Videogiochi > Ace Attorney
Segui la storia  |       
Autore: ChrisAndreini    27/09/2021    0 recensioni
L'unico obiettivo di Phoenix Wright, semplice garzone di paese, era raccogliere un sasso caduto dal cielo per avere l'occasione di sposare la donna che ama, e magari incontrare il padre che non aveva mai conosciuto nel frattempo. Non aveva mai messo in conto che tale roccia si sarebbe rivelata un brontolone irritante e irritato e che il suo regalo di compleanno e proposta di matrimonio sarebbe stato ricercato da tre principesse, una strega spalleggiata dal bicentenario padre, e un'aspirante regina con manie di grandezza. Se poi ci mettiamo in mezzo anche una pericolosa ciurma di pirati dei cieli, mercanti senza scrupoli e stregoni mezzi ciechi e molto abili negli inganni, si può dire con assoluta certezza che Phoenix avrebbe preferito restare a casa. Anche se l'avventura può pericolosa della sua vita può rivelarsi anche la più straordinaria e importante che affronterà mai. E chissà, magari si renderà conto che l'amore della sua vita potrebbe essere diverso da quello che pensava.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Franziska von Karma, Maya Fey, Miles Edgeworth, Phoenix Wright
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La chiamata all’avventura

 

Phoenix era corso dritto filato verso il muro, senza neanche prendere qualcosa da mangiare per il viaggio, o prepararsi con abiti più comodi. Non che ne avesse molti, dato che lui e sua madre non nuotavano certo nell’oro, ma forse avrebbe dovuto quantomeno prendere un pezzo di pane e una borraccia d’acqua.

Invece eccolo lì, all’entrata del muro, ovvero l’unica zona dove esso era crollato ed era quindi possibile attraversarlo.

Visto che era vietato farlo, per motivi sconosciuti, c’era sempre una sentinella di guardia, per evitare che qualche sprovveduto tentasse di superare il varco e andare dall’altra parte.

Era una vera e propria missione di vita, e la sentinella non si muoveva mai dalla sua posizione, neanche per dormire su un letto o andare in bagno. 

Dedizione estrema.

Nessuno conosceva il nome della sentinella, che in città veniva semplicemente chiamato il Giudice… e nessuno si spiegava l’origine di questo nome, quando potevano benissimo chiamarlo solo “Sentinella” o “Guardiano del muro”.

-Chi va là?- chiese il Giudice, un uomo calvo dalla lunga barba e una tonaca nera, strabuzzando gli occhi per cercare di vedere meglio il ragazzo che lo stava approcciando.

-Salve! Sono Phoenix, Phoenix Wright!- si presentò Phoenix, con un grande sorriso amichevole. Era certo che spiegando le sue motivazioni per attraversare il muro, l’anziano uomo l’avrebbe fatto passare.

Dopotutto l’amore è più importante di qualsiasi altra cosa, no?!

-Oh, il figlio di Patricia- lo riconobbe il Giudice, accogliendolo -Tutto bene, giovanotto? Come sta tua madre?- chiese, gioviale.

Bene, sarebbe stato più facile del previsto. Il Giudice sembrava una persona molto gentile. Ed era uno dei pochi in città che non lo aveva guardato storto una volta scoperto che era il figlio di Patricia Wright. Forse perché il Giudice era un tale eremita che neanche sapeva quanto fosse malvista in città.

-Mia madre sta bene. Sempre forte- rispose Phoenix, pensando a quanto ammirasse sua madre.

-Ottimo, ottimo, mi fa piacere. Perché sei qui? No, aspetta… non dirmi che anche tu sei qui per cercare di superare il muro!- improvvisamente, il volto amichevole del Giudice si fece freddo come la roccia, e si mise a protezione del muro in una perfetta imitazione di Gandalf, bastone compreso, che sembrava gridare “Tu non puoi passare!”.

Phoenix non aveva mai letto il signore degli anelli, e non esistevano film, quindi non capì l’antifona, e si limitò a grattarsi il retro del collo, un po’ imbarazzato e chiaramente colpevole dell’insinuazione.

-Beh, è vero, ma… un momento, hai detto “anche io”? Quindi è già passato qualcuno oltre al muro! Posso farlo a mia volta!- suppose, pronto già a superare il varco.

-Cosa?! No! Nessuno supera il muro! Io non ho mai permesso a nessuno di superare il muro, e non farò altre eccezioni solo perché tua madre… non farò eccezioni per te, come non ne ho fatte per nessuno- il Giudice lo tenne indietro con il bastone, che terminava con un martelletto tipo quello dei giudici, e gli lanciò un’occhiata dura.

-Ti prego! È per amore! Hai visto quella bellissima stella cadente che è caduta prima? Ho promesso alla donna che amavo che gliel’avrei portata, e se riesco a superare il muro e andare a prenderla riuscirò a sposarla! L’amore è più importante di tutto, vero?- Phoenix utilizzò tutte le sue doti Feenie, e gli occhi da cucciolo più on point che avesse mai fatto.

Il Giudice sembrò esitare per un attimo.

