Sandokan, sentendo i passi della compagna, si scosse dai suoi pensieri e si girò. – Marianna, c’è qualcosa che richiede la mia presenza? – domandò, preoccupato. Ella scosse la testa in segno di diniego. – No, stai tranquillo. Ti ho solo portato del succo di tamarindo.– rispose. Si avvicinò e porse il vassoio al giovane rajà. Sandokan prese il boccale e , d’un fiato, lo bevve. – Grazie. Ne avevo proprio bisogno. – le disse, gentile. Poi, il suo sguardo si posò di nuovo sul corpo inerte del portoghese e un raggio di luce colpì il suo volto, accendendo i suoi occhi di deboli pagliuzze dorate. Marianna sentì la pena stringerle il cuore. Forse, era uno scherzo causato dal sole, ma gli splendidi occhi di Sandokan, rossi d’angoscia, le parevano lucidi di lacrime. Quell’attesa logorava il pur forte spirito della Tigre della Malesia. E ne capiva la ragione! Nonostante l’origine differente, Yanez de Gomera era per lui un fratello e il suo cuore soffriva all’idea di una sua eventuale morte. Anche per lei era dolorosa una simile possibilità, ma la sua pena, per quanto forte, non era paragonabile a quella del suo innamorato. No, in quel momento, doveva essere una roccia per il suo compagno, dilaniato dalla preoccupazione.
– Non capisco perché non si sveglia. – mormorò ad un tratto il giovane, amaro. La sua mano destra, leggera, sfiorò quella inerte del suo compagno lusitano, poi la strinse. La ragazza, sentendo quelle parole, gli lanciò un’occhiata stupita. – Che cosa intendi? – chiese. Il rajà del Kiltar sospirò e, per alcuni istanti, tacque, come se fosse indeciso. – Yanez ha sempre combattuto contro le magie di Suyodhana. Non si è mai arreso al potere di quell’emissario delle tenebre, che si serviva di lui per colpire me. Eppure, perché ora non si risveglia? Perché continua a dormire così? Sembra un morto privo di calore… – mormorò. Gli sfiorò il viso con la mano e gli scostò una ciocca di capelli biondi dalla fronte. Marianna sbarrò gli occhi sorpresa. Pur con parole diverse, Sandokan aveva espresso riflessioni simili alle sue. Pur sperando in un esito positivo, aveva paura di una tragedia e si struggeva nell’impotenza e nelle domande. La sua mente, con un’onestà implacabile, gli aveva posto la possibilità di un esito tragico, ma il suo cuore non voleva vedere una tale, straziante possibilità. E, forse, tali pensieri attraversavano la mente dei loro compagni. – Forse, ha visto qualcosa di bello nel regno dei morti. Chissà, magari ha conosciuto l’affetto della madre, che gli è stato negato troppo presto… E io ho paura che non voglia rinunciare ad una bellezza illusoria, che però rispecchia i suoi desideri più profondi. E non so che cosa fare… Devo costringerlo a ritornare qui o lasciarlo partire? Non è crudele condannarlo ad una esistenza che non vuole, per risparmiarmi un dolore infinito? – concluse. La voce gli morì in un singhiozzo e, con un gesto nervoso, si terse le lacrime, che minacciavano di rotolargli sulle guance. Marianna sospirò e, in un gesto di conforto, gli posò le mani sulle spalle e gliele accarezzò. Quel pensiero di Sandokan era espressione d’un animo generoso e ardente, che l’aveva legata a lui con un amore sempre giovane, che nulla avrebbe distrutto. Sandokan, pur di non condannare il suo amico ad una esistenza insensata, era pronto a porre termine alla sua vita, ma la sua troppo chiara angoscia gli impediva di discernere ogni aspetto della realtà. – Ti fa onore tale premura, ma dimentichi una cosa: Yanez non ha mai seguito chimere. E’ sempre rimasto fisso coi piedi piantati sulla terra. Lui ha sempre preferito la realtà ad un sogno, per quanto bello. E noi siamo la sua realtà.– dichiarò, risoluta. Sandokan sospirò e strinse le mani della compagna. – Lo spero Marianna. Lo spero con tutto il cuore. –