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Autore: Antys    05/10/2021    3 recensioni
«Voglio davvero crescere dei lupacchiotti con te, Der».
[…]
«Ha i tuoi occhi» il mutaforma lo guardò interrogativo, non sapendo minimamente a cosa si riferisse e Stiles dovette prendere un profondo respiro. «Di quando ti ho incontrato la prima volta» non li aveva mai dimenticati, nei giorni, nei mesi e negli anni, li aveva sempre avuti impressi nella memoria, indelebili, come se nulla avesse potuto cancellarli. Con il trascorrere del tempo quegli occhi pieni di struggimento e profondo senso di abbandono si erano intensificati, insieme al continuo dolore che gli veniva costantemente iniettato direttamente nelle vene. Non c’era stata quasi più via di salvezza. Di redenzione. Nella loro vita insieme, nella loro lunga, disastrosa ed incantevole storia d’amore, Stiles pensava di avergliela finalmente fornita.
Fu il turno di Derek di precipitare in una bolla priva di suoni, ma le motivazioni che avevano spinto la foga irrefrenabile di Stiles gli furono immediatamente lampanti. «Non puoi salvare tutti».
[…]
«Stai attento a quello che dici, ragazzino» il buio nello sguardo del lupo completo si palesò in tutta la sua ampiezza. «Sei sempre stato subdolo» proferì con voce incolore, l’oscurità che catturava tutta la luce. «Ma mai scorrettamente crudele».
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Derek/Stiles, Nuovo personaggio, Stiles Stilinski
Note: Kidfic, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Long and Lost - I Figured Out Where I Belong

Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Nuovo personaggio

Pairing: DerekxStiles [Sterek]

Rating: Verde

Genere: Angst, Fluff, Introspettivo, Malinconico, Sentimentale, Slice of life

Avviso: Slash, What if, Kidfic

Note: Ambientata dopo la sesta stagione.

 

 

 

 

 

 

 

1° Capitolo

 

«Sei sicuro?» gli domandò Derek con serietà, davanti le scale in pietra che conducevano al municipio, i piedi ancora ben piantati sul marciapiede comunale prima di procedere con il grande passo.

Le iridi d’ambrosia di Stiles si voltarono sorprese verso quelle di giada ed improvvisamente si chiese se non ci fosse un problema tra loro che non avesse avuto premura di accettarsi. «Certo che sono sicuro, mai stato più sicuro di così» ma forse si era perso un pezzo? «Non sei della stessa opinione?».

«Lo sono» confermò il lupo mannaro con certezza, senza arrancare un colpo o soffermarsi una manciata anche minima di secondi a rimuginarci su. «Ma dopo questo, non si potrà tornare indietro».

«Non vorrò tornare indietro, non voglio tornare indietro» di certo nella sua vita non si sarebbe mai aspettato di arrivare a quel punto. Poteva essere onesto e affermare che nell’età infantile ed adolescenziale qualche pensierino gli fosse scappato di mente, con una persona ben precisa al suo fianco e con degli scenari piuttosto vasti ed improbabili a fare da contorno, ma nelle sue fantasie fanciullesche Derek Hale non era mai comparso; non in quelle romantiche prima del suo arrivo precipitoso e devastante durante i suoi disastrosi ed impopolari sedici anni.

Derek era entrato spietatamente nel suo campo visivo e mentale, senza che l’avesse fatto di proposito o con qualche intenzione di alcuna sorta, ma era giunto, si era piantato come un chiodo fisso tra i pensieri del figlio dello sceriffo e non era andato mai più via. Quindi no, non si era mai aspettato di arrivare a quel punto senza alcuna fantasticheria anche soltanto abbozzata con il lupo completo. «Non ci servono documenti, attestati, firme, timbri e sigilli che rappresenti e certifichi cosa siamo l’uno per l’altro. Non abbiamo bisogno di queste prove per noi stessi, non dobbiamo dimostrare niente a nessuno, ma è quello che ci serve per scrivere il nostro prossimo capitolo» ne avevano parlato così tanto e per due anni interi, organizzando i secondi, scandagliando ogni cavillo, studiando i singoli incastri, ponderando ogni decisione, il cambiamento profondo e indelebile che avrebbe comportato nella loro vita, la continua crescita che portavano avanti come persona, duo e coppia. Ne avevano affrontate talmente tante nella loro vita e con ripercussioni spiacevoli sulle loro anime dilaniate che si erano chiesti se ne fossero realmente in grado, se fossero pronti per quel passo così enorme ed incredibile a cui si sarebbero dedicati per il resto delle rispettive esistenze. «Ma forse non ti va più bene?» chiederlo gli strappò un pezzettino di quel cuore che per Derek Hale aveva sanguinato in lungo e in largo, per ogni motivazione possibile e che nel tempo aveva provato a rimettere a posto senza di lui, finché il mutaforma più musone dell’intero creato non aveva provveduto lui stesso a ripararlo con le proprie mani.

«Ti seguirò ovunque andrai, sempre» dichiarò Derek senza alcuna remora, fermo, immobile ed inflessibile. «Se sei sicuro, lo sono anch’io».

Un battito cardiaco arrancò un colpo in Stiles e le labbra si sciolsero in un sorriso incredibilmente dedito, così pieno di una felicità che pensava, in un tempo passato, gli sarebbe stata negata. «Allora non perdiamo altro tempo, Sourwolf».

Derek lo baciò su quella curva lieta ed incantevole, un po’ per amore e un po’, enormemente di più, per dispetto. «Fa’ strada, ragazzino».

Stiles se lo trascinò nell’immediato, con il passo di Derek più certo del suo, invalicabile ed incontrovertibile, uscendo dall’edificio pubblico soltanto un’ora dopo, con in mano una copia del documento che riportava ambedue le loro firme una accanto all’altra, stretta tra quelle dite da cui emergeva uno scintillio particolare sull’anulare sinistro di entrambi. I raggi solari di Washington stuzzicavano due nuovissime e impeccabili fascette dorate identiche.

 

«Esilarante» fu la prima parola che attraversò la mente casinista di Stiles quando adocchiarono il nome dell’unico orfanatrofio che corrispondesse alle solo esigenze e richieste in città, quella particolarità unica presente in pochissime strutture in tutto l’intero paese, faticando a star dietro ai numeri che con gli anni andavano ad aumentare. Era una stretta al petto che l’umano non riusciva a spianare in nessun modo.

Derek l’aveva guardato giudicante e sopprimendo uno sbuffo ringhiato che voleva ammonirlo. Non lo trovava per nulla esilarante.

Eppure quel vocabolo non era riuscito a toglierselo dalla testa nemmeno quando varcarono effettivamente e per la prima volta la soglia della Wolfgang Childhood, mesi dopo che l’avevano trovata sull’elenco delle associazioni a protezione di quei bambini con specificità speciali, perché soprannaturali non era un indicativo accreditato e legale.

«Noto che siete sposati da tre mesi» disse la direttrice, Wilkinson, dell’istituto con tono incolore, sbirciando le carte che un paio di settimane prima avevano inviato sia via posta ufficiale che attraverso indirizzo email autentificato.

«Sì» confermò il lupo mannaro dal pelo nero, diretto e inflessibile.

«Non è un tempo sufficiente? Crede che non saremmo abbastanza stabili come coppia?» domandò il figlio dello sceriffo a raffica, indispettito dall’accento lievemente riluttante della loro interlocutrice. «Stiamo insieme da dieci anni, conviviamo da nove e ci conosciamo da tredici» cavolo, erano la coppia più coppiosa che potesse esistere. Anche se doