Titolo: Long and Lost - I
Figured Out Where I Belong
Personaggi: Derek Hale, Stiles
Stilinski, Nuovo personaggio
Pairing: DerekxStiles [Sterek]
Rating: Verde
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo, Malinconico,
Sentimentale, Slice of life
Avviso: Slash, What if, Kidfic
Note: Ambientata dopo la sesta stagione.
1° Capitolo
«Sei sicuro?» gli domandò Derek con
serietà, davanti le scale in pietra che conducevano al municipio, i piedi
ancora ben piantati sul marciapiede comunale prima di procedere con il grande
passo.
Le iridi d’ambrosia di Stiles si
voltarono sorprese verso quelle di giada ed improvvisamente si chiese se non ci
fosse un problema tra loro che non avesse avuto premura di accettarsi. «Certo
che sono sicuro, mai stato più sicuro di così» ma forse si era perso un pezzo?
«Non sei della stessa opinione?».
«Lo sono» confermò il lupo mannaro
con certezza, senza arrancare un colpo o soffermarsi una manciata anche minima
di secondi a rimuginarci su. «Ma dopo questo, non si potrà tornare indietro».
«Non vorrò tornare indietro, non
voglio tornare indietro» di certo nella sua vita non si sarebbe mai aspettato
di arrivare a quel punto. Poteva essere onesto e affermare che nell’età
infantile ed adolescenziale qualche pensierino gli
fosse scappato di mente, con una persona ben precisa al suo fianco e con degli
scenari piuttosto vasti ed improbabili a fare da contorno, ma nelle sue
fantasie fanciullesche Derek Hale non era mai comparso; non in quelle
romantiche prima del suo arrivo precipitoso e devastante durante i suoi
disastrosi ed impopolari sedici anni.
Derek era entrato spietatamente nel
suo campo visivo e mentale, senza che l’avesse fatto di proposito o con qualche
intenzione di alcuna sorta, ma era giunto, si era piantato come un chiodo fisso
tra i pensieri del figlio dello sceriffo e non era andato mai più via. Quindi
no, non si era mai aspettato di arrivare a quel punto senza alcuna
fantasticheria anche soltanto abbozzata con il lupo completo. «Non ci servono
documenti, attestati, firme, timbri e sigilli che rappresenti e certifichi cosa
siamo l’uno per l’altro. Non abbiamo bisogno di queste prove per noi stessi,
non dobbiamo dimostrare niente a nessuno, ma è quello che ci serve per scrivere
il nostro prossimo capitolo» ne avevano parlato così tanto e per due anni
interi, organizzando i secondi, scandagliando ogni cavillo, studiando i singoli
incastri, ponderando ogni decisione, il cambiamento profondo e indelebile che
avrebbe comportato nella loro vita, la continua crescita che portavano avanti
come persona, duo e coppia. Ne avevano affrontate talmente tante nella loro
vita e con ripercussioni spiacevoli sulle loro anime dilaniate che si erano
chiesti se ne fossero realmente in grado, se fossero pronti per quel passo così
enorme ed incredibile a cui si sarebbero dedicati per il resto delle rispettive
esistenze. «Ma forse non ti va più bene?» chiederlo gli strappò un pezzettino
di quel cuore che per Derek Hale aveva sanguinato in lungo e in largo, per ogni
motivazione possibile e che nel tempo aveva provato a rimettere a posto senza
di lui, finché il mutaforma più musone dell’intero
creato non aveva provveduto lui stesso a ripararlo con le proprie mani.
«Ti seguirò ovunque andrai, sempre»
dichiarò Derek senza alcuna remora, fermo, immobile ed inflessibile. «Se sei
sicuro, lo sono anch’io».
Un battito cardiaco arrancò un colpo
in Stiles e le labbra si sciolsero in un sorriso incredibilmente dedito, così pieno
di una felicità che pensava, in un tempo passato, gli sarebbe stata negata.
«Allora non perdiamo altro tempo, Sourwolf».
Derek lo baciò su quella curva lieta
ed incantevole, un po’ per amore e un po’, enormemente di più, per dispetto.
«Fa’ strada, ragazzino».
Stiles se lo trascinò nell’immediato,
con il passo di Derek più certo del suo, invalicabile ed incontrovertibile,
uscendo dall’edificio pubblico soltanto un’ora dopo, con in mano una copia del
documento che riportava ambedue le loro firme una accanto all’altra, stretta
tra quelle dite da cui emergeva uno scintillio particolare sull’anulare
sinistro di entrambi. I raggi solari di Washington stuzzicavano due
nuovissime e impeccabili fascette dorate identiche.
«Esilarante» fu la prima parola che
attraversò la mente casinista di Stiles quando adocchiarono il nome dell’unico
orfanatrofio che corrispondesse alle solo esigenze e richieste in città, quella
particolarità unica presente in pochissime strutture in tutto l’intero paese,
faticando a star dietro ai numeri che con gli anni andavano ad aumentare. Era
una stretta al petto che l’umano non riusciva a spianare in nessun modo.
Derek l’aveva guardato giudicante e
sopprimendo uno sbuffo ringhiato che voleva ammonirlo. Non lo trovava per nulla
esilarante.
Eppure quel vocabolo non era riuscito
a toglierselo dalla testa nemmeno quando varcarono effettivamente e per la
prima volta la soglia della Wolfgang Childhood, mesi dopo
che l’avevano trovata sull’elenco delle associazioni a protezione di quei
bambini con specificità speciali, perché soprannaturali non era un
indicativo accreditato e legale.
«Noto che siete sposati da tre mesi»
disse la direttrice, Wilkinson, dell’istituto con tono incolore, sbirciando le
carte che un paio di settimane prima avevano inviato sia via posta ufficiale
che attraverso indirizzo email autentificato.
«Sì» confermò il lupo mannaro dal
pelo nero, diretto e inflessibile.
«Non è un tempo sufficiente? Crede
che non saremmo abbastanza stabili come coppia?» domandò il figlio dello sceriffo
a raffica, indispettito dall’accento lievemente riluttante della loro
interlocutrice. «Stiamo insieme da dieci anni, conviviamo da nove e ci
conosciamo da tredici» cavolo, erano la coppia più coppiosa
che potesse esistere. Anche se doveva ammettere che Stiles era entrato a
conoscenza di Derek molti anni prima, ma il licantropo non aveva alcuna
percezione di lui. In realtà, aveva cercato di ignorarlo anche successivamente.
«Le servono dei testimoni? Abbiamo dei testimoni».
«Signor Stilinski» strascicò tra i
denti la donna, lanciando un’occhiata al foglio con il suo nome
impronunciabile. «Non siamo come gli altri orfanatrofi, le nostre procedure
sono sfoltite e più veloci, siamo più flessibili su certi aspetti, requisiti e
richieste, meno su altri. Lei è umano, sa che genere di bambini accudiamo
qui?».
Non gli piaceva quell’accusa nella
sua voce, ma forse se la stava immaginando, perché Derek non pareva per nulla
risentito o piccato, ma Stiles aveva lottato per una vita per far valere la sua
natura umana in mezzo a tutto quel soprannaturale che lo circondava in ogni
dove, precipitandogli addosso, entrandogli fin dentro le vene. Primi tra tutti,
aveva dovuto combattere con lo stesso lupastro acido
che gli sedeva a fianco. Soprattutto con lui. «Ho sposato un lupo mannaro,
quindi so benissimo di quali bambini stiamo parlando».
La direttrice non poté ignorare gli
anelli dorati che entrambi indossavano in quel momento e la data concreta del
loro matrimonio riportato sul certificato ufficiale. «E da quanto tempo conosce
questa verità?».
Stiles non riusciva proprio a capire
a cosa la donna puntasse. «Avevo sedici anni» con la vista periferica vide il
licantropo irrigidirsi e Stiles sapeva bene quanto tempo effettivo fosse
passato da allora, quanto male avessero affrontato, quanto giovane fosse
realmente in quel momento e quanto lo fosse Derek stesso nei suoi ventuno anni,
ancora una volta con un pezzo della sua anima che gli era stata brutalmente
strappata via e mai più restituita; quando a quel tempo pensava che tutta la
sua famiglia fosse stata rasa al suolo, come unico superstite lui e quello zio
in coma, che aveva considerato il suo migliore amico in un’eternità precedente,
ma che poi si era rivelato il peggiore dei suoi incubi. Il carnefice ultimo.
«Siamo un’associazione molto
riservata e non permettiamo l’accesso a persone estranee al mondo
soprannaturale» dichiarò la donna coincisa, tassativa e con delle motivazioni
alle spalle, Stiles capiva bene quella rigidità, riuscire ad ottenere un
appuntamento era stato un calvario inimmaginabile ed era stato necessario
presentare il cognome Hale per potervi accedere, con l’intera reputazione che
quel branco sfortunato e quasi estinto si era guadagnato nel corso dei secoli
precedenti. Presumeva che nemmeno la sicurezza del suo conto in banca a
sostegno di probabili piccini da adottare fosse stato ignorato, Stiles capiva
anche quello. Era necessario tenere gli umani banditi da quella cerchia
privata. «È soltanto insolito che un umano faccia richiesta di adozione dalle
nostre parti e vogliamo essere certi che sappia a cosa vada in contro, che cosa
l’aspetta, che questi sono bambini che hanno bisogno di attenzioni maggiori e
nessuna distrazione. Niente di socialmente accettabile accade con loro nella
propria vita».
