la situazione è piuttosto complicata. La famiglia di Nick è complicata e Aaron è solo un’altra vittima dell’avidità e della totale incapacità di dimostrare affetto disinteressato dei suoi genitori. Nick ha avuto noi, e i Backstreet Boys sono stati la sua salvezza. Ha trovato delle persone che gli hanno dato l’affetto che i suoi genitori non sono mai stati in grado di offrirgli e di cui aveva disperatamente bisogno. L’abbiamo praticamente cresciuto e sono orgoglioso dell’uomo che è diventato. La conferma della splendida persona che è venuta fuori da quel ragazzino indisciplinato e bisognoso di amore l’ho avuta quando ha scelto te. Poteva avere chiunque, ma ha deciso di donare il suo cuore a qualcuno che era disposto ad amarlo in modo totalmente disinteressato, come aveva sempre sognato di essere amato. Purtroppo, i suoi fratelli non sono stati altrettanto fortunati e alcuni hanno sofferto più di altri, come la povera Leslie, ad esempio, che non è riuscita a sopportare il peso del baratro in cui l’aveva gettata la malattia che la tormentava, e si è rifugiata nella droga, finendo per uccidersi. Per Aaron è lo stesso. È sotto i riflettori fin da piccolissimo, perché i genitori avevano bisogno di un’altra gallina dalle uova d’oro da spennare per farsi mantenere, quando Nick è diventato maggiorenne e ha deciso che ne aveva avuto abbastanza. Ma, a differenza di Nick, lui era da solo, senza nessuno con cui condividere le difficoltà di un mondo che un giorno ti considera un dio e quello successivo si è già dimenticato di te o, peggio, ti ha fatto diventare il peggiore criminale in circolazione. Senza contare che ha sempre avuto bisogno di approvazione, da parte di Nick ma, soprattutto, da parte dei genitori, la madre in particolare. E, lungi da me voler giudicare la gente, ma quella donna è cattiva e opportunista. Le interessa solo il suo tornaconto personale e non le importa se sono i suoi stessi figli a farne le spese”.

Mentre Kevin raccontava, io ero rimasta ad ascoltarlo in silenzio, colpita nello scoprire tutte quei particolari sulla famiglia di Nick. Sapevo che non avrei dovuto ma, una parte di me, provava un profondo risentimento e continuavo a chiedermi perché non me ne avesse mai parlato. Non si fidava abbastanza di me? Non mi amava abbastanza? O, forse, credeva che io non lo amassi abbastanza da potersi confidare?

Il ragazzo di fronte a me parve leggermi nel pensiero perché disse “Lo so che ti stai chiedendo perché non te l’ha detto ma, credimi, non è colpa tua. Nick è fatto così. È in grado di fare una diretta mentre si fa la doccia ma, poi, quando si tratta di parlare dei suoi problemi, si chiude come un riccio e non c’è verso di tirargli fuori una parola. Credo che anche quello abbia a che fare con l’educazione che ha ricevuto. Il padre è un uomo molto autoritario che ha educato i figli con il metodo del terrore. Non c’era spazio per i sentimenti e Nick ha dovuto imparare presto a nascondere le emozioni. Per fortuna, poi ha incontrato noi e ha iniziato a lavorare in un campo in cui i sentimenti sono fondamentali, altrimenti temo che sarebbe diventato completamente incapace di amare”.

Rabbrividii all’idea del mio Nick, che era una delle persone più dolci che avessi mai conosciuto, costretto a vivere in un ambiente del genere. Sospirai e chiesi a Kevin “Cosa posso fare per aiutarlo? Voglio che sappia che può contare su di me”.

Lui mi sorrise. “Lo sa. Deve solo convincersi che si merita il tuo aiuto e la tua comprensione e che lasciarsi supportare dalla persona che si ama non significa farsi compatire, ma dimostrarsi fiducia a vicenda, come fanno tutte le coppie”.

Gli rivolsi uno sguardo triste e preoccupato. Temevo che non sarebbe mai successo e che Nick non si sarebbe mai fidato completamente di me. Kevin mi mise una mano sulla spalla e sussurrò “Dagli tempo. Sono certo che l’amore che prova per te gli farà aprire gli occhi”.

