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Autore: heliodor    30/09/2021    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Ricordi

 
Ros rotolò sul fianco sporcandosi il vestito e sputò sangue e il fango che aveva ingoiato quando Rezan lo aveva colpito e poi spinto a terra.
“Stavolta lo fai fatto proprio arrabbiare” disse Blenn chinandosi sopra di lui. “Faresti bene a sparire per un po’.”
“Blenn” ringhiò Rezan. “Vieni via e lascialo andare. Deve imparare la lezione.”
Ros faticò a rialzarsi. Scivolò due volte prima di riuscire a raddrizzarsi e quando fu in piedi, si accorse che il fango era entrato nella camicia.
Sospirò e si diresse verso casa. Quando arrivò davanti alla porta vide che suo padre lo stava attendendo.
“Non vorrai entrare in casa combinato a quel modo, spero” disse. “Le serve hanno appena pulito e io attendo ospiti.”
Da quanto ci stava osservando? Si chiese. E perché non è intervenuto per difendermi?
“Io” disse esitando. “Da quale parte dovrai passare?”
“Dal retro” disse suo padre. “Usa l’ingresso dei servi, dannazione.”
Ros chinò la testa e fece il giro della casa. Passò per il giardino circondato dalle siepi e sotto l’arco di legno che delimitava l’entrata che usavano gli inservienti che rifornivano le cucine di cibo.
Per tutta la strada cercò di sopportare il dolore alle costole e il fango che si era insinuato nella camicia e che a ogni passo colava verso il basso.
Tra poco raggiungerà le braghe, si disse. E quando dovrò toglierle sarà un bel problema.
Raggiunse l’ingresso sul retro e si appoggiò al pomolo della porta spingendo verso l’interno. L’ambiente successivo era immerso nella penombra rischiarata solo dal fuoco che ardeva in un forno.
I cuochi stavano mettendo delle forme di pane su di un vassoio di legno.
“Vai a prendere il resto della carne, Cralan” disse uno dei due senza voltarsi.
Ros sospirò e proseguì verso la porta opposta, scansando un tavolo pieno di frutta e verdura ancora da pulire e sbucciare.
“Dico a te, Cralan” disse il cuoco urlandogli alle spalle.
Ros si girò di scatto e l’uomo mutò espressione.
“Sei tu” disse con tono meno aspro. “Ti avevo confuso con il ragazzo che ci aiuta a portare dentro i sacchi.” Si girò verso il forno.
Ros ci pensò su per qualche istante e tornò indietro. “Che state preparando? Qui c’è da mangiare per almeno venti persone.”
Il cuoco gli rivolse un’occhiata perplessa. “Tuo padre ci ha ordinato di cucinare la cena per degli ospiti.”
“Non ne so niente.”
“E neanche noi, ma padron Chernin dice che si tratta di gente importante e non vuole fare una brutta figura.”
Ros capì che non avrebbe saputo di più e si diresse al livello superiore, dove in un baule trovò dei vecchi abiti e li indossò al posto di quelli sporchi. Per fortuna il fango non era penetrato a fondo e non dovette lavarselo di dosso, ma ricordò che il giorno dopo avrebbe dovuto ordinare alle ancelle di preparare un bagno caldo.
Limee, una di quelle che servivano nella casa di suo padre, venne a prendere gli abiti sporchi. “Ti sei rotolato nel fango?” gli chiese storcendo la bocca.
“Sì” disse senza guardarla. “Mi piace molto.”
“È stato Rezan, vero?” chiese lei con tono civettuolo.
Ros alzò la testa di scatto. “Te lo ha detto lui?”
“No, ma quando ti vedo con un nuovo livido so che è stato lui. E poi se ne vanterà presto. Lo fa sempre.”
“Con te?”
“Con tutti. Sappiamo che non gli vai a genio.”
Ros scosse la testa e uscì dalla stanza. Con gli abiti puliti addosso si sentiva meglio e poteva pensare con lucidità a ciò che voleva fare dopo quello che aveva scoperto alla locanda.
Aveva ancora nella tasca la lettera firmata da Varnado.
Con questa potrò andare via da qui, si disse. E non rivedere mai più i miei fratelli e mio padre.
Andò nella sua stanza e chiuse la porta a chiave. Solo allora si sentì al sicuro. Per qualche motivo Rezan e i suoi fratelli non entravano mai lì dentro.
Forse hanno paura dei libri sugli scaffali, pensò divertito. Devono vederli come qualcosa di misterioso e pericoloso, ma non c’è nessun pericolo nascosto in quelle pagine.
Si distese sul letto e prese la lettera di Varnado.
Il prossimo passo sarà andare a Ferrador, si disse. Ormai è deciso. Devo solo trovare il modo di dirlo a mio padre. Sarà contento di vedermi andare via? O si opporrò imponendomi di restare?
Se lo avesse fatto, Ros non era sicuro che l’avrebbe sopportato, ma nemmeno pensava di potersi opporre.
Devo solo trovare le parole giuste per convincerlo, si disse. Sono bravo con le parole, posso farcela.
Si alzò di scatto.
Ci andrò subito, pensò. Non ha senso rimandare oltre.
Ed era sicuro che se lo avesse fatto non avrebbe più avuto il coraggio di provarci.
 
