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Autore: Zobeyde    04/10/2021    8 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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COME IL FUORI COSÌ IL DENTRO – PRIMA PARTE

 



Se Solomon Blake era un uomo di parola, Jim non aveva intenzione di dimostrarsi da meno; ogni mattina si svegliava all’alba, rubava una brioche alla tenda della mensa e la trangugiava mentre pedalava per circa due chilometri fino alla piantagione, riuscendo ad arrivare in tempo per le lezioni già sudato e col fiatone.
Era la prima volta che sperimentava qualcosa di simile alla scuola; sua madre aveva iniziato a insegnargli a leggere alla fattoria, ma poi era entrato nella compagnia, e se non fosse stato per Joel King, che interrogava ogni giorno lui e Arthur su tabelline e frazioni, o per i libri che gli forniva Margot, sarebbe rimasto pressoché analfabeta, visto che al direttore della sua istruzione non fregava proprio niente.
Per fortuna, Jim imparava in fretta ed era un assiduo divoratore di storie: amava in particolare le biografie dei grandi uomini del passato, voleva sapere tutto su di loro, aneddoti, curiosità, cosa li avesse resi tanto straordinari. Aveva così imparato che Alessandro Magno aveva conquistato parte dell’Asia a soli trent’anni, che Leonardo da Vinci scoprì il funzionamento del cuore umano dissezionando cadaveri, o che Napoleone fuggì dal suo esilio durante un ballo in maschera.
Non aveva idea, però, che l’alchimia fosse nata in Egitto, o che i più antichi magi fossero originari della Persia. Non conosceva i Sette Principi Ermetici, né la differenza tra teurgia e goetia. E di sicuro non aveva mai studiato la Cabala.
Nonostante fossero appena agli inizi, Blake non ci andò per nulla leggero con lui: alternava lunghe digressioni storiche a complesse nozioni di teoria magica, ma non tornò più sull’argomento Arcanta, né accennò qualcosa del suo passato o sui motivi che lo avevano portato a New Orleans. L’unica cosa che al momento sembrava chiara era che quella che i più chiamavano volgarmente “magia” – anche se Blake preferiva il termine “scienza occulta” – era manipolazione della materia ai suoi livelli più elementari:
«Ogni cosa nel mondo può essere scomposta infinite volte» gli spiegò un giorno, tracciando sulla lavagna due cerchi concentrici. «Ciascuna componente è sia un “Uno” a sé stante che una parte del “Tutto”: tra essi esiste un dialogo continuo, basato sulla Reciprocità e sulla Somiglianza.»
Il Tutto continuava a ricorrere in qualsiasi argomento trattassero, ma Jim non credeva di aver afferrato con esattezza cosa fosse. Blake ne parlava come una sorta di energia allo stato di potenza: era ovunque, sia negli oggetti inanimati che negli esseri viventi. Ed era proprio questa energia a conferire ai maghi i loro poteri...
«Un mago interagisce col Tutto tramite la propria Volontà» proseguì. «E per Volontà non intendo uno sforzo: vedila più come una calma determinazione.»
Si parlava sempre e solo di questo: ogni cosa era parte del Tutto e non poteva esserne separata, e fin qui tutto ok, ma poi Jim iniziava a perdersi, perché, se ogni “Uno” era legato al Tutto tramite un’innata Somiglianza sostanziale, era pur vero che se ne distingueva per una Differenza di tipo formale...inoltre, tramite la Volontà, uno stregone condizionava il Tutto, ma per farlo era necessario abbandonarsi a esso. Abbandonarsi a qualcosa per controllarla. A Jim sembrava più che altro una mera contraddizione e che non avesse il minimo senso.
Con sua meraviglia, però, presto si rese conto che l’addestramento non si sarebbe incentrato solo sullo studio. Di fare incantesimi ancora non se ne parlava, ma in compenso Blake cominciò a testare la sua resistenza fisica; Jim era rimasto spiazzato quando una mattina gli aveva chiesto di correre nel parco, oppure di mettersi a fare le flessioni.
«La magia scorre forte solo in chi è forte» disse, quando Jim cominciò a lagnarsi. «Corpo e mente sono interconnessi: non potrai sperare di padroneggiare il tuo potere se prima non riuscirai a controllare perfettamente ogni parte di te.»
Jim lo trovava assurdo e in più si sentiva decisamente fuori forma: era sempre stato smilzo di costituzione, senza contare che le sigarette, gli alcolici, uniti a una dieta non proprio equilibrata, non lo avevano certo aiutato negli anni. Infatti, dopo neanche cinque minuti di corsetta attorno alla proprietà, era già al collasso.
