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Autore: Roberto Turati    01/10/2021    0 recensioni
Una serie di racconti brevi ambientati alla fine di The Witcher 3, dopo il finale in cui Ciri diventa l'imperatrice di Nilfgaard, e in seguito a Blood & Wine.
 
Fulbert di Mag Turga è un giovane strigo della Scuola della Manticora che viaggia e lavora con quattro mostri i quali, per vari motivi, sono finiti per diventare suoi colleghi e amici. In onore del suo eroe Geralt di Rivia, si chiamano "i Guardiani degli Innocenti". Tra un contratto e l'altro e nel suo vagabondare, Fulbert è alla costante ricerca della manticora che attaccò il suo villaggio e uccise i suoi fratelli anni prima, quando lui stava ancora allenandosi per diventare uno scannamostri...
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LA STREGA NON MORTA

Dopo il loro lunghissimo viaggio al Sud e il loro incontro con la driade Daénn, i Guardiani degli Innocenti erano finalmente tornati nella zona dell’Aedirn che, in un certo senso, consideravano una casa: i dintorni della grotta della succube Aurora. Trascorsi alcuni giorni di riposo nella caverna con la loro amica dai capelli rossi, lo strigo aveva proposto di accettare un nuovo contratto al paese vicino, Cava Triste. Trovò subito un lavoro che lo intrigò: un mostro che attaccava i carretti del cibo che andavano e venivano e minacciava i pastori. Dopo aver fatto le dovute indagini in giro per le colline boscose attorno a Cava Triste, lo strigo giunse alla conclusione che dovesse trattarsi di un dragonide, anche se non era stato in grado di identificare la specie con esattezza. Di certo non era un basilisco, né una coccatrice, perché non lasciava penne in giro. Magari era un codabiforca. In ogni caso, usò le tracce e le posizioni dei luoghi dove il mostro aveva colpito per restringere la zona di ricerca, fino a trovare il suo territorio. In quel momento, i Guardiani degli Innocenti si trovavano in cima alla collina che avevano scelto come campo di battaglia e Fulbert stava legando ad un albero la pecora che avevano comprato da uno dei pastori come esca. Per rendere il tutto più efficace, lo strigo fece un taglio poco profondo nel fianco dell’animale, così il mostro sarebbe stato attirato dall’odore.

«Molto bene, ragazzi, sarà qui da un momento all’altro» annunciò.

Il gruppo iniziò a scendere dalla collina per nascondersi nel bosco alla base, ma poi Fulbert si accorse che Gurg stava fissando la pecora con aria un po’ mesta e un po’ arrabbiata. Capendo perché, lo strigo alzò gli occhi al cielo e apostrofò il troll, alzando un dito:

«No! Non ci provare, eterno affamato, non ho alcuna intenzione di sistemare un casino come quella volta con la scaltrocertola di Sodden»

«Ma pecora buona!» si lamentò Gurg.

Laurent si grattò il fianco con la zampa posteriore e scherzò:

«Gurg, dovresti fare come me, hrrrrrrrr: quando vuoi mangiare una cosa che non devi, pensa a bere. Con me funziona anche se sono un uomo-lupo, ehehehe»

Il troll lo prese alla lettera e rimuginò ad alta voce:

«Ooooh, pecora buona, ma spirito di nani di più! Sì! Gurg no più fame»

«Bravo. Adesso appostiamoci» esortò Fulbert.

Una volta che tutti e cinque si furono nascosti nel sottobosco, Fulbert ripassò la strategia a bassa voce mentre beveva una fiala di Tuono per diventare più forte:

«Allora, facciamo come al solito: Willy lo tiene disorientato con le bombe e Gurg lo butta giù. Poi io e Laurent ci facciamo avanti per finirlo. Aleera, tu devi distrarlo, toccata e fuga, non devi lasciargli un secondo di respiro. Siete tutti sul pezzo?»

«Tutto chiaro» annuì la bruxa.

«Io ho una domanda» alzò la mano Willy.

«Ti rispondo solo se è una domanda utile, altrimenti lascia stare» sospirò lo strigo.

«Allora lascia stare» ridacchiò il godling.

I Guardiani degli Innocenti rimasero in attesa per più di un’ora. Una gentile brezza faceva ondeggiare le fronde degli alberi verso Ovest e il bosco era pieno di versi e richiami che risuonavano ovunque. Fulbert intrise la spada d’argento di unguento anti-dragonidi. Quando gli uccelli cantavano, Aleera si metteva ad ascoltare i loro cinguettii con un sorriso rilassato, come se stesse ascoltando una melodia. Anche Willy seguiva le “chiacchiere” degli uccelli, ma lo faceva con malizia, come uno spione che origlia i discorsi altrui. Gurg, invece, si distrasse ad impilare sassi per improvvisare delle “sculture”. Alla fine, fu Laurent ad allertarli, annusando l’aria:

«Sta arrivando qualcosa: puzza di lucertola e sangue»

«Perché, le lucertole hanno un odore?» rise Willy.

«Tutto ha un odore, petit idiot! Dubiti del mio naso?» si stizzì il licantropo.

Un’ombra fulminea sfrecciò sulla collina e la pecora iniziò a belare e dimenarsi, spaventata. Subito dopo, una creatura alata ricoperta di scaglie, con le zampe da aquila e un lungo muso ornato da quattro corna da ariete si precipitò sull’esca, sgozzandola in un istante con un morso e tenendola ferma con una zampa.

«Una viverna reale. Interessante» commentò Fulbert, sguainando la spada d’argento.

«Io vado, la distraggo» avvisò Aleera.

La bruxa si trasformò nella sua forma vampirica e diventò invisibile. Udendo il leggerissimo rumore dei suoi passi, Fulbert la percepì scalare la collina in un battito di ciglia e, subito dopo, nel fianco della viverna si aprì una profonda artigliata. Il draconide ruggì di sorpresa e scattò sull’attenti, con le ali sollevate. Si guardava intorno e lanciava grida di avvertimento. Con un cenno, lo strigo ordinò ai compagni di iniziare la lotta. Willy si arrampicò su un albero a metà della scarpata, caricò una stella danzante nella fionda e iniziò a mirare. Ma, prima che lanciasse la bomba incendiaria, Gurg gidò:

«No tocca pecora! Gurg vuole pecora! Aaaaaaaaaah!»

La viverna reale si voltò, incuriosita, mentre il troll delle rocce si inerpicava su per il colle lanciando l’urlo di guerra gorgogliante, con un pugno alzato. La viverna iniziò la carica, ma Aleera intervenne graffiandolo sul collo. Mentre il mostro sussultava, Gurg lo raggiunse e sferrò un pugno devastante, facendolo stramazzare a terra. Il troll alzò le braccia per schiacciare la testa della viverna, ma la creatura si alzò subito e lo colpì con le corna, facendolo cadere sul dorso. Allora la viverna reale gli saltò addosso e iniziò a morderlo e graffiarlo sulla pancia morbida, strappando urla di dolore a Gurg mentre il troll si dimenava.

«Fulbert, tiro?» chiese Willy, un po’ indeciso.

«Sì! Subito!» esclamò lo strigo.

Il godling prese la mira e lanciò la stella danzante. La bomba incendiaria colpì il dorso della viverna, che prese fuoco all’istante. Stridendo e scalpitando, il rettile lasciò perdere Gurg e cominciò a correre e rotolarsi in preda al panico e al dolore, cercando di spegnere le fiamme. Il troll rimase lungo disteso, esausto e con l’addome pieno di graffi. Fulbert e Laurent si fecero avanti: quando le fiamme iniziarono a spegnersi, il licantropo si gettò sulla viverna con le zampe tese e le fauci spalancate, azzannandole la gola e stringendo con un ringhio. La viverna iniziò a saltare aiutandosi con le ali e a schiantarsi a terra per sbattere Laurent al suolo e toglierselo di dosso, ma il lupo mannaro resisteva. Fulbert approfittò della distrazione della bestia: appena il dragonide gli rivolse il fianco dall’angolatura giusta, prese la rincorsa e le trafisse il torace con un affondo. Quando sfilò la spada d’argento, la viverna gli ruggì in faccia e reagì con una testata. Lo strigo si protesse col segno Quen: l’onda d’urto dello scudo magico fece barcollare la viverna, mentre Laurent la morse in un punto più delicato del collo. Prima che il rettile ritrovasse l’equilibrio, Aleera gli ferì una zampa con una rapida artigliata e il mostro cadde su un fianco; il licantropo fu costretto a mollare la presa, per non farsi schiacciare.

«Finitela!» esclamò la bruxa, tornando visibile.

Fulbert annuì e si preparò ad infliggere il colpo di grazia, ma la viverna si rialzò di colpo e fece una rapida giravolta, travolgendo lo strigo con una frustata della coda. Fulbert fu gettato a terra e la viverna iniziò subito a zoppicare verso di lui, furiosa.

«Lampo in arrivo!» gridò Willy, dalla sua postazione.

Capendo il segnale, Fulbert chiuse gli occhi mentre il godling gettava una bomba samum. Il lampo accecò la viverna, che iniziò a colpire a vuoto. Lo strigo si alzò, pronto a ritentare col colpo finale, ma fu preceduto: sentì l’urlo di Gurg, si voltò e vide che il troll era tornato in piedi, furibondo. Prima che la viverna capisse come attaccare, il troll le sbatté due potentissimi pugni sul muso, facendola stramazzare sull’erba.

«Bravo, bestione! Fatti valere!» lo incoraggiò Fulbert, con un sorriso compiaciuto.

«Lucertola con ali ruba pecora! Gurg voleva pecora!» si lamentò il troll.

Si affiancò alla viverna rintronata, le afferrò le ali e iniziò a strattonarle, tenendo fermo il corpo premendoci contro un piede. Il dragonide gemeva e si dimenava, ma era bloccato. Gurg tirò e urlò dallo sforzo finché, con un grosso schizzo di sangue, le ali della bestia non si strapparono dalle spalle. La viverna reale sbarrò gli occhi e rantolò, prima di chiudere lentamente gli occhi e lasciarsi andare. La caccia era finita.