 

Parcheggiai l’auto davanti a casa di Kevin, recuperai il borsone dal bagagliaio e mi avviai verso la porta d’ingresso. Prima di entrare, mi fermai un istante a osservare il paesaggio e sospirai. Era stata una settimana pesante e Alice mi era mancata da morire. Era la prima volta, da quando ci eravamo ricongiunti, che passavamo così tanto tempo separati e, sebbene ci fossimo sentiti ogni giorno, più volte, mi era servito per rendermi conto di quanto fosse diventata una parte indispensabile della mia vita. Non sarei più riuscito a immaginare di vivere senza averla accanto, il che, ironicamente, rendeva ancora più importante tutto ciò che era successo in quella interminabile settimana. Non vedevo l’ora di riabbracciarla, ma esitai prima di suonare il campanello, fermandomi ancora un attimo a riflettere, per cercare di riordinare le idee. Sapevo di non essermi comportato bene, con lei. L’avevo tenuta all’oscuro di una parte importante della mia vita e non sapevo come l’avesse presa, avendolo scoperto. Si era comportata come se nulla fosse e non mi aveva dato modo di presagire rancori o recriminazioni, ma poteva essere solo una facciata di circostanza. La verità era che non sapevo esattamente cosa mi aspettava, una volta varcata quella soglia. Avrei potuto trovare delle braccia pronte ad accogliermi, come una fredda steppa desolata carica di risentimento. Da parte mia, sapevo solo che le dovevo delle spiegazioni e volevo dargliele ma, per farlo, avevo bisogno di riflettere ancora un attimo sugli eventi di quella settimana.

Una volta tornato a Las Vegas, per prima cosa avevo cercato di capire come fosse stato possibile, per mio fratello, raggiungere casa mia, nonostante l’ordinanza restrittiva. Era venuto fuori, banalmente, che Aaron si era comportato bene per un lungo periodo e, quindi, la polizia aveva allentato i controlli su di lui. Mio fratello, o meglio il suo legale, era stato contattato e, come sempre, aveva fatto leva sulla sua malattia per ottenere benevolenza e dissuadermi dallo sporgere denuncia. A detta del suo avvocato, Aaron aveva giurato che non era sua intenzione spaventare né me né, tanto meno, la mia fidanzata e che si era presentato a casa mia nella speranza di poter parlare con me. Non sapevo se credere a quella versione. Ero tentato, in fondo era pur sempre mio fratello, nonostante tutto il male che mi aveva fatto, ma sapevo fin troppo bene quanto fosse bravo a fingere, specialmente se era manipolato da nostra madre. Non mi fidavo. Non tanto per me, quanto per Alice. La sola idea che potesse succederle qualcosa per causa mia mi faceva letteralmente uscire di testa. Dopotutto, lei aveva abbandonato una vita sicura per poter stare con me e io cosa le stavo offrendo? Paura e pericolo. Non se lo meritava. Non volevo che andasse in quel modo. A quanto pareva, comunque, c’era ben poco che io potessi fare per farla sentire più sicura. L’unico modo di procedere era sporgere denuncia, ma avrebbe significato far mettere Aaron agli arresti domiciliari e non me la sentivo. Il mio legale mi aveva suggerito di assumere una guardia del corpo o, quanto meno, ingaggiare Mike, di cui mi fidavo ciecamente, anche quando non stavo lavorando, in modo che potesse proteggere sia me, sia Alice. Non era la soluzione ideale ed ero certo che Alice non sarebbe stata entusiasta all’idea, ma non sapevo cos’altro fare. Mi ero quasi convinto a contattare Mike, quando, una sera, il mio avvocato mi aveva chiamato per informarmi che era stato contattato dal legale di Aaron per richiedere un incontro. Mi ero categoricamente rifiutato di incontrarlo. Ci avevo già provato, in passato, e mi ero presentato carico delle migliori intenzioni, sperando, se non in una riconciliazione, almeno in un chiarimento. Invece, lui aveva iniziato ad accusarmi per ogni singola cosa che era andata storta nella sua vita, imputando tutto al mio successo, che mi aveva tenuto lontano da casa, e da lui, quando più aveva bisogno di me. Il fatto di non essere stato sufficientemente vicino ai miei fratelli, specialmente a Leslie, era uno dei più grandi rimorsi della mia vita e, per quanto sapessi che non avevo avuto scelta e avevo comunque fatto del mio meglio per gestire la situazione, avrei dovuto convivere per tutto il resto della vita con quella colpa. Non mi serviva che Aaron me lo rinfacciasse. Non era il modo giusto per tentare di recuperare il nostro rapporto. Da quando avevo incontrato Alice, quel senso di colpa si era leggermente affievolito. Non sarebbe mai scomparso del tutto ma, in prospettiva, ero felice e potevo affermare di non essere mai stato così sereno. Non volevo che mio fratello avvelenasse quel periodo di pace con le sue cattiverie. Tuttavia, pressato dalle insistenze del mio avvocato, avevo acconsentito a parlargli al telefono, a patto che la chiamata venisse registrata e potesse essere messa agli atti nel caso fossero partite di nuovo minacce nei miei confronti. Così, il pomeriggio precedente, avevo parlato al telefono con Aaron, dopo almeno tre anni che non ci rivolgevamo la parola. Era stata una conversazione strana, quasi surreale. Ero partito comprensibilmente sulla difensiva, aspettandomi parole piene di rancore e toni freddi. Invece, avevo trovato un Aaron completamente diverso da quello che, l’ultima volta, mi aveva sputato addosso tutto l’odio che conosceva, e mi era quasi sembrato di essere tornato indietro di vent’anni, quando era ancora il mio fratellino adolescente. Mi aveva chiesto scusa, non per tutto quello che mi aveva fatto, sarebbe stato chiedere troppo, ma per essersi presentato a casa mia, sapendo di non poterlo fare. Aveva confessato di averlo fatto perché aveva visto online il video della sorpresa che Alice mi aveva fatto quando era arrivata dall’Italia ed era stato colto dalla curiosità di vedere di persona se tutta la felicità che traspariva fosse reale. Era sembrato sinceramente dispiaciuto, specialmente quando aveva saputo di aver spaventato a morte Alice.