«Sono pronto» dichiarò con certezza
il figlio dello sceriffo; si era preparato a quel nuovo capitolo della sua vita
insieme a Derek per anni, aveva affrontato ogni genere si avversità nei suoi
ventinove anni, tredici dei quali dedicati a creature mitologiche che l’avevano
arricchito, che aveva amato e odiato, che l’avevano distrutto e fatto
rinascere, delle innumerevoli perdite che l’avevano accerchiato e delle nuove
opportunità che gli avevano fornito. Aveva stretto i denti, serrato i pugni,
versato litri di sangue, aveva pianto e urlato ed in tutto quel cataclisma
aveva continuato a rincorrere Derek che lo teneva a quanta più debita distanza
possibile. Voleva quella opportunità, avrebbe lottato ancora e ancora per
quell’opportunità, voleva crescere uno o due bambini insieme all’uomo che amava
dall’adolescenza, i loro figli; voleva maturare ulteriormente insieme a quella
famiglia immaginaria e così dannatamente imminente che desideravano ampliare.
«Lo siamo entrambi» convenne e
sottolineò il lupo completo, prodigandosi ad afferrare una mano di Stiles,
facendone intrecciare le dita, infondendogli tutto il suo sostegno, la trave
portante che rappresentavano l’uno per l’altro. Stiles gli dedicò il più bel
sorriso pieno d’amore, affetto e gratitudine che avesse visto negli ultimi
tempi.
«Va bene» sovvenne la Wilkinson,
impilando la documentazione e sistemandola sulla scrivania. «Ho tutto il
materiale per studiare il vostro caso, vi richiamerò quando avrò una risposta
per voi. Buona giornata».
Stiles si sentì liquidato all’istante
e rimase paralizzato sulla poltrona per qualche attimo di troppo, finché non fu
il mannaro a risvegliarlo dalla sua stretta, tirandoselo via e conducendolo
verso l’uscita di quel posto infame e avverso. Non si era nemmeno congedato
come l’etichetta richiedeva ed era uscito in silenzio, sperò che almeno Derek,
perfetto ed impeccabile come fosse, non avesse peccato di orgoglio insieme a
lui.
«È stata una disfatta» proferì
l’essere umano con il morale a pezzi, l’ira e il rincrescimento che ne facevano
da padroni, una volta che abbandonarono l’edificio imponente e percossero
qualche passo per una delle vie principali della città.
«Non lo è stata» affermò fermamente
la creatura della notte, procedendo fedelmente al suo fianco.
«Invece sì!» esclamò con ardore
Stiles, fomentato ed agitato, fermandosi in mezzo al marciapiede pubblico
all’improvviso. «C’eri anche tu lì dentro, non puoi negarlo».
«Stai travisando la situazione,
Stiles» lo ribeccò il mutaforma, interrompendo
l’andatura esattamente un paio di centimetri avanti a lui. «Non era avversa nei
tuo riguardi né infastidita, hai frainteso».
«Questa è bella» lo additò l’umano
spietatamente, per nulla d’accordo con l’opinione del marito. «Non ho frainteso
nulla, riconoscere il linguaggio del corpo è il mio lavoro, sono stato
addestrato per questo, come decriptare ogni sillaba e tono usato. Sono un
detective dell’FBI, per diamine» era bravo, eccellente, anche prima; i
dettagli, i piccoli gesti, le parole, l’inflessione leggera della voce o quella
più forte, le mezze verità, le cose non dette o dette platealmente, gli
inganni, la macchinazioni, la manipolazione, i sentimenti genuini e quelli
malvagi, gli intenti con doppie finalità e le bugie inventate senza davvero una
ragione, Stiles aveva imparato a riconoscerle fin da bambino e crescendo il suo
acume si era espanso, fatto più diligente e preciso. Era sempre stato dotato
nella lettura delle persone, la base della sua diffidenza l’aveva soltanto
protetto di più.
«È vero» confermò Derek, ben
conoscitore e testimone delle sue abilità, del suo talento; ne era stato
vittima. Forse lo era ancora. «Ma quando sei coinvolto emotivamente non sei
lucido» Stiles gli lanciò un’occhiata assassina, del tutto in disaccordo con il
suo pensiero e ben pronto a mettergli davanti agli occhi i fatti di quanto non
fosse assolutamente non lucido quando era coinvolto emotivamente. «Non sempre».
Stiles sbuffò al suo ritrattare e
lasciò correre, perché in parte era purtroppo vero. «Derek».
La supplica e il dolore invasero
l’epidermide del lupo, i cinque sensi che erano costantemente attivi quando il
suo umano era nei paraggi e il corpo che era continuamente predisposto verso il
suo. «Non è successo niente di grave» le mani andarono a circondargli il viso
niveo e il tocco rilassò Stiles nell’immediato. «Fidati di me, ho delle doti
anch’io».
Le labbra di Stiles si curvano appena
verso il cielo, sotto i polpastrelli della creatura della notte che sapevano
esattamente cosa dovevano fare in sua presenza. «Doti soprannaturali?».
«Sì» confermò Derek rispondendo a
malapena al suo sorriso stanco e provato, accarezzandogli un angolo della
bocca.
«E se…» provò ancora Stiles,
frastornato dalle miliari di sensazioni che lo invadevano e non volevano
lasciarlo andare. «Se non dovessero richiamarci? Se fosse andata male? Se non
ci permettessero di adottare?».
«Cercheremo un’altra associazione, in
un'altra città, ovunque potremo andare» Derek non era uno che si arrendeva,
soprattutto non davanti ai desideri di Stiles. E ai suoi.
Stiles sapeva chi aveva di fronte,
sapeva quanto il suo uomo potesse essere temerario, quanto lontano potesse
andare, me non poteva trattenersi dal dissentire sotto le sue dita, dinegando
il capo. «E se non bastasse? Se il mio essere stupidamente e limitatamente umano
non fosse un requisito su cui si possa semplicemente soprassedere».
«Mio padre era umano» affermò il lupo
mannaro, mandando in frantumi le sue teorie complottistiche. «Non siamo una
società così chiusa come credi».
Oh,
doveva vederlo davvero a pezzi per tirare fuori un argomento che difficilmente
Derek affrontava; non che gli tenesse certi parti della sua vita occultate, non
c’erano segreti o tabù tra loro, ma Stiles sapeva quanto dolore provocasse a
Derek parlare di una famiglia che non esisteva più. Nemmeno Stiles parlava mai
troppo di sua madre. «Non devo davvero ricordati che tuo padre ti ha procreato
con tua madre, vero?» se il lupo si inorridì a quella rivelazione non richiesta
e non necessaria, ma abbastanza logica, lo nascose piuttosto bene, ma il sospiro
in fondo alla gola, soppresso, lo percepì eccome. «L’adozione è diversa, più
complicata, lunga e complessa, troppi parametri in cui rientrare, troppi veti
ed imposizioni, troppa burocrazia, troppa amarezza ed è scoraggiante,
stancante, snervante e sempre a dimostrare di essere perfetti ed impeccabili.
Ma non lo siamo, siamo imperfetti e disastrosi. Io sono un disastroso comune
essere umano, non esiste un parametro in cui posso rientrare».
«Il tuo essere umano non è mai stato
un difetto e non lo sarà adesso» Derek aveva dovuto scenderne a patti
tantissimi anni fa, prima che Stiles se ne rendesse conto.
Un sopracciglio di Stiles si arcuò e
aggrottò, insieme alle pieghe del naso che il mannaro trovava adorabili.
«Ricordo benissimo che all’inizio per te era un serio motivo di fastidio».
«Non volevo ti facessi male» ci aveva
provato davvero ad allontanarlo, a scoraggiarlo, ad infierire per tenerlo il
più distante possibile dal pericolo, ma non conosceva ancora niente di Stiles e
non sapeva quanto quest’ultimo fosse propenso a sfidarlo, a mettere in campo le
sue prodezze e dimostrargli che non avrebbe mai dovuto sottovalutarlo. Derek
aveva imparato a sue spese. Entrambi avevano pagato il prezzo troppo alto di
quella vita stracolma di rischi.
Stiles rimane ammutolito da quella
rivelazione, un po’ sospettata, ma mai espressa. Derek aveva ripetutamente
tentato di tenerlo alla larga dai guai, da qualsiasi pericolo, ma Stiles li
trovava sempre, anche dove non c’erano. Si chiese per la prima volta se quella
premura apprensiva e costante che nutriva nei suoi confronti non fosse
indirettamente riflessa su quel padre unicamente umano, senza alcun gene
mannaro che avrebbe potuto dare l’illusione di potersi salvare, che si era
trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Con la famiglia sbagliata.
Era stato un errore che un umano avesse sposato una lupa mannara, Alpha,
mettendo al mondo dei figli e allargando i gradi parentali, quelli che erano
svaniti in una nube di fumo e cenere? Erano undici le vittime dell’incendio di
villa Hale, scatenato dalla psicopatica cacciatrice Kate Argent, in cui
all’interno vi soggiornavano anche bambini umani, presumibilmente parenti dal
lato paterno. Perché Stiles non sembrava saperne abbastanza? Nemmeno Derek a
volte sembrava saperne abbastanza, del tutto all’oscuro della salvezza di sua
sorella minore, Cora, che si trovava stranamente in Sud America in quel
particolare giorno avverso – per quale ragione? –, portando il mannaro per
sette anni a convincersi che alla devastazione del ramo Hale si fossero salvati
solo lui e sua sorella maggiore, Laura, con il caro zio Peter in
condizioni precarie e profondamente distrutto ed ustionato dal fuoco. E poi non
poteva essere ignorata la prematura dipartita di Paige, trasversalmente causata
dai desideri egoistici di un Derek quindicenne; aveva sbagliato e continuava a
punirsi. «Voglio davvero crescere dei lupacchiotti con
te, Der».
