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Autore: Miravel0024    04/10/2021    0 recensioni
[The Hollow]
Relationships:
Kai/Reeve (The Hollow)Kai/Reeve mentioned
Characters:
Kai (The Hollow)Reeve (The Hollow)Mira (The Hollow)Adam (The Hollow)Vanessa (The Hollow)Davis (The Hollow)
Additional Tags:
Suicide - Suicide Notes - Character Death - Angst - Hurt No Comfort - Sad Ending - Blood - Sad - A lot of sadness - I'm Sorry - No it's not true - I'm a sadistic bastard who love angst - And i love write this - Sorry
Non ho idea di come riassumere questo. Sappiate solo che è triste, molto triste. O almeno spero che lo sia. Potrei dire che ho pianto scrivendolo, ma non sarebbe vero. Potrei piangere quando lo rileggerò a mente lucida però, e mi odierò per averlo scritto, ma attualmente sono alquanto orgogliosa di questa cosa. Era tantissimo che volevo scrivere qualcosa su quetso fandom e specialmente su Kai che è il mio precious boy, ed è proprio per questo che è destinato a soffrire.
In conclusione se avete voglia di piangere questa e la storia che fa per voi.
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Writober 2021'
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Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it
Prompt: Angst
N° parole: 2502


Zal:

Questa emozione in polacco è traducibile come la malinconia provocata da una perdita irreparabile, riunendo delusione, rimpianto e talvolta anche furia violenta.

 





Un leggero e costante gocciolio proveniva da dietro le ante della cabina armadio. Era stato un turno tranquillo, niente rapine, aggressioni o violenza domestica, solo qualche ubriaco molesto. Almeno fino alle sei del mattino, quando il 911 aveva ricevuto una chiamata da un maggiordomo isterico. Un ragazzo di soli quattordici anni, il figlio della famiglia per cui lavorava, si era tolto la vita la sera prima nella cabina armadio della sua camera da letto. L’uomo lo aveva trovato quella mattina, quando era andato a svegliarlo per la scuola.
Il poliziotto prese un profondo respiro prima di aprire le ante, faceva quel lavoro da ormai diciassette anni, ma non si sarebbe mai abituato a quello. Riusciva a vedere la pozza di sangue espandersi dal fondo, si avvicinò lentamente non volendo vedere, ma sapendo che non aveva scelta. Quello che vide gli spezzo il cuore. Il ragazzo era rannicchiato in un angolo, sembrava che avesse cercato di renderlo confortevole, come una sorta di piccolo rifugio, c’erano un materasso, dei cuscini e delle morbide coperte. Era avvolto in una felpa che aveva almeno un paio di taglie di troppo, era ovvio che non fosse sua, le maniche erano coperte di sangue. Appeso davanti al ragazzo c’era un iPad, aveva una serie di video in ripetizione, si infilò i guanti e lo prese. Quando provo ad alzare il volume si rese conto che il dispositivo era collegato a qualcosa, il ragazzo indossava delle cuffie, cerco di non pensarci troppo e disattivò il bluetooth, appena lo fece un mucchio di forti voci allegre riempirono la stanza.
 
«Reeve! Smettila imbrogliare! Sei sempre il solito.»
«Stai zitto Adam. Non sto imbrogliando, sei tu che fai schifo a questo gioco.»
«Non è vero, sono bravissimo a questo gioco, stai usando i trucchi.»
«Non sto usando i trucchi Adam! Chiedilo a Kai, ci giochiamo sempre e non si è mai lamentato.»
«Non si è mai lamentato perché con lui non imbrogli!»
I due ragazzi erano seduti su due sacchi di fagioli, uno verde ed uno blu, posti davanti ad un televisore e stavano giocando a qualche videogioco. C’erano atri sacchi sparsi per la stanza, tutti di colori diversi.
«Ragazzi. Ragazzi! Oh mio dio la volete smettere! Avevate promesso.» Questa volta era stata una ragazza a parlare, la telecamera l’aveva inquadrata non appena aveva parlato, era in piedi sulla soglia, con le mani sui fianchi e sembrava arrabbiata. I due ragazzi, Reeve e Adam, borbottarono qualcosa, ma smisero di discutere.
Una risata leggera arrivò da dietro l’obbiettivo, chiunque stesse registrando sembrava divertito.
Al suono il viso della ragazza si rilassò.
«Almeno qualcuno qui si diverte. Comunque abbiamo portato gli spuntini.» Entrò nella stanza e dietro di lei comparve un terzo ragazzo con in mano un vassoio pieno di cibo, ed un’altra ragazza che trasportava delle bibite.
«Siete i migliori ragazzi!»