Non era mia intenzione spaventarla. Davvero. Mi dispiace” aveva detto. “Lei è stata così carina con me”.

Lei è carina con tutti” avevo ribattuto. “Per questo è così speciale”.

Hai ragione” aveva concordato lui. “E sei fortunato ad averla”.

Come fai a sapere quanto è speciale?” avevo sbottato, pieno di rabbia al pensiero di quello che Alice stava passando a causa sua. “Non la conosci”.

È vero, ma mi è bastata quella chiacchierata per farmi un’idea” aveva obiettato Aaron. “Nonostante il mio aspetto urlasse tossico pazzo, lei mi ha trattato da persona normale. Si è fidata di me e questo solo perché sono tuo fratello. È speciale, Nick, e ti ama”.

Lo so” avevo commentato, colpito dalle sue parole.

Te lo meriti. Ti meriti di avere accanto qualcuno che creda così ciecamente in te” mi aveva detto, con un tono di voce dolce, che non gli sentivo più da troppo tempo.

E allora perché ci stai facendo questo?” avevo domandato. “Perché hai dovuto sconvolgere il nostro equilibrio, solo per un capriccio, costringendoci a vivere nel terrore?”

Non volevo, te lo giuro” mi aveva assicurato. “Qualsiasi cosa sia successa tra noi, Alice non c’entra niente ed è una brava persona. Non potrei mai farle del male. O fare qualcosa che la faccia soffrire”.

Ma lo stai facendo. Non ci permetti di avere una vita normale” gli avevo fatto notare.

Lui era rimasto un attimo in silenzio, poi aveva promesso “Vi lascio in pace, Nick. Me ne vado. Lontano da voi. Non sarò più un problema. Avete diritto di essere felici, soprattutto Alice. Vi auguro il meglio. Magari vi manderò un mazzo di fiori per il matrimonio”.

Mi ero sentito uno schifo. Non sarebbe dovuta andare così. Mio fratello avrebbe dovuto essere presente al mio matrimonio, avrei voluto che lo fosse. Ma sapevo che non era possibile, almeno fino a quando non fosse stato meglio. Avevo sospirato e detto, in tono calmo “Non è un addio, Aaron. La mia porta è sempre aperta e sono certo che lo pensi anche lei. Quando starai meglio, forse potremo riprovarci”.