«Ben fatto, ragazzi» disse Fulbert, rinfoderando la spada.

«No bene, Gurg ferito e arrabbiato» borbottò il troll.

Fulbert fece spallucce:

«Niente di grave, l’abbiamo uccisa lo stesso»

«Pecora rovinata!»

«Possiamo trovare qualcos’altro, non farne un dramma, hrrrrrrr» lo confortò Laurent.

Fulbert si inginocchiò accanto alla carcassa della viverna e prese il pugnale per tagliarle la testa, così l’avrebbe portata al villaggio per dimostrare che aveva compiuto la missione. Quando ebbe finito, disse ai suoi amici di riposarsi pure, mentre lui andava a riscuotere il compenso.

Nonostante il nome del villaggio, l’atmosfera a Cava Triste era piuttosto allegra. In particolare in quel periodo autunnale: mentre attraversava il centro abitato con la testa della viverna reale appesa alla sella della cavalla, Fulbert vide molte persone decorare le case e le stradine per una festa e si accorse che gli sguardi e i toni delle persone erano spensierati. A malapena si voltavano per guardarlo passare col trofeo della sua caccia, il che era una novità. Essendo passato quasi un anno dall’ultima volta che era entrato a Cava Triste, Fulbert non riusciva a capire cosa stesse succedendo, così sfruttò il suo udito da strigo per cogliere dei dettagli dalle conversazioni. Alla fine, quando ascoltò una vecchia che raccontava una storia ad un gruppo di bambini radunati davanti a lei, capì: si stava avvicinando l’anniversario della morte della strega che i primi abitanti del villaggio avevano impiccato generazioni prima, un evento che, per qualche motivo, veniva celebrato come una festività.

“Be’, a ciascuno i suoi svaghi” pensò.

Alla fine, raggiunse la casa dell’aldermanno, il vecchio Sensien. Fulbert lo conosceva: avevano avuto a che fare l’uno con l’altro per la prima volta nel periodo in cui i Guardiani degli Innocenti avevano deciso che quella zona dell’Aedirn sarebbe stata il loro rifugio invernale. Lo strigo aveva salvato Aurora dal linciaggio da parte di mezzo paese perché, a causa della sua eccessiva lussuria, aveva fatto venire un infarto ad un giovane. Dopo una lunga e delicata trattativa, Fulbert era riuscito a convincerli a risparmiarla, tra qualche chiarimento sulla natura delle succubi e un risarcimento ai parenti del morto per la perdita. Da allora, il vecchio Sensien aveva mostrato un certo interesse e simpatia per lo strigo dai capelli rossi. Fulbert non aveva mai capito perché, ma non si lamentava: era raro piacere a qualcuno, col suo lavoro. Scese da cavallo e andò a bussare alla porta. Poco dopo, venne ad aprirgli l’aldermanno: nonostante la terza età, le grinze della pelle e i capelli riccioluti e la folta barba completamente bianchi, dava sempre l’impressione di essere pieno di energia, soprattutto grazie al suo sguardo vispo, e teneva sempre un sorriso simpaticissimo che era quasi contagioso.

«Bentornato, Fulbert. Hai finito il lavoro?»

Lo strigo annuì e indicò la cavalla:

«Era una viverna reale. Adesso le vostre pecore staranno tranquille»

«Perfetto! Entra, ho preparato le corone per il tuo contratto»

Fulbert lo seguì nell’abitazione spartana, ma tenuta in perfetto ordine. In ogni angolo e su ogni mensola, erano sistemati dei libri: Sensien era un lettore accanito, l’ultima volta che lo strigo l’aveva visitato gli aveva spiegato che cercava sempre nuovi tomi che insegnavano e spiegavano le vite e i comportamenti dei mostri, nonché la storia e le arti degli strighi. Quella volta, Fulbert aveva capito perché il vecchio era così affabile con lui dalla vicenda di Aurora: era già interessato agli scanna-mostri e aveva superato i pregiudizi e la disinformazione delle masse su di loro, quindi fare “amicizia” con uno di loro doveva essere stata un’occasione unica per lui. Era bello sentirsi apprezzati.

«Ecco a te, seicento corone per la viverna» disse Sensien, porgendogli un sacchetto di monete preso da un forziere.

Fulbert intascò la ricompensa e ringraziò con un cenno. Prima di andarsene, però, gli venne voglia di informarsi un po’ di più sulla tradizione unica di Cava Triste. Così, quando Sensien si sedé al tavolo, lo strigo appoggiò la schiena al muro con le braccia incrociate e chiese:

«Posso chiederti una cosa? È giusto una curiosità»

«Chiedi pure»

«Ho notato che di fuori stanno tutti organizzando una sorta di festa per quella strega di cui sento parlare spesso, quando torno qui. Ormai sono curioso, cosa c’è dietro? Perché è così importante? Voglio dire, al mondo ci sono state tantissime donne che sono state impiccate perché la gente era troppo superstiziosa, cos’ha questa di speciale?»

Sensien scosse la testa:

«Ah, ma in questo caso non c’era nessun errore! Vuoi sapere la storia della strega di Cava Triste? Sarò lieto di raccontarti la storia che si tramanda a tutti gli abitanti da generazioni»

«Sentiamo»

«I nostri fondatori scoprirono una perfida strega che si nascondeva tra loro: un essere maligno travestito da donna innocente. Invocava il malaugurio e sputava sul nome dei nostri morti fingendo di parlare per loro. In realtà, lanciava sortilegi per portare sventura sul villaggio; così il mio capostipite, il primo aldermanno di Cava Triste, ordinò di farla impiccare. Se solo fosse stato così facile! Prima di morire, la strega lanciò una maledizione: i paesani che l’avevano voluta uccidere non avrebbero mai trovato la pace da morti e ogni anno, il giorno in cui l’avevano appesa per il collo, sarebbero usciti dalle tombe per massacrare i loro discendenti ancora vivi»

Fulbert fece una smorfia sardonica:

«Non avete mai pensato di assumere uno strigo? Ce la caviamo con le maledizioni»

Sensien non nascose una risatina divertita. Dopo la battuta, lo strigo chiese:

«Comunque, è la prima volta che sento una maledizione che fa risvegliare i morti e li istiga. Se succede tutti gli anni, trovo strano che siate così tranquilli e prosperosi»

A quel punto, il vecchio aldermanno gli lanciò un’occhiata confusissima: era come se stesse cercando di capire se Fulbert scherzasse o dicesse sul serio. Fulbert si stranì per quella reazione quindi, dopo alcuni secondi di silenzio imbarazzante, chiese:

«Che c’è?»

«Non dirmi che ci hai creduto sul serio!» si augurò Sensien.

«Aspetta, non è vero?»

A quel punto, il vecchio batté le mani e scoppiò a ridere, al punto che dopo un po’ ebbe un attacco di tosse:

«Per gli dèi! Uno strigo superstizioso! Credevo che stessi scherzando, Fulbert»

Lo strigo si sbatté le mani sui fianchi e levò gli occhi al cielo:

«Nel mio lavoro, i fantasmi e le maledizioni simili a questa sono comuni! Come facevo a sapere che questa è solo una storia locale? A meno che non ci sia il solito fondo di verità che ormai avete dimenticato»

«No, no, è un racconto che i genitori di Cava Triste usano per insegnare ai bambini che si deve sempre onorare e rispettare i morti. D’altronde, le fiabe educano con la paura della punizione. Di vero c’è solo la donna accusata di stregoneria, una triste ingiustizia causata dalla supersitizione. Hai altre domande?»

«No, sono a posto. Ora vado a ripagare il tizio che mi ha dato la pecora, quello che vive accanto al cimitero»

«Ah, Blosin? Scommetto che sarà terrorizzato anche quest’anno»

Fulbert inclinò la testa:

«Cosa intendi?»

L’aldermanno fece spallucce:

«Ogni volta che arriva l’anniversario della morte della strega, inizia ad avere paura anche della sua ombra. Ma in fondo è sempre stato strano: evita tutti e parla da solo»

Fulbert annuì, ricordandosi di aver notato qualche stranezza nel comportamento del custode del cimitero, quando l’aveva convinto a dargli la pecora. A quel punto, i due si salutarono e lo strigo uscì dall’abitazione del vecchio Sensien, lasciandosi dietro la testa della viverna e andando via a cavallo.

Il cimitero si trovava in una radura nel bosco intorno a Cava Triste, vicino alla cava abbandonata che dava il nome al villaggio. A prendersene cura c’era Blosin, un uomo sulla cinquantina sporco, trasandato e con evidenti problemi respiratori: quando Fulbert era andato a prendere la sua pecora, aveva constatato che faticava a finire una frase senza avere un attacco di tosse e diventare paonazzo. Inoltre, grazie al suo udito, aveva capito che il cuore di quel poveraccio poteva fermarsi in qualsiasi momento: faticava più di un asino vecchissimo. E la catapecchia in cui viveva era cadente almeno quanto il proprietario. Non si meravigliava che fosse il custode del cimitero: solitario, considerato strano dagli altri e malaticcio, non poteva che vivere isolato dalla comunità.

“Forse gli tornerebbe più utile un’altra pecora che una manciata di monete, ma chi sono io per giudicare?” pensò Fulbert.

Quando giunse in vista del cimitero e della baracca di Blosin, scese da cavallo e prese tante corone quante ne bastavano a ricomprarsi una pecora o una capra e iniziò ad avvicinarsi. Mentre camminava, con la coda dell’occhio intravide una sagoma familiare appostata fra i cespugli del bosco: guardò meglio e scoprì che era Willy, nascosto per osservare la casetta. Incuriosito, provò ad accertarsi che il padrone di casa non si fosse ancora accorto di lui e si avvicinò al godling, chiedendogli a bassa voce:

«Che stai facendo qui?»

Willy fece spallucce:

«Mi diverto a origliare quel matto mezzo morto che parla da solo. È proprio fuori di zucca, sai? Delira più di Gurg quando svuota un barile di spirito»

«Uao, sei proprio facile da intrattenere» commentò Fulbert, sarcastico.

