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Autore: babastrell    02/10/2021    0 recensioni
[Hazbin Hotel]
Di ritorno dal set dell’ennesimo film per adulti, Angel Dust si accorge che qualcuno —o qualcosa— lo sta seguendo.
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Questa storia partecipa al Writober di Fanwrite.it
Prompt: Ascian
Genere: Dark, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Bondage, Tematiche delicate
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Questa storia partecipa al Writober2021 di Fanwriter.it
Prompt: Ascian (pumpWORD)
No. parole: 1962

ASCIAN —> cosa o persona priva di ombra 

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SHADOW IN THE NIGHT
 

«Okay, coglioni, abbiamo finito! Portate il culo fuori dal set».

Il regista era una specie di salamandra vermiglia lunga e filiforme ed era altrettanto viscido, sia fisicamente che metaforicamente. Dopo aver congedato gli attori si girò verso il minuscolo diavoletto cameraman, appollaiato su uno sgabello dietro la macchina da presa, e gli abbaiò di portare immediatamente il girato agli editor.

Il piccoletto cercò di scendere dall’alto sgabello in tutta fretta, stringendo disperatamente il nastro tra le braccia corte, ma non fu abbastanza rapido: uno scatto della coda della salamandra rovesciò lo sgabello e il diavoletto si schiantò malamente a terra, usando il proprio corpo come scudo per proteggere il girato. Se si fosse rovinato probabilmente gli avrebbero spappolato il cervello, meglio che si facesse male lui.

Intorno a lui, i demoni più grandi ridevano a crepapelle. Il cameraman si rimise in piedi sulle zampette tremolanti e svicolò via, non riuscendo comunque a evitare un calcio ben assestato nel didietro che gli fece percorrere parecchi metri di corridoio.

Se non fosse stato ridotto a uno straccio, probabilmente anche Angel Dust avrebbe riso. Aveva sete e i crampi, ed era ancora legato. Le braccia superiori erano state legate strette alle caviglie dietro la schiena, mentre quelle inferiori erano immobilizzate contro le gambe del tavolo; un corsetto troppo stretto gli impediva di usare il terzo paio di braccia, oltre a mozzargli il respiro. Non poteva liberarsi da solo.

Come se non bastasse, il resto del cast lo aveva sostanzialmente usato come un calzino in cui sborrare e sentiva gli umori appiccicosi colare sul viso, sulla schiena e tra le gambe. Riuscire a togliere quella roba dalla pelliccia sarebbe stato un incubo.

Il cast e la troupe del film se ne stava andando, disinteressandosi di lui. Non che Angel si aspettasse che lo liberassero. Si rassegnò ad aspettare che Valentino finisse il giro dei suoi locali e venisse a prenderlo.

E invece, nel silenzio risuonò il rumore ritmico di tacchi a spillo sul pavimento di linoleum scadente. Era un demone femmina, sinuosa e minuta e vagamente somigliante a uno scarabeo, avvolta in una tuta di latex nero lucido. Probabilmente una dominatrice del porno sadomaso lesbico che stavano girando nello studio accanto.

«Vuoi che ti sleghi?» chiese con voce squillante.

Angel alzò gli occhi al cielo. «No, tranquilla, zuccherino. È sempre stato il mio sogno fare il cesso pubblico legato come un cazzo di maiale allo spiedo!».

Pessima risposta. Ora se ne sarebbe andata offesa e l’avrebbe lasciato lì come il cazzone che era.

Invece lei ridacchiò e si spostò rapida al suo fianco; un momento dopo la corda che gli legava i polsi alle caviglie si allentò. Angel si sforzò di non sospirare di sollievo. Quando le braccia furono libere, riuscì ad allentare i lacci del corsetto e finalmente a respirare regolarmente.

«Questi nodi sono un vero schifo» commentò lei, inginocchiandosi per slegarlo dal tavolo. «Con quello che pagano a Valentino per averti in questi film, potrebbero almeno assumere un dominatore che sappia legarti senza bloccarti la circolazione».

Angel avrebbe voluto scoppiare a ridere, farle notare che a quello stronzo di Valentino non fregava assolutamente un cazzo della sua salute e di certo non avrebbe speso un centesimo per preservarla; dirle che se Angel fosse morto sul set probabilmente lui avrebbe comunque fatto uscire la pellicola come snuff movie e avrebbe fatto pagare cifre esorbitanti a qualsiasi depravato volesse vedere un esercito di demoni scoparsi il suo cadavere. E comunque il lato positivo del girare porno hardcore all’inferno era che c’erano pochissime possibilità che lui morisse di nuovo, quindi Valentino non vedeva ragioni per non permettere a registi, attori e clienti di usare il corpo di Angel come una bambola gonfiabile. Una vera merda, non c’è che dire.