Forse” aveva ripetuto lui. “Per adesso, vi auguro una vita meravigliosa”.

Quella conversazione mi aveva decisamente tranquillizzato perché, per la prima volta, avevo avuto la sensazione che Aaron intendesse veramente quello che mi aveva detto. Ed era tutto merito di Alice che, con la sua spontanea sincerità, aveva compiuto un piccolo miracolo, pur senza saperlo.

Adesso, però, arrivava la parte difficile, ossia spiegarglielo. E sperare che mi accettasse, anche con il mio passato problematico che a volte tornava a galla, e mi perdonasse per non aver avuto sufficiente fiducia in lei da parlargliene subito.

Presi un respiro profondo e mi decisi a suonare il campanello, aspettando, e allo stesso tempo temendo, il momento in cui l’avrei riabbracciata.

 

Kevin venne ad accogliermi alla porta e mi guidò fino al soggiorno, dove Alice stava costruendo un’astronave Lego con Mason. Era concentrata a studiare il disegno, mentre il bambino cercava i mattoncini giusti, in base alle sue indicazioni. Non ci sentì arrivare e io mi fermai a osservarla, appoggiato allo stipite della porta. Kevin, dietro di me, mi posò una mano sulla spalla.

Devi parlarle” mi suggerì. “Se volete davvero passare la vita insieme, non potete avere segreti”.

Annuii. “Lo so. È che speravo di risparmiarle questo peso” spiegai.

Sentii la presa sulla spalla farsi più salda. “Non puoi” obiettò il mio amico. “È la tua famiglia, il tuo passato. Che tu lo voglia o no, ha contribuito a farti diventare quello che sei, l’uomo di cui si è innamorata. Vedrai che accetterà anche questa parte di te”.

Mi voltai a guardarlo e, quando incrociai i suoi occhi verdi, gli rivolsi un debole sorriso. Lui ricambiò e mi fece un cenno con la testa, per indicarmi di andare da Alice.

Feci un passo all’interno della stanza, lei si accorse della mia presenza e alzò la testa di scatto. I nostri occhi si incontrarono e restammo un istante a fissarci, in silenzio, nessuno dei due abbastanza coraggioso da fare la prima mossa. Poi, si alzò lentamente dal pavimento, abbandonando il foglio con le istruzioni sul divano, e mi venne incontro.

Ciao” mi salutò, rivolgendomi un timido sorriso.

Ciao” ricambiai. “Mi sei mancata”.

Anche tu” ammise.

Senza riuscire a resistere oltre, allargai le braccia e lei non esitò a rifugiarvisi dentro. La strinsi in un abbraccio, posandole un bacio sui capelli.

Risolto?” mi chiese, senza staccarsi da me.

Credo di sì” la rassicurai. Poi, prendendo coraggio, aggiunsi “Dobbiamo parlare”.

I suoi occhi furono subito su di me, un’espressione preoccupata le oscurava il viso. “Non mi stai lasciando, vero?”

Sorrisi e scossi la testa. “Cosa ti viene in mente?” esclamai. “Non potrei mai”.

Si strinse di nuovo a me e sussurrò. “Parleremo. Più tardi. Adesso voglio solo abbracciarti”.

 

Ero a letto, nella camera degli ospiti di Kevin e Kristin, e stavo aspettando che Alice uscisse dal bagno, dove si stava preparando per la notte. A cose normali, se fossimo stati a casa, sarei entrato in bagno con lei, le sarei arrivato alle spalle e l’avrei abbracciata, le mani sulla sua vita, mentre le baciavo il collo, facendole il solletico. Ma non quella sera. Quella sera ero nervoso e avevo bisogno di restare solo qualche minuto per racimolare il coraggio necessario ad affrontare il gesto che stavo per compiere. Era stupido, me ne rendevo conto, ma avevo paura. Non di cos’avrebbe potuto pensare di me, ero certo che mi avrebbe amato ugualmente, se non addirittura di più, dopo aver saputo la mia storia. Temevo di veder comparire sul suo volto quello sguardo compassionevole che avevo visto tutte le altre volte che avevo raccontato a qualcuno della mia famiglia. E sarebbe stato difficile da sopportare. Non volevo che Alice mi compatisse. Non doveva vedermi come lo sfortunato ragazzino bisognoso di affetto che ero stato per tanti anni. Non lo ero più. Ero cresciuto, ero cambiato. Grazie, soprattutto, all’amore e al supporto dei ragazzi, ero diventato un uomo maturo e responsabile, che non si vergognava a esprimere i propri sentimenti ma, allo stesso tempo, perfettamente in grado di prendersi cura della sua compagna, proteggendola da qualsiasi cosa avesse potuto minacciarla.