Ma l’umiliazione più grande arrivò quando Blake volle vedere come se la cavava a fare a botte.
Almeno su quello Jim era sicuro di essere ferrato, d’altronde quando si cresce in un circo presto o tardi arriva per tutti il momento di imparare a prenderle e a darle. Così, quando Blake gli chiese, con la tranquillità di chi si informa sui suoi programmi per il sabato sera, se gli andasse di tirargli un pugno, Jim si dimostrò riluttante: non aveva mai alzato le mani su un anziano e lo stregone non sembrava un tipo muscoloso. Ma di fronte alla sua insistenza, dovette eseguire.
La prima cosa che imparò quel giorno fu che non aveva mai saputo tirare correttamente un pugno. La seconda fu che esistevano almeno dieci modi diversi in cui Blake poteva metterlo al tappeto senza usare una stilla di magia.
«Si chiama bartitsu» spiegò, mentre Jim era ancora a terra che gemeva. «Una disciplina marziale che combina pugilato, Jujitsu e box francese.»
«Mi dice che senso ha tutto questo?!» esplose a quel punto il ragazzo, furibondo e dolorante. «Sono venuto da lei per imparare nuove magie, non per prepararmi alle Olimpiadi e tanto meno per farmi malmenare!»
«La magia non potrà venirti sempre in aiuto» lo rimbeccò Blake, incrociando le braccia al petto. «È importante che impari a difenderti anche senza: cosa farai la prossima volta che ti bloccheranno le mani? E se ti trovassi di fronte un mago troppo potente? Devi essere sempre padrone della situazione, qualunque cosa accada.»
Da allora dedicarono almeno un’ora al combattimento corpo a corpo tutte le mattine; Blake lo costringeva a cadere, a parare calci e pugni senza sosta, finché Jim non implorava pietà. Allora, si trascinava in bagno per rinfrescarsi e subito dopo in biblioteca, dove lo attendeva una torre di libri sempre più alta.
«Devo preoccuparmi?» gli chiese una sera Arthur, quando lo vide tornare all’accampamento coperto di lividi.
Jim cercava sempre di sdrammatizzare, ma la verità era che da settimane aveva il morale a terra; era così malridotto che preferiva cenare nella sua cabina lontano dagli sguardi degli altri, e così stanco che spesso crollava sul letto a digiuno.
Giugno passò in fretta, ma Jim non aveva l’impressione di aver fatto chissà quali progressi; ogni volta che Blake lo interrogava sembrava incapace di elaborare un discorso di senso compiuto, al che lo stregone assumeva un’espressione delusa ed erano costretti a ripetere l’argomento. E nemmeno nella lotta vedeva miglioramenti, dato che per il maestro era sempre troppo lento, troppo goffo, troppo distratto…
Credo di odiarlo, si ritrovò a pensare, ormai sull’orlo di una crisi di nervi.
Si domandava con frustrazione se tutto quello stress fisico e mentale gli avrebbe portato qualche guadagno, ma l’ultima cosa che voleva era mostrarsi un rammollito, o peggio, che Blake pensasse di averlo sopravvalutato. Perciò strinse i denti.
 
 
Come annunciato, Blake disse di dover lasciare la piantagione per dedicarsi ai suoi misteriosi affari. Jim accolse la notizia come una benedizione dal cielo, almeno avrebbe avuto qualche giorno di tregua da pestaggi e mortificazioni.
Così, approfittò della sua prima mattinata libera per respirare finalmente aria di casa. Il circo aveva un aspetto diverso dopo un intero mese di stallo e dappertutto aleggiava un’insolita oziosità; c’era chi stendeva il bucato, chi rammendava gli abiti di scena, chi giocava a carte in salottini all’aperto improvvisati; giraffe, zebre e cammelli pascolavano liberi come comuni animali da fattoria.
Jim bevve un tè alle erbe con Margot, punzecchiò un po’ Vanja, che stava prendendo il sole in costume da bagno, e fumò una sigaretta insieme a Rodrigo vicino la Cueva del Diablo. Verso mezzogiorno, raggiunse Arthur al serraglio dopo che i visitatori della mattina furono andati via.
«Hai una faccia da schifo» commentò l’amico mentre tagliuzzava frutta e verdura per le scimmie. Sebbene avessero tacitamente fatto pace, era chiaro come il sole che quella situazione non gli piacesse. «Spero almeno che ne stia valendo la pena: hai imparato a camminare sull’acqua o scatenare tempeste di fuoco di recente?»
«Qualcosa del genere» mentì Jim. «Blake dice che vuole tenere gli incantesimi più forti per ultimi.»
Non voleva ammettere che in tutto quel tempo non aveva usato la magia nemmeno una volta e che lui stesso aveva un sacco di dubbi. Arthur sospirò e aprì la gabbia dell’orangutan per lasciargli una scodella di frutta sbucciata.
In quel momento, Jim udì degli schiamazzi provenire dal retro della tenda; seguì uno starnazzare frenetico e un’imprecazione sibilata tra i denti.
«Che succede?»
«Sono gli operai» rispose Arthur, contrariato. «Avranno di nuovo rubato un gallo dal pollaio.»
«Perché?»
«Li fanno combattere. Quasi ogni sera, quando tutti vanno a dormire. Ci hanno provato anche con gli scimpanzè, ma fanno troppo baccano.»
«Cosa?» si sorprese Jim. «Per quale motivo?»
Arthur si strinse nelle spalle, ma la sua espressione era di puro sdegno. «Noia, soldi. C’è sempre un gran via vai dalla città ultimamente, auto parcheggiate vicino la Squadriglia Volante: sento grida e risate, gente che scommette. Qualche volta fanno a botte.»
«E Maurice non ne sa niente?» chiese Jim, sbalordito. «Gli va bene che si organizzino bische clandestine nel suo circo?»
«Oh, con tutti i soldi che ha da contare adesso non si accorge più di niente.» Arthur passò ad abbeverare i cavalli, che scossero le criniere e allungarono riconoscenti i colli per farsi accarezzare. «È quello che succede quando la gente non ha niente che la tenga impegnata.»
Jim era sconvolto. Sapeva di che tipo di marmaglia era composta la classe operaia del circo: vagabondi, attaccabrighe, persino qualche ex galeotto scampato alla forca, aveva sentito dire. Gente che non aveva nulla da perdere, che lavorava tanto e guadagnava poco.
«E tu glielo permetti? Che facciano combattere i tuoi animali?»
«Non sono i miei animali» ribattè Arthur. «Ho cercato di impormi e ho ottenuto solo un occhio nero e la minaccia di scuoiare mio padre mentre dormo. Sono gli animali di Maurice. Oh, e del tuo signor Blake, ovviamente. Potrebbe anche fare un salto a controllare come se la passa il suo circo, ogni tanto. Ma avete cose più importanti a cui pensare, suppongo.»
«Glielo dirò» assicurò Jim, mortificato. «Li farò smettere, non preoccuparti.»
Arthur si voltò a guardarlo, gli occhi neri e duri come onici.
«Non possiamo restare fermi, Jim. Non fa bene agli animali e di certo non fa bene all’umore della compagnia. Antonio e Teresa non vedono i loro nipotini da un anno, lo sapevi? Quanto durerà questa situazione?»
Jim balbettò qualcosa in risposta, ma Arthur non parve confortato. Quando lasciò l’accampamento, dicendo di avere una relazione su Swedenborg da finire, gli sembrò di avere un enorme macigno sul cuore.
 
 
«È già passato un mese» disse Jim una sera in biblioteca, al ritorno del maestro. «Un mese intero e ancora non ho fatto progressi!»
«Stiamo procedendo secondo il programma.»
«Sì, ma quando cominceremo a fare magie? Non faccio che leggere cose scritte da gente morta e ammuffita e prendere sberle! In che modo questo dovrebbe aiutarmi?»
Blake tirò su col naso e il suo sguardo si fece affilato come il vetro.
«Ho detto che ti avrei fornito i mezzi per padroneggiare la magia ed è quello che sto facendo. Non dare la colpa a me se di quello che spiego non ti rimane nulla in testa.»
«Io mi sto impegnando, ok?» fece di rimando il ragazzo, con una nota isterica nella voce. Tutta la stanchezza e l’insoddisfazione accumulati avevano raggiunto livelli critici e si sentiva come un vulcano pronto a esplodere. «Ho fatto tutto ciò che mi ha detto e lei in cambio non mi ha mostrato neanche un incantesimo!»
«Credi che mi diverta a sprecare fiato con un ragazzino ottuso, arrogante e svogliato?» scattò Blake. «Forse non l’hai notato, ma ho altro a cui pensare.»
Jim incassò il colpo come se avesse ricevuto un attacco fisico, ma si impose di non lasciar trapelare quanto quelle parole lo avessero ferito.
«Be’, non le è passato per la testa che forse è lei che sta sbagliando approccio?»
Dal suo trespolo, Wiglaf sventolò le ali bianche e prese a gracchiare sonoramente.
La faccia di Blake era dura come il granito. Rimasero a fissarsi da un capo all’altro della biblioteca, in un silenzio vibrante di tensione. Poi, lo stregone fece il giro del tavolo e posò il libro che aveva in mano.