Lo schiocco del legno che cedeva lo riportò alla realtà. Per un attimo, fissando il simbolo impresso sul lato della cassa era tornato ai suoi ultimi giorni a Cambolt.
Vedere quel simbolo aveva risvegliato il lui quel ricordo lontano di parecchie Lune, facendogli rivivere l’ultima volta che Rezan lo aveva maltrattato.
Non accadrà mai più, si disse. Da quel giorno ho imparato molto e sono diventato abile. Ho guadagnato il rispetto dei Talmist e dei Lormist e anche dei rinnegati come Marq e Belia.
Ma non di Valya.
Era dispiaciuto per quello che era accaduto alla sua spada, ma non lo aveva fatto di proposito. L’idea di usare i suoi poteri per guardare nel pozzo era buona e lei aveva aderito con entusiasmo.
Non potevo sapere, si disse. Non potevo immaginare. Se trovassi un modo per far tornare i poteri alla sua spada mi perdonerebbe? Forse la risposta si trova in una di queste casse.
Aveva deciso di aprirne una non appena le aveva viste.
Avrebbe dovuto tornare indietro e avvertire Nykka, ma era certo che se lo avesse fatto lei avrebbe insistito per lasciarle lì dove si trovavano e continuare la ricerca dell’uscita, che era il motivo per cui erano scesi nei sotterranei della fortezza.
Ma Ros era sicuro che quelle casse fossero state messe lì per qualche motivo. E quel motivo poteva essere importante quanto la loro ricerca dell’uscita.
Potrebbe aiutarci, si disse. Chiunque le abbia messe qui lo ha fatto molto dopo che la fortezza era stata abbandonata dai suoi primi occupanti, quelli i cui libri erano diventati polvere da secoli, se non millenni.
Il ricordo di quei libri lo affascinava e lo atterriva allo stesso tempo.
Si chiedeva cosa avessero contenuto, quale sapienza era andata persa per sempre senza poter essere recuperata. Allo stesso tempo, si domandava cosa contenessero di così prezioso da dover essere custoditi in quei sotterranei senza che nessun altro potesse leggerli se non un piccolo gruppo di persone.
Non riusciva a decidersi se quella fosse una grave perdita o uno scampato pericolo.
E forse non lo saprò mai, si disse. Ma posso scoprire cosa contengono queste casse.
Il legno venne via e poté scrutare all’interno. Sistemate in piccoli involucri circondati dalla paglia, la cassa era colma di sfere di terracotta. Ognuna di esse era grande quanto il suo pugno, forse un po’ di più ed era leggera.
Quando ne prese una in mano e la soppesò ebbe l’impressione che fosse vuota. Non c’erano aperture né qualcosa che facesse sospettare che potessero essere aperte o afferrate.
Su uno dei lati era impresso un simbolo, una A rovesciata di lato simile a quella che aveva visto nel livello superiore. Tutte le sfere avevano un simbolo di quel genere.
Ne prese due e le infilò nella borsa a tracolla. Si diresse alla cassa vicina e l’aprì. Anche questa aveva un simbolo, una croce inscritta dentro un cerchio.
Al suo interno, le stesse sfere di dimensioni uguali, ognuna con il simbolo di una croce dentro un cerchio. Prese due sfere anche da quella cassa e passò alle successive.
Dopo qualche tempo aveva accumulato una dozzina di sfere al centro del pavimento e altrettante nella sua sacca a tracolla.
Ne prese una e la sollevò per guardarla meglio. Il simbolo impresso era una coppia di D rovesciate ed era simile a uno di quelli che si trovavano sulla spada di Valya.
Potrebbe essere quello che sto cercando, si disse.
Fu tentato di tornare subito da Nykka e Valya ma ci ripensò.