Voleva dire tutto questo, ma invece rimase zitto. Se le sue parole fossero arrivate alle orecchie del pappone… Angel rabbrividì.

Si sedette sul bordo del tavolo, muovendosi lentamente per non sforzare ulteriormente i muscoli e le articolazioni doloranti.

«E ti hanno pure lasciato qui da solo così» continuò la dominatrice, ignara del tumulto nella testa di Angel Dust. «Questo tipo di sessioni è stressante per il sottomesso, lasciarti qui senza aftercare-»

«Per piacere, chiudi il becco» la interruppe lui, stancamente, massaggiandosi piano i polsi segnati dalla corda.

Lei ammutolì. «Scusami» disse a voce bassa.

«Sì, come ti pare». Angel si alzò dal tavolo e si diresse verso l’uscita. «Non mi serve aiuto, faccio questo lavoro da sem-». Non finì la frase.

C’era qualcosa nel corridoio.

Qualcosa di molto veloce, di cui era riuscito a intravedere soltanto l’ombra prima che sparisse.

«Che succede?» chiese la ragazza.

Angel Dust scandagliò il corridoio. Tutte le porte erano chiuse e non aveva sentito il rumore dei cardini di nessuna, quindi qualsiasi cosa fosse non poteva essersi nascosta in un camerino. Il corridoio però era vuoto.

«Niente» disse, guardingo. «Credevo di aver visto qualcosa».

Era stanco, dolorante, nudo e sporco. Non che non ci fosse abituato, ma forse era così esaurito da vedere cose che non c’erano.

«Ci vediamo» disse facendo un gesto in direzione della dominatrice, poi attraversò il corridoio senza aspettare risposta.

Nel camerino, si ripulì sommariamente e si buttò addosso un morbido maglione nero e gli shorts con cui era arrivato sul set. Avrebbe potuto farsi una doccia una volta al sicuro nella sua camera, in quel momento la sua priorità era tornare all’hotel prima che Valentino lo intercettasse per portarlo sulla strada a fare “il turno di notte”. Ne aveva avuto abbastanza per quel giorno.

L’aria notturna fredda sul volto sudato era una benedizione. O almeno la cosa più vicina a una benedizione che potesse trovare all’inferno. Angel camminava veloce, ignorando gli sguardi dei piccoli diavoletti attorno a lui. Qualcuno gli gridò qualcosa di probabilmente offensivo, ma lui non si diede neanche la pena di prestare attenzione.

Mancavano un paio di isolati all’hotel, le luci del quartiere allungavano le ombre dei demoni che si aggiravano nei vicoli bui in cerca di piaceri e peccati. Angel abbassò lo sguardo sulla propria ombra allungata sul marciapiede, nascondendo il viso nello scollo del maglione. In un’altra serata si sarebbe lasciato trascinare in quella spirale, ma era stato strapazzato abbastanza; nessuna droga avrebbe potuto competere con il suo letto.

Il suo passo si arrestò. Un’altra ombra, scura e spigolosa, era apparsa accanto alla sua. Quando si fermò, anche l’ombra smise di muoversi. Chiunque fosse, lo stava seguendo.

Cercò di sbirciare alle sue spalle con la coda dell’occhio, ma non vide nessuno. Valutò di mettersi a correre e sfruttare il momento di sorpresa per mettere più distanza possibile tra loro. A giudicare dall’ombra, però, il demone era piuttosto alto, non uno di quei nanerottoli che gli sbavavano dietro normalmente. Forse non sarebbe stato in grado di seminarlo.

L’ombra era sempre dietro di lui, non accennava a muoversi.

Angel decise di optare per l’attacco. Si girò sui tacchi, pronto a cavare occhi se fosse stato necessario.

Non vide nessuno, la strada era deserta.

«Ma che ca-».

Una mano più grande della sua faccia comparve da dietro e gli serrò la bocca. Un braccio largo come un tronco d’albero lo sollevò da terra e lo schiacciò contro il muro.

«Silenzio, troia» gli intimò una voce nell’orecchio.

Nonostante la situazione, Angel Dust non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo. Che insulto scontato.

La lingua del demone, viscida e lunga come quella di un formichiere, si insinuò nello scollo del suo maglione. Angel mantenne la calma e fece scattare il terzo paio di braccia per afferrargli le palle e strappargliele come a un bue di tre anni, solo che non trovò nulla. Un istante dopo il demone perse la presa e Angel crollò a terra malamente.

Alzò lo sguardo. Il grosso demone era i piedi, immobile. Aveva il volto paonazzo e gli occhi fuori dalle orbite, come se qualcuno lo stesse strangolando. Solo che non c’era nessun altro nella strada.