«Comunque, quanto ti ha pagato il vecchio “intellettuale”?»

«Seicento corne»

Willy fece una smorfia:

«Il solito stipendio da fame. Certo che lavorare con te fa schifo!»

«Ma grazie! Benvenuto nell’attività. Comunque, torna dagli altri, trova qualcosa di meno sfacciato per divertirti»

«E va bene» sbuffò Willy.

Una volta che il godling fu sparito nel sottobosco, Fulbert tornò sui suoi passi e raggiunse la porta. Stava per bussare, quando sentì l’uomo tossire all’impazzata e ansimare come un cane, rovesciando qualcosa per terra. Un po’ interdetto, Fulbert indugiò ad aprire quando sentì Blosin parlare:

«Non c’è molto tempo... non c’è molto tempo…» rantolava.

E seguì un’altra tosse scatenata. Alla fine, lo strigo entrò preoccupato e trovò il custode del cimitero seduto ad un tavolo da lavoro illuminato da una candela, intento a respirare più a fondo che poteva per riprendersi dalla crisi respiratoria. Quando aveva preso la pecora, Fulbert non era entrato nella baracca, quindi ne approfittò per gettare una rapida occhiata all’interno: c’era lo stretto necessario, niente di superfluo. Si trattava del tipico arredamento di una piccola catapecchia nel bosco, tranne che per un dettaglio: il muro sopra il tavolo di lavoro era tappezzato di fogli su cui erano state scarabocchiate immagini di tombe, volti putrefatti e un cappio. Fulbert si insospettì: quell'uomo non poteva essere soltanto strano: doveva esserci qualcosa sotto e la sua allerta aumentò quando il suo medaglione a forma di manticora iniziò a vibrare, tintinnando contro la sua armatura: in quella stanza c’era qualcosa di magico, ma cosa? Quando l’uomo si accorse di Fulbert, ebbe un sobbalzo:

«Ah! Sei di nuovo tu, mutante. Hai finito il lavoro?»

«Sì, era una viverna reale. Come promesso, eccoti abbastanza corone da riprenderti una pecora» rispose lo strigo, sforzandosi di ignorare il sempre fastidioso “mutante”.

Blosin prese le monete e, continuando a tossire, andò a metterle in una cassetta di legno. Mentre lo guardava, Fulbert si accorse che sul tavolo c’era un vecchio libro dalla copertina di cuoio consunta e le pagine ingiallite. Gli sembrò molto strano vedere un libro in casa di un tipo come quell’uomo; osservando meglio, però, notò che c’era un piccolo diamante incastonato nella copertina. Incuriosito, fece un paio di passi avanti per vederlo più da vicino e il suo medaglione cominciò a vibrare con più intensità: era quello l’oggetto magico. La cosa si faceva molto interessante.

«Cos’è questo?» domandò, intrigato.

Blosin si voltò a fissarlo, con un’espressione seccata:

«Non hai mai visto un libro?»

Fulbert levò gli occhi al cielo:

«Non in quel senso. Voglio dire, cos’ha di speciale? Il mio medaglione dice che è magico. E perché non usi quel diamante per farti una vita migliore?»

Il custode del cimitero, dopo l’ennesimo colpo di tosse, si irrigidì come se lo avessero pugnalato, prima che da paonazzo diventasse pallido:

«Sei pazzo?! Questo libro è l’unica cosa che tiene al sicuro il villaggio! E io sono l’unico che può usarlo, anche se ho paura che questo sia l’ultimo anno in cui riuscirò a proteggere Cava Triste: sono ridotto così male che mi basterebbe uno spavento per morire»

A quel punto, forse perché aveva parlato troppo senza fare una pausa, iniziò a tossire così forte che si piegò in due e schizzò gocce di saliva su tutto il pavimento, tanto che Fulbert indietreggiò il più possibile per non farsi sporcare: sistema immunitario mutante o no, prendere la polmonite non era mai il massimo. Aspettò che il poveraccio si riprendesse quanto bastava, prima di indagare:

«Al sicuro? Se è quello che penso, magari…»

«Hai indovinato: la maledizione della strega è reale!»

Fulbert si lasciò sfuggire un sorrisetto soddisfatto:

«Ecco, sapevo che non era solo una fiaba. È sempre la stessa storia: passa così tanto tempo che la gente smette di crederci. È già la settima volta che mi capita, da quando faccio questo lavoro»

Blosin gli rivolse uno sguardo compiaciuto a sua volta, un’espressione che Fulbert riconobbe: era la faccia che facevano gli incompresi quando trovavano finalmente qualcuno con cui confidarsi senza temere un giudizio. Infatti, il custode del cimitero continuò con un vago entusiasmo nella voce:

«E sai perché nessuno ci crede più? È merito mio, di mio padre, di mio nonno e del resto della famiglia prima di lui: sono l’ultimo discendente della strega»

«E avete sempre usato questo libro per annullare la maledizione?»

«No, la maledizione rimane, tutto quello che faccio è tenere la strega addormentata per un altro anno. Se non lo facessi, tutte le persone sepolte nel cimitero di Cava Triste uscirebbero dalla terra per dare la caccia ai vivi! Solo io, che posso vedere i fantasmi, posso tenere la mia antenata nella tomba»

Fulbert unì i puntini e annuì:

«Ecco perché l’aldermanno mi ha detto che parli da solo: in realtà parli coi fantasmi, perché puoi vederli e sentirli dalla nascita»

Blosin sembrava sul punto di piangere di gioia:

«Sì! Non sono pazzo come credono, so parlare coi morti! Anche tu?»

Fulbert fece spallucce e tentò di spiegarsi in breve:

«Diciamo di sì: non li vedo tutti, ma sono stato allenato per percepire gli spettri, quindi mi accorgo di quelli che sono molto legati alla realtà dei vivi e posso combattere coi wraith, ma quelli appaiono a tutti, quindi immagino che a Cava Triste non ti capiscono perché non ne è mai apparso uno»

«Immagino che abbia ragione: gli spiriti di questo villaggio sono molto tranquilli. In ogni caso, ti ho detto cos’è il mio libro e mi hai pagato la pecora, quindi puoi andare: qui non c’è niente per te»

«Sicuro di non volermi assumere? Potrei aiutarvi a spezzare la maledizione per sempre, così anche se muori di polmonite senza qualcuno a cui passare il libro puoi stare tranquillo»

Blosin esitò a lungo, ma alla fine scosse la testa:

«No, l’unico modo per fermare il maleficio per sempre sarebbe convincerla a calmarsi o affrontarla, lo so. E tutte e due le strade portano a lasciarla svegliare, quindi lascia perdere! Farò del mio meglio per trovare qualcun altro che vede i fantasmi e convincerlo a prendere il mio posto, prima che la malattia mi stronchi»

Fulbert inclinò la testa, perplesso:

«Questo è un dettaglio specifico, come lo sai?»

«Me l’ha raccontato mio padre: questo diamante fu donato ai miei capostipiti da un druido che viveva qui vicino, che venne a dargli un modo per calmare la rabbia di quella poveretta. Sembra che questo libro fosse il suo preferito, così il druido ci mise un incantesimo»

«Capisco. Be’, se cambi idea, sei in tempo ad assumermi finché non partirò da questo bosco»

«Non cambierò idea. Ora vai»

Capendo che la conversazione era davvero finita, Fulbert decise di assecondare Blosin e uscì dalla baracca. Allora tornò a cavallo e partì verso la caverna di Aurora, dove i suoi amici e la succube lo stavano aspettando.

Quando Fulbert raggiunse la grotta, trovò Gurg all’esterno che faceva ruotare lentamente un cinghiale su uno spiedo sospeso sopra un grande fuoco da campo. Il troll ridacchiava soddisfatto emettendo dei buffi grugniti, mentre annusava la carne che si arrostiva lentamente. Fulbert lasciò la cavalla libera di pascolare e guardò Gurg con un sorrisetto, con le mani sui fianchi:

«Guarda guarda, hai già compensato per la pecora?» chiese.

Il troll annuì:

«Sì! Laurent fiuta cinghiale mentre noi torna qui, così preso per Gurg. Stasera tutti arrosto mangia! Gurg manda Aurora a prendere funghi»

Lo strigo entrò nella piccola caverna, illuminata da torce, che la succube aveva decorato riempiendo le pareti di ghirlande di fiori. Laurent e Aleera erano seduti in un angolo dell’antro: il lupo mannaro stava raccontando alcuni aneddoti dalla sua precedente vita da viticoltore e la bruxa ascoltava in silenzio, probabilmente fingendo soltanto di essere interessata. Salutarono Fulbert quando lo videro entrare e lo strigo ricambiò, prima di andare a rovistare nella cassa delle scorte che aveva depositato lì da quando svernavano nella grotta di Aurora: aveva deciso di preparare di nuovo le pozioni e l’unguento che aveva usato nella caccia alla viverna. Mentre lavorava con gli ingredienti, Laurent gli chiese:

«Allora, hai restituito le corone della pecora al padrone?»

Lo strigo annuì:

«Sì. Ho anche scoperto che la maledizione della strega che festeggiano qui tutti gli anni è vera e che lui tiene il villaggio al sicuro leggendo un libro incantato»

Aleera inclinò la testa, perplessa:

«Perché dovrebbero festeggiare una maledizione? Non che mi stupisca, ormai gli umani festeggiano tutto, pur di non pensare ai loro disagi»

«Perché siccome la maledizione non si è mai scatenata, non ci credono più. Il custode del cimitero può impedire alla strega di risvegliarsi con quel libro perché vede i fantasmi, ma ha i polmoni così conciati che è più morto che vivo: quando non ci sarà più, sarà un problema. Credo che dovremo intervenire, prima o poi»

Laurent cambiò argomento e Fulbert diede per scontato che l’avesse fatto perché gli dava fastidio parlare di maledizioni, visto che odiava la sua licantropia:

«Quanto ti ha pagato l’aldermanno?»

