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Autore: Shiny Piloswine    26/09/2021    0 recensioni
Cosa succederebbe se tre persone instabili e sole decidessero di costruire un dragster per superare il record di velocità su terra? E se pensassero di stare lottando contro un'organizzazione più grande di loro che minaccia il futuro del mondo?
Cosa è reale e cosa no?
Tre giovani usciti di testa per la troppa solitudine
Genere: Comico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Passiamo tutti i pomeriggi d’estate sdraiati sulla riva del nostro fiume preferito, accanto al ponte bianco della ferrovia, quello con i piloni colorati alla base da murales e tag informi; qui qualcuno, sul pilone più lontano, ha scritto LEXOTAN con la vernice nera sopra i murales colorati e le lettere nere squadrate si infilano tra le scritte informi interrompendo il flusso artistico. L’abbiamo chiamato e teorizzato un feedback dal reale.
 
Ho tolto momentaneamente il mio foilhat perché c’è troppo caldo e mi fa sudare, sto tenendo in bocca una spiga di grano senza sapere come masticarla.
Dico a Martines: «Volevo raccontarti un sogno che ho fatto stanotte».
Lui è seduto a gambe incrociate con il mento grasso appoggiato su un pugno e il gomito appoggiato sul polpaccio, guarda fisso la piccola isola fluviale che c’è di fronte a noi. Indossa il suo foilhat rinforzato con pece, che raddoppia la schermatura.
«Perché ti sei tolto il foilhat? Già senza pece serve a poco, se poi lo togli…» Mi risponde.
«Sì sì stavo sudando, l’ho appoggiato qui» Dico toccandolo con la mano.
Martinez non risponde e allora inizio a raccontare:
«Ero in un enorme campo di sabbia e cercavo funghi»
«Un campo di sabbia è una spiaggia?». Mi interrompe subito.
«Non si vedeva il mare, ero vicino ad una strada molto trafficata. Era come un campo coltivato a sabbia, ma la sabbia era umida come in una spiaggia.»
«Forse non vedevi il mare perché era lontano!» Si intromette Telonio che fino ad adesso era stato muto e di solito non mi contraddiva mai, ma questa volta aveva fatto un’osservazione pertinente.
«Aspetta sto raccontando. La sabbia era bagnata e a destra avevo la strada trafficata, a sinistra non vedevo nulla.» Faccio un attimo di pausa e rimaniamo tutti e tre in silenzio. Questo fiume sembra una palude e praticamente non c’è corrente.
«Sono in questo campo di sabbia e cerco funghi nascosti sotto la sabbia, ho delle buste di plastica ai piedi, sono in una pianura sconfinata. Immaginatevi tutto piatto come qui, ma molto più ampio: una pianura di sabbia bagnata e marrone e un cielo terso, le nuvole tutte della stessa forma, praticamente una texture ripetuta all’infinito e potevano essere le 17 dal traffico, ma le macchine scomparivano in fretta, le vedevo solo per un momento. Ecco forse c’era qualche hangar ai lati della strada.»
«Un hangar ci servirebbe per metterci dentro il dragster» Dice Martines. Pensavo che avesse smesso di ascoltarmi.
«Per ora ci basta il garage, non abbiamo i fondi per affittare un hangar che non serve» dico. «Proprio per questo stavo raccontando il sogno. Vi ricordate quel professore dell’università esperto di quel tipo di propulsione particolare, che non ricordo»
«Sì Màrin!» risponde, di nuovo, inaspettatamente, Telonio alzandosi il foilhat come se un getto di vapore gli fosse fuoriuscito dalla testa».
«Ah… te lo ricordi?» gli chiedo stupito.
«Sì, mi ricordo la sua conferenza. Ci hai detto che poteva essere utile al nostro progetto ma alla fine non abbiamo capito niente»
«Non è vero!» interviene Martines colpito nell’orgoglio.
 