-Aww… beh, l’amore è…- ma non durò molto -…NO! Ho promesso sulla mia vita che non avrei più… mai permesso a nessuno di superare il muro, e non infrangerò di nuov… per la prima volta questa promessa! Forse dovresti comprarle un anello, se sei a corto posso prestarti un po’ di soldi, giovanotto- dopo un monologo duro e solo a tratti incerto, il Giudice tornò amichevole, e offrì supporto.

Phoenix non era tipo da fare gesti avventati come prendere la rincorsa e cercare di superare il muro… ma che dico, certo che Phoenix era un tipo che faceva gesti avventati come prendere la rincorsa e provare a scavalcare il muro, cosa che in effetti fece, senza alcun risultato se non una botta in testa con il martelletto del Giudice e un caldo invito a tornarsene a casa e andare a dormire.

Phoenix non si arrendeva tanto facilmente… ma forse avrebbe dovuto prendersi un po’ di tempo per pensare.

Salutò il giudice e decise di tornare a casa.

Dopotutto aveva una madre a cui chiedere chiarimenti.

 

Nel frattempo, dall’altra parte del muro, a molte miglia di distanza, al castello dei Fey, Mia stava preparando la valigia per partire alla ricerca della collana magica.

Sapeva di non avere molto tempo da perdere, e sebbene avrebbe volentieri passato almeno un giorno intero a piangere il lutto della defunta nonna, era anche intelligente abbastanza da capire che sua zia Morgan si stava già armeggiando per essere la prima a mettere le mani sul prezioso cimelio di famiglia.

Mia non aveva nulla in contrario a vedere sua cugina sul trono, e non voleva sedercisi lei a tutti i costi, anzi, avrebbe preferito poter cedere la corona a sua sorella Maya, ma purtroppo se Pearl saliva sul trono, il potere sarebbe passato praticamente a Morgan, e Mia non poteva permetterle di ottenere quel titolo. Una donna del genere, così egoista e ambiziosa, avrebbe finito per essere la rovina per il regno, soprattutto visto che si ostinava ad antagonizzare gli stregoni.

Quindi stava già preparando le valige, con Maya accanto a lei, che provava ad aiutarla.

-Dovremmo andare insieme. Avremmo più probabilità di farcela!- sua sorella stava provando a convincerla, decisa.

Mia era di tutt’altra opinione.

-No, meglio separarci, potremo coprire più terreno- insistette, prendendo le rune magiche che le avrebbero dato risposte su come trovare il magatama.

Erano ore che discutevano sulla questione.

-Ma ci stiamo dirigendo nella stessa direzione! E non voglio diventare regina. Sai benissimo che sei tu l’unica capace di assumere questo ruolo!- Maya si infiammò, enfatica.

In effetti logicamente avrebbe senso che le due sorelle decidano di lavorare insieme per battere l’ambiziosa zia, ma per motivi di trama, non posso farle partire insieme.

E poi, Mia aveva una pessima sensazione riguardo a zia Morgan.

-Appunto per questo nostra zia sarà molto agguerrita nel metterci i bastoni tra le ruote. Le sarà molto più difficile andare contro due persone separate piuttosto che contro un gruppo compatto- cercò di far ragionare Maya, che alla fine, dopo tanta insistenza, decise di cedere.

-Secondo me è una minaccia minore di quel che pensi. Dopotutto non può diventare regina, e Pearls è la bambina più dolce dell’universo, non si lascerà condizionare troppo- provò comunque a rassicurare la sorella, prendendo un altro sacchetto di rune da usare a sua volta, anche se non era grandissima esperta nell’usarle.

-Concordo che Pearl è un tesoro, ma non possiamo sottovalutare la minaccia di zia Morgan… ho una pessima sensazione al riguardo- ammise Mia, stringendo i denti, decisa a combattere al massimo delle sue possibilità per non deludere la fiducia che sua nonna aveva riposto in lei.

-Sì… capisco che intendi- ammise Maya, rabbrividendo leggermente tra sé.

Dopotutto non poteva essere una coincidenza che Morgan fosse rimasta l’unica figlia di Ami rimasta in vita.

E tutti sapevano quanto ambisse al trono. Durante tutta la malattia della madre, non le aveva mai fatto visita, con la scusa di doversi occupare degli affari regali e di non avere tempo.

Sia Mia che Maya sapevano con assoluta certezza che aveva passato la maggior parte di tale tempo seduta sul trono a ridere maleficamente.

E lo sapevano perché loro cugina Pearl era venuta a dirglielo, in quanto spaventata per la salute mentale della madre.

Il punto era che Morgan era sospetta, era crudele, e sarebbe stata una pessima regina, quindi Maya e Mia dovevano fermarla a tutti i costi.

-D’accordo, dividi et impera! Seguirò la tua strategia. Ma quando arriverò al magatama prima di te non lamentarti se non sarai regina- Maya fece una linguaccia alla sorella, e smise di aiutarla per farsi la propria valigia.

-Sì, sogna sogna… e comunque la strategia che intendi tu ha il significato opposto. Prendi lezioni di latino!- Mia prese in giro la sorella scompigliandole i capelli, poi chiuse la valigia e si preparò ad uscire dal castello.