 
La registrazione si interruppe, ma ne parti subito un’altra. Scorse tutti i video, uno dopo l’altro e tutti erano incentrati sullo stesso gruppo di amici. Uscite alla sala giochi, al centro commerciale, al fast food, istantanee di momenti felici, ma anche di momenti familiari e confortevoli tra un gruppo di adolescenti che si erano scelti ed erano diventati una famiglia.
Quel povero ragazzo aveva scelto di morire guardano i ricordi felici con i suoi amici, di farsi accompagnare dalle loro voci, di andarsene pensando a qualcuno che amava. Ora che lo osservava meglio il viso del ragazzo era rigato di lacrime, ma c’era un leggero sorriso sulle sue labbra.
Una lacrima sfuggì al suo controllo, ma la fece sparire rapidamente, non c’era posto per le emozioni in un lavoro come il suo.
Si alzò imprecando al pensiero di dover dire a quei ragazzi che il loro amico si era tolto la vita.
Uscii dall’armadio lasciando il posto alla scientifica a cui l’asciò il tablet in custodia come prova.
Erano passate ore, le prove erano state raccolte, il corpo portato all’obitorio, i genitori e i domestici interrogati ed era già chiaro che c’era di più in quella storia. Le due parti davano testimonianze diametralmente opposte.
I genitori descrivevano un ragazzo intelligente, dal futuro brillante come capo dell’azienda di famiglia, un ragazzo socievole e ben educato, ma con pochi amici.
I domestici descrivevano invece un ragazzo si intelligente, ma con nessun interesse a dirigere l’azienda di famiglia, il ragazzo amava i videogiochi, la programmazione e l’ingegneria. Era timido e con scarse abilita sociali, nessun amico, almeno fino a pochi mesi prima quando partecipò al gioco The hollow e fece amicizia con i ragazzi della sua squadra e di quella rivale. La parte più interessante però fu quella in cui tutti i domestici dal primo all’ultimo testimoniarono che i genitori del ragazzo erano abusivi, sia verbalmente che fisicamente e che l’autopsia lo avrebbe confermato. Avrebbero voluto parlare prima, ma sapevano che non sarebbe servito a nulla, non con la quantità di soldi che la famiglia possedeva, perciò avevano scelto di restare e occuparsi del ragazzo come meglio potevano, ma evidentemente non era bastato.
Questo ovviamente aveva aperto un caso contro i due coniugi, ora accusati di negligenza, abusi e percosse su un minore. Temeva che non ne avrebbero cavato niente, ma avrebbe fatto tutto ciò che poteva per far accusare quei due.
Per il momento tutto ciò che restava da fare era parlare con gli amici del ragazzo.
 
Gli interrogatori individuali erano stati un incubo, i ragazzi erano distrutti, continuavano a piangere e singhiozzare, a chiedere dettagli, spiegazioni, un motivo.
Quando erano finalmente riusciti a calmarsi abbastanza da rispondere alle domande il quadro si era fatto più chiaro.
Avevano detto più o meno tutti le stesse cose. Era un ragazzo dolce, gentile e goffo, avvolte un po’ strano, ma era uno dei motivi per cui lo amavano. Era divertente ed intelligente, un genio della meccanica, si offriva sempre di aggiustare qualsiasi cosa rompessero, era molto portato per le materie scientifiche e tecniche, ma se la cavava bene con tutto. Spesso li aiutava a studiare.
Capitava a volte che avesse dei momenti in cui si incantava a fissare il vuoto con uno sguardo assente, ma quando gli chiedevano spiegazioni riusciva sempre a svicolare e i ragazzi non volevano spingerlo troppo, pensavano che prima o poi si sarebbe aperto con loro.
Avevano anche la sensazione che fosse costantemente insicuro sul suo posto nel gruppo, come se temesse che si sarebbero stancati di lui, facevano tutto il possibile per farlo sentire amato e voluto, per fargli sapere che lo amavano e che sarebbero sempre stati lì per lui.
Si davano la colpa, penavano di non aver fatto abbastanza, che avrebbero dovuto essere più presenti, più insistenti, che se avessero fatto le cose meglio e prima avrebbero potuto salvarlo. Gli disse del tablet, dei video, di come fossero stati il suo ultimo pensiero, di come se ne fosse andato con un sorriso pensando a loro. Gli mostro anche la lettera che avevano trovato, diceva solo:
“Mi dispiace, ragazzi. Non è colpa vostra. Vi amo.”
Non era colpa loro, avevano fatto tutto ciò che potevano, erano solo dei bambini e la depressione non passa magicamente grazie all’amore, il ragazzo aveva bisogno di terapia e antidepressivi, cose che non aveva mai avuto l’occasione di ottenere.
Lui li amava… e sapeva che loro lo amavano.
 
L’ultima cosa di cui parlarono furono i suoi genitori. Non ne sapevano molto, il ragazzo era molto riservato, parlava molto, ma mai di cose realmente importanti o personali. Era il migliore a svicolare e a dirigere l’attenzione lontano da lui. Sapevano per certo solo che i suoi genitori non erano molto a casa, sempre in viaggio per lavoro, perciò il ragazzo viveva principalmente con la servitù, e che quando erano a casa non facevano altro che litigare e che per questo motivo era molto suscettibile alle grida e alle discussioni violente, aveva avuto un attacco di panico durante una pesante discussione tra Reeve e Adam, da allora i due ragazzi discutevano appena e solo in modo leggero e scherzoso.
Dissero anche di aver notato, principalmente nell’ultimo mese, dei lividi, a volte sui polsi, altre sotto la maglietta sui fianchi, altre alcuni graffi sulle braccia o sul collo, inventava sempre delle scuse, ma diventavano sempre meno credibili. Avevano provato a pressarlo a metterlo alle strette, ma era servito solo a farlo rinchiudere di più, li aveva evitati finché non si erano scusati e gli avevano promesso che avrebbero smesso di interrogarlo, che erano solo preoccupati e che gli mancava. Dopo un’ultima uscita di gruppo il ragazzo era sparito, non andava a scuola e non rispondeva al telefono, fino ad un breve messaggio di un paio di giorni prima, in cui si scusava e diceva che aveva degli impegni con i suoi genitori, eventi a qui volevano che partecipasse, ed un breve tirocinio nell’azienda di famiglia.
Solo ulteriori prove degli abusi subiti da quel povero ragazzo. Non era difficile capire cosa lo avesse spinto a… quello.
 
Finito anche con l’ultimo dei ragazzi, Skeet, accompagnò lui e la sua famiglia nella sala d’attesa dove il resto dei bambini stava aspettando, erano tutti cosi giovani, tutti tra i quindici e i sedici anni, il ragazzo era il più piccolo del gruppo.
Sì fermo anche lui nella saletta, aveva un’ultima cosa da dire.
«C’è un’ultima cosa che credo dobbiate sapere. Il vostro amico indossava una grossa felpa verde e bianca, ho la sensazione che sia di uno di voi data la misura. Solitamente gli effetti personali andrebbero restituiti alla famiglia, ma date le circostanze credo si possa fare un’eccezione. La giacca è macchiata e dubito sia un promemoria che volete avere, ma ritenevo giusto che sapeste che fosse una possibilità.»
«La voglio, non mi importa se è macchiata o qualsiasi altra cosa.» Era stato Reeve a parlare.
«Era la sua preferita, voglio tenerla.»
«Certo che era la sua preferita, era un tuo regalo.» Era Mira questa volta, con un singhiozzo e una triste risata spezzata. «Cristo, ricordo ancora la sua faccia quando gli hai detto che poteva tenerla. L’ha indossata ovunque finché non ha iniziato a fare troppo caldo.»
«Abbiamo dovuto strappargliela di dosso, stava per svenire.» Adam, un’altra risata spezzata.
«Era davvero cotto di te.» Vanessa.
L’aria vibrò e per un attimo fu come se quelle parole rimanessero sospese nell’aria in mezzo a loro, un forte singhiozzo spezzò il silenzio. Reeve stava piangendo, grosse lacrime cadevano sul viso del ragazzo distrutto.
«Dovevo baciarlo, sono un idiota. L’ho lasciato andare via ed ora lui…» Non sapeva di cosa stesse parlando, ma evidentemente i suoi amici sì. La prima ad avvicinarsi fu Mira, strinse forte il ragazzo a se, permettendogli di piangere sulla sua spalla e presto furono circondati da tutti gli altri.
Decise che era il momento giusto per lasciarli soli. Disse ai genitori dei ragazzi che li avrebbe contattati per la felpa non appena fosse stato possibile restituirla e se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.
Quelli erano i giorni in cui odiava davvero il suo lavoro.
 

Era molto tardi, erano rimasti solo loro al parco, gli altri se ne erano andati già da un po’, ma nessuno dei due voleva separarsi dall’altro. Erano seduti sulle altalene dondolando pigramente, il silenzio della notte spezzato solo dal leggero cigolio delle catene. Non avevano bisogno di parlare, volevano solo godersi la reciproca compagnia, recuperare il tempo perso.
L’aria notturna era fresca, ma non abbastanza da essere fastidiosa.
Reeve si voltò verso Kai, il suo viso era illuminato dalla tenue luce lunare, guardava in alto, verso il cielo. Si chiedeva a cosa stesse pensando. Era avvolto nella sua vecchia giacca, gliel’aveva prestata una sera durante un’uscita di gruppo, l’idiota era vestito troppo leggero e stava congelando. Non ne poteva più di vedere l’altro ragazzo tremare in quel modo, perciò si tolse la felpa e gliela porse, aveva comunque un maglione pesante sotto, non ne avrebbe sentito la mancanza. Protestò un po’, ma alla fine lo convinse a prenderla e quando finalmente la mise fu come essere colpito in pieno petto da un mattone. Un Kai sorridente, avvolto nella sua felpa, decisamente troppo grande per il ragazzo più giovane, con le guance arrossate che lo guardava come se avesse appeso le stelle in cielo era davvero troppo per Reeve.
Fu allora che si rese conto di avere una gigantesca cotta per l’altro ragazzo.
 Alla fine gli lasciò la giacca, era troppo carino con quella per riprendersela e l’idea che Kai indossasse qualcosa di suo gli faceva contorcere lo stomaco.
 
Un grugnito scontento lo riportò al presente. Kai ora stringeva in mano il suo telefono e sembrava infastidito.
«Che succede? Qualcosa che non va?»
«No, niente. Solo Devis, sta venendo a prendermi, a quanto pare si sta facendo troppo tardi. Mi sarebbe piaciuto restare ancora.» Reeve sorrise, gli piaceva pensare che volesse restare ancora per stare più tempo insieme.
«Anche a me sarebbe piaciuto. Possiamo rifarlo però. Ogni volta che vuoi.» Si alzò dall’altalena, pronto ad accompagnarlo all’entrata del parco. Kai si alzò a sua volta, ma nel farlo inciampò nel nulla, come suo solito. Reeve si sporse istintivamente e lo prese prima che potesse cadere faccia a terra.
Kai alzò lo sguardo per ringraziarlo, ma si fermò a metà, rendendosi conto di quanto fossero effettivamente vicini. Arrossì e distolse lo sguardo. Se avesse continuato a guardarlo mentre erano così vicini non era sicuro che sarebbe riuscito a trattenersi, desiderava baciarlo così tanto. Cercò di allontanarsi, ma le mani di Reeve lo tennero fermo al suo posto, torno a guardarlo e ne suoi occhi vide una luce decisa, sia accorse solo in quel momento che l’altro ragazzo gli stava guardando le labbra, che stesse per…
I suoi occhi si alzarono e si unirono ai suoi, si fissarono per qualche istante, completamente persi nel momento. Reeve si stava avvicinando lentamente, le sue mani si strinsero sui suoi fianchi, attirandolo più vicino. Le mani di Kai si strinsero intorno ai lembi della maglietta di Reeve. Entrambi chiusero gli occhi, stava davvero per accadere, ormai ci giravano intorno da settimane ed entrambi non vedevano l’ora.
Finalmente stavano per baciarsi.
 
Un forte suono li fece sobbalzare ed allontanarsi di scatto l’uno dall’altro. Il telefono di Kai stava suonando.
«D-davis ehi. Io… sì, mi dispiace. Saro li tra un minuto.» Kai ripose il telefono in tasca ed anche se sapeva che ormai il momento era rovinato, alzò comunque lo sguardo su Reeve e si avvicino di un passo, sperando che l’latro ragazzo riprendesse da dove erano stati interrotti, voleva davvero quel bacio.
Ma non arrivò mai. Reeve si fece da parte imbarazzato e gli fece cenno di avviarsi. Kai sospirò sconsolato, aveva la sensazione che non avrebbe mai ottenuto il suo bacio, il destino non sembrava d’accordo.
Si affretto vicino a Reeve, godendo della vicinanza. Le loro dita si sfiorarono e l’attimo dopo le loro mani erano intrecciate. Kai alzò lo sguardo stupito, Reeve non lo stava guardano, ma le sue orecchie erano rosse. Kai sorrise e ricambio la stretta. Forse non aveva ottenuto il suo bacio, ma andava bene così, avevano tempo per quello.     
 




 


 Ok... chiedo scusa a tutte le povere anime che sono arrivate fino a qui. Purtroppo non c'è alcun premio per voi baldi coraggiosi, solo tanta tristezza.
Sinceramente ho amato scrivere questo, in un certo senso ne avevo bisogno... è stato liberatorio, avevo quest'idea in mente da un po' e riuscire a riversala in queste righe è stato fantastico. Penso che mi piacerebbe molto scrivere altro su questo universo, ci sono alcune cose, alcuni scenari che non sono riuscita ad inserire, ma non sono sicura di quando troverò il tempo o l'ispirazione, ma ci proverò.

 
   
 
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