La conferenza si intitolava “Propulsione ionica” o “Propulsione Idrica” o qualcosa di simile che ci faceva pensare a possibili applicazioni pratiche di una complicata materia teorica, tanto che si raccomandava la presenza solo ai cultori della materia. Noi naturalmente ci andammo lo stesso, perché cercavo tutto quello che serviva per il bene del progetto e poi avevamo vera esperienza pratica. Eravamo gli unici tre nella stanza ad indossare il foilhat, quello di Martines ancora non potenziato con pece, e tutti al solito ci lanciavano occhiate, sarebbe stupido non notarlo; eppure ci sembrava una cosa così ovvia: grandi concentrazioni di menti creano grandi concentrazioni di onde cerebrali appetitose, c’era qualcuno che di sicuro stava sbavando al pensiero di quegli eccellenti professori e dei loro cervelli allenati da migliaia di ore passate in biblioteca sui libri.
E Comunque non è vero che non ci abbiamo capito niente, dopo la conferenza Martines ebbe subito chiaro dove trovare la vernice per dipingere.
«Dopo la conferenza ho avuto l’idea per risolvere quel guaio alla trasmissione…» dice.
«Ah io ricordavo la vernice» rispondo.
«Certo sì anche quella»
«Comunque, fatemi finire di raccontare. Sono in questo campo di sabbia immenso con il cielo terso, forse il mare a sinistra e una strada trafficata a destra. Sto cercando funghi nascosti sotto la sabbia e ai piedi ho delle buste di plastica. A questo punto mi giro e alla mia destra c’è…». Faccio una pausa drammatica «…quel professore»
I miei compari rimangono in silenzio e tutti e tre ci mettiamo a fissare il fiume e a pensare al nulla all’unisono. Così allontaniamo quelli che vogliono succhiarci i pensieri, ci siamo allenati a lungo a svuotare la mente in sincrono e io mi rimetto finalmente il foilhat.
 
C’era una piacevole brezza nel campo di sabbia e sentivo lo stesso tepore che aveva sentito sulla pelle nuotando da solo in piscina a fine agosto, mentre i miei amici della vita precedente erano ancora in vacanza. Era la sensazione di stare finalmente andando alla deriva ed esserne felice. La sabbia umida non era fredda come la sabbia all’ombra, ma un manto caldo dorato in cui dormire insieme ai funghi.
Il professore indossava un giacchetto tecnico, da appassionato di montagna che vive in città e tra noi si era creata un’ottima sinergia lavorativa. Lui riusciva a capire dove si trovavano i funghi tastando la sabbia con le mani, aveva come un bio-radar nei polpastrelli; io gli andavo dietro scavando a mani nude tirando fuori quelli che sembravano dei piccoli chiodini, ma dall’odore di alghe. Non avevamo né strumenti per scavare né una cesta in cui metterli, li disseppellivamo per poi buttarli via, forse li disseppellivamo e poi semplicemente sparivano, non ricordo bene, ma i sacchetti in plastica ai piedi erano comodissimi; alle volte uno è felice di accontentarsi di ciò che ha.
Quegli hangar ai lati della strada non sembravano essere messi lì per caso. Forse Martines ha ragione, il garage non va bene per il nostro dragster, il nostro progetto definitivo che ci permetterà di lanciare un fortissimo segnale a tutti ha bisogno di più spazio, ma per ora abbiamo solo questo.
Martines ha montato su una carrozzeria di una Mercedes classe C degli anni ‘90 un motore di aereo che ha, incredibilmente in effetti, assemblato guardando gli aerei al piccolo aeroporto a due chilometri dalle nostre case. Io non ci ho capito nulla, lui dice che è semplicemente una questione di cavo rosso collegato alla presa rossa e cavo blu collegato alla presa blu, praticamente come disinnescare o innescare una bomba. Il motore è alto un metro e cinquanta ed è montato dietro, su una carrozzeria che originariamente aveva un motore anteriore. Ora l’auto è totalmente sbilanciata all’indietro e davanti ha due ruotine che abbiamo preso da una bicicletta; dietro ha invece due robuste ruote da trattore e l’abbiamo dipinta di giallo e verde acqua e all’interno c’è rimasto un solo posto a sedere.
 