-Il latino è noioso!- si lamentò Maya, affrettandosi a fare la propria valigia per non essere troppo in ritardo rispetto alla sorella.

Nonostante tutto, però, tifava ancora per lei.

Maya era convinta che Mia alla fine sarebbe salita sul trono, e sarebbe stata un’ottima regina.

…sì, lo sarebbe stata davvero.

E lo sapeva anche Morgan, che infatti aveva già iniziato a tramare nell’ombra per impedire alle due nipoti di prendere il magatama reale prima di lei.

Non si sarebbe sporcata le mani in prima persona, ma aveva già assoldato un mercenario per realizzare il compito.

Dopotutto non era neanche Morgan a dover toccare il magatama, ma sua figlia Pearl. Quindi poteva tranquillamente chiedere al mercenario di portarle la collana e aspettare al sicuro a palazzo, con sua figlia, la notizia del ritrovamento della collana, o di un misterioso incidente accaduto alle nipoti.

-Mamma, chi credi che vincerà?- chiese Pearl, avvicinandosi a lei nella sala del trono che aveva occupato abusivamente, e osservando fuori dalla finestra dove nonostante l’ora tarda, riusciva a vedere gli stallieri preparare due carrozze per le principesse in partenza.

-Tu chi vorresti che vincesse?- chiese Morgan, distrattamente, sperando che se ne uscisse con un ambizioso “Io! Voglio vincere io! Diventare regina, e farti governare al mio posto!”.

Invece Pearl rispose con un mite: 

-Sarebbero entrambe ottime regine! La mistica Mia è super intelligente e preparata. La mistica Maya è tanto dolce e divertente! Mi andranno bene tutte e due. Peccato non possano essere entrambe regine!- disse infatti, sorridendo nella direzione delle due carrozze.

Morgan si chiese come avesse potuto generare una bambina così poco ambiziosa, e così tanto diversa da lei.

Forse era solo piccola?

Lo sperò, perché non sopportava tale buonismo!

 

Mentre le principesse Fey si preparavano a partire, una giovane strega della stessa età della minore di loro aveva già fatto altrettanto, pronta alla sua primissima missione in solitaria, e una di vitale importanza, oltretutto.

Franziska von Karma non vedeva l’ora di dimostrare la propria perfetta preparazione, trovando la stella prima di chiunque altro e portandola a suo padre, in modo che tornasse giovane, potente, e potesse insegnarle ulteriormente.

Ma più di tutto, più della gloria, dell’ambizione, e del desiderio di perfezione, c’era una cosa che Franziska voleva ottenere: la libertà.

Era rimasta chiusa in quel solitario castello, a prendersi cura di suo padre, per buona parte della propria vita, e le uniche uscite che era riuscita a fare erano state al mercato, a prendere legna, o a cacciare.

Quindi l’occasione di stare via per qualche giorno era stata troppo ghiotta per rifiutarla, anche se sapeva di non poter perdere tempo e che doveva portare a termine la missione senza intoppi il prima possibile.

-La stella non si è ancora mossa, nonostante siano passate parecchie ore. Continua in quella direzione- la informò al voce di suo padre attraverso l’orecchino adibito a conversazioni che entrambi indossavano.

Franziska avrebbe voluto commentare che non serviva dare l’informazione ogni cinque minuti se tale informazione non subiva cambiamenti, dato che era dall’inizio del viaggio che suo padre le ripeteva le stesse cose, ma decise di non dire nulla, e si limitò a ringraziarlo per l’aiuto inutile.

Manfred l’aveva fatta partire in tutta fretta, senza neanche darle un po’ di cibo, e iniziava a sentire un certo languore.

Possibile che nella bisaccia di fortuna ci fossero solo coltelli perfetti per strappare il cuore alla gente, qualche ingrediente per le pozioni e… una sola moneta d’oro?! Per un viaggio intero?! Sarebbe riuscita a malapena a mangiare, non poteva neanche permettersi una stanza in un ostello con una singola moneta d’oro.

Decise di non pensarci al momento, avrebbe trovato una soluzione a tempo debito, e continuò per la sua strada riflettendo sulla missione, su come sarebbe stata la stella, su quanto facile sarebbe stato strapparle il cuore dal petto, e su cosa mangiare a colazione.

Sì, per lei erano pensieri di equo spessore.

L’ultima cosa trovò presto risposta quando notò una casa errante molto sfarzosa ferma sul ciglio di un prato, e un uomo dagli strambi capelli viola seduto davanti ad un fuoco che stava cuocendo a della carne che sembrava piuttosto pregiata.

A badare al fuoco, c’era un secondo uomo, e a giudicare dai suoi vestiti malmessi e dalla catena attorno al suo piede, era il servitore del tipo dai capelli viola, che si era letteralmente adagiato sugli allori in attesa del pasto.

Capelli colorati significavano una cosa, nel vocabolario di Franziska: stregoni.

Anche se il viola era molto meno potente dell’azzurro.

Si avvicinò decisa ai due uomini.

-Dammi un po’ del tuo cibo- ordinò, indicando la carne sul fuoco.

Il tipo dai capelli viola alzò la testa verso di lei e la guardò dall’alto in basso, affatto intimorito ma anzi quasi divertito.