«Lo so» abbozzò un sorriso flebile,
specchiandosi nelle iridi di miele desiderose e speranzose, lambendogli il naso
con il proprio e schioccandogli un bacio castamente dolce sulle labbra carnose.
«Lo faremo».
Stiles si era un po’ illuso, forse
eccessivamente troppo, quando Derek tornò a Beacon Hills. O meglio, quando
Stiles lo andò a prendere di peso, per salvarlo e scagionarlo dall’ennesima
accusa di omicidio. Era molto e troppo positivo che il lupo avesse dalla sua
parte oltre a lui, sia uno sceriffo – che casualmente era il padre del suddetto
Stiles – sia un agente a pieno servizio dell’FBI – per coincidenza fortuita
corrispondeva alla figura paterna di Scott McCall – che gli ripulirono la
fedina penale, di nuovo.
Ma cosa comportava? Cosa
rappresentava per lui riaverlo nella sua vita dopo che era sparito per quasi
due anni? Si sarebbe corretto con un
anno e mezzo. Non sapeva se fosse quel mezzo a pesare eccessivamente
su quel cuore compromesso che aveva finto fosse stato riparato in una prima
parte da Malia Tate/Hale e successivamente da Lydia Martin, il suo grande amore
fanciullesco. Il suo unico amore, avrebbe ribattuto una volta.
Ma lo era stato per quanto tempo?
Stiles sapeva di avere amato una sola persona negli ultimi tre anni di quel
frammento esistenziale, profondamente, svisceratamente, fino a procurargli
dolore fisico ogni volta che spariva dalla sua vita per andare chissà dove,
senza mai metterlo al corrente delle sue decisioni.
Aveva sedici anni quando aveva posato
lo sguardo su di lui la prima volta, consapevole di chi fosse, di chi fosse
tornato in quella sfortunata cittadina trascorsi i sei anni dalla tragedia.
Aveva sedici anni quando aveva capito
di essersi innamorato di quell’anima dannata e maledetta, offuscando tutto
quello che fino a quel momento aveva rappresentato importante per se stesso.
Aveva diciassette anni quando aveva
capito che il sentimento innocente e semplice, non troppo chiaro e
possibilmente meno complesso di quanto si aspettasse, si era sostituito a
qualcosa di ben più grande, di enorme ed incalcolabile, lacerante e
totalizzante, la fase dell’innamoramento che veniva cancellata via, estirpata,
per giungere dove mai si sarebbe aspettato. Non per la persona più tormentata
dalle avversità che avesse mai incontrato. Aveva diciassette anni quando aveva
capito di amarla e di non poter tornare indietro.
«Ehy, Der»
salutò quando entrò dopo secoli all’interno del loft su cui non aveva più messo
piede dalla sua ennesima partenza – o fuga, per gli intenditori.
Derek sembrò non sentirlo nemmeno,
comportamento a cui l’umano aveva smesso di reagire tempo prima, ma in
quell’attimo non sembrava volerlo ignorare deliberatamente, semplicemente si
guardava attorno senza che riuscisse a riconoscere nulla di quello che gli era
intorno, di quello che meno di diciannove mesi prima gli apparteneva di
diritto, circondandosene.
Stiles non sapeva proprio come avrebbe
dovuto reagire, se togliere il disturbo o rimanere; all’interno dell’edificio a
volte faticava a calcolare se possedesse una maggiore quantità di ricordi
felici o infelici. Era successo di tutto e sia lui che il lupo completo ne
erano stati protagonisti, vittime e testimoni immobili, esamine.
«O resti o te ne vai» Derek la sua
indecisione dovette percepirla interamente e mal digerire.
Stiles ci impiegò meno di un secondo
a decidere di far scorrere la porta dietro di sé e accomodarsi sul divano che
probabilmente aveva bisogno di una spolverata, come tutto il resto.
Il silenzio perdurò per una notevole
quantità di tempo e Stiles, rigido e fremente, lo rispettò, lasciando al
padrone di casa tutto lo spazio di cui avesse bisogno. Se non l’avesse voluto
tra i piedi, l’avrebbe buttato fuori senza ripensamenti, giusto?
«Stiles» strascicò tra i denti
stretti, voltandosi appena verso di lui, distogliendo lo sguardo da
quell’enorme vetrata, unica attrice di quello spazio senza mura divisorie.
«Cosa vuoi?».
«Volevo solo vedere come te la
passassi» Derek gli rispose con un’alzata scettica e giudicatrice delle
sopracciglia, nemico numero uno dei convenevoli vuoti. «Che progetti avessi».
«Progetti?» domandò di riflesso la
creatura della notte, quasi non riconoscesse il significato di quel vocabolo.
«Sì, sei tornato, ma adesso? Resti?
Andrai di nuovo via?» a Stiles costava anni di vita quella serie di domande che
in passato non avrebbe neanche potuto accennargli.
«Non ho piani» Derek appariva
completamente distaccato da quell’aspetto, come se non ci avesse riflettuto
affatto e Stiles non stentava a crederci. «Quali sono i tuoi?».
Oh, quello non se l’aspettava
proprio. «Tornerò indietro a finire il mio percorso e poi volerò dritto al
college».
«College?» chiese stupito il lupo
mannaro, guardandolo per la prima volta da quanto era entrato nell’appartamento
con interesse. «Pensavo ti saresti limitato all’accademia».
Erano accadute alcune cose durante il
loro viaggio che li avrebbe condotti a Beacon Hills a salvare il branco targato
McCall. In tutta onestà non erano di chissà quale grandezza, ma mentre
guidavano per autostrade e statali, dandosi spesso il cambio quando si
percepiva stanchezza nell’atmosfera, il bisogno di essere più veloci, la
preoccupazione e l’ansia che appestavano l’abitacolo, si erano trovati perfino
a parlare tra loro, a snocciolare parole come se avessero bisogno di rendere il
proprio compagno d’avventura al corrente di tutto quello che si erano persi
stando a miglia di distanza. Non si erano detti ogni cosa, molte erano state
lasciate all’immaginazione dell’interlocutore o semplicemente non bisognavano
di approfondimento, ma altre erano state descritte nel dettaglio. Con la fatica
che si faceva sentire, avevano avvertito l’esigenza di fermarsi per qualche ora
in uno squallido motel da viaggiatori a raccogliere le forze, recuperare un
sonno perduto che avrebbe potuto rivelarsi fatale nel caso fossero stati messi
alle strette. Per Stiles si era rivelato un incubo condividere la camera con
Derek, la vicinanza impalpabile anche se abbandonati in due letti singoli
separati, la percezione che lampeggiava per l’essenza del lupo che lo lambiva,
ma che non poteva toccare, allungare distrattamente la mano e azzerare il
divario insormontabile che c’era tra loro. In cuor suo era consapevole che
Derek percepisse il tumulto delle sue emozioni, i sentimenti che lo
consumavano, ma non si espresse in alcuna maniera in merito né gli fece pesare
la sua agitazione. «No, quello è solo un corso preparatorio. Del tipo: cosa
vuoi fare da grande? Da lì ti forniscono gli strumenti e le informazioni che
potrebbero servirti nel caso volessi continuare su quella strada» anche se il
figlio dello sceriffo conosceva perfettamente la prassi da seguirsi, ma non era
riuscito a rinunciare alla possibilità di frequentare quel corso formativo.
Derek lo guardò attento, quasi non si
lasciasse scappare un solo battito di ciglia, e si avviò verso l’altro capo del
sofà, approcciandosi a sedervisi. «Ed è quello che vuoi fare?».
«Non mi dispiacerebbe l’idea» in
realtà aveva adorato tutto il tempo che aveva passato in quella stanza
stimolante, anche se nel medesimo tempo lavorava sotto copertura, illegalmente,
per riuscire ad arrivare a Derek prima di loro. «Semplicemente non avevo mai
davvero considerato a quale organo governativo fare riferimento».
«FBI, quindi» sentenziò il mannaro
per lui, in una conclusione definitiva.
«Sì» ma fin dove l’avrebbe portato?
L’assenza di suoni perdurò e per la
prima volta Stiles si chiese come avrebbe dovuto romperlo. Se avrebbe potuto.
«Quale college?» chiese invece il mutaforma, lasciandolo sfiancato.
Stiles provava degli enormi giramenti
di testa, quasi le vertigini. «SUNY».
Derek lo guardò in tralice,
profondamente, come se volesse scavargli dentro e carpirgli delle informazioni
che teneva per sé; o quantomeno tentava. «New York».
Per la prima volta l’umano si sentì
profondamente smascherato, denudato, come se Derek gli avesse appena strappato
il grande segreto che teneva per se stesso. Ma non era
mai stato premeditato, era una coincidenza che non riusciva a classificare a
che categoria appartenesse. «Sì, nello specifico il campus SUNY Old Westbury, specializzato in
criminologia» il college che aveva scelto possedeva
un numero sproporzionato di campus in tutta la città, molti condividevano lo
stesso titolo di studio, ma i percorsi erano strutturati in modo differente,
con corsi avanzati ed esclusivi a secondo della richiesta, si acquisivano
determinate nozioni che davano quel tocco di diversità, offrendo ad ogni
studente la possibilità di trovare la strada più adatta.
«Long Island» fu tutto quello che Derek proferì, fermo, tassativo e brusco, i fantasmi
che prendevano forma.
«Sì, come…» c’era notevolmente
qualcosa che gli stava sfuggendo di mano. «Come lo sai?».
«Vivevo da quelle parti con… Laura»
l’esitazione fu devastante, peggio fu completare il pensiero. Il nome. «In
realtà, possiedo ancora quell’appartamento. Buffo, l’avevo rimosso».