Fulbert alzò lo sguardo dagli ingredienti delle pozioni, insospettito:

«Seicento corone, Willy non te l’ha detto? Me lo sarei aspettato»

«Willy non è ancora tornato» rivelò Aleera.

«Ha detto di essere andato a lanciare sassi agli scoiattoli, non l’abbiamo ancora rivisto» aggiunse Laurent.

Questo fece suonare un fortissimo campanello d’allarme nella testa di Fulbert: Willy non stava spiando la casa di Blosin perché lo divertiva sentirlo parlare da solo. Doveva avere un secondo fine dei suoi, per aver mentito agli altri con una scusa e per aver agito a insaputa dello strigo. Di norma, quel secondo fine era rubare qualcosa di valore che aveva adocchiato, come un diamante.

«Oh, porca troia!» imprecò Fulbert, sbattendosi le mani sui fianchi.

«Qu'est ce qu'il se passe?» chiese Laurent.

«Willy non è andato a infastidire scoiattoli, è andato alla casa di quel tizio per derubarlo: nella copertina di quel libro magico c’è un diamante»

Aleera non poté fare a meno di abbozzare un sorriso:

«Il solito Willy. Immagino che sia stato troppo buono con lui, salvandolo da quell’orafo»

«Questa volta mi sente sul serio!» esclamò Fulbert, alzandosi stizzito e uscendo dalla caverna.

Ignorando Gurg che gli chiedeva dove andava e Aurora che tornava in quel momento dal bosco coi funghi in mano, lo strigo tornò dalla sua cavalla, la spronò e cominciò a rifare il percorso per il cimitero. Incrociò Willy a metà strada e il godling lo sfidò con un’espressione altezzosa:

«Ehi, spadaccino sottopagato, indovina un po’? Ci ho appena resi ricchi sfondati!»

«Dammi il diamante» gli ordinò Fulbert, con tono fermo.

«Non pensavo che ci avresti messo così tanto a capirlo, sai? Stai perdendo colpi, amico!» lo provocò Willy.

«Oggi hai dimostrato che farti una predica e farti schiaffeggiare da solo col segno Axii non serve a niente, per questo tra poco faremo i conti come si deve. Ma prima dammi il diamante, così lo riporto a Blosin»

Willy sbuffò:

«Oh, non farmi ridere! Hai visto quel demente? È vivo per miracolo! Che se ne fa di un diamante? Teniamolo, potremo finalmente permetterci qualche lusso! Noi sì che ce lo meritiamo: passiamo la vita a girare a vuoto per il Continente, salviamo la pelle agli ingrati e ci trattano come dei mendicanti. È ora di fare una svolta!»

«No, è ora di metterti in riga una volta per tutte. Il diamante»

Ma il godling insisté:

«Coraggio, che te ne sbatte? Era solo una decorazione, gli ho lasciato il libro! E poi stava facendo una dormita, non se n’è neppure accorto. Facciamo finta di niente e ognuno per la sua strada?»

«Ultimo avvertimento»

«Cazzo, non è giusto! Sono stanco di vivere di merda!»

A quel punto, Fulbert lo ipnotizzò col segno Axii, come aveva già fatto dopo fin troppi furtarelli. Willy andò in trance e iniziò a ciondolare avanti e indietro, con un sorriso da ebete. Fulbert gli ripeté di dargli il diamante e Willy, senza protestare, se lo tirò fuori dai pantaloni e glielo passò. Allora lo strigo gli disse di tornare dagli altri e di pensare che rubare era una brutta cosa, già che c’era. Mentre Willy si allontanava, docile come un agnello, il rosso proseguì verso la casa al cimitero, imprecando a denti stretti e riflettendo su cosa potesse fare per convincere il godling a dargli più ascolto. Una volta ritornato alla baracca, c’era tranquillità completa: forse il padrone di casa stava ancora dormendo, come Willy aveva detto, e non si era accorto di nulla. Quindi lo strigo bussò e chiamò Blosin per svegliarlo. Nessuna risposta. Fulbert attese qualche secondo, poi si insospettì. Facendo più attenzione, si accorse che dall’interno non veniva alcun rumore, neanche di un respiro. Allora entrò e rimase di sasso: Blosin era morto.

“Oh, merda!” pensò.

Il custode del cimitero aveva un’espressione terrorizzata, era cianotico come se l’avessero strozzato e, con una mano, si stringeva il petto. Non ci volle molto a capire che era morto d’infarto. Giaceva supino e il suo sguardo in preda al panico sembrava rivolto verso il libro che, ovviamente, adesso era privo del diamante. Fu tutto chiaro: Blosin doveva essersi svegliato poco dopo che Willy era scappato, si era agitato in modo estremo quando aveva notato che la decorazione del libro era stata rubata e il suo fisico malandato non aveva retto quell’ondata improvvisa di tensione. La situazione si era appena fatta molto più grave; ma forse, dato che tutti sapevano delle condizioni di Blosin, sarebbe stato facile spacciare il tutto come una morte naturale, cosa che in fondo era.

«Giuro che lo ammazzo» borbottò, stizzito.

Con un sospiro, lo strigo rimise il diamante nell’incavo sulla copertina del libro, si voltò e fece per uscire. Ma, prima che si richiudesse la porta alle spalle, sentì una voce lontana come un’eco che lo chiamava:

«Fermati!»

Era la voce di Blosin. Sospettando di cosa si trattasse, Fulbert si voltò di nuovo verso il cadavere con fare guardingo e vide che uno sbuffo di fumo si stava formando accanto al corpo. In qualche istante, il fumo prese la forma del custode del cimitero, trasparente e incolore: era diventato un fantasma.

«Fermati, strigo!» ripeté l’ombra.

«Oh, grandioso» mormorò Fulbert.

Incrociò le braccia e, con un misto di imbarazzo e compassione, guardò lo spettro che fissava angosciato le sue spoglie mortali e si guardava le mani, sconvolto. Ad un certo punto, per interrompere il silenzio, si azzardò a dire:

«Mi dispiace»

«Ti dispiace?! Questo è un disastro! – esclamò il fantasma, furioso – Adesso come farò a trovare un altro che vede i fantasmi, prima che la maledizione colpisca?! Appena trovo il bastardo che mi ha…»

Quando guardò il libro e vide che lo strigo aveva rimesso il diamante a posto, tirò un sospiro di sollievo.

«Oh, è tornato! Grazie agli dei! Ma ora sono morto! Sono rovinato! Tutti sono rovinati!»

Fulbert sapeva esattamente cosa fare: era il momento di un altro lavoro, anche se non c’era esattamente un contratto da accettare. Così, quando il fantasma di Blosin finì di imprecare e gridare in preda alla paura e alla rabbia, prese la parola:

«Senti, se vuoi posso fermare io la maledizione»

Il custode del cimitero sbarrò gli occhi, sorpreso:

«Davvero lo faresti?»

«Sì. Tenere le persone al sicuro da mostri e maledizioni è il mio lavoro, lo farei a prescindere»

Lo spirito si calmò in fretta, chiaramente rincuorato:

«Meno male, c’è ancora speranza! Come avrei fatto se non fossi capitato da queste parti?»

«Dimmi cosa devo fare» tagliò corto Fulbert.

Lo spettro annuì:

«Sì, meglio. Devi leggere il libro nel posto in cui la mia antenata, Afeh, fu sepolta. Mi raccomando, devi farlo prima che il sole tramonti, altrimenti il suo fantasma si risveglierà e farà uscire i morti dalla terra!»

«Bene, lo farò. A dirla tutta, è la maledizione più facile da contenere che abbia mai sentito» rispose lo strigo, fingendo sicurezza.

«Voglio sentirlo chiaro e tondo: impedirai alla strega di risvegliarsi? E dopo, troverai un successore per me? Prometti»

«Prometto. Anzi, non ti servirà un sostituto: prometto che tornerò qui una volta all’anno per rifare tutto per conto mio» annuì Fulbert.

Il fantasma fece un sorriso entusiasta e iniziò a mormorare:

«Grazie agli dei! Grazie agli dei, ci sono riuscito lo stesso: anche se sono morto, l’ho fermata! Ho salvato Cava Triste! Grazie!»

La sua voce diventò sempre più flebile e la sua ombra diventò sempre più fioca, finché non scomparve del tutto e Fulbert fu davvero solo nella stanza. A quanto pare, la sola garanzia che il suo compito sarebbe stato portato avanti gli era bastato per considerare le sue faccende in sospeso risolte. Doveva essere una persona davvero semplice.

«Certo che ti accontentavi con poco» scherzò Fulbert.

A quel punto, incoraggiandosi a togliersi il problema di torno il prima possibile, prese il libro e uscì dalla casa, iniziando ad aggirarsi per il cimitero di Cava Triste. Considerando che la strega era vissuta varie generazioni prima, si mise subito in cerca delle lapidi più vecchie, quelle più rovinate. Le trovò ai margini del bosco, quasi all’ombra delle frasche. Appartenevano quasi tutte ai fondatori del villaggio e ai loro figli, così iniziò a passarle tutte in rassegna. Era difficile leggere alcuni nomi, perché la pietra era erosa o avvolta da erbacce. Alla fine, però, riuscì a trovare il nome che cercava: Afeh. Era una minuscola lastra crepata e quasi inglobata da un agrifoglio e si trovava accanto ad alcune tombe che riportavano lo stesso cognome, che doveva essere anche quello di Blosin.

“Eccoti qua. Non mi resta che leggere” pensò Fulbert.

Prima di aprire il libro, esitò per un secondo e si guardò in giro, per accertarsi di essere solo: se qualcuno fosse venuto a trovare un parente morto proprio in quel momento, sarebbe stato davvero imbarazzante. Dopo quel rapido controllo, si affrettò ad aprire il volume. Per curiosità, prima di iniziare a leggere ad alta voce, iniziò a controllare il contenuto per conto suo. Rimase a dir poco interdetto quando si rese conto che si trattava di un racconto popolare:

«La bella addormentata? Ma che…» mormorò, confuso.