-Ehm… no?- rispose, ridacchiando tra sé e facendo scintillare i gioielli che indossava -Gira al largo, ragazzina. Non faccio carità alle orfanelle- provò a scacciarla via.

Il suo servo la guardò con pietà, dispiaciuto per la situazione ma incapace di fare alcunché.

Franziska non sapeva quale dei due sguardi le desse più fastidio, dato che entrambi, in maniera diversa, la consideravano inferiore.

Prese la frusta e con un rapido gesto colpì il viola, che si ritirò sulla sedia, sconcertato.

-Cosa diamine…?!- chiese, sorpreso.

-Le regole della fratellanza tra stregoni impongono di offrire asilo a chiunque lo chieda, quindi se non mi dai del cibo ti dichiarerò guerra!- lo minacciò Franziska, stringendo con più forza la frusta in mano e iniziando ad emettere un’aura estremamente minacciosa.

Dopo un istante di shock, il tipo viola tornò tranquillo.

-Le regole della fratellanza tra stregoni impongono anche di presentarsi ed essere cortesi con altri stregoni- le ricordò, indicandole comunque la sedia davanti alla sua.

Franziska si sedette guardinga, soddisfatta però che le minacce avessero sortito il loro effetto.

-La cortesia è una perdita di tempo. Basta guardare uno stregone per capire se fa parte o no della fratellanza. E comunque a me non serve chiedere per conoscere il tuo nome, Redd White- diede prova delle sue doti percettive, che a causa della differenza di classe, lo stregone davanti a lei non riusciva ad utilizzare.

-Capisco… signorina…?- l’uomo provò ad ottenere il suo nome, ma Franziska evitò di dirlo. Era un vantaggio conoscere il nome di un altro stregone, e lei non voleva dare più informazioni del necessario.

Contava di mangiare, dargli un’altra frustata per divertimento, e poi tornare alla sua missione.

-Non sapevo esistessero ancora stregoni azzurri… ed io ne so qualcosa, dato che sono il principale informatore del regno. Dove ti eri nascosta tutto questo tempo?- chiese, adocchiandola con un certo interesse, ora che le carte erano state messe in tavola.

-Come informatore non sei granché, se non sai neanche della mia esistenza- lo sfidò Franziska, decisa a non dire niente.

-Alcune informazioni sono più difficili di altre da ottenere, ma vengono fuori, alla fine- lui non si fece intimorire.

Era chiaro che più che cercare l’origine della strega dai capelli azzurri, voleva capire come mai fosse uscita fuori proprio in quel momento, e sperava di farsi dire qualche informazione con delle domande dirette e un po’ di intimidazione.

Ma aveva sottovalutato Franziska, che sebbene fosse giovane, era anche estremamente ben addestrata, e una delle streghe più promettenti del regno.

No, anzi, la più abile, promettente, e perfetta!

Infatti non gli rispose, facendo partire una muta lotta di sguardi, mentre il povero schiavo continuava a cucinare la carne ormai quasi pronta.

-Franziska, ti informo che la stella non si è mossa quindi devi continuare nella direzione che stai prendendo- le arrivò la voce del padre all’orecchio.

Per fortuna la trasmissione era destinata solo alle orecchie di Franziska, un po’ come parlare con un auricolare.

Purtroppo, esattamente come un auricolare, una persona con un ottimo udito poteva ascoltare tutto comunque.

E Redd White non era un informatore a caso, ma perché aveva davvero un ottimo udito.

I suoi occhi si illuminarono quanto i gioielli che portava indosso.

-Una stella? È caduta una stella?!- chiese, eccitato alla notizia.

Franziska avrebbe voluto gridare a suo padre qualche insulto colorito, ma rimase impassibile.

-Non so cosa credi di aver sentito, ma per il tuo bene sarà il caso che te ne dimentichi- provò ad intimidirlo a sua volta, ma l’uomo rise sguaiatamente, ostentando maggiormente la sua ricchezza e facendo come se non avesse neanche sentito l’avvertimento.

-Questa sì che è un’informazione succulenta. Non so se venderla al migliore offerente o tenerla per me e cercare la stella per conto mio. Potrei vendere direttamente il cuore, o usarlo per mantenermi giovane. L’immortalità mi donerebbe- iniziò a riflettere ad alta voce, ignorando del tutto la sua ospite, che iniziò a fumare di rabbia. Si alzò di scatto, pronta a dirgliene quattro.

-Grazie, ragazzina, per questa succosa informazione. Come premio ti darò il pezzettino migliore- finalmente l’uomo sembrò accorgersi di lei, e la guardò come un gatto randagio in cerca di cibo che ha appena fatto una faccetta tenera. 

Okay, Franziska adesso questo l’avrebbe ammazzato!

…no, non era il caso di usare tanta magia solo per lui. Anche perché la sua percezione le aveva suggerito che non sarebbe molto poi così facilmente, nonostante fosse debole.

No, no, aveva piani migliori.

Riprese nuovamente la frusta in mano, e con un rapido e preciso movimento la avvolse attorno al collo dello stregone, che però non sembrò minimamente preoccupato alla prospettiva di essere ucciso.