«Alla conferenza c’era anche quello con la faccia lunga, forse l’assistente del professore» dice Telonio risvegliandomi dai miei pensieri.
«Io non ho niente contro di lui» mi affretto a replicare.
«Hai detto che non vorresti mai diventare come lui e che sembrava svuotato da ogni accenno di personalità e che non aveva idea di cosa voglia dire combattere tutti i giorni in prima linea contro le forze esterne che…»
«ma questo lo dite voi, io non ho nulla contro di lui, ce l’avete voi». Di sicuro non serve alla nostra causa.
Rimaniamo sulla riva del fiume ancora una mezz’oretta. Certe volte ho la sensazione che i miei due compagni non mi seguano del tutto. Certo Martines lavora senza sosta al dragster, Telonio sta nel suo ma quando c’è da fare una cosa la fa senza discutere; eppure manca a volte quella complicità che ci si aspetta da chi per ragioni più grandi è costretto a fare quadrato e reagire con tutte le proprie forze ai complotti del mondo esterno.
 
Prendiamo la nostra canoa tripla e iniziamo a remare per tornare a casa. Pagaiamo sincronizzati, io sto davanti, Telonio in centro e Martines dietro. Martines che è il più forte pagaia dalla parte opposta rispetto a noi, così riusciamo a mantenere la barra dritta. Originariamente questa canoa era a due posti, non sono neanche sicuro che ne esistano triple, ma siamo riusciti lavorando con attenzione a ricavare un terzo posto dietro fondendo un altro pezzo di plastica. Ora lo scafo è un po’ deformato ed ha perso parte della sua aerodinamicità. Ma nonostante tutto funziona bene e ormai abbiamo imparato a calibrare le nostre pagaiate per compensare la deviazione. Teniamo la canoa tripla di lato al dragster, il garage provvisorio è diventato il nostro laboratorio, anche se tutti  e tre nel profondo sogniamo un hangar.
 
È da tempo che progettiamo il test drive definitivo all’aperto. Un segnale da dare a Loro là fuori che noi ci siamo e siamo pronti. Martines ha creato una speciale miscela di carburante, mischiando benzina e detersivo per piatti che ne esalta le proprietà combustibili. Il nostro obiettivo è percorrere il quarto di miglio in meno di tre secondi e mezzo. Sarò io a guidare il veicolo nonostante sia anche l’elemento più prezioso. Martines è troppo poco agile per entrare dentro, Telonio è troppo gracile per resistere all’accelerazione. Io che sono una via di mezzo vado bene.
Ho deciso infine di coinvolgere il professor Màrtin nel test drive decisivo. Possiamo finalmente portarlo a capire che stiamo facendo sul serio, dimenticando per ora come ci guardava male in quella sala. Noi indossavamo il foilhat e ascoltavamo la conferenza interessati, ignorando l’ostilità di tutti quelli che avevamo attorno.
Telonio ha trovato l’indirizzo di casa del Prof sull’elenco telefonico, c’erano tre suoi omonimi così ha chiamato tutti e quattro, e quando rispondevano al telefono lui gli parlava del campo di sabbia che ho sognato. Solo uno non gli ha sbattuto subito il telefono in faccia.
Abita in una villetta a schiera in un quartiere periferico, ma moderno. C’è un bel viale davanti a casa sua, una strada larga in cui passano poche macchine di domenica mattina, quando ci presenteremo da lui col dragster. Con la sua espressione che immaginiamo di puro stupore e ammirazione, verremmo ripagati all’istante di tutto il lavoro fatto. Poi progettiamo di accendere il mezzo al centro del vialetto e io mi calerò all’interno dell’abitacolo, accenderò il motore e premerò l’acceleratore fino a raggiungere l’agognata velocità prestabilita, in quel quartiere residenziale dall’odore di erba tagliata.
 