Era proprio una fiaba, una delle più classiche. All’inizio, Fulbert si sentì preso in giro, ma poi rifletté meglio sul quadro generale e capì cosa significava tutto quanto: Blosin aveva detto che leggere quel libro rimandava la maledizione all’anno successivo, perché impediva al fantasma della strega di risvegliarsi. E, guarda caso, per farlo doveva leggere una storia della buonanotte.

“Ma certo: il druido che aiutò la sua famiglia fece una magia che ha reso letterale questo concetto” pensò.

Avrebbe dovuto immaginare un ragionamento simile: le maledizioni avevano sempre queste metafore nascoste o scappatoie ingannevoli, quindi spesso le soluzioni per contrastarle si basavano su quello. Lo spirito della strega si svegliava dalla morte, quindi la si faceva continuare a “dormire”.

“Cominciamo. Meno male che sono da solo: Willy mi prenderebbe per il culo per anni se mi vedesse” si disse.

Allora, cercando di ignorare il fondo di imbarazzo che gli suscitava leggere ad alta voce una fiaba per bambini in mezzo ad un cimitero, Fulbert si sedette davanti alla piccola lapide e recitò l’intero contenuto del libro, dalla prima all’ultima riga.

«E vissero per sempre felici e contenti» concluse, dopo circa un’ora.

Dunque, schiarendosi la voce e ignorando la sete che gli era venuta nel frattempo, chiuse il libro e si alzò. Si guardò intorno, occhi e orecchie aperti, in cerca di un segno qualsiasi che gli confermasse che aveva fatto tutto come avrebbe dovuto, che la maledizione fosse stata bloccata. Non accadde assolutamente nulla. Non vide alcuna stranezza per diversi minuti e gli unici rumori che sentiva erano alcuni topi che si aggiravano guardinghi per le tombe e gli uccelli che svolazzavano sui rami degli alberi. Era tutto normale. Aveva funzionato? Aveva impedito alla strega di svegliarsi? Per scaramanzia, lo strigo rimase in attesa ancora un po’, prima di convincersi una volta per tutte che aveva fatto tutto quello che c’era da fare.

“Immagino di aver finito. Non mi resta che fare i conti con Willy: sarà la parte peggiore di questa giornata” pensò Fulbert, sbuffando.

Eppure, mentre si allontanava dal cimitero, fu punzecchiato dal vago sospetto che qualcosa non quadrasse.

PIÙ TARDI, AL TRAMONTO…

I Guardiani degli Innocenti avevano trascorso tutto il resto del pomeriggio a discutere sul problema dell’avidità e della cleptomania di Willy, che li metteva spesso nei casini. Per fortuna, anche grazie al segno Axii che aveva messo il godling nell’umore più adatto, i toni non erano stati troppo accesi. Ciascuno, a modo suo, riuscì a convincere Willy ad aprirsi sulla questione:

«Non so voi, ma per me è stato una merda, passare anni della mia vita a fare da sguattero, animale domestico parlante, buffone di casa per i borghesi, a prendere calci nel culo e a dormire sulla paglia zuppa di piscio. Ogni volta che cambiavo padrone, diventava peggio. Avete idea di quanto mi manchi vivere nella tana di una volpe? Quella sì che era vita: me ne stavo per i fatti miei nel bosco, potevo fare tutto quello che mi pareva, nessuno mi diceva quando mangiare o bere o dormire e non ero obbligato a fare le pulizie o a ballare per far ridere una folla di bastardi. Se c’è una cosa che ho imparato da quando mi hanno rovinato la vita, è che ai ricchi non tocca questa vergogna, così ho deciso di diventare ricco. Voglio dire, se sei pieno di soldi ti baciano i piedi pure se sei brutto e antipatico! L’ho visto coi miei occhi!»

«Be’, di certo unirti alla banda di Mannaia a Novigrad non ti avrebbe reso più libero» commentò Fulbert.

Willy allargò le braccia:

«Ehi, da qualche parte dovevo pur cominciare! Almeno, i nani mafiosi mi pagavano bene! Ero il taccheggiatore più richiesto della malavita della Città Libera, sapete?»

Lo strigo ridacchiò:

«Me lo ricordo. Guarda il lato positivo: ci siamo conosciuti proprio perché mi hai rubato i soldi per strada»

«E da allora vi seguo e vivo rischiando la pelle per quattro monete. Complimenti, Fulbert, mi hai fatto tornare sul lastrico!»

«Ma Willy ora libero, Willy in natura!» esclamò Gurg, addentando una coscia del cinghiale che aveva cucinato.

«Be’, in effetti mi manca solo di rubare la tana a un altro animale. Ehi, ma questa è la tana di una succube! Aurora, ti dispiace se marchio il territorio?» ridacchiò il godling, beffardo.

La succube arrossì all’improvviso e iniziò a guardarsi intorno, interdetta.

«Eh? Ma dici…» balbettò, imbarazzata.

Fulbert alzò gli occhi al cielo:

«No, non dice sul serio, o almeno spero. Comunque, Willy, dobbiamo davvero impegnarci tutti a fare in modo che questo sia il tuo ultimo furto: ti rendi conto che hai fatto venire un infarto a quel poveraccio?»

Willy allargò le braccia, sulla difensiva:

«E quindi? Aurora ha fatto venire un infarto a un tizio scopandolo!»

La succube diventò paonazza:

«Ehi, possiamo evitare? Non mi piace ricordare quella notte»

Lo strigo scosse la testa:

«Quello però era un ragazzo in salute e sapeva cosa rischiava, accettando di fare sesso con una succube. Tu, invece, hai spiato Blosin e hai visto che aveva i polmoni distrutti. Non hai pensato che farlo agitare così l’avrebbe ucciso?»

«Affatto: ho solo visto che tossiva tanto, che ne sapevo io? E che cazzo!»

«A proposito, che ne hai fatto di lui? L’hai lasciato dov’era?» chiese Aleera al rosso.

Fulbert scrollò le spalle:

«Certo che no, sono andato in paese ad avvisare tutti che è morto, se ne occuperanni loro. Ora che ne dite di pensare a come possiamo aiutare Willy a non rubare più?»

«Willy, tu no più ruba» disse subito Gurg, puntando il dito sul godling.

«Sì, grazie al cazzo» sbuffò il piccoletto, irritato.

Laurent tentò una proposta:

«Magari un compromesso, come hai fatto con Aleera? Sai, lei può bere solo il sangue dei banditi, Willy può rubare solo ai banditi. In fondo li uccidiamo sempre, chi si può lamentare?»

«Ooooooh, ma è geniale! Perché non ci ho pensato prima? Magari perché i banditi nascondono i loro soldi in rifugi e non possono dirmi dove si trovano, da morti? Sarai anche un uomo lupo, ma mi sembri più uno stupido cane» lo provocò Willy.

«Ehi! Cercavo di aiutare, stronzetto!» sbottò il licantropo.

«Laurent stupido? Ma voi sempre dice che Gurg stupido» si intromise il troll, confuso.

«Tranquillo, tu sei ancora al primo posto» replicò Willy.

«Comunque, l’idea di base non è male – ammise Fulbert – Potremmo lasciare un bandito vivo da interrogare, le prossime volte, così quando ci dice dove hanno nascosto le loro scorte lo ammazziamo e andiamo a fare rifornimento. Torna utile a tutti»

«Grazie» rispose Laurent.

Aleera rifletté, tenendo l’indice sul mento:

«Può essere un inizio. Ma poi dobbiamo vedere se una cattiva abitudine come rubare si gestisce come una dipendenza vera, come la mia»

«Secondo me smettere di rubare è più facile che rinunciare a un piacere, ve lo posso garantire» affermò Aurora.

Dopo tutti quei discorsi, Willy si fece quieto: sembrava in pensiero. Dalle espressioni che fece dopo qualche minuto, Fulbert iniziò a sentirsi speranzoso: il godling sembrava quasi convinto da quelle proposte. Avevano davvero trovato la prima idea valida per limitare i danni? Stava per fare un commento, quando Laurent si alzò di scatto con le orecchie tese e iniziò ad annusare l’aria, allarmato:

«Aspettate, cos’è questo odore?» si domandò.

«Che succede?» chiese Aurora, subito preoccupata.

Il licantropo fece un’espressione disgustata e storse le narici e la bocca:

«Hrrrrrrr! Rivoltante, hrrrrrrrr! È come se la foresta fosse ricoperta di gente morta da tanto tempo! Hrrrrrrrrr, hrrrrrrrr»

«Forse è un demone putrefatto: ogni tanto ne capita uno anche nelle zone più tranquille» ipotizzò Fulbert.

Pochi minuti dopo, però, tutti quanti iniziarono a sentire un insopportabile tanfo di decomposizione e di carne marcia, faceva quasi tossire. Infastiditi e confusi, uscirono dalla caverna d’istinto, sperando di prendere una boccata d’aria fresca della sera, ma si resero conto che all’esterno la puzza era ancora più intensa.

«Ma che cazzo è?» chiese Willy, quando videro cosa stava accadendo nel bosco.

Non avevano mai visto un fenomeno del genere: il sottobosco si era riempito di punto in bianco di una fittissima coltre di nebbia. Ma quella foschia non aveva niente di naturale: era nera come fumo e, invece di salire, non faceva che avanzare inghiottendo poco a poco la foresta, offuscando la vista per molti metri. Dopo un po’, Fulbert considerò l’idea di bere una fiala di Gatto per vederci attraverso la nebbia: persino i suoi occhi da felino non bastavano, tra la notte imminente e quello strano fumo. Oltretutto, l’odore di morte sembrava venire proprio dalla nebbia.

«Nebbia odore orrendo! Rovina cinghiale!» si lamentò Gurg.

Fulbert cercava di capire cosa stesse succedendo. Ben presto, un sospetto piuttosto ovvio iniziò a serpeggiare nella sua testa. E, quando il suo medaglione cominciò a vibrare all’impazzata, il sospetto diventò certezza. Sapeva che non poteva davvero essere filato tutto liscio.