Almeno non qualcuno di visibile. L’ombra massiccia del demone, proiettata impietosamente dalle luci dei bar, era invece circondata di terrificanti lingue di tenebra che si stringevano sempre di più attorno al suo collo. Il bestione emise un rantolo raccapricciante, poi il suono delle ossa che si spezzavano echeggiò per tutto il quartiere. L’essere che aveva attaccato il demone si ritrasse e strisciò via tra le ombre, ma Angel Dust riconobbe la sagoma che lo aveva seguito fino a quel momento.

E finalmente l’aveva riconosciuta.

Si alzò, ignorando il cadavere riverso sulla strada, e raggiunse l’hotel in fretta. Entrò nella hall a passo di carica.

«E fai un po’ d’attenzione, cabrón!» ringhiò Vaggie quando lui quasi la investì, diretto all’ufficio dell’amministrazione.

Lui agitò la mano in un gesto noncurante e proseguì.

La porta dell’ufficio era chiusa, ma Angel non era mai stato il tipo che bussa e attende di essere ricevuto, quindi abbassò la maniglia e spalancò la porta.

«Beccato, Smiles!».

Alastor, in piedi accanto alla scrivania, non diede segno di sorpresa, limitandosi a lanciargli un’occhiata divertita. Come Angel aveva predetto, sul tappeto sotto di lui non era proiettata nessuna ombra. Bingo!

Charlie, dal canto suo, sobbalzò e quasi cadde dalla sedia trascinandosi dietro il librone dei resoconti. Il suo movimento attirò l’attenzione di Angel Dust solo per un attimo, ma quando tornò a guardare il tappeto l’ombra era lì, normalissima.

Alastor gli rivolse un elegante cenno di saluto. «Bentornato, amico mio. Serata incantevole, non trovi?»

«Ho visto di meglio» disse Angel incrociando tutte e quattro le braccia. «Hai intenzione di dirmi perché mi stavi seguendo o dobbiamo fare questa pantomima del cazzo?». Alzò un sopracciglio con aria di sfida.

Alastor non si scompose, il suo inquietante sorriso a trentadue denti affilati rimase spiaccicato sulla sua faccia come fosse posticcio. «Non ho idea di cosa tu stia parlando». Il suono statico della radio nella sua voce crepitò.

Angel sospirò. «Ovviamente». Valutò rapidamente se insistere, ma era decisamente troppo stanco. «Come vuoi, Rosso. Non finisce qui». Puntò due dita verso i propri occhi e poi indicò Alastor, un gesto per dirgli “ti tengo d’occhio”. Poi girò i tacchi. «Allora non ti ringrazio».

Si diresse verso la camera, rimuginando. Avrebbe dovuto restare appiccicato ad Alastor continuamente. Forse ci sarebbe voluto del tempo per scoprire perché il demone si prendeva tanto disturbo da mandare un’ombra a tampinarlo, ma almeno nel frattempo avrebbe potuto dargli fastidio. Sorrise.

 

-

 

Charlie guardò la porta dell’ufficio chiudersi dietro ad Angel.

«Spero vivamente che il suo programma di redenzione includa un buon corso di etichetta, signorina». C’era un crepitìo infastidito nella voce di Alastor, ma il suo sorriso rimase inalterato. «O almeno le basilari regole dell’educazione, come bussare a una porta chiusa».

Charlie si strinse nelle spalle. «Mi dispiace, sapete com’è fatto». Fece una breve pausa. «Vi ringrazio ancora per aver mandato la vostra ombra a distrarre Valentino. Sono più tranquilla quando Angel Dust è qui all'hotel». Girò la pagina del librone dei resoconti.

«Nessun bisogno di ringraziarmi». Alastor si avvicinò e tamburellò con le dita sullo schienale della sua sedia. «Non ci sarebbe divertimento se il nostro effemminato compagno finisse squartato, rivoltato da dentro a fuori e i suoi resti fossero sparsi su un sudicio marciapiede». Dondolò la testa da un lato all'altro, allegro. «Per lo meno non subito» aggiunse, con gli occhi che brillavano.

Era stato decisamente specifico. Charlie sentiva l'aria intorno farsi pesante, il rumore statico era tanto forte da farle rizzare i capelli sulla nuca. Scosse la testa per scrollare via quella sensazione elettrica.

Prese un respiro e sorrise. «Comunque» cercò goffamente di cambiare argomento. «Prima di uscire Angel ha accennato al volervi ringraziare. Sapete cosa intendesse?».

Alastor abbassò lo sguardo sulla propria ombra, le lingue scure di tenebra si allungarono da essa e strisciarono sul tappeto. «Temo di non saperne nulla».

  
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