Abbiamo trascinato il mezzo con delle funi per sette kilometri, la distanza dal garage alla casa di Màrin, per tutta la notte. È coperto da un telo grigio liso e sporco di grasso e l’abbiamo portato fino a qua perché non abbiamo altri mezzi se non la nostra forza interiore che in braccia e gambe ci ha fatto passare un sabato notte di fatica e penitenza. Mentre tiravamo la nostra macchina a motore, che pesa due tonnellate ed è sbilanciata all’indietro dal motore che fa attrito sul cemento e frena (Martines non è mai riuscito a non farlo toccare per terra è troppo grosso) pensavo che finalmente il mondo sta accettando il nostro trionfo e il foilhat in testa non era più un peso, l’ho sentito per la prima volta come una parte anatomica del cranio, crediamo che se c’è un’evoluzione nel prossimo futuro dell’uomo saremo tra quelli che ci si stanno avvicinando più di tutti.
Alle 6.30 del mattino siamo già appostati davanti al vialetto del professore con l’auto coperta dal telo logoro e aspettiamo.
«E se dice di no?» dice Telonio
«No a cosa?» chiedo
«Se non fosse contento della prova del dragster nel suo vialetto»
«Che dici? Non può rifiutare, questa è scienza e deve aiutarci. Poi la nostra visione è così potente e chiara che non può neanche pensare di dire di no»
«Sì è vero la nostra visione è chiara» mi fa eco Martines
«ecco bravo» dico «quando mi vedrete prendere velocità voltatevi per un secondo verso di lui e vedrete sul suo volto l’inconfondibile espressione dell’ateo che sta assistendo a miracolo: meraviglia e brividi di terrore per l’ignoto che ha davanti e non aveva mai considerato prima»
«Ok ci starò attento» dice Telonio.
 
Alle 8 vado a suonare il campanello e due cani dal giardino vicino iniziano ad abbaiare mentre percorro il vialetto, sento una scarica di energia e con un gesto deciso della mano gli intimo di smettere; entrambi smettono e se ne tornano alle loro cucce.
Arrivato davanti alla porta suono e dopo un minuto apre il professore con la faccia assonnata.
Prima che possa dire qualsiasi cosa lo fermo e gli dico: «Siamo noi, siamo qui per l’esperimento col dragster per il record di velocità su terra!»
«Cosa?» risponde lui apparentemente non capendo nulla.
«Quello è il dragster che abbiamo costruito, è arrivata l’ora di provarlo, vogliamo che lei ci assista!» e gli indico la macchina con gesto solenne.
«Eh? Chi siete voi?»
Allora mi spazientisco e lo tiro con decisione per la manica del pigiama «Venga! Non possiamo perdere tempo, dobbiamo dare a Loro un chiaro segnale!» gli dico con rabbia, ma decisione.
«Cosa fai! Aiuto!» Dice il vecchio.
Martines e Telonio lo immobilizzano e gli tappano la bocca mentre salgo sul dragster.
Il cruscotto dell’auto lo abbiamo mantenuto volutamente semplice, non ci sono comandi elettronici o controlli alla trazione o tergicristalli o impianti stereo; solo il volante, un bottone per accendere il motore dopo aver girato la chiave e poco altro. Non facciamo della semplicità uno dei nostri valori principali, ma in questo caso ci è servita a minimizzare gli errori.
Infilo la chiave e intanto faccio al professore il segno con la mano di guardare, mentre alcune persone, forse i vicini, si avvicinano forse attirate dai suoi lamenti.
 
Quando giro la chiave il motore si accende con un boato e sento un’ondata di calore attraverso il sedile che mi fa subito sudare; tutto l’abitacolo trema così tanto che quasi sento dolore. Premo sull’acceleratore e dopo un millisecondo di attesa il dragster parte con una fiammata che fa allontanare tutti i vicini accorsi lì, e anche Martines e Telonio si coprono la faccia. Mi sento subito schiacciato sul sedile di pelle, l’unico confort di questo abitacolo, mi si appanna la vista e la strada del vialetto sfreccia sotto le giganti ruote posteriori da trattore: funziona, il dragster funziona. Il tachimetro cresce ed il record di velocità si infrange, ora continuo a procedere vino alla fine del vialetto.
Naturalmente non ho fatto in tempo a fermarmi prima della curva alla fine del vialetto e sono finito fuori strada contro un muro di mattoni; l’auto è esplosa e sono finito a pezzi sugli alberi del vialetto.
Guardando il Professor Màrin ho riconosciuto nei suoi occhi un segno di approvazione.
   
 
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