«Molto bene» disse con sussiego. «Se credi che i miei metodi non siano validi, d’ora in poi faremo a modo tuo. Seguimi.»
«Dove?»
Blake non rispose; afferrò il bastone dall’impugnatura a forma di testa di corvo e si diresse ad ampie falcate verso l’uscita. Confuso, il ragazzo lo seguì lungo il corridoio e poi nell’atrio.
«Che vuole fare?»
«Pratica. Era quello che volevi, no?»
Jim sbirciò il parco buio dalla finestra. «A quest’ora?»
«Mi era sembrato di capire che non volessi più perdere tempo.»
Proseguì attraverso il prato, coperto da una densa foschia argentea; Jim teneva il passo, sforzandosi di guardare dove metteva i piedi e di non perdere d’occhio la schiena dritta dello stregone, una sagoma più scura in un mare di ombre. A un tratto, l’uomo si fermò di fronte a un gruppo di alberi e sollevò una mano. Jim lo affiancò.
«Cosa stiamo…?» cominciò a dire, ma si bloccò con la bocca aperta. La nebbia stava facendo qualcosa, la vide gonfiarsi e poi schiudersi a mo’ di sipario…
Era sicuro che in quella direzione ci fossero solo una dozzina di alberelli sparuti, mentre ora sembrava fossero diventati un bosco, selvaggio e tenebroso; vecchie mangrovie nodose, drappi sfilacciati di muschio spagnolo e rami che si allungavano nella notte come mani scheletriche…
Il ragazzo rabbrividì. «Cos’è questo posto?»
«Il Bayou St. John» rispose Blake. «Molto tempo fa, qui venivano praticati i riti magici della tradizione vudù: streghe e stregoni si riunivano nel silenzio delle paludi per celebrare l’unione con il Tutto.»
«Va bene, ma che ci facciamo noi qui?»
Blake gli rivolse un’occhiata. «Dici che ho sbagliato approccio con te, che lo studio teorico non è abbastanza stimolante. Penso che tu abbia ragione, è ora che sperimenti sulla tua pelle ciò di cui abbiamo discusso. Voglio che entri in sintonia con il Tutto e scopri dove risiede la fonte del tuo potere.»
Jim non era sicuro di aver afferrato. «Cioè?»
«Sto parlando» disse Blake. «Della perfetta comunione dell’Uno con i Molti: “come sopra, così sotto; come fuori, così dentro. Come nel grande, così nel piccolo”.»
«Sì, ma non ho capito cosa vuole che faccia in pratica.»
Lo stregone fece un gesto ampio con la mano e la nebbia si allargò ancora, scoprendo una radura erbosa circondata da enormi massi pallidi. Su ciascuno di essi era dipinto un simbolo, triangoli, strane croci, cerchi…
«Qualcosa che finora non hai mai avuto la pazienza di provare: tacere e ascoltare. Il Tutto scorre intorno a noi in qualsiasi momento, ma la sua forza non sarà mai tua se non gli permetti di raggiungerti. I maghi del Vecchio Mondo lo sapevano bene, perciò costruirono luoghi simili a questo, catalizzatori di energie primordiali. Quale posto migliore per battezzare un giovane che si affaccia alla magia?»
«Si, ma…»
«Se dimostrerai di aver fatto tesoro di quanto studiato, inizieremo con gli incantesimi» lo interruppe Blake. «Ma se non ci riesci significa che avevi ragione e che non sono stato un buon maestro: in tal caso, la nostra collaborazione termina oggi.»
«Aspetti, se non riesco a fare questa cosa sono fuori!?»
«Ti ho promesso la grandezza» rispose lo stregone, con distacco. «Se non sei in grado di afferrarla hai sprecato il tuo tempo con me e io l’ho sprecato con te.»
«Ma…non so neanche da che parte iniziare!»
«Ti ho fornito tutti i mezzi per riuscirci, devi solo rendertene conto.»
«Oh, ma è ridicolo!»
Invece di rispondergli, lo stregone fece dietrofront e uscì dalla radura.
«E adesso dove va?!»
«Hai tempo fino a mezzanotte.» Non appena ebbe superato il cerchio di pietre, la sua voce cominciò ad affievolirsi, come se fosse di colpo lontanissimo. «Ti consiglio di cominciare.»
«Sta scherzando, vero? Signor Blake!»
Ma l’uomo era già svanito nella nebbia.
Jim era scioccato. Uscì di corsa dal cerchio di pietre, ma quando si immerse nella foschia trovò davanti a sé soltanto fitti alberi. Nessuna traccia del parco, né della magione dei Winters. Era solo in mezzo al nulla.

 
  
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