«Oh, no!» mormorò.

«Cosa?» chiese Aleera, allertata.

«La strega!»

Tutto il gruppo si voltò a fissarlo, con sguardi sorpresi. Prima che uno di loro aprisse bocca, furono assordati da un agghiacciante urlo femminile acutissimo che squarciò i loro timpani e scosse le fronde degli alberi come una tormenta.

«La strega? Avevi detto che il custode del cimitero la teneva a bada» si ricordò la bruxa.

Willy diventò subito passivo-aggressivo:

«Oh, magnifco, quindi ora è di nuovo tutta colpa mia, vero?»

«No, ho parlato col suo fantasma, mi ha detto cosa dovevo fare. Dove ho sbagliato?»

«Ti dispiace spiegare? Questa situazione è orribile e vorrei davvero capirci qualcosa, hrrrrrrr, hrrrrrrrr!» ringhiò Laurent, agitato.

Lo strigo ragionò per alcuni secondi, prima di prendere una decisione. Immaginando cosa li aspettava quella notte, sfoderò la spada d’argento e disse a tutti:

«Seguitemi, dobbiamo andare a quel cimitero. Aurora, tu resta qui. Se succede qualcosa, sai difenderti»

«D’accordo» obbedì la rossa, titubante.

Quindi, mentre la succube si ritirava nella caverna, lo strigo e i quattro mostri si diressero in fretta e furia verso il camposanto. Una volta giunti in vista della baracca di Blosin, si fermarono e non poterono fare a meno di restare a bocca aperta, di fronte allo spettacolo a cui stavano assistendo: nel cimitero, la terra si rivoltava e si apriva e poco alla volta, davanti a ciascuna lapide, emergevano urlando e gemendo dei cadaveri viventi che si sbracciavano e contorcevano per uscire in superficie. Erano tutti avvolti nei loro sudari e ogni morto era ad uno stato di putrefazione diverso: alcuni erano semplicemente pallidi e smagriti, altri erano macilenti e avevano le viscere scoperte, perdendo liquidi maleodoranti, altri ancora erano quasi ridotti alle ossa. Appena uscivano dalle tombe, i morti viventi strisciavano per un po’, per poi alzarsi barcollando e iniziare a muovere degli incerti passi.

«Oh, Lebioda, préserve-nous de la damnation!» esclamò Laurent, sconvolto.

«Guardate, ce ne sono tanti laggiù: vanno verso il villaggio» disse Aleera, indicando un fitto gruppo di non morti già lontani dal cimitero e che si dirigevano di corsa verso Cava Triste, di cui si potevano vedere soltanto dei fiochi lumi a causa della nebbia nera.

Non passò molto, prima che i Guardiani degli Innocenti sentissero delle grida terrorizzate innalzarsi dalla collina su cui il paese era costruito. Come la maledizione voleva, tutti i morti di Cava Triste erano tornati in vita per massacrare gli abitanti.

«Dobbiamo fermarli!» esclamò Fulbert.

«Fermarli? Dici sul serio?» chiese Willy, con gli occhi sbarrati e un tono spaventato.

«Certo che dico sul serio! Iniziamo da questi, finché sono qui! Dateci dentro!» ordinò lo strigo.

Senza indugiare oltre, i cinque partirono all’assalto e si scagliarono contro i morti viventi che stavano ancora ciondolando per il camposanto. Fulbert iniziò a trafiggerli, mutilarli e decapitarli con la spada d’argento, a dargli fuoco col segno Igni e a spingerli lontano col segno Aard. Guardandosi attorno, vedeva che i suoi compagni stavano facendo un massacro ancora più grande: Aleera sfrecciava da un morto all’altro tranciandoli a metà con gli artigli, Gurg li schiacciava o li afferrava e faceva a pezzi, Laurent li smembrava uno ad uno e Willy lanciava le sue bombe a destra e a manca. Pezzi di corpi umani e fluidi putrescenti volavano dappertutto, il sangue marcio dei cadaveri più integri insozzava il terreno e le lapidi, la nebbia nera vorticava agitata da quel caos. La strage fu tanto violenta quanto rapida: in pochi minuti, i Guardiani degli Innocenti si resero conto di essere rimasti soli nel cimitero, circondati dalle membra dei morti viventi.

«È la cosa più disgustosa che abbia mai fatto, hrrrrrr» ringhiò Laurent, rigirandosi la lingua in bocca.

«E questi sono andati. Ma al villaggio hanno già iniziato a sterminare tutti» disse Fulbert, guardando verso le grida.

«Adesso noi che fa?» chiese Gurg.

Fulbert si mosse le labbra:

«Non c’è scelta: dobbiamo andare là e difendere gli abitanti. E intendo tutti noi»

I quattro mostri lo guardarono, stupiti. Era la prima volta che Fulbert prendeva una decisione simile, e c’erano state emergenze quasi peggiori da quando lavoravano insieme.

«Vuoi dire che possiamo lasciare che ci vedano? Io, Laurent e Gurg, in mezzo alla gente?» domandò Willy, incredulo.

«L’alternativa è farli morire tutti, non possiamo farci nulla»

«Allora non perdiamo tempo!» esclamò Laurent.

Il lupo mannaro si stava già avviando, quando si accorsero tutti di alcuni gemiti sommessi che avevano ignorato mentre parlavano. Controllando meglio a terra, si accorsero che i morti, nonostante le mutilazioni, erano ancora “vivi” e provavano invano a rialzarsi. Persino le teste mozzate si lamentavano e stridevano i denti.

«Morti non muore!» esclamò Gurg.

Improvvisamente, per tutto il bosco risuonò lo stesso urlo agghiacciante che avevano sentito alla caverna di Aurora. Stavolta, però, era ancora più intenso e coprirsi le orecchie fu inutile. Fulbert ebbe il capogiro per diversi attimi, quando il grido finì. Mentre cercava di riprendersi, notò qualcosa nella nebbia: due luci verdi nel buio, che spiccavano nella nebbia. In un primo momento, credette che fossero due lucciole, ma poi si accorse che stavano ferme e che gli mettevano sempre più inquietudine man mano che le fissava. Osservando meglio, lo strigo ebbe un lieve sobbalzo: erano due occhi luminosi. Al loro interno c’era un anello bianco che ricordava un’iride e le pupille lo stavano guardando.

«Argh! Quello cos’è?!» sobbalzò Willy, quando li vide a sua volta.

Tutti gli altri si misero sulla difensiva, intimiditi da quelle luci spettrali. Fulbert capì subito di cosa si trattava:

«È lei: il fantasma della strega!» esclamò.

I due occhi sembrarono stringersi in uno sguardo minaccioso. I due bagliori scomparvero subito dopo, come erano apparsi.

«Ragazzi, ho paura» ammise Willy, con voce tremante.

Fulbert lo ignorò e corse verso il fondo del cimitero: doveva controllare una cosa, prima di andare al villaggio. Quando raggiunse la lapide di Afeh, si inginocchiò e, aiutandosi con il coltello da caccia, iniziò a scavare e smuovere il morbido terriccio più in fretta che poteva. Gli altri gli si avvicinarono, confusi, e gli dissero che non c’era tempo da perdere, ma il rosso si limitò a farfugliare che ci avrebbe messo un secondo. Proprio come pensava, dopo un po’ non trovò nulla, né una cassa da morto, né una salma.

«Non è qui» affermò.

«Che stai dicendo? Andiamo a fermare i morti viventi, hrrrrr!» lo esortò Laurent.

Fulbert si rialzò e si voltò verso i suoi compagni, frustrato e agitato:

«È colpa mia: ho frainteso quello che ha detto il custode! Cazzo, perché è stato così generico?!»

«Gurg no capito» borbottò il troll.

Fulbert si sforzò di essere il più conciso possibile:

«Il libro col diamante serviva a tenere a freno lo spettro della strega. Quando sono tornato a restituire il gioiello, il fantasma di Blosin mi ha detto di leggere il libro nel posto in cui fu sepolta, prima del tramonto. Ho pensato che intendesse la sua tomba, ma mi sbagliavo! Lui non ha menzionato la tomba!»

«Allora il corpo è da un’altra parte» dedusse Aleera.

«Esatto! Ma ormai si è risvegliata e questi cadaveri non tornano morti neanche se li facciamo a pezzi. Dobbiamo capire dov’è la strega e affrontarla»

«E come pensi di capirlo?» chiese Willy.

Lo strigo ebbe subito la risposta pronta:

«L’aldermanno conosce benissimo la storia di Cava Triste, forse saprà darmi un indizio»

«Bene, adesso però andiamo! Abbiamo già perso troppo tempo!» esclamò il licantropo.

Quando raggiunsero Cava Triste, trovarono un campo di battaglia: alcune torce erano cadute nel putiferio e adesso alcune case andavano a fuoco. I morti inseguivano con inaspettata agilità tutti gli uomini, donne e bambini che vedevano e li massacravano di morsi e di colpi appena riuscivano a prenderli. Molti si erano barricati in casa e tentavano di impedire ai morti viventi, che si raggruppavano davanti a porte e finestre, di entrare. Era come quando un esercito razziava un villaggio per fare provviste, ma con dei cadaveri maledetti.

«Fate a pezzi tutti i morti che vedete, ignorate la reazione della gente – disse Fulbert agli altri – Io vado dal vecchio»

I Guardiani degli Innocenti annuirono e si divisero, iniziando a fare il possibile per aiutare. Lo strigo iniziò a correre verso la casa di Sensien, cercando nel frattempo di fermare tutti i non morti che gli capitavano a tiro: per non perdere tempo, si limitava a tagliare le loro gambe o a decapitarli alle spalle, per poi proseguire. A volte salvava degli innocenti prima che fossero fatti a pezzi, altre volte era già troppo tardi. Le persone correvano in preda al panico lungo le strade, in cerca di un nascondiglio o supplicando quelli che si erano chiusi in casa di farli entrare. Quando Fulbert le salvava, continuavano a correre alla cieca, senza badare a quello che stava succedendo. Quando fu più o meno a metà strada, vide una giovane donna bloccata a terra da uno dei cadaveri ambulanti, che cercava di impedire al non morto di azzannarle la gola. Prima che lo strigo intervenisse, Laurent apparve da un vicolo laterale, placcò il defunto con un balzo e gli staccò la testa con un morso. La ragazza si alzò sollevata ma, appena vide il lupo mannaro, urlò terrorizzata e corse via. Fulbert vide il licantropo fare un sospiro avvilito, prima di tornare a trucidare i non morti. Anche lo strigo non poté fare a meno di esserne dispiaciuto.