Buffo? Non pagava le tasse? Le
bollette? Un mutuo? Era così disinteressato ai soldi, al patrimonio
sproporzionato ottenuto con lo stermino della sua famiglia – aveva ereditato
anche la quota di Laura alla sua morte? – da non notare prelevamenti automatici
concordarti, per esclusione, in precedenza? In un’altra vita, quando nel mondo
i sopravvissuti Hale erano soltanto due, lui e la sua Alpha, sua sorella
maggiore.
«Ti serve?» domandò ad un tratto il
lupo mannaro, un’insensata e immotivata rabbia, probabilmente scaturita da
qualcosa che non aveva nulla a che fare con l’umano.
«No, cosa? No» Stiles era tramortito,
terrorizzato e non aveva alcuna idea di come dovesse davvero sentirsi. «Ho una
borsa di studio, l’alloggio è compreso» si interrogò sulla possibilità se anche
quell’appartamento sconosciuto fosse un monolocale.
Derek tornò nel suo mutismo e Stiles
era così pentito di rimanere lì, a farsi distruggere, a vedere l’uomo che amava
annientarsi per delle conseguenze dovute alla sua presenza che non aveva
minimamente calcolato. «Non ti sto inseguendo, Derek» perché? Perché era così avventato a non ragionare mai su quello che la
sua bocca avrebbe dato fiato? Perché era così incauto da non controllare
minimamente la sua impulsività?
Le iridi verdi del lupo lo
attraversarono da parte a parte e Stiles seppe di aver perso. «Non lo penso».
Stiles non credeva affatto che
corrispondesse alla verità.
«Quando ripartirai?» gli chiese
invece il mannaro, quasi non volesse che la conversazione si concludesse,
estrapolando quante più informazioni possibili.
«Tra due giorni» riuscì soltanto a
farfugliare, con un groppo tremendo alla gola. «Ho ancora un paio di settimane
di corso e poi mi dirigerò direttamente al college, ho una proroga finché non
avrò terminato» l’illusione stava tornando a perseguitarlo? Ad ingurgitarlo? La speranza era l’ultima a morire, ma era la peggiore dei nemici per chi
avrebbe dovuto imparare a rassegnarsi.
«Fammi sapere se ti serve un punto
d’appoggio» affermò Derek senza crederci davvero, senza che ci fosse una reale
azione che lo guidasse.
E quello era tutto.
«Che succede?» lo risvegliò Lydia da
dei pensieri che non avrebbe dovuto possedere, da tormenti che non sarebbero
dovuti esistere. Cristo, aveva una relazione, era
impegnato e coinvolto sentimentalmente ed invece tutto quello su cui riusciva a
concentrarsi era quel dannatissimo lupo misantropo.
«Non succede niente» sarebbe cambiato
qualcosa se fosse accaduto il contrario?
«Oh» soffiò Lydia, piazzandosi davanti
al cofano dell’amata Jeep azzurra di Stiles, su cui era appollaiato. «Penso di
sapere cosa sia successo».
Il ragazzo la guardò con sguardo
interrogativo, inclinando leggermente il capo e tentando in qualche maniera di
carpire la sentenza prima che gliela rivelasse lei. «Sarebbe?».
Lei gli rispose con occhi furbi,
sorridendogli ilare. «Derek è tornato».
Quello avrebbe risposto ad ogni
quesito, corretto? «Sì, Derek è tornato».
La banshee gli si sedette accanto,
scuotendo leggermente la lunga gonna e poggiandosi appena. «Gli hai chiesto di
seguirti?».
Stiles aveva l’impressione di essere
appena ruzzolato sgraziatamente sull’asfalto. «Perché dovrei chiedergli una
cosa del genere?».
«Sappiamo entrambi quanto lo ami»
rivelò candida, veritiera, senza nessuna accusa o risentimento, la voce della
sua coscienza che prendeva finalmente forma e lo metteva davanti ad una
oggettività incontrovertibile.
Sogno o son desto? «Lo sappiamo?».
«Sì» confermò la bionda fragola con
autenticità.
«Amo anche te» non aveva mai dubitato
di quello.
«Non allo stesso modo» lo contradisse
lei, quasi lo sapesse meglio di lui stesso. Forse era così.
«No» convenne, erano due tipi di
amore completamente distinti e separati. Un amore fanciullesco e un amore
adulto. Un amore nato dal cuore di un bambino che non aveva ancora conosciuto
nessuno dolore, che vi avrebbe trovato svoltando l’angolo, e un amore di un
ragazzo che aveva sofferto ogni tormento possibile, versando lacrime di sangue
per una metà che sentiva appartenergli. «Non allo stesso modo».
«Allora, glielo hai chiesto?» Lydia
si sistemò meglio, guardando la vegetazione totalmente verde che gli balenava
davanti.
«Non ne sono sicuro» Stiles in realtà
non aveva capito niente di quello che era accaduto tra lui e Derek. «Intrinsecamente, forse?».
La rossa ne rise deliberatamente
deliziata e Stiles non poteva per nulla colpevolizzarla, in più adorava la sua
risata.
«Quindi, è finita?» domandarlo gli
chiese un enorme sforzo, maggiormente di quanto ne sentisse la necessità. «Tra
noi».
Lydia lo fissò deliberatamente negli
occhi, senza permettergli di sfuggirgli. «Ha senso continuare?».
«No» aveva mai avuto senso? Quello
che c’era tra loro era terminato così com’era iniziato e si chiese se fosse
realmente mai iniziato qualcosa. «Non sei stata un rimpiazzo, Lyds» sentiva che era importante specificarlo, che non vi
era mai stato nessuna intenzione di renderla tale; nessuna delle sue ragazze.
Ma possibile che in qualche modo, senza che lui ne avesse minimamente
coscienza, l’avessero percepito?
«Non mi sarei mai abbassata a tanto»
dichiarò la rossa senza inclinature, le iridi verdi che lo guardarono serie e
prive di fraintendimenti, la conoscenza sopraffina che aveva di lui, poi un
ambiente privo di suoni si presentò, quasi a concedergli un angolo di mondo
riservato per respirare senza mettersi fretta.
La banshee saltò in piedi con grazia
subito dopo, scostandosi dall’auto e scomponendosi i lunghi capelli biondo
fragola. «Non puoi dire di non averci provato. Provato ad andare avanti senza
di lui» ma non era servito a nulla la fantasia fallace che si era costruito.
«Magra consolazione» in realtà non
vedeva nulla di positivo in tutta quella situazione. Aveva avuto due ragazze
stupende, le aveva investite di affetto ed attenzioni, ma nessuna di loro riusciva
ad ottenere l’effetto sperato. Nessuna di loro riusciva ad eliminare il
profondo e radicato sentimento d’amore autentico che provava per Derek Hale.
Lydia rimase in religioso silenzio
per un lungo arco temporale, fissando il cielo azzurro e godendosi la leggera
brezza che le accarezzava il viso, scuotendo le cime degli alberi secolari che
li avvolgevano, simulando un abbraccio protettivo. Peccato che quelle stesse
radici inviolabili nascondessero le peggiori insidie. «Sai, non penso che Derek
sia davvero del tutto immune al tuo fascino».
Stiles rise veramente divertito,
forse un po’ sguaiatamente, forse anche un po’ in collera con se stesso, burlandosi spietatamente della propria persona.
«Ho del fascino?».
«A modo tuo» lo pizzicò la banshee
con affetto, dedicandogli una curva complice e mordace, da vera presa in giro.
«Spero che troverai quello che stai cercando».
«Anche tu» proferì Stiles quando la
osservò congedarsi, l’ultimo sorriso comprensivo che le avrebbe visto prima di
partire, a chiedersi quando mai l’avrebbe rincontrato. A domandarsi se avesse
permesso al suo antico sogno bambinesco, rincorso per oltre otto – nove e dieci
– anni, di abbandonarlo troppo facilmente e freneticamente, imponendogli di
sgretolarsi e volare via.
Due giorni dopo aveva preso un volo
per tornare a Quantico, per terminare il suo corso preparatorio con il
risultato migliore che potesse ottenere, e quando l’aveva lasciato nelle
settimane successive, per prendere un ulteriore aereo e raggiungere New York,
la casa che l’avrebbe ospitato per i prossimi quattro anni, si chiese se una
volta terminati i suoi studi accademici, ci sarebbe mai tornato per completare
l’addestramento ed avere l’opportunità ultima di essere un candidato papabile
per divenire un ottimo agente dell’FBI.
Nel suo nido da scapolo universitario
si sistemò in fretta e furia, come se fosse in ritardo sulla tabella di marcia,
ma l’inizio dei suoi corsi erano previsti soltanto nei tre giorni successivi,
permettendogli di ambientarsi ed esplorare il campus come meglio credeva,
magari provando ad istaurare dei rapporti sociali che gli avrebbero permesso
quell’esperienza condivisa più piacevole.
«Chi è quel ragazzo?» ma la piega
degli eventi fu destinata a cambiare al quinto giorno, quando uscendo dall’aula
di scienze politiche – corso facoltativo, ma molto apprezzato dai piani alti –,
seguendo il gruppetto di studenti e futuri colleghi con cui aveva conferito
fino a qualche momento prima, conducendolo verso l’uscita, uno di loro pose
quella domanda pericolosa, del tutto inconsapevole che la vita del figlio dello
sceriffo avrebbe avuto una svolta completamente inaspettata.
«Il bel tenebroso?» indagò
qualcun’altra in risposta, lanciando occhiate per niente disinvolte.