A cena, avevo raccontato gli ultimi avvenimenti, compreso un riassunto abbastanza dettagliato della conversazione con Aaron. Tutti si erano dimostrati entusiasti dell’evolversi della situazione e Alice aveva messo una mano sulla mia, stringendomela, e rivolgendomi un sorriso pieno di amore. Ma non c’era solo quello. C’era anche dell’altro. Ci avevo messo un po’ a riconoscerlo, perché non mi capitava spesso di vedere quello sguardo e, quando succedeva, erano quasi sempre Brian o Kevin a rivolgermelo, ma poi l’avevo identificato. Era orgoglio. Per come avevo gestito la situazione, per non essermi lasciato sopraffare da paure e risentimento e, soprattutto, per non aver chiuso del tutto la porta in faccia a mio fratello. Sentirmi addosso quello sguardo, mi aveva fatto trovare il coraggio necessario e avevo deciso di parlare ad Alice quella sera stessa. Adesso, però, mentre la sentivo chiudere il rubinetto del lavandino, segno che aveva finito di lavarsi i denti e, tra poco, mi avrebbe raggiunto nel letto, tutta quella convinzione sembrava avermi abbandonato e avrei soltanto voluto abbracciarla, dimenticare tutto e addormentarmi tra le sue braccia, cullato dal battito del suo cuore. Ma non potevo. La amavo come non avevo mai amato nessuna, prima di allora, e meritava la mia onestà. Glielo dovevo.

La luce del bagno si spense e la vidi comparire sulla porta, con addosso la maglietta dei Buccaneers che le avevo regalato dopo la prima notte che avevamo passato insieme. Sosteneva che fosse la sua preferita e che, nonostante i lavaggi, fosse impregnata del mio profumo, per quello la indossava spesso. Non mi stupiva che se la fosse portata, anzi, mi faceva venire voglia di togliergliela e fare l’amore con lei, al diavolo tutti di discorsi che mi ero preparato.

Si avvicinò, salì a carponi sul letto e mi si fermò davanti, le gambe piegate sotto di sé. Mi appoggiò il palmo della mano su una gamba e si sporse a darmi un bacio.

E questo per che cos’era?” domandai, sorridendo.

Alzò le spalle. “Niente di particolare. Avevo solo voglia di baciarti”.

Le presi una mano e la tirai a me, cingendole le spalle e facendole posare la testa sul mio torace. Appoggiai il mento sulla sua testa e annunciai “È arrivato il momento delle spiegazioni”.

La sentii prendere un respiro profondo, poi disse solo “Ti ascolto”.

Chiusi gli occhi e iniziai a raccontare.

Sono cresciuto con tre sorelle e un fratello. Io sono il più grande. I miei genitori hanno sempre avuto un rapporto problematico, litigavano di continuo, anche violentemente e, spesso, noi figli finivamo in mezzo. Non ci hanno mai picchiato, ma la pressione psicologica era enorme, tipo che, durante i litigi, ci obbligavano a scegliere da che parte stare. Mia madre era perennemente insoddisfatta, mentre mio padre autoritario e totalmente incapace di dimostrare affetto. Come sai, ho iniziato la carriera con i Backstreet Boys quando ero poco più che un bambino, avevo a mala pena dodici anni. Non capivo del tutto cosa stava succedendo, sapevo solo che amavo cantare e mi davano dei soldi per farlo. I ragazzi mi hanno subito adottato, sono diventati una famiglia migliore di quella che avevo. Mi hanno insegnato ad accettare i miei sentimenti e non a reprimerli, come voleva mio padre. Gli devo tutto. Se non fosse stato per loro, probabilmente a quest’ora sarei entrato in qualche brutto giro di droga o di malavita e sarei già morto.