“Questa è l’ultima volta che li faccio uscire allo scoperto” si disse.

Ma non perse altro tempo e tornò sui suoi passi. La piazza dove si trovava la casa dell’aldermanno era piena di non morti che sciamavano verso l’abitazione grande, ma se ne stava già occupando Gurg: proprio in quel momento, il troll ne afferrò due per la testa, li sollevò di peso e schiacciò i loro crani stringendo la presa. Fulbert gli diede una mano a decimare quelli che rimanevano: alcuni si erano ammassati all’ingresso della casa e ci battevano i pugni contro.

«Corpi morti spezza come rametti» disse Gurg, schiacciando un cranio col piede.

«Ne arrivano altri dalle strade, pensaci tu» gli ordinò Fulbert, indicando dei nuovi non morti che si avvicinavano.

Mentre il troll delle rocce andava a continuare il massacro, lo strigo bussò alla porta e chiamò:

«Sensien, sono Fulbert! Fammi entrare, è urgente!»

Gli rispose una voce maschile spaventata:

«Sei impazzito?! Non se ne parla! È pieno di quelle cose!»

Ma, subito dopo, sentì la voce dell’aldermanno che ordinava di fare come il rosso aveva chiesto. Passarono alcuni momenti, prima che la soglia venisse finalmente aperta. Quando l’ammazzamostri entrò, fu accolto da un gruppetto di persone terrorizzate che il vecchio Sensien aveva fatto rifugiare nella sua abitazione, prima di sbarrare porte e finestre. Guardavano tutti lo strigo e la sua spada intrisa di liquidi maleodoranti con un misto di sgomento e speranza. L’anziano capo del villaggio si fece avanti, mentre l’ingresso veniva chiuso di nuovo e sbarrato con un’asse di legno.

«Sono proprio contento di vederti, Fulbert – ammise Sensien – Di colpo è stato come se gli dei ci avessero mandato tutte le piaghe possibili! Che sta succedendo?»

«Non credo di doverlo davvero spiegare. Cosa stavate festeggiando tutti?» rispose lo strigo.

Sensien era a dir poco allibito:

«La maledizione della strega è sempre stata vera?»

Fulbert annuì:

«Sì, ma la famiglia di Blosin ha sempre impedito che si avverasse sul serio. Almeno fino a oggi»

I rifugiati lì presenti iniziarono a mormorare tra loro, scandalizzati e atterriti. L’aldermanno domandò:

«Ma allora cosa possiamo fare?»

«Sono qui per questo. Ormai la strega si è risvegliata ed è chiaro che i morti sono legati a lei con la magia. Devo scoprire dove i fondatori di questo posto la seppellirono, affrontarla e scacciarla alla maniera degli strighi. Tu hai qualche idea di dove potrei cercare?»

Gli occhi di Sensien si illuminarono e il vecchio annuì con foga:

«Io no, ma so esattamente la fonte giusta! Seguimi»

L’aldermanno accompagnò Fulbert nella sua stanza da letto. In un comò sotto la finestra, erano contenuti sette quaderni che mostravano diverse fasi di decadimento. Sensien prese il primo, quello più vecchio e consunto, e lo porse a Fulbert mentre spiegava:

«Fin dalla prima generazione, tutti gli aldermanni di Cava Triste prima di me hanno tenuto un registro di tutti i fatti di cronaca più importanti che segnavano la storia del villaggio. È impossibile che qui dentro non ci sia anche l’esecuzione della strega. Se abbiamo fortuna, il mio capostipite ha scritto il luogo della sepoltura»

«Ottimo, grazie» replicò in fretta Fulbert, prendendo il quaderno.

Iniziò quindi a sfogliare velocemente il volume, passeggiando nervosamente in giro per la camera sotto lo sguardo apprensivo del vecchio Sensien. Dava un’occhiata frettolosa a ciascuna delle righe di ciascuna pagina, in cerca di parole chiave come “strega” o “impiccagione”. Per più di metà libro, non trovò niente di utile e la sua frustrazione cresceva ogni secondo, pensando ai non morti che intanto continuavano a devastare tutto. Alla fine, però, trovò quello che stava cercando: in una cronaca datata nell’autunno del 954, il primo aldermanno di Cava Triste si rallegrava di aver salvato il villaggio da una fattucchiera in grado di parlare coi morti che tramava di portare ogni sorta di sventura sugli abitanti. Fulbert lesse ogni singola parola con attenzione, sperando di trovare un indizio. Finalmente, lesse quello che gli serviva: anche se, su richiesta dei parenti della strega, era stata scolpita una lapide per lei al cimitero, l’aldermanno aveva ordinato che fosse sotterrata fuori dal paese, per evitare sventure. L’avevano seppellita sotto un maestoso olmo secolare in una radura a Est del villaggio.

«So dov’è» affermò lo strigo.

«E dov’è?» chiese Sensien, genuinamente curioso.

«Sotto un grande olmo a Est di qui. Ci sono stato stamattina: la viverna aveva marcato il territorio sulla corteccia di quell’albero»

«Dunque adesso andrai a combatterla?»

«Sì, è l’unico modo»

«In questo caso, buona fortuna»

«Grazie» rispose lo strigo, restituendogli il quaderno e correndo di fuori.

Una volta all’esterno, Fulbert vide i suoi compagni tutti radunati nella piazza: stavano smembrando gli ultimi morti viventi nelle vicinanze. Quando lo videro, gli corsero incontro.

«Hai scoperto qualcosa?» domandò Aleera, inzuppata di sangue putrido da capo a piedi.

«Per fortuna sì: sappiamo dov’è la strega!» esultò lo strigo.

«Dove?» chiese Laurent.

«Ricordate l’olmo dove la viverna aveva raschiato le corna e affilato gli artigli? Il suo fantasma è lì. Non ci resta che toglierla di mezzo, e addio morti che camminano»

Dunque, ignorando gli ultimi morti che ancora barcollavano per le strade e i superstiti ancora senza rifugio che scappavano impauriti alla loro vista, i Guardiani degli Innocenti corsero verso Est, uscirono dal villaggio e si inoltrarono di nuovo nell’oscurità opprimente del bosco avvolto dalla nebbia nera. Ricordandosi la strada per quella radura, procedevano a passo spedito, determinati a mettere fine una volta per tutte a quella maledizione. Più procedevano, più l’odore nauseabondo si faceva intenso, chiaro segno che si stavano avvicinando a dove la foschia si originava. Dovevano tutti sforzarsi di sopportare quel fetore acre e di non tossire, perché a momenti sembrava quasi che l’aria fosse velenosa. Solo quando giunsero sulla vetta dell’ultima collina che li separava dalla destinazione, poterono godersi una boccata d’aria più salubre, poiché in alto la nebbia era più rada. Da lassù, potevano vedere il grande olmo, che si trovava al centro di una radura a valle.

«Guardate» indicò Laurent.

La nebbia scura scaturiva proprio dai rami dell’olmo, come se andasse a fuoco. Da lì, ammantava tutto il bosco, lenta ma inarrestabile.

«Se da viva era una Fonte, la strega doveva avere un potenziale enorme, se da morta può fare questo» rifletté Fulbert.

Di colpo, per la terza volta in quella dannata notte, i Guardiani degli Innocenti furono assordati e sconvolti dal grido della strega. L’olmo si agitò come scosso da un terremoto e le fronde degli altri alberi ondeggiarono, per quanto non ci fosse un filo di vento.

«Accidenti, qual è il suo problema?!» si lamentò Willy, premendosi le orecchie.

Quando l’urlo cessò, i cinque sentirono dei gemiti familiari provenire dal bosco, tutto intorno a loro. A poco a poco, delle sagome umane sempre più numerose barcollarono sul versante della collina, arrancando verso la cima: altri non morti.

«La strega deve averne tenuti alcuni a difenderla» dedusse Aleera.

«Noi cosa fa?» chiese Gurg.

Fulbert si voltò verso i suoi compagni, con le direttive pronte:

«Voi pensate a questi cadaveri, io vado dalla strega. Se tenete impegnate le sue “guardie”, per me sarà più facile eliminarla»

«D’accordo» rispose Laurent.

«Dille di chiudere il becco da parte mia!» scherzò Willy, mentre lo strigo partiva di corsa.

Fulbert si accorse che quasi tutti i non morti lo ignoravano: erano concentrati sui quattro mostri. La maggior parte lo incrociò senza badare a lui; solo un paio di morti tentò di attaccarlo, ma li decapitò con facilità. Una volta che ebbe la via libera, il rosso scese di corsa giù per la collina e attraversò l’ultimo tratto di foresta che lo separava dalla destinazione. Si fermò ad una decina di passi dal margine della radura dell’olmo, osservando l’albero maledetto, spada d’argento alla mano.

“Ci siamo. O la va lo la spacca” pensò, determinato.