Le iridi ambrate di Stiles ebbero
bisogno di qualche attimo di troppo rispetto ai suoi interlocutori per mettere
a fuoco ciò che attirava tutta la loro attenzione, stranamente non
particolarmente curioso dei pettegolezzi che di lì a poco sarebbero potuti
sorgere, probabilmente perché quel giorno aveva già seguito tre lezioni
diverse, con nessuna correlazione tra loro e la sua mente apparisse
ignobilmente stanca. Nel momento in cui poté dare un nome al volto che attirava
tutte quelle considerazioni – probabilmente per il suo sguardo stoico ed
assassino, per nulla propenso ad emettere vibrazioni positive –, credette che
il suo petto avesse cessato di battere. O stesse andando talmente tanto veloce
da non avere le capacità di stargli dietro.
Stiles e il non tanto sconosciuto si
riconobbero in un soffio di vento incorporeo e l’umano fu attraversato dalla
terribile ed infatua certezza che fosse lì per lui. «Scusatemi, devo allontanarmi
per un minuto».
Una serie di lo conosci? Sai chi è? Da dove salta fuori? Che cosa vuole? lo
bersagliarono, ma gli scivolarono tutti addosso, precipitandosi verso la statua
da dio greco che lo stava aspettando. «Derek» fu tutto quello che riuscì a
bofonchiare a stento, quasi in apnea, un fiatone immotivato che gli addentava i
polmoni. «Ehy, che ci fai da queste parti?» forse
sarebbe stato più appropriato chiedergli cosa ci facesse esattamente a New
York.
«Sono venuto a controllare la casa»
fu la risposta pronta che la creatura della notte gli diede, imperturbabile al
ritrovarselo davanti.
La casa? La stessa casa di cui
aveva dimenticato l’esistenza? «Poi mi sono ricordato che dovessi già essere
nei dintorni».
Dio, Derek lo stava aspettando sul
serio. «Io… sì, sono arrivato qualche giorno fa» l’ossigeno stranamente
cominciò a scarseggiare e la morsa all’apparato respiratorio si fece più
mordente. «Gentile da parte tua passare» gentile? Ma Derek lo era stato
mai?
Fu imperativo che il mutismo calasse
nuovamente su di loro, non gli era mai pesato in passato, riempire i silenzi
era il suo compito e Derek faceva finta di esserne abbastanza infastidito,
quando in realtà l’attendeva al varco, a farsi assordare dai suoi sproloqui
incompiuti, tuttavia in quell’istante la gravità del peso lo sentiva eccome,
era un macigno sullo stomaco di cui non aveva le nozioni per disfarsene. «È
tutta intera, la casa?» soltanto nel secondo successivo si rese conto di quanto
infelice fosse quell’uscita, assalito dall’immagine di una casa che
effettivamente era caduta a picco, sprofondando tra le ceneri.
Le iridi di giada del mannaro si
pietrificarono su quelle di miele, congelando la scenografia. «Non sono
riuscito ad entrare» accidenti, non poteva essere vero.
«Ho aperto la porta e mi sono reso conto che era esattamente tutto come l’avevo
lasciato».
Stiles si sentì risucchiare dal suolo
che avrebbe dovuto sostenerlo, ma non si sentiva sostenuto, saldo su quelle
gambe lunghe che correvano da un’aula all’altra senza fermarsi, inciampando di
tanto in tanto, giusto per non togliersi il vizio e far presente la sua firma
indiscussa di ragazzo senza coordinazione. Stiles sentiva la morte nel cuore,
una morte che non gli apparteneva, un lutto che gli balenò Derek non avesse mai
superato, affrontato ed accettato. «E cosa hai fatto?».
«Ho chiuso tutto e ho cominciato a
camminare senza meta, finché non mi sono ritrovato qui» rivelò il licantropo,
più a se stesso che al suo interlocutore, come se non
avesse affatto ascoltato la domanda sussurrata e trattenuta del figlio dello
sceriffo.
Stiles era quasi certo che gli
servisse nell’immediato una bomboletta di ossigeno per riprendere fiato. Cos’è
che Derek stava effettivamente cercando? Gli occorreva una faccia amica? Una
qualunque? Da quanto tempo lo stava attendendo impalato lì davanti all’ingresso
del campus, tentando di scorgerlo prima o poi tra la folla frastornante di
studenti? Le sue doti mannare potevano venirgli in soccorso?
Ritrovarsi in quello stato Derek
sapeva non fosse l’ideale; così distrutto, sopraffatto, vuoto ed
inspiegabilmente bisognoso di lui, lo stava lacerando ed aveva soltanto una
minima percezione di quali pensieri disturbanti e dolorosi stessero
bersagliando la mente della creatura della notte. «Qui ho finito» disse
indicando l’edificio dietro di lui, afferrando tutto il coraggio che sapeva
volersela dare a gambe. «Ho bisogno di mettere qualcosa sotto i denti, mi
accompagni?».
Derek non se lo fece ripetere e per
Stiles anche quello risuonava come un campanello d’allarme.
Fu Derek a condurlo all’interno di
una tavola calda vicino al college, Stiles non aveva ancora imparato nulla
sulla zona ed aveva sempre mangiato alla mensa, quindi fu piacevole che
qualcuno di loro sapesse cosa stesse facendo e dove andare senza tentennamenti,
dimostrazione che il mutaforma avesse davvero vissuto
da quelle parti, per ben sei anni.
Non parlarono quasi di niente di
concreto, Derek si limitata ad i suoi soliti mugugni senza finalità, giusto per
fargli presente che lo stava ascoltando, mentre Stiles lo riempiva di
chiacchere rumorose ed a volte impedite, balbettando quando accavallava una
parola con un’altra, per l’eccessiva velocità della sua logorrea. La nota
positiva fu il cibo rivelatosi davvero molto buono e doveva assolutamente
appuntarselo. «Che cosa hai intenzione di fare?» la patata bollente prima o poi
sarebbe dovuta saltare fuori.
«Nell’immediato futuro?» chiese
retoricamente il lupo completo, ricevendo un cenno d’assenso dall’umano.
«Trovarmi una camera d’hotel».
Un hotel? Uno di quelli ultra
lusso, cinque stelle più una, da mille dollari una camera a notte – quando il
prezzo era ottimistico?
Derek si lasciò scappare un singolo
colpo di risa quando il naso di Stiles si arricciò contrariato a quel piano e
sentì un battito quasi mancare nella sua direzione, cogliendo entrambi
impreparati. «Non approvi?».
«Piango per il tuo portafoglio» Stiles
era una persona troppo parsimoniosa, soprattutto se era a conoscenza di un
appartamento di proprietà che era pronto per ospitarlo, senza aggiungere un
centesimo in più, ma poteva capire quanto estenuante e drammatico fosse per
Derek tornare dentro delle mura che soltanto fino a tre anni prima avevano
accolto lui e Laura, riprendendo in mano le loro vite e provando ad andare
avanti, ricominciare, convinti che null’altro male potesse colpirli,
sopravvissuti all’annientamento dell’antico branco Hale.
«Vuoi vederlo, non è così?» domandò
il beta dagli occhi blu metallico, ricevendo un’alzata interrogativa del
sopracciglio da parte del suo interlocutore. «L’appartamento».
«Beh, sono alquanto curioso, sarà
anche questo un tugurio immerso nell’oscurità, dove tutta la luce viene
assorbita?» proferì con sarcasmo il figlio della massima autorità di Beacon
Hills, esibendosi nel suo più famoso ghigno malizioso.
Gli angoli delle labbra di Derek si
arricciarono appena e Stiles stava ottenendo troppe vittorie in una volta sola;
era esaltante. «Non oggi, ragazzino».
Stiles gli dedicò il sorriso da volpe
furba quale era. «Farò il bravo bambino».
Derek era decisamente rassegnato, ma
non se ne lamentò affatto.
Per tutta la settimana seguente Derek
passò a prenderlo ogni giorno, portandolo a mangiare in un posto continuamente
diverso, ritrovandosi sempre ad essere premiato dai suoi mugugni contenti e
deliziati quando addentava qualcosa che rientrava tra i suoi gusti, facendogli
cantare le papille gustative. Era anche l’unico tempo libero che Stiles aveva e
Derek se ne appropriava senza neppure premurarsi di chiedergli il permesso, non
che il ragazzo si tirasse indietro.
«Penso che una volta che mi sarò
laureato, mi dedicherò a qualche specialistica. Probabilmente giustizia penale»
dichiarò il diciannovenne sovrappensiero, mordendo probabilmente la patatina
fritta più buona del mondo. Dio,
Derek conosceva talmente bene i suoi gusti alimentari da essere quasi
allarmante.
«Punti in alto, eh» Derek non ne era
nemmeno troppo sorpreso, Stiles era talmente talentuoso e propenso a compiere
più cose allo stesso tempo, che sarebbe stato quasi un peccato capitale
limitarsi ad un seminato sobrio.
«Non voglio precludermi alcuna
possibilità» il programma per accedere all’FBI era molto duro e chiaro, Stiles
conosceva ogni passaggio. «Ma
prima dovrò tornare a Quantico e successivamente trovarmi un posto nella
polizia locale o statale» c’era talmente tanto da fare che poteva quasi esserne
sopraffatto, probabilmente perché aveva la mania di correre.
«Non avere fretta, Stiles» lo rabbonì
Derek, fin troppo consapevole dei pensieri assordanti che si stavano
accumulando in quel preciso momento.
Stiles sospirò esausto e si passò una
mano tra i capelli indomabili, contraendo le spalle. «Mi sento soltanto in
ritardo sulla tabella di marcia».