Da quando ho iniziato a lavorare, mi sono sempre sentito in dovere di provvedere al mantenimento della mia famiglia, dato che ero quello che guadagnava di più, ed è una bella responsabilità da caricare sulle spalle di un adolescente. Non mi sono mai lamentato, anzi, ero orgoglioso di poter fare qualcosa per loro e, in qualche modo, ripagarli per avermi permesso di realizzare il mio sogno. Gli ho comprato un ranch in California e ci siamo trasferiti lì. Speravo che, portandoli via dalla Florida, dove avevamo passato anni terribili, le cose sarebbero cambiate e sarebbero diventati la famiglia che desideravo. Purtroppo, non è stato così. I miei genitori non erano mai soddisfatti e i miei fratelli hanno iniziato a essere gelosi delle attenzioni che mi riservavano, sentendosi esclusi. Quando ho compiuto diciotto anni, l’atmosfera era talmente tesa che non mi sentivo più a mio agio in famiglia e tornare a casa, ogni volta, era una tortura. Così me ne sono andato. Inizialmente da Brian, poi ho comprato una casa nelle Isole Keys, anche se passavo la maggior parte del tempo a Los Angeles, ospite di amici. Nel frattempo, però, il mio malessere cresceva e, complice un’eccessiva disponibilità economica, ho iniziato a frequentare brutte compagnie. Andavo a tutte le feste, bevevo troppo e ben presto ho anche iniziato a fare uso di droghe. Marijuana e sonniferi, per lo più, ma ogni tanto non disdegnavo la coca. Un giorno, mi sono guardato allo specchio e non ho più riconosciuto la persona che vedevo riflessa. A quel punto, ho deciso di darci un taglio. Sono tornato da Brian, ho smesso di bere e di assumere sostanze e ho iniziato a vedere una terapeuta. Mi sono rimesso in sesto, lavorando su me stesso.

Poi, mia sorella Leslie, che avevo tentato di aiutare a sfondare come cantante, è morta di overdose. È stato un brutto colpo e i sensi di colpa hanno ricominciato a farsi sentire. Mi dicevo che, se le fossi stato vicino, non sarebbe successo anche se, in realtà, sapevo che non avrei potuto fare nulla per salvarla. Temevo di averle dato un modello di riferimento sbagliato, con i miei trascorsi di alcool e droghe, e i miei genitori pensarono bene di metterci il carico da undici, dichiarando pubblicamente che la morte di Leslie era colpa mia. Capii che non sarebbero mai cambiati, e che il loro comportamento serviva solo a nascondere la loro totale incapacità di fare i genitori. Ma mi avevano ferito e mi allontanai di nuovo, questa volta definitivamente. Non andai nemmeno al funerale di Leslie, anche se avrei voluto, perché sapevo che mi avrebbero accusato di nuovo, davanti a tutti, pur di creare uno scoop, e non volevo scandali, non quando stavo soffrendo così tanto per lei.

Aaron ha avuto una storia simile alla mia, anche lui è stato spinto da nostra madre a sfondare nel mondo della musica, così da poter sostenere economicamente la famiglia, dato che io avevo smesso di farlo. Solo che lui era da solo, non aveva una seconda famiglia su cui contare, e non ce l’ha fatta. Ha intrapreso una discesa nel baratro, culminata con la diagnosi di schizofrenia, qualche anno fa. Ho provato a stargli vicino, ma mia madre non me lo ha permesso, fomentando in lui una gelosia e un risentimento nei miei confronti che ancora mi risultano difficili da comprendere. È come se mi odiasse perché ho ottenuto quello che lui non è mai riuscito ad avere e ha fatto di tutto per portarmelo via. Un paio di anni fa, ha pubblicamente dichiarato di essere stato molestato da me, quando era un ragazzino. Non sto nemmeno a dirti che, ovviamente, non è vero. Voglio credere che ti fidi abbastanza di me da non aver pensato nemmeno per un momento che lo fosse. In ogni caso, ho dovuto sporgere denuncia per calunnia, perché era un’accusa troppo grave per lasciargliela passare. Lui ha postato su Instagram un video in cui mi aspettava sul retro del palazzetto, in cui io e i ragazzi stavamo facendo le prove per uno spettacolo, con una pistola, sostenendo di volermi uccidere. Fortunatamente, il video è stato visto da un sacco di persone, tra cui molte nostre fan, e qualcuno ha avvertito la polizia. È scattata la denuncia ed è stata emessa un’ordinanza restrittiva che impedisce ad Aaron di avvicinarsi a meno di due metri da me e da qualsiasi persona che mi sia accanto. Non avrei voluto arrivare a tanto, ma non ho avuto scelta. Era questo quello di cui parlavo, quando ti dicevo che poteva farti del male. Ci aveva già provato una volta con me, ed ero stato fortunato, non potevo permettere che succedesse qualcosa a te”.