-Su, su, non c’è bisogno di fare i capricci, e se provi ad uccidermi sarà solo il mio schiavo a morire- gli suggerì Redd, indicando il servo che infatti si era allarmato non poco alla vista della frusta attorno al collo del padrone.

Franziska non gli aveva dato molta attenzione, a dire il vero, ma dopo una breve occhiata capì che non era il caso di ucciderlo. Era una persona più importante di quanto apparisse.

Tornò a guardare l’uomo che teneva sotto scacco e che continuava a considerarla poco degna di attenzione.

-Non è mia intenzione ucciderti, anche se la tentazione è forte. Piuttosto, io ti maledico…- gli occhi di Franziska si illuminarono. Avrebbe sprecato un sacco di mana per quell’incantesimo, ma ne sarebbe valsa la pena.

-Cos..?!- Redd iniziò a preoccuparsi appena, non aspettandosi minimamente che la ragazzina davanti a lui sarebbe stata forte abbastanza da maledirlo.

-Sarai incapace di vedere la stella, toccarla, udirla, sentirne l’odore o rintracciarla in alcun modo. Potrà stare davanti a te, ma non te ne accorgerai nemmeno. Vivrai il poco che ti resta da vivere in una ricerca completamente infruttuosa!- lo condannò, soddisfatta dalla sua pensata.

Certo, sarebbe stato più facile ucciderlo, ma così avrebbe giocato psicologicamente con lui, facendolo sentire del tutto inutile.

Franziska non riusciva a concepire una tortura peggiore del fallimento di un proposito che si era imposta, quindi per lei cercare qualcosa senza avere la possibilità di trovarla, era il peggio che le potesse accadere.

Dopo l’incantesimo, che fluì dalla frusta fino ad avvolgere completamente l’uomo davanti a lei, egli cadde svenuto a terra, e Franziska ritirò l’arma, e si girò verso lo schiavo, che sorrideva malevolmente alla vista del proprio carceriere in difficoltà.

-Che pezzo di carne vuoi, giovane donna?- chiese, rispettoso, indicando la colazione che era ormai pronta.

-Tutto quanto, impacchettamelo- ordinò lei, sentendosi un po’ stanca.

L’uomo iniziò a preparare.

-Franziska, la stella non si è ancora mossa!- la informò suo padre dall’orecchino.

Franziska roteò gli occhi, stanca delle continue indicazioni inutili.

-Ho capito, sto andando!- si lasciò sfuggire, irritata.

-Non usare quel tono con me, signorina! Non riusciresti neanche a mettere due passi uno davanti all’altro se non fosse per me, senza le mie indicazioni saresti perduta…- come volevasi dimostrare, suo padre non prese affatto bene la risposta, e Franziska, cercò di ignorare la predica con irritazione sempre crescente, e la stanchezza che si faceva sentire, soprattutto a causa dello stomaco vuoto.

-Quanto ci vuole?- chiese allo schiavo, che le porse un pacchetto molto ben realizzato con la carne, un tovagliolo con una porzione da mangiare subito, e anche dei biscotti in una busta, che Franziska non gli aveva richiesto.

Lo guardò con sospetto, alzando un sopracciglio.

Lui le sorrise.

-Un piccolo segno di ringraziamento per quello che hai fatto- l’uomo rispose alla domanda implicita.

Franziska diede una veloce occhiata alla catena che lo teneva ancorato a quel padrone fastidioso. Probabilmente, con un altro po’ di mana, sarebbe riuscita a romperla e a liberarlo.

Sembrava un brav’uomo, di mezza età, Franziska era abbastanza convinta che avesse un figlio da qualche parte, ed era una delle ragioni che l’avevano spinta a non provare ad uccidere Redd White, dato che non aveva la minima intenzione di rendere qualcuno orfano.

Ma allo stesso tempo, lei non era una paladina di giustizia, non avrebbe liberato qualcuno solo perché le aveva dato dei biscotti. Aveva poca energia, una missione da compiere, e poco tempo da perdere in missioni secondarie, quindi prese il cibo, lo mise in borsa, e mangiò la carne preparata al momento in circa tre bocconi, dando le spalle alla casa mobile sfarzosa, e continuando per la sua strada.

Forse avrebbe dovuto maledire anche lo schiavo, dato che aveva l’informazione sulla stella, ma Franziska dubitava che avrebbe potuto fare qualcosa, intrappolato com’era.

Sperò, per il bene dell’uomo e dello stregone, che non li avrebbe mai più incrociati.

-La stella continua ad essere ferma, quindi procedi nella direzione indicata- le arrivò la solita voce di suo padre all’orecchio.

-Grazie dell’informazione, padre. Procedo- rispose servile.

La carne era davvero buona, e le aveva restituito un po’ di energia.

E la pazienza di ascoltare suo padre che ogni cinque minuti la informava che non c’era stato alcun cambiamento.

Le sapeva leggere anche lei le rune, perdiana!

 

Phoenix avrebbe voluto chiedere informazioni e consigli a sua madre nel momento in cui era rientrato in casa, la notte prima, ma dato che l’aveva trovata intenta a dormire, e mai nella vita avrebbe svegliato sua madre dal suo meritatissimo sonno, aveva deciso di attendere e andare a dormire a sua volta.

