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Autore: Nadine_Rose    29/09/2021    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
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Nella GIF, tratta dal film “Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey”, come immagino Sarah nel giorno della proposta di matrimonio.

 

Capitolo 53

 

Un matrimonio sbagliato

 

“Perché la mancanza d’amore è la mia pestilenza.”

Alda Merini, Quando tu non ci sei

 

Girava tra i tavolini della sala interna, nascondendo il dolore dietro una maschera di sorrisi forzati, mentre sfuggiva agli sguardi di quanti le volevano bene, conscia che, con il suo viso pesantemente truccato rispetto al solito e i suoi capelli privi di volume, giacché non aveva indossato i bigodini durante la notte, e acconciati con la riga dal lato opposto per camuffarvi il livido più marcato, avrebbe dato adito alla loro intuizione. Ma fu l’ombra di tristezza che le aleggiava attorno a richiamare l’attenzione dapprima di Davide.

Mentre in sottofondo suonava “Parlami d’amore Mariù”, di colei che era per lui come una figlia lo tenevano in apprensione le spalle ripiegate, l’incedere lento, i gesti incerti e quell’espressione che ricordava di averle già visto in un tempo lontano e che, adesso, attraverso il proprio sguardo inquieto, aveva anche Hannah intercettato.

Raccoglieva le ordinazioni Sarah, stringendo forte taccuino e matita per trattenere le mani dal tremare e, quando l’esecuzione musicale fu terminata, indirizzò gli occhi brucianti di sonno perduto e di lacrime che aveva ancora da versare verso il pianoforte.

“Dovresti provare prima tu a parlarle”, suggerì Davide a fior di labbro alla sua futura sposa, anch’ella preoccupata, pensando che con l’amica si sarebbe aperta più facilmente, mentre il bicchiere d’acqua che gli aveva porto rimaneva sospeso in aria dinanzi al suo volto.

Hannah assentì con un cenno del capo, soltanto a lui percettibile, ed entrambi si voltarono simultaneamente, mossi da un istinto empatico, ritrovando lo sguardo affranto di Sarah, per poi riprendere a parlarsi con gli occhi.

Fu l’angoscia che la logorava dentro, ripercuotendosi sul suo corpo e alterando la sua lucidità, a farle interpretare quel tacito dialogo fatto di sguardi intensi e di delicate movenze come un’ostentazione del loro amore e, intanto che guardava Davide raccogliere il bicchiere, la tristezza per l’altrui bene le si tramutò in un moto di stizza.

Con uno slancio improvviso, fuggì da se stessa, dalla constatazione del proprio fallimento e dai consequenziali sentimenti negativi, dirigendosi rapidamente verso i bagni col desiderio di nascondersi e, al contempo, di farsi trovare per ritrovarsi, tornando ad essere come prima.

Sbatté la porta alle sue spalle, sottraendosi agli sguardi attoniti del signor Gennaro e dell’addetto alla caffetteria e ai commenti di biasimo di qualche cliente intento a consumare al banco, distratto e infastidito dal suo scatto.

Aprì il rubinetto, poggiando il palmo di una mano sul bordo del lavandino in ceramica bianca con decorazioni floreali dorate in rilievo e il dorso dell’altra sulla fronte. Il suono dei singhiozzi trattenuti si fondeva con lo scrosciare dell’acqua, finché non lo interruppe un colpo deciso alla porta che fu aperta e lei si volse alla voce allarmata che aveva invocato il suo nome.

Come lavacro, le lacrime avevano sciolto il trucco, spazzato via la menzogna, rivelando i segni di un matrimonio sbagliato, la vera essenza di un uomo che Hannah credeva perfetto. Con l’amica, aveva sognato su quell’amore romantico, allontanandosi un poco alla volta dalle bruttezze del genere maschile conosciute nel postribolo di Mauthausen, prima che Davide le dissipasse per sempre. Mai avrebbe pensato di sorprenderla in un incubo, a confrontarsi nuovamente con la realtà della sofferenza.

E Sarah non poté scorgere commiserazione nei suoi occhi, giacché questi le restituirono il riflesso del proprio dolore. Come aveva con lei partecipato alla gioia, così ne avrebbe condiviso il pianto.

Per rispetto e turbamento, in punta di piedi e senza proferire parola alcuna, Hannah le si avvicinò e, dinanzi allo sguardo che comprovava il fallimento della propria vita e, al contempo, infondeva quell’affetto che, indurita da un recondito, inconfessabile sentimento d’invidia, aveva smesso di cogliere e accogliere, Sarah si commosse profondamente.

Sulla spalla amica, le lacrime non soffocarono, oltrepassando coi singhiozzi le spesse mura, sovrastando la musica allegra del pianoforte che Davide, adagio, interruppe, mentre fra i clienti in sala s’incrementava lo stupito mormorio.

Quand’egli, sospinto dall’apprensione che gli corrugava la fronte in un’espressione adirata, accorse celermente sull’uscio del bagno, il signor Gennaro era già lì, con le braccia incrociate, nella trepidante ma paziente attesa di comprendere l’accaduto che l’abbraccio di Hannah celava, tra l’intreccio dei loro capelli che ricoprivano il volto livido.

Scemando in respiri contratti, il pianto si quietò, mentre la voce spezzata di Sarah s’elevava nella confessione di una verità distorta che s’era imposta di credere per continuare ad amarlo. “Mi ha lasciato, Hannah”, si rivolse solo a lei, pur sapendo della presenza degli altri, “non è tornato a casa stamattina. È colpa mia.”

Soffocò in gola un singhiozzo ed eruppe in un sommesso grido d’aiuto rivolto, stavolta, a coloro che s’era scelta come figure paterne cui, per un attimo a loro bastevole, sollevando un po’ il viso, mostrò i segni della punizione per quello che credeva il proprio errore. “Io non sono una buona moglie”, sibilò.

Pensava, infatti, che, assumendosi la colpa, l’avrebbero aiutata a farlo tornare. A casa, ad amarla.

Padre di una figlia precocemente perduta e padre di una figlia femmina mai nata, Davide e Gennaro, che su Sarah riversavano il loro sentimento paterno di responsabilità e protezione, si guardarono in faccia, scambiandosi il medesimo sguardo. Generando un’emozione simile alla rabbia, in entrambi, eran vibrati l’amara delusione verso Matteo che avevan creduto fosse il marito giusto e il senso di colpa per avergli affidato quella figlia già duramente provata dalla vita. Ma solo uno gli avrebbe parlato.

 

“Ora che non posso più tornare

a quando ero bambina

ed ero salva da ogni male

e da te.”

 

Noemi, Glicine

 

   
 
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