Diamole un altro po’ di tempo per calmarsi, si disse. Se tornassi ora da lei, potrebbe accogliermi in malo modo. O cercare di nuovo di colpirmi.
Prese la sfera di terracotta e la mise nella borsa accanto alle altre assicurandosi che non si rompessero. Quando ebbe finito riprese la lampada a olio e controllò quanto ne fosse rimasto all’interno. Facendo due rapidi calcoli stabilì che ne aveva ancora per mezza giornata prima di dover ricaricare il serbatoio che alimentava la fiamma. Nella sacca aveva due ampolle piene di olio che equivalevano a una carica di una giornata ciascuna.
Ce n’è abbastanza per tornare indietro, si disse prima di allontanarsi dalle casse e avvicinarsi al primo dei tre condotti che si diramavano dalla sala.
Tutti e tre affondavano nella pietra con una lieve pendenza verso il basso. Quello al centro era più stretto degli altri due, ma poteva comunque consentire il passaggio di tre persone affiancate.
Rimase a fissare i tre ingressi per qualche istante, facendo oscillare la lampada mentre la passava da una parte all’altra.
Fu allora che colse qualcosa impresso nella roccia.
Facendo ondeggiare la lampada le ombre erano oscillate allo stesso modo, rivelando un segno scolpito nella pietra a destra di ciascun ingresso.
Incuriosito avvicinò la luce per esaminare ciascuno di essi. Il primo era un simbolo simile alle due D rovesciate. Il secondo era formato da due triangoli collegati per le punte e il terzo era la croce inscritta nel cerchio che aveva trovato sulla prima cassa che aveva aperto.
Potrebbe essere un caso? Si domandò. Lo stesso simbolo sulla cassa e vicino a questo condotto.
Sostò incerto davanti al condotto centrale, domandandosi se non si stesse solo immaginando tutto, ma il pensiero che quei simboli non fossero casuali ma che indicassero qualcosa di importante lo tormentava.
È un segno, si disse. E sarei stupido a non seguirlo.
Imboccò il cunicolo con passo deciso e lo percorse fino in fondo, arrivando a una piattaforma che sembrava sospesa su di un anfiteatro scavato nella roccia.
Da quell’altezza non riusciva a capire quanto fosse ampio, ma la luce della lampada non riusciva a rischiarare il soffitto che si perdeva nel buio.
La piattaforma aveva ai lati due scale scavate nella roccia. Ros prese quella di destra e avanzò nel silenzio rotto solo dai suoi passi sulla pietra.
Mentre scendeva ricordò quella sera in cui aveva parlato a suo padre della sua intenzione di lasciare Cambolt e andare a Ferrador.
 
“Perché vuoi andare in quel buco puzzolente?” chiese suo padre con espressione disgustata. Sedeva sulla sua sedia imbottita preferita mentre beveva del vino da una coppa.
Ros era in piedi e lui non aveva pensato di invitarlo a sedersi anche se c’erano altre quattro sedie libere davanti al focolare che ardeva.
“C’è una importante accademia” disse.
Suo padre aveva grugnito qualcosa. “Ci sono accademie ovunque. Perché proprio lì e non altrove? Hai un motivo particolare?”
Ros si strinse nelle spalle. “Se tu non sei d’accordo…” iniziò a dire.
Suo padre ghignò. “Vuoi che sia sincero, Rosen? Aspettavo questo momento. Parlo del giorno in cui avresti lasciato questa casa e il villaggio e saresti andato per la tua strada.”
Ros lo fissò stupito. “Tu sei contento che vada via?”
“Io sono contento che finalmente tu abbia capito che non sei mai stato un Chernin e mai lo sarai. Pare che finalmente tu l’abbia capito.”

 
  
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