«Un paio di mesi non fanno un
ritardo» Derek sapeva che Stiles aveva preferito ritardare la sua
frequentazione all’università per dedicarsi al corso preparatorio, un corso che
era offerto a pochi. Era una notifica in più che sarebbe risaltato sul suo
curriculum perfetto, che aveva ben intenzione di riempire. «Rilassati».
Stiles gli dedicò un sorrisetto
saputo e leggermente divertito, probabilmente investito di stupore. «Lo sai con
chi stai parlando?».
«Ahimè» con la persona più iperattiva
e sconclusionata che conoscesse.
Stiles rise, davvero, di cuore.
Poteva confessare di trovare Derek divertente? Probabilmente era un aggettivo
che nessuno gli avrebbe mai attribuito e nemmeno il lupo l’avrebbe accettato,
ma Stiles non riusciva a non vederlo sotto quella luce, a ridere con lui, ad
alleggerirsi un po’ l’animo pessimistico. Era un divertimento cupo e sottile,
ma lo adorava. E adorava trascorrere il suo tempo con lui, si sentiva bene. Ma
forse non era il più affidabile dei testimoni, eppure poteva dichiarare di
essere la persona che lo conosceva e comprendeva meglio. «E tu, come passi il
tuo tempo?» di certo non entrando nell’appartamento
che gli apparteneva ed affrontando i fantasmi che vi erano dentro, continuando
a preferire strapagare una camera d’albergo che non gli serviva.
«Mi guardo un po’ in giro» riferì la
creatura della notte, bevendo il suo caffè annacquato mediamente nero e
ristretto. Stiles non sapeva cosa avrebbe mai dovuto significare
quell’espressione. «Sono passato per le vie delle case degli studenti del mio
vecchio college».
«Che?» aveva sentito bene? «College?
Tu?».
Il lupo lo fissò con giudizio severo,
perdurando nell’istantaneità del momento con la tazza di ceramica in mano. «Sì».
Okay, forse non avrebbe dovuto
apparire così sorpreso, era molto poco lusinghiero e magari poteva evitare di
strozzarsi con l’acqua. «Hai appena distrutto la mia idea di lupo delle
caverne» che era una mezza bugia, Derek era incredibilmente colto e preparato,
era un pozzo di conoscenza da cui attingere e Stiles si era deliziato fin
troppe volte di ascoltarlo dispensarla.
«Veramente costernato» Derek lo prese
spietatamente in giro e Stiles lo amò un pochino di più.
«Quale college hai frequentato?» era
affamato di sapere, pensava di conoscere ogni curiosità su Derek, ma in realtà
non era per nulla vero. Il nato lupo era un libro da migliaia di pagine ancora
da scoprire.
Le dita del licantropo ticchettarono
sulla porcellana della tazza, il nuovo sorso che prese dalla bevanda che
lentamente si raffreddava e l’evidenza di quanto stesse rimandando l’esternare
della risposta. «Columbia».
Stiles non riuscì proprio a
processare l’informazione che gli veniva consegnata, il suo cervello andò quasi
in tilt; gli sembrava così impossibile da credere che si stesse burlando di lui
senza una reale ragione. «Columbia?» gli fece eco, scandendo sillaba per
sillaba e chiedendo allo stesso tempo se fosse la stessa università che aveva
nella mente. «Ma è ad un’ora di auto da qui, con i mezzi pubblici è persino il
doppio» non che pensasse che Derek avesse mai usato un mezzo pubblico in vita
sua, probabilmente non l’aveva nemmeno mai adocchiato da lontano, ma gli
forniva chiaramente quanto la distanza fosse enorme dal luogo in cui si trovano
in quel momento, quanto disaggio creasse raggiungere un punto dall’altro.
«Sì» Derek si limitò a confermare
senza che fosse minimamente turbato o comprendesse lo sbalordimento dell’umano.
Se fosse stato vero, non avrebbe
esitato nel fornirgli quel nome, era più credibile che se ne vantasse. «Allora…
perché l’appartamento si trova qui?» non vedeva la logica in quella scelta,
ancora meno comprendeva le azioni del mannaro in quei giorni. Dopo il viaggio
faticoso e lungo che l’aveva visto quel giorno, andando a curiosare nel
perimetro del suo vecchio college, perché era tornato perfettamente in orario
soltanto per non mancare al loro appuntamento concordato silenziosamente dalla
loro scoperta quotidianità?
La tazza per metà piena di caffè fu
poggiata sul tavolo a cui sedevano, lo sguardo che si faceva improvvisamente
lontano e Stiles si ritrovò a pentirsi enormemente della domanda. «La vita di
Laura era già iniziata qui, prima che tornasse per prendermi con lei» i
fantasmi sgusciarono silenziosi sulle iridi boscose, quasi di passaggio, un
bussare leggero in un avviso di cortesia, per poi svanire, ma Stiles sapeva che
nulla andava via. «Anche lei frequentava la SUNY, amministrazione
aziendale, nel tuo stesso campus» il figlio
dello sceriffo impallidì per la notizia e Derek non poteva proprio negarsi tale
reazione; aveva sentito un vuoto e una risata derisoria in fondo alle orecchie
quando Stiles gli aveva comunicato i suoi propositi futuri nella penombra del
loft di Beacon Hills. L’universo aveva uno spietato senso dell’umorismo. «Ci
serviva una casa, io avevo soltanto quindici anni e nessuna idea del futuro, ha
scelto in base alle esigenze che avevamo in quel momento» con gli occhi rivolti
al passato, sapeva fosse stata la sua eroina. «In seguito aveva anche trovato
lavoro a venti minuti dall’appartamento, per lei si era rivelato essere una
scelta azzeccata ed a me non è mai pesato la distanza che dovevo percorrere».
Stiles sentiva della devozione
nell’aria e la stretta al petto che andava a stringersi si accentuava per quel
piccolissimo antro di paradiso che Derek in qualche modo aveva trovato, ma che
gli era stato nuovamente sottratto. «E in cosa…» ah, com’era diventato difficile mettere in fila le parole, eppure sapeva
di dover direzionare la conversazione su qualcosa di diverso. «In cosa ti sei
laureato?».
«Non l’ho fatto» la risposta di Derek
fu lapidaria.
«Perché no?» Stiles aveva seriamente
paura di chiedere, di addentrarsi in un territorio che si stava rivelando
eccessivamente tortuoso. Ma c’era qualcosa che non lo fosse con Derek Hale?
«Avevo appena iniziato il terzo anno
quando Laura scomparve» nel momento in cui aveva smesso di ricevere
aggiornamenti regolari da parte di sua sorella, cominciando a tartassarla di
chiamate senza risposta, Derek aveva lasciato tutto e l’aveva raggiunta alla
meta da lei indicata, Beacon Hills – la città da cui erano scappati e gli aveva
tolto ogni affetto familiare –, ma tutto ciò che l’aveva atteso, a discapito
del ricongiungimento sperato incolume, fu il suo cadavere dilaniato in due.
Tradita e uccisa dal loro stesso zio per sottrarle il potere di Alpha. «Non ci
ho più pensato, non era importante» non ne aveva avuto il tempo né la voglia.
Perché? Perché Derek si trovava lì?
In una città che conservava forse ancora più dolore e rammarico di quella che
aveva abbandonato negli anni precedenti? New York aveva rappresentato una
possibile rinascita; ricominciare, lasciarsi la tragedia alle spalle per
ricostruire qualcosa di nuovo, di stabile, qualcosa che valesse e giustificasse
tutta quella distruzione, ma era stato ripagato con maggiore accanimento,
crudeltà e annientamento. Derek aveva perso tutto, di nuovo. Aveva perso ciò
che aveva provato a ricostituire nella Grande Mela e poi nuovamente a Beacon
Hills: il branco, lo stato di Alpha guadagnato appartenuto a Laura, una sorella
minore ritrovata, ma che aveva preferito tornare indietro, ed era stato
spogliato perfino della sua stessa natura soprannaturale. Che cosa aveva
ottenuto in cambio? Divenire uno splendido lupo completo era la giusta moneta
di scambio? E cos’era rimasto? A Derek non era rimasto niente, se non fantasmi
e rimpianti.
Stiles si sentiva così male, stava
morendo dentro, gli scoppiava il petto dallo strazio e non riusciva a
respirare, sentiva un attacco di panico dietro l’angolo e non poteva
permetterselo, perché non era giusto, non aveva il diritto di soffrire per e
con lui. «Quale facoltà avevi scelto?».
Derek non distolse mai l’attenzione
dal figlio dello sceriffo, era quasi certo che potesse sentire e captare tutto
lo scompenso che gli viveva dentro, poteva ascoltarlo dirgli attraverso quelle
perle di giada eloquenti non star male
per me, caccialo fuori, ma Stiles non ne era in grado, non credeva
neppure di volerlo. «Letteratura».
Uno sbuffo di risa gli sfuggì dalle
labbra serrate ed era davvero tutto troppo inopportuno, farsesco per credere
che potesse essere reale, ma lo era e si chiese a chi avrebbe dovuto vendere
l’anima per avere quell’uomo meraviglioso per sempre nella propria vita. Ma la
sua anima era già stata venduta, rubata e strappata via senza il suo consenso,
da uno spirito oscuro millenario, un Nogitsune, che l’aveva condannato
nell’eternità dell’esistenza.
«Lo trovi divertente?» domandò il
mannaro con scetticismo e leggermente adirato, aggrottando le folte
sopracciglia.
«È proprio da te» Stiles ne era
talmente deliziato che sarebbe imploso. «L’uomo che non parla, ma che ama le
parole».