Purtroppo si era svegliato che era già mattina inoltrata, quindi aveva perso parecchio tempo che sarebbe stato utilissimo per trovare la stella.

Per fortuna quella mattina né lui né sua madre dovevano lavorare, quindi quando Phoenix scese vestito in fretta e sperando di ricevere le tanto agognate risposte, sua madre era al tavolo della cucina, intenta a leggere un libro mentre faceva colazione.

-Mamma! Buongiorno!- l’accolse, con entusiasmo, sentendosi super fortunato per averla trovata subito lì. Le andò vicino e le diede un bacio sulla guancia.

-Nicky, non ti ho sentito rientrare, ieri sera. Ti sei divertito?- chiese lei, guardandolo con affetto.

-Sai se qualcuno ha mai attraversato il muro prima d’ora?- Phoenix non perse tempo a farle la domanda che gli premeva dal giorno prima, e Patricia Wright per poco non si strozzò con le uova che stava mangiando.

-Perché mi stai facendo una domanda simile?!- chiese, sconvolta, dopo aver superato i colpi di tosse.

-Ieri sono andato dal Giudice, al muro, e sebbene insistesse molto sul fatto che nessuno fosse passato, si è lasciato sfuggire informazioni che mi inducono a pensare che in realtà abbia fatto passare qualcuno, una volta. Tu ne sai qualcosa? Il Giudice sembrava conoscerti- sebbene Phoenix non fosse considerato come una persona intelligente, in realtà era piuttosto percettivo, e non era affatto male nel fare due più due.

Patricia sospirò.

-Me lo chiedi perché pensi ne sappia qualcosa, o me lo chiedi perché sospetti sia io quella che è passata?- chiese, anticipando i dubbi del figlio, che la guardò un po’ timoroso, facendole intuire che sì, chiedeva proprio perché sospettava potesse essere lei ad essere andata dall’altra parte.

-E perché sei così interessato all’altra parte del muro?- Patricia quindi fece un’altra domanda, osservando con attenzione i movimenti del figlio per percepire ogni sfaccettatura, e capire quanto sapesse.

-Per amore!- la risposta che Phoenix diede, però, con grande enfasi, fu l’ultima che Patricia si sarebbe aspettata.

-Oh, cielo! Non dirmi che questa storia ha a che fare con Dahlia Hawthorne!- esclamò, irritata, portandosi una mano sul viso incredula.

-So che non ti piace! Ma è perché non la conosci! Dahlia è perfetta! E se le porto una stella caduta oltre al muro mi sposerà!- spiegò il ragazzo, riassumendo in poche parole il suo scopo oltre al muro.

La prospettiva del suo unico figlio maritato alla ragazza più falsa e inquietante del villaggio fece venire i brividi alla donna, che cercò di elaborare una strategia per distrarre Phoenix dal proprio proposito.

Alla fine, decise di condividere un segreto che si portava dietro da più di ventiquattro anni. Un segreto che sicuramente avrebbe tolto dalla mente ogni pensiero su stelle, mogli e regali. Purtroppo, l’avrebbe sicuramente portato oltre il muro, e Patricia avrebbe rischiato di non vederlo per lungo tempo. Ma almeno sarebbe stato lontano da Dahlia.

-Nicky… sono stata io a superare il muro, quasi venticinque anni fa, e sono rimasta per un paio di settimane nel mondo oltre ad esso- rivelò al figlio, che rimase a bocca aperta.

-Quindi eri davvero tu?!- Phoenix era incredulo, ma non completamente sorpreso -Perché l’hai fatto? Anche tu per amore?- iniziò ad indagare -Se era per amore puoi capirmi! Come hai convinto il Giudice? Puoi aiutarmi?- iniziò a pressarla per dettagli. Patricia lo fermò.

-Sono andata per un senso di avventura. Ero curiosa di conoscere le meraviglie al di fuori di Wall, così ho convinto il Giudice a farmi passare. Dubito fortemente che farà altrettanto con te. Quando sono tornata ero piuttosto ferita, ed è più convinto che mai che il muro sia estremamente pericoloso per noi. Non ha tutti i torti, ma… Nicky, non sono andata oltre al muro per amore, ma lì ho trovato l’amore…- alla fine, Patricia arrivò al momento che più temeva di raggiungere.

Phoenix pendeva dalle sue labbra, pieno di aspettativa, ma anche un po’ timoroso nello scoprire cosa volesse dire.

-…oltre al muro ho conosciuto tuo padre- ammise quindi la donna, sottovoce, chiedendosi se fosse la scelta giusta rendere Phoenix partecipe di tale segreto.

Il figlio era senza parole. Boccheggiava come un pesce fuor d’acqua.

-Mio padre…- riuscì infine a dire -… è oltre al muro?- 

I suoi occhi erano pieni di lacrime, la sua mente completamente distratta dal pensiero di Dahlia e della stella, grazie al cielo.

Patricia, con i lucciconi a sua volta, annuì, cercando di ricacciare indietro il groppo risalito in gola.