Iniziò a fare dei cauti passi verso lo spiazzo, guardandosi bene intorno per evitare di farsi cogliere di sorpresa dallo spettro della strega. Mentre avanzava, cercava di pensare alla strategia migliore per lo scontro: spargere dell’unguento anti-spettri sulla lama l’avrebbe aiutato molto, ma purtroppo non aveva avuto né il tempo, né il modo di prepararlo. Avrebbe dovuto affidarsi al segno Yrden e ai suoi riflessi. Una volta che mise piede nella radura, trattenne a stento un conato: l’odore lì era proprio insopportabile. Iniziò a sentirsi osservato: sentiva di non essere solo e, soprattutto, percepiva di non essere gradito. Fu allora che udì un sussurro: una delicata e giovane voce femminile che gli sibilò nelle orecchie, come se ci fosse qualcuno accanto a lui:

«Andate via. Tutti voi. E smettete di difendere quei miserabili»

Il medaglione di Fulbert vibrava all’impazzata. La strega era lì, da qualche parte. Aspettandosi un attacco da un momento all’altro, Fulbert mantenne i nervi saldi e decise di provocarla, sperando di attirarla allo scoperto:

«Tu sei Afeh, giusto? Ascolta, so che sei arrabbiata e che aspettavi di vendicarti da tantissimi anni, ma tutto questo è inutile»

Ci fu un silenzio di tomba. Fulbert guardò ogni angolo della radura, prima di continuare:

«Dico sul serio: solo quelli che ti hanno impiccata meritavano una maledizione, non gli abitanti di adesso. Non credevano nemmeno che la tua storia fosse reale! Cosa ci guadagni a scomodare i morti solo per sfogarti su dei disgraziati che non c’entrano niente con te?»

Questa volta, ottenne una risposta incollerita:

«Zitto! Tu non c’entri niente, e neanche quei mostri! E se non mi lascerete stare, morirete come gli altri!»

D’un tratto, Fulbert sentì un soffio gelido sul suo collo che gli fece scendere un brivido lungo la schiena. Si voltò di scatto e vide un wraith dalle fattezze femminili, con indosso un sudario sporco e sgualcito, la pelle putrefatta che pendeva dalle ossa e pochi capelli sfilacciati. Lo spettro stava allungando la mano per toccarlo, ma Fulbert lanciò subito il segno Yrden. Il cerchio magico di simboli viola illuminò il terreno intorno a loro e la strega, con un lamento, diventò solida. Senza esitare, Fulbert si scagliò su di lei e sferrò un energico fendente, squarciando l’addome del fantasma. Afeh urlò di sorpresa e di rabbia, prima di arretrare e scomparire. L’effetto del segno Yrden si esaurì poco dopo. Lo strigo tornò a osservare la zona con la massima allerta, pronto a reagire. Afeh riapparve di colpo alla sua sinistra, pronta a ghermirlo con le sue dita ossute. Fulbert la evitò scansandosi di lato e rispose subito con un affondo, ma il wraith scomparve prima che il colpo andasse a segno. La voce di Afeh risuonò per tutta la radura, questa volta era molto più forte e faceva un’eco inquietante:

«Cosa ti importa? Perché non vuoi che li punisca?»

«Perché è il mio lavoro» replicò Fulbert, con voce ferma.

La strega emise un grido rabbioso, dopodiché lo strigo si ritrovò circondato da tre copie identiche dello spettro. Non c’era modo di distinguerle, quindi non indugiò e attaccò la prima che provò a colpirlo. Lo spirito diventò fumo appena fu attraversato dalla lama: era un’illusione. Lo strigo schivò un colpo del secondo fantasma e contrattaccò, ottenendo lo stesso risultato. Quando si girò verso la vera Afeh, lei svanì. Fece un altro tentativo di punzecchiarla:

«Dammi retta, covare rabbia nella tomba per secoli è solo una perdita di tempo. Ormai è acqua passata, lascia perdere! I morti dovrebbero riposare in pace, non trovi?»

«Smettila!» urlò lei.

La voce veniva da sotto di lui. Spiazzato, Fulbert fece appena in tempo a chinare lo sguardo, prima che lo spirito della strega emergesse all’improvviso dalla terra e gli afferrasse la gola con le sue dita adunche. Quando Afeh strinse la presa, Fulbert si sentì pervadere dalla sensazione più orribile che avesse mai provato: le forze gli mancarono all’improvviso e la spada gli cadde di mano. Si accasciò in ginocchio, sorretto solo dal fantasma che gli stringeva la gola. Per quanto si sforzasse di respirare, gli sembrava sempre più difficile. Un gelo così intenso da bruciare come il fuoco iniziò a devastare il suo corpo. La sua vista si offuscava sempre di più ad ogni secondo che passava: di lì a poco avrebbe visto solo nero.

«Ora sai cosa si prova a morire. Sai cosa provano tutti i morti che ho fatto svegliare, ogni singolo istante» sussurrò la strega.

Ma Fulbert non aveva alcuna intenzione di morire. Avrebbe lottato fino allo stremo. Strinse i denti e, facendo appello a ogni residuo di energie che ancora non l’aveva abbandonato, riuscì ad alzare lentamente la mano sinistra, ignorando il freddo atroce che gli intirizziva i muscoli e, poco prima di cedere, riuscì a lanciare il segno Quen. Lo scudo magico si formò subito intorno a lui e, con una piccola onda d’urto, spinse via il wraith, che mollò la presa. All’improvviso, la sensazione di agonia sparì e Fulbert si sentì sano come un pesce. Inspirò più a fondo che poté e spalancò gli occhi, felice di essere tornato a vederci bene. Quando guardò davanti a sé, vide che Afeh era ancora disorientata per l’onda d’urto: era la sua occasione. Svelto come un fulmine, riprese la spada d’argento, si rialzò e si lanciò sullo spettro. Lanciò di nuovo il segno Yrden per farla tornare tangibile e, prima che lei riuscisse a fare qualsiasi cosa, la trafisse in pieno petto. Lo spettro sgranò i suoi occhi neri e infossati e gridò di nuovo, ma questa volta di dolore. Fulbert estrasse la spada e la colpì di nuovo, tagliandole la gola. Afeh iniziò a consumarsi e a dissolversi, come consumata da un fuoco invisibile.

«No… non voglio andare via… devono… pagarla! No!» piagnucolò sommessamente, prima di vaporizzarsi.

Era fatta: il medaglione di Fulbert smise di vibrare. L’immenso olmo smise di emanare la foschia pestilenziale e la nebbia nera cominciò a salire e a diradarsi, l’odore di marcio si affievolì gradualmente. In pochi minuti, il paesaggio della foresta tornò quello di sempre, illuminato da un limpido cielo notturno autunnale. Non si udiva più neanche un suono: i morti viventi dovevano essere stati liberati dal maleficio.

“Ora sì che la famiglia di Blosin si è tolta un peso” pensò Fulbert, soddisfatto.

Dopo aver rivolto un ultimo sguardo all’olmo, che portava ancora i segni del passaggio della viverna reale, lo strigo rinfoderò la spada d’argento e tornò sui suoi passi: ancora una volta, i Guardiani degli Innocenti avevano salvato la situazione.

ALL’ALBA, NELLA CAVERNA DI AURORA…

I Guardiani degli Innocenti erano radunati attorno al fuoco, mentre i raggi rosa del sole che sorgeva iniziavano a lambire gentilmente la foresta. Dopo che la maledizione era stata annullata per sempre, i non morti si erano accasciati a terra senza vita, come le carcasse che erano. Siccome il loro lavoro era finito, i Guardiani degli Innocenti avevano deciso di tornare direttamente dalla succube: gli abitanti di Cava Triste erano salvi, che ci pensassero loro a riprendersi dal disastro, a riparare i danni e a seppellire le vittime. Magari Sensien avrebbe voluto parlare di nuovo con Fulbert per chiedergli qualche altro chiarimento, oppure per ringraziarlo in pubblico e ricompensarlo, ma lo strigo non aveva fretta: sarebbe andato al villaggio più tardi. Per ora, voleva soltanto rilassarsi.

«Insomma, abbiamo salvato le pecore del villaggio da una viverna, per colpa un po’ mia e un po’ del tizio del cimitero abbiamo fatto avverare una maledizione vecchia di centinaia d’anni e poi l’abbiamo salvata da una sfilza di morti che camminavano. E tutto in un giorno e in una notte! Ragazzi, dovrebbero davvero apprezzarci di più» scherzò Willy.

«Questa volta potrei darti ragione, lo ammetto. Peccato che ci temino quanto i mostri da cui li salviamo» rispose Laurent, malinconico.

«Ma Gurg piace tanto schiacciare morti! Finiti già» si lamentò Gurg.

«Fulbert, molte persone hanno visto noi quattro stanotte. Se ti fanno domande, tu come ti spiegherai?» chiese Aleera allo strigo, insicura.

«Dovrai trovare un modo per proteggerli, come hai dovuto fare con me?» aggiunse Aurora, preoccupata.

Lo strigo meditò cosa rispondere a lungo, per poi stringersi nelle spalle:

«Non ho ancora deciso del tutto, a dirla tutta. Erano tutti nel panico e pensavano solo a scappare, forse non ci penseranno più o crederanno di essersi confusi, di aver visto qualche mostro tra le fiamme oltre ai non morti. Ma se davvero vorranno sapere la verità. Be’, mi inventerò qualcosa. O forse non mi inventerò nulla»

«Intendi davvero rivelare la verità su di noi? Sui Guardiani degli Innocenti?» chiese Willy sorpreso.

«Forse, oppure no. Come ho detto, dipende tutto da come si evolverà la situazione: in base a come andrà, mi adatterò. In ogni caso, possono solo esserci grati»

«Noi salva loro, certo che grati!» esclamò Gurg.

«Be’, non si può mai sapere con la gente, bestione» scosse la testa il lupo mannaro.

Dopodiché, il gruppo rimase in silenzio, senza che nessuno trovasse qualcosa da aggiungere. Erano soltanto soddisfatti per aver impedito un massacro totale. Stanchi ma soddisfatti. Dopo un po’, a Fulbert cominciò a non dispiacere quel silenzio: c’era tranquillità, si sentiva rilassato. Decise di approfittarne per volgersi verso l’uscita della caverna e godersi lo scorcio di foresta che si vedeva da lì: la boscaglia ancora in penombra, i canti dei primi uccelli sugli alberi, i raggi dell’alba che passavano attraverso le fronde... avrebbe potuto stare lì fermo a guardare fuori dalla grotta per ore. Per un paio di minuti, Fulbert si sentì in pace come poche altre volte, tanto che gli venne spontaneo abbozzare un sorriso.

   
 
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