Derek soffiò insofferente,
considerandolo una causa persa, nascondendosi dietro la sua bevanda fumante e
Stiles gli sorrise ammaliante.
Derek non riuscì a rinunciare ai loro
sprazzi ritagliati di tempo nemmeno nei giorni a seguire.
La Wolfgang Childhood fece
squillare il cellulare personale di Derek un mese dopo, accettò la chiamata
senza neanche guardarsi intorno. «Vogliono che presentiamo delle lettere di
referenza».
«Che cosa?» chiese furioso Stiles
saltando giù dal divano a penisola, talmente carico di elettricità da
rappresentare un pericolo.
«È la procedura» a volte Derek aveva
bisogno di fargli presente fatti che conosceva meglio di lui, ma che
l’escandescenza cancellava.
«Non mi interessa se è la procedura»
che cosa dovevano dimostrare ancora? Volevano davvero dei testimoni che
affermassero quanto lui ed il mannaro fossero una coppia stabile e solida?
«Stiles» la creatura della notte
dovette intercettarlo, afferrarlo e bloccarlo per le spalle. «È una cosa buona,
è il secondo atto, vuol dire che stanno seriamente valutando la nostra
domanda».
Stiles mal ingoiò l’affronto
immotivato che stavo provando dentro, ma il tocco di Derek aveva sempre la
capacità di sgonfiarlo, di calmarlo e farlo ragionare. «Ne sei sicuro, Der? Non
mi fido di quella donna».
«Non devi fidarti, dobbiamo solo fare
del nostro meglio per dimostrare di essere degni tutori» una mano si incastrò
tra i capelli castani dell’umano e gli alzò il viso per permettergli di
fissarlo accuratamente. «Gli forniremo tutta la documentazione che ci
richiederanno».
Stiles soffiò uno sbuffo d’aria tra
le labbra di Derek e il mutaforma lambì appena le sue.
«Sei tu l’uomo pragmatico».
«Sì» Derek gli baciò la bocca di
riflesso, come premio del totale affidamento che riponeva in lui. «Proprio per
questo le avevo già fatte preparare».
Stiles stentò a credere alle proprie
stesse orecchie e lo guardò con occhi sgranati, completamente scioccato.
«Davvero, da chi?».
«Da tuo padre, Scott, Malia, Liam e
anche Cora» il lupo completo elencò per bene, scadendo nomi che per loro erano
fin troppo familiari.
Stiles non poteva fare a meno di
notare quanto Derek fosse stato attento e scrupoloso, delle persone che più gli
stavano al cuore e di quanta cura si fosse occupato di tutti loro, con un
occhio di riguardo per i membri del branco che fin dall’inizio avevano
manifestato problemi nel gestire la loro natura mannara, ma di cui Stiles si
era fatto carico, aiutandoli e riuscendo nell’impresa. Chi meglio di Malia e
Liam potevano raccontare senza riserve e con certezza quanto l’umano fosse
adatto a prendersi cura di cuccioli di lupo, incapaci di controllare la loro
parte animale e soprannaturale. «L’ho chiesta anche al tuo supervisore».
Dopo dieci anni di relazione riusciva
ancora a sorprendersi di quanto Derek fosse tre passi avanti a lui quando si
parlava di documentazione e ragionasse con lucidità al contrario suo che invece
veniva divorato dall’ansia? «Sei proprio un uomo da sposare, Derek» in più
c’era qualcuno all’interno del suo ufficio che non fosse al corrente della decisione
sua e di Derek di adottare un marmocchio? La loro vita di coppia era sempre
stata di dominio pubblico.
«Non sei riuscito a resistere» Derek
aveva il sospetto che quella battuta fosse sulla punta della lingua da quando
avevano convogliato a nozze, ormai aveva perso ogni speranza di buon senso da
parte del suo tsunami personale. La volpe più furba e leziosa su cui avesse
posato gli occhi.
Stiles gli avvolse il viso tra le
mani e lo baciò esattamente lì, in mezzo al soggiorno enorme ripieno dei loro oggetti
personali e pronto per essere ribaltato completamente dai futuri piccoli
componenti della famiglia Hale-Stilinski. «Ti amo dalla profondità del mio
cuore».
Derek ricambiò la morsa con la stessa
medesima intensità, stringendolo maggiormente contro di sé e propenso a non
mollarlo. «Ti amo nell’identico modo».
«Cos’è questa?» domandò la creatura
della notte quando Stiles gli porse una busta aperta con cura una volta che
fece ritorno in casa. Il francobollo affiancato riportava Parigi, su cui
vi era raffigurata a tratteggi colorati la riconoscibile ed indistinguibile
Torre Eiffel.
«La lettera di referenza che ho
chiesto di scrivere ad Isaac» Stiles era stato un po’ sulle spine per tutta la
giornata, quando l’aveva ritirata dalla buca delle lettere quella stessa
mattina, divorando parola per parola seduto alla scrivania del suo ufficio.
Le pupille nere del lupo si
rimpicciolirono, stuzzicate da qualcosa che l’umano non poteva cogliere, e lo
guardò senza che capisse con chi stesse parlando. «Perché?».
«Principalmente hai pensato di
raccogliere lettere dalla mia parte, raccontano anche di te, ma non mi sembrava
abbastanza» chi aveva Derek interamente dalla sua parte? Soltanto Cora, forse e
Stiles non lo trovava sufficiente. «Sei stato il suo tutore, mi è sembrata la
persona più giusta».
Derek rigirò la busta senza crederla
reale, le dita che sembravano non toccarla seriamente, stringendo aria. «Non ho
fatto un buon lavoro» anzi, era stato terribile.
«Questo non è vero» dissentì il
figlio dello sceriffo con enfasi, battendosi a mani nude per una verità che
Derek si ostinava a non voler vedere. «L’hai accolto quando non aveva un posto
in cui tornare, l’hai protetto nel modo in cui ti era stato permesso, cercando
di trovare la soluzione più appropriata, e sei stato la prima persona a credere
in lui, ti pare poco?».
Derek non era persuaso e Stiles se
l’aspettava. «È una bella lettera, Der, non ti chiederei di allegarla alle
altre se non lo fosse».
Le perle boscose si legarono a quelle
di miele, cercando di mettere a fuoco seriamente chi avesse di fronte, la sua
vera natura. «Hai chiesto un favore ad Isaac, qualcuno che mal digerisci» era
davvero qualcosa di mastodontico, qualcosa di incalcolabile.
I tratti del viso di Stiles mutarono
e gli regalò uno dei suoi marchi di fabbrica: un sogghigno impudico. «Sempre
pronto a sacrificarmi per le cause giuste».
L’abbraccio con cui Derek lo stritolo
fu del tutto inaspettato.
Derek allegò davvero la lettera di
Isaac alle altre, insieme a tutta la documentazione nuova richiesta e due mesi
dopo la Wolfgang Childhood li richiamò per fissare un appuntamento. Stiles era un fascio di nervi e in
un’ansia perpetua.
«Tra i moduli di preferenza avete
scartato la fascia d’età compresa dai 12 ai 17 anni» riassunse la Wilkinson dopo che gli ebbe illustrato passo
per passo i fascicoli che avevano presentato, affrontando punto per punto e
spiegando le varie procedure, tenendosi vicino le numerose lettere di referenza
che lui e Derek avevano presentato.
«Ehm, sì» era una cosa brutta? Stiles
non voleva escludere nessuno, non aveva nessuna preferenza. Lui e Derek erano
stati bene attenti a compilare il più correttamente possibile i moduli, a
sottolineare che non cercavano niente di speciale, che erano aperti ad ogni
possibilità, senza alcun limite. Che avrebbero accettato tutto quello che gli
avrebbero offerto, salvabile. «Diciamo che siamo un po’ esausti di avere
adolescenti intorno, vorremmo una pausa per qualche anno» sia Stiles che il
mannaro si erano occupati per anni di adolescenti, adolescenti di tutti i tipi,
pieni di rabbia e privi di controllo, fagocitati da vendette e prese di potere,
ribellione. Dio, Stiles stesso era un adolescente a quel tempo e doveva
trovare ogni rimedio da insegnare a quei dannati lupi, coyote e chimere novelle
su come gestire, controllare e padroneggiare la loro natura soprannaturale; lui
che era solo un semplice e comune essere umano che si era affacciato per puro
caso a quel mondo celato. «Magari con il secondo procederemo in modo diverso».
«Non vi sto giudicando» proferì la
direttrice, percependo il disagio di entrambi. «Secondo, dice? L’avete già
messo in programma?».
Stiles non capiva se volesse
infierire su una certezza, che non avevano, di riuscire ad adottare un primo
bambino, pensando di avere vita più facile in una seconda occasione, o se in
realtà era mera curiosità professionale. In realtà non erano così comuni le
doppie adozioni. «Ci piacerebbe, una volta che avremo ingranato».
«A tempo debito» si aggiunse in
salvataggio Derek a concordare, prima che Stiles compiesse una delle sue
avventatezze, poggiandogli una mano sulla spalla a calmarlo e rallentarlo. «Un
passo alla volta».
Stiles gli sorrise incoraggiato e
leggermente inebetito, mentre la creatura leggendaria gli rispondeva
tacitamente con una stretta sul punto in cui aveva depositato le dita e un
lieve cenno della testa, gesti che alla loro interlocutrice non sfuggirono.
«Se volete seguirmi, ho qualcuno a
cui vi piacerebbe presentarvi» comunicò la donna con una complicità un po’
nascosta che Stiles proprio non si aspettava, precedendoli nell’aprire la porta
e indicandogli il corridoio in cui voleva condurli.