-Sì, lui… era un brav’uomo. È… un brav’uomo. Lo è ancora, solo… era imprigionato da un crudele stregone dai capelli viola. Ho cercato di liberarlo, ma quando lui se n’è accorto mi ha ferito, e sono stata costretta a scappare. Ho solo due ricordi che mi sono portata con me dall’altro mondo…- Patricia si alzò, e si avviò verso il mobile del salone, dove in un cassetto segreto conservava con cura i cimeli.

-È tenuto prigioniero?! Uno… aspetta, uno stregone?!- Phoenix non sapeva su cosa concentrarsi prima. Era tutto estremamente assurdo per lui. Non credeva avrebbe mai scoperto qualcosa su suo padre.

Non pensava neanche di averne uno, a dirla tutta.

Cioè… sapeva di avere un padre da qualche parte, ma non era del tutto certo che sua madre sapesse con certezza chi fosse.

Tutti la additavano sempre come una sregolata, dopotutto.

Mentre cercava di fare ordine nel suo cervello, sua madre tornò al tavolo, e gli posò davanti una spilletta dorata e una candela nera.

Phoenix osservò gli oggetti come se fossero magici… e forse, considerando i racconti di sua madre, lo erano davvero.

-Cosa sono?- chiese, sollevando una mano per toccargli, ma tirandola indietro nel timore di diventare un topo o qualcosa del genere.

-La spilla mi è stata data da tuo padre il giorno in cui ci siamo conosciuti. È un portafortuna, credo sia grazie a questa che sono sopravvissuta allo stregone- spiegò Patricia, prendendola in mano e rigirandosela tra le dita un paio di volte prima di porgerla verso il figlio, che la prese un po’ tremante.

-Sembra un girasole- commentò, osservandola meglio.

Quella spilletta era stata il primo regalo di suo padre a sua madre. Che cosa romantica!

Quasi quanto una stella cadente! 

Phoenix era sempre più deciso a portare una stella cadente alla sua amata! Anche se al momento il pensiero maggiore nella sua testa era riguardo al padre.

Chissà se un giorno sarebbe riuscito a rivederlo.

Patricia prese quindi la candela nera.

-Questa è una candela di Babilonia. Ha il potere di trasportarti in qualsiasi luogo tu voglia, basta pensare a dove vuoi essere portato, e verrai trasportato immediatamente lì. Puoi anche pensare ad una persona, o a un oggetto- spiegò Patricia, tenendola con cura e attenzione.

Era un oggetto molto, molto raro.

-Avremmo dovuto usarla per scappare insieme. Se non fossi nato tu, probabilmente l’avrei usata per tornare da lui e cercare di salvarlo, ma… non potevo lasciarti solo- Patricia guardò il figlio con affetto. Da tempo ormai si era arresa all’idea che non avrebbe mai più visto l’uomo che aveva amato. Tante volte aveva pensato di prendere la candela e controllare che fine avesse fatto, ma il timore di ciò che avrebbe scoperto l’aveva trattenuta.

E tante volte aveva pensato di dire a suo figlio del dolore che si portava dietro da venticinque anni, ma non aveva mai trovato il coraggio.

Ma ora Phoenix aveva espresso il desiderio di andare oltre al muro, e se proprio doveva andare, molto meglio andare dal padre perduto, piuttosto che alla ricerca di una stella caduta per una donna orribile.

Anche se… era davvero il caso di lasciare che Phoenix si imbarcasse in un’avventura del genere, con pericoli sconosciuti, e senza la certezza di trovare davvero suo padre?

Dai… magari non sarebbe voluto partire. Patricia sperò che riflettesse sulla storia, iniziasse a pensare a suo padre, e decidesse però di restare lì, al sicuro, lontano da pericolosi stregoni.

…conoscendo Phoenix, non c’era dubbio alcuno che decidesse di partire.

Ed infatti…

-Andrò io, mamma! Andrò da mio padre, lo conoscerò, e lo libererò dall’uomo che lo tiene prigioniero!- esclamò, con sicurezza.

Quantomeno non stava pensando a Dahlia.

-Phoenix, è pericoloso, non so neanche se tuo padre…- Patricia provò a dissuaderlo, ma quando suo figlio aveva quella luce determinata negli occhi, non c’era modo di farlo desistere.

-Userò la candela per andare da lui, lo libererò, e poi torneremo insieme da te. Hai fatto così tanto per me, è il minimo che io possa fare. E poi… vorrei davvero conoscere mio padre- Phoenix strinse la spilletta che aveva tra le mani.

Patricia sospirò, e gliela prese, per poi appuntarla al colletto della camicia, in un punto dove mancava un bottone.

-Stai attento, Nicky. Se ti senti in pericolo, in qualsiasi momento, usa la candela per scappare. Ti prego. Non posso perdere anche te- si fece promettere, guardandolo dritto negli occhi.

Phoenix annuì.

-Ti preparo una bisaccia con del cibo e qualche moneta d’oro. Non ne ho molte, ma dovrebbero bastarti per un alloggio- Patricia si alzò, e iniziò ad armeggiare in cucina.

Phoenix nel frattempo prese la candela. Sembrava irradiare potere.