Mi fermai, riprendendo fiato, e mi accorsi solo allora che Alice mi aveva preso una mano tra le sue e l’aveva tenuta stretta per tutto il tempo della mia confessione. Quando realizzò che il fiume di parole era finito, si voltò verso di me e mi strinse in un abbraccio lungo e caldo, senza dire nulla.

Le passai una mano tra i capelli, posando le labbra sulla sommità della sua testa e respirando il profumo del suo shampoo al cocco. Poi sussurrai “Scusami. Non volevo buttarti addosso tutti questi problemi, ma non voglio nasconderti più niente. Se voglio proteggerti, devi sapere”.

La sentii sospirare e, senza sciogliersi dall’abbraccio in cui mi aveva avvolto, replicò “Non puoi proteggermi da tutto, Nick. Non sei la mia guardia del corpo. E, soprattutto, non devi proteggermi da te”.

Cosa vuoi dire?” domandai, non riuscendo a capire a cosa alludeva.

Lei si allontanò leggermente, per potermi guardare negli occhi, e rispose “Voglio dire che ti amo. Senza se e senza ma. Amo ogni parte di te, anche quelle di cui ti vergogni o per cui credi di non meritare di essere amato. Compresa la tua incasinatissima famiglia. Amo anche loro”.

Scossi la testa, incredulo. “Non puoi amarli. Nemmeno li conosci. E, se li conoscessi, di certo non li ameresti”.

D’accordo,” ammise “forse non li amo. Ma gli sono grata. Perché, anche se ti hanno fatto soffrire, hanno contribuito a farti diventare quello che sei ora. Lo straordinario essere umano di cui mi sono innamorata e con cui voglio passare tutta la vita”.

Cercando di non lasciarmi sopraffare dalle emozioni e combattendo per scacciare il groppo in gola che minacciava di risalire da un momento all’altro, le misi le mani sulle spalle e la tirai a me, abbracciandola di nuovo e stringendomi a lei come se fosse l’unica roccia nella corrente che mi stava trascinando al largo.

Ti amo” le sussurrai, commosso “e non so cosa farei senza di te. Adesso sei tu la mia famiglia. Promettimi che non mi lascerai mai, ti prego”.

Non lo farò” mi assicurò. “Sarò sempre qui. E, adesso che conosco tutto di te, luci e ombre, ne sono ancora più convinta e ti amo ancora di più”.

Chinai il viso verso di lei, cercando le sue labbra e, quando le trovai, ci posai sopra le mie, prendendole il viso tra le mani. Era quello l’amore, finalmente l’avevo capito. Era trovare qualcuno che accettasse luci e ombre, anche quello di cui ci si vergognava di più, e che riuscisse a comprendere perché ci faceva sentire così vulnerabili. E io ero così fortunato da averlo trovato.

Siamo arrivati alla fine di questa mia prima avventura in una fandom che non mi appartiene. Non so se ce ne saranno altre. Mi piacerebbe, perché in fondo mi sono divertita a giocare con personaggi per me nuovi, ma mi sarebbe piaciuto avere un dialogo con chi legge che, invece, non c'è stato, quindi non so. Ringrazio comunque coloro che hanno perso qualche minuto del loro tempo per leggere questa storia. Se, al di là dei personaggi, vi piace il mio stile, trovate e troverete altre storie originali (ne ho parecchie pronte e le sto caricando un po' alla volta, oltre, ovviamente, a quelle che sto scrivendo). Per quanto riguarda i Backstreet Boys, sto scrivendo qualcosa ma è tutto ancora molto nebuloso e in fase di bozza, quindi non prometto nulla. Se, però, qualcuno fosse così carino da lasciarmi due righe per dirmi cosa ne pensa di questa storia, magari potrei farci un pensierino... Buona domenica a tutti e Go Bucs!

  
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