Stiles e Derek esitarono per un
momento, con l’umano che cercava nel lupo completo un sostegno e la conferma
nell’aver interpretato in modo corretto il significato non tanto nascosto in
quell’offerta forte.
La seguirono con un singolo cenno del
capo, mentre il figlio dello sceriffo stringeva la mano di Derek da cui
emergeva la fede, procedendo di un passo avanti emozionato ed intimorito.
La Wilkinson li accompagnò
davanti un’enorme camera che entrambi identificarono come la stanza dei giochi,
il cui interno era occupato da numerose testoline di tutte le età e dimensioni
intenti a dilettarsi tra loro, creando piccoli gruppi coesi, con pochi soggetti
completamente isolati. Il cuore di Stiles si contrasse pericolosamente e la
stretta sulle dita di suo marito si fece più ferrea.
«Lei è Corine,
provate a pallarle con semplicità, come se foste dei comuni volontari pronti a
socializzare con tutti loro» la direttrice accennò con descrizione nella
direzione di un minuscolo gruppetto di tre esserini di differente età, due
bambine intente ad interagire tra loro e un maschietto che si limitata a vigilare,
come un corvo ‒ o un lupo Alpha, avrebbe corretto Stiles. «È la
più piccola».
Stiles non vedette più nulla e
l’intera attenzione fu catturata dal frugoletto tutto in tinta di verde, da cui
emergevano i capelli di un biondo dorato, sorridente e splendente verso la
figura sedutale di fianco. La presa su Derek si allentò, fino a sciogliersi.
«Ehy, ciao»
fu tutto quello che l’umano riuscì a farfugliare una volta giunto a lei, con un
groppo in gola e la voce che manifestava il turbine di emozioni che gli vorticavano
nell’organismo.
La bambina lo adocchiò per la prima
volta, posando i suoi occhioni dell’azzurro più maestoso che avesse visto,
contraendo appena il nasino alla francese cosparso di leggere lentiggini, come
se tentasse di richiamare alla memoria un viso che non riconosceva ‒ a
Derek, testimone silenzioso, quella smorfia ricordava sicuramente qualcuno.
«Ciao».
Quanti anni avrebbe mai potuto avere,
quattro? «Io sono Stiles, tu come ti chiami?».
«Stils,
che nome buffo» ripeté in una eco infantile e legittimamente divertita,
inciampando sulle vocali e sbagliando pronuncia. «Corine»
si presentò lei, mostrando il suo sorriso dolce e la mancanza di un canino.
«Che nome ridicolo» dichiarò una voce
infastidita, fanciullesca e del tutto sconosciuta alle orecchie di Stiles,
accompagnata da uno sbuffo derisorio.
Le iridi di ambrosia si inoltrarono
nella direzione da cui captò la nuova intrusione e si affacciarono su degli
occhi azzurri ostili, brutali e freddi, taglienti come pochi ne avesse visto.
Ma Stiles li conosceva bene, tredici anni prima vi si era imbattuto in simili,
deturpati dal dolore e dalla sofferenza, l’immensa solitudine che non potevano
scacciare e che li gremiva; con il trascorrere del tempo e delle avversità
erano perfino peggiorati. Stiles aveva tentato di salvarli come poteva, al
meglio delle sue capacità.
«Erick» lo
sgridò l’altra bambina, intimandogli di tacere e lui sbuffò infastidito,
ignorandoli l’istante dopo, tornando al suo oggetto di interesse.
Stiles la mise a fuoco per la prima
volta, venendo catturato dai lunghi capelli biondissimi, distribuiti in dolci
boccoli e l’aria riservata, le stesse identiche iridi azzurre degli altri due
componenti del gruppo, le lentiggini sparse sulle parti superiori delle gote
come se fossero state abilmente disegnate; anche Erick
le aveva, ma molto più discrete. Fu attraversato da un sospetto e qualcos’altro
lo turbò.
«Io sono Derek» si intromise il lupo
completo, richiamando tutta l’attenzione su di sé, poggiando entrambe le mani
sulle spalle tese e turbate di Stiles, avendo percepito perfettamente il
mutamento del suo stato d’animo al suono delle ultime lettere pronunciate dalla
voce femminile, un suono che rispondeva ad un rimbombo spaventosamente simile
del passato. Aveva effetto anche su di sé.
Stiles lo adocchiò appena, con tutta
la gratitudine del mondo per quel salvataggio tempestivo e l’ossigeno tornò a
circolare più fluidamente dentro di lui. «E tu, lupacchiotta, chi sei?».
La ricciolina l’osservò sorpresa per
un attimo, la leggera timidezza dei suoi ipotetici sette anni che le
imporporava le guance chiare, facendo risaltare le piccole macchioline
colorate, l’impercettibile sorrisetto sul viso lusingata da quel nomignolo
estremamente dolce. «Laura».
La presa di Derek si serrò su
l’umano, gli faceva quasi male per quanto le sue dita stessero scavando dentro
la pelle e le ossa, ma Stiles non si sarebbe lamentato, non glielo avrebbe
fatto notare e sarebbe rimasto in silenzio a subire il suo sconvolgimento. Uno
che li stava colpendo in egual modo, seppur con entità diverse. Uno schiaffo
perfido della realtà, i fantasmi che apparivano tornare a bersagliarli.
«Piacere di conoscervi» faceva profondamente male cercare di andare avanti con
il sorriso sul volto, senza mostrare quanto fossero colpiti e sopraffatti, ma
lo doveva a Derek ed alla bambina che forse sarebbero riusciti ad adottare dopo
anni di organizzazione e piani. «Siete molto amiche?».
Corine lo guardò contrariata, studiandolo un po’, quasi lo trovasse evidentemente
ottuso. «Siamo sorelle» lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo, un
legame che potevano vedere a occhio nudo, insieme alla grande complicità che vi
era tra loro. «E Erick è il fratello grande grande».
Stiles quasi saltò in aria sulla
sediolina per le fattezze di un bambino su cui si era accomodato per istaurare
un dialogo di conoscenza primaria, cercando immediatamente con sguardo
allarmato ed interrogativo la figura del consorte che provava la medesima
costernazione. «Siete tutti e tre fratelli?» ottenere delle conferme era un suo
diritto, ma non era sicuro di voler conoscerne il responso.
«Siete qui per adottare mia sorella?»
domandò a bruciapelo l’unico maschietto del gruppo, l’oscurità che li
attraversava da parte a parte. «Non ci riuscirete, non ci separerete».
«Che significa?» Derek dovette
chiederlo alla direttrice, esigere delle spiegazioni, perché era sicuro che non
stesse parlando con lui.
«Mi dispiace signori Hale» Stiles in
un altro momento l’avrebbe corretta, entrambi avevano mantenuto il loro
rispettivo cognome al momento del matrimonio, ma non sembrava più avere
importanza davanti alla sua desolazione e scuse. «Erick
è ostile, non lasciatevi intimidire, non ha nessun potere decisionale»
sottolineo con i tratti severi, investiti di un profondo e ripetuto rimprovero
verso il bambino.
Come poteva averlo? A occhio e croce
dimostrava avere meno di dieci anni, completamente nessun controllo su un
membro che gli sarebbe stato strappato via se la pratica fosse andata avanti.
Forse nessuna possibilità di rincontrarlo in futuro. Divisi, spezzati per
sempre.
Quasi mai i fratelli venivano
adottati dalla stessa famiglia, in rarissime occasioni il medesimo nucleo
familiare ritornava l’anno successivo per procedere con una seconda pratica, ma
tre? Tre fratelli non sarebbero mai più stati riuniti sotto lo stesso tetto,
forse nemmeno sotto lo stesso cielo, separati da interi stati. Non avevano già
sofferto abbastanza nella loro brevissima vita? «Prendiamoli noi».
«Che cosa?» Derek lo guardò senza che
riuscisse ad interpretare il suo linguaggio mentre Stiles si alzava dalla
sediolina e si animava nella sua direzione, quasi gli fosse diventato ostico,
una lingua straniera del tutto sconosciuta. Eppure i suoi occhi verdi si
accesero di consapevolezza e terrore, inviandogli una scintilla di
avvertimento.
«Adottiamoli noi, tutti e tre» quando
l’ultima sillaba lasciò le sue labbra lo sguardo severo e deluso di Derek lo
inchiodò, insieme a quello giudicante e di disapprovazione della Wilkinson, accompagnati da una triade di sorpresi e disorientati, investiti
da un pallido ed insospettato riflesso di speranza e si rese conto dell’enorme errore di
cui si era macchiato, impossibilitato a ritornare sui propri passi.
Sarò
sincera, pensavo che la mia vena artistica targata sterek
avesse terminato di creare storie a loro delicate, o quantomeno ad avere la
voglia di metterle per iscritto, ma a quanto pare mi sbagliavo. Sono anni che
ho questa storia nella testa, ma non l’ho mai concretizzata, finché un giorno
ha preteso di essere realizzata.
È
pronta da diversi mesi, ma ritardavo nel revisionarla, mi sono presa le mie
pause e mi pare ironico che sia riuscita a trovare il tempo di pubblicarla
proprio dopo che l’annuncio di un certo film è stato dato, un film di cui
ignorerò l’esistenza.
Purtroppo
questa storia ha avuto solo i miei occhi e non è stata betata
da nessuno, eccetto me, quindi mi scuso se troverete dei refusi o errori
sparsi, ma quando si conosce una storia a memoria, difficilmente si notano.
Spero
che questi Stiles e Derek adulti e maturati insieme possano tenervi compagnia,
insieme alle sorprese che avranno per noi.
A
settimana prossima,
Antys