Avrebbe incontrato suo padre!

Avrebbe davvero incontrato suo padre!!

Ma la candela l’avrebbe portato lì? E se suo padre non ci fosse più?

Era prigioniero di uno stregone, dopotutto. Phoenix non voleva pensare al peggio, ma era una possibilità.

Allora la candela dove l’avrebbe portato? Non avrebbe funzionato? O l’avrebbe portato nel luogo dove era seppellito? O da qualche altra parte, magari?

Mentre iniziava a farsi tantissime domande, e la sua mente vagava in mezzo ad infinite possibilità, sua madre tornò con una bisaccia pronta per un’avventura, e Phoenix la prese, cercando di non mostrare l’indecisione che iniziava ad assalirlo. Doveva provarci, per sua madre.

E con la candela poteva raggiungere il luogo oltre al muro.

-Sei sicuro?- chiese Patricia un’ultima volta, con una scatola di fiammiferi in mano -Forse dovrei venire con te-

-No, mamma! Andrò io. E tornerò presto!- le promise il figlio, guardandola con sicurezza, e stringendo sia la candela che gli oggetti che gli sarebbero serviti per il viaggio.

La spilletta dorata brillava sul colletto della sua camicia.

-D’accordo- Patricia fece per accendere il fiammifero, poi la candela.

E mentre questa operazione veniva effettuata, la mente di Phoenix non si fermò un attimo.

Sarebbe andato oltre il muro.

Avrebbe visto suo padre.

Suo padre era oltre al muro.

Oltre al muro.

Oltre al muro c’era la stella per Dahlia.

La stella?

Poteva andare a prendere la stella, già che si trovava lì.

Sì! Era un ottimo piano, prendeva la stella e…

Phoenix scomparve in un vortice di fuoco mentre formulava quel pensiero.

 

E a proposito di stelle, Miles, stella del cielo caduta sulla terra, ex membro di una costellazione poco conosciuta chiamata Edgeworth, si era svegliato da poco, dopo la sua dolorosa caduta, e a malapena era riuscito a mettersi seduto.

Intorno a lui c’era solo un enorme cratere provocato dall’impatto con il suolo… e la maledetta collana che lo aveva disturbato mentre stava osservando un processo alla corte inglese.

Miles la prese con una certa difficoltà, guardandola con attenzione, e grugnì infastidito riconoscendo il marchio dei Fey.

Non che avesse qualcosa contro la famiglia reale di Kurain, ma se avesse potuto scegliere un posto dove schiantarsi, se proprio ne doveva scegliere uno e non poteva restare nel suo bellissimo angolo di cielo, avrebbe preferito di gran lunga cadere in Giappone, e non in Inghilterra.

Conoscere il Samurai d’acciaio, e il Malvagio Magistrato che aveva osservato per anni dal cielo. Kurain era noiosa in confronto. Ed era anche molto più pericolosa per le stelle e per gli stregoni.

Miles iniziò a prendere dimestichezza con la gravità, le sensazioni che provava a terra, la visione da vicino, gli odori, i suoni… wow, era stranissimo essere sulla terra.

Indossò la collana, nella speranza che potesse rivelarsi utile per un qualche scambio, e provò ad alzarsi.

La sua gamba destra doleva in maniera terribile, così come il coccige, ma riuscì a mettersi in piedi, e tenersi in equilibrio.

Bene… iniziava a prenderci la mano.

Certo, avrebbe preferito di gran lunga restare nel cielo, e non avere a che fare con gli odiosi umani, ma finché non trovava un modo di tornare lassù doveva abituarsi e passare per umano anche lui.

Bene… un passo alla volta… sì, era naturale.

Beh, non ci si poteva aspettare altro dal grande Miles di Edgeworth. Era sempre stato una stella molto promettente.

I suoi esperimenti di camminata vennero interrotti da una luce accecante quasi quanto il sole che comparve all’improvviso esattamente sopra di lui, e prima che Miles potesse coprirsi gli occhi, o scansarsi, o insultare tale luce, da essa comparve un tizio, che gli precipitò dritto addosso, facendolo cadere a terra e urtare il già provato coccige.

Il primissimo pensiero di Miles, quando l’uomo gli cadde addosso, fu che poteva trattarsi di un’altra stella come lui, anche se era più unico che raro che due cadessero nello stesso periodo e nello stesso luogo.

Soprattutto di giorno.

Ma alla fine la luce e la caduta dal cielo erano degli indicatori piuttosto eloquenti.

Stava giusto per chiedergli da che costellazione venisse, quando la voce parlò, rompendo ogni sua aspettativa.

-Padre?!- chiese infatti il giovane uomo, con occhi brillanti e pieni di emozione.

No, non c’era possibilità che una stella fosse così stupida.

E sempliciotta, e con i capelli neri, e quell’aria così provinciale.

Miles conosceva quel giovane da pochi secondi, e già aveva deciso che lo odiava!

-Ti sembra che io potrei mai essere tuo padre?!- esclamò, facendo uscire la sua voce per la prima volta da quando era caduto, e scansando violentemente il giovane da sopra di lui.

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Ace Attorney / Vai alla pagina dell'autore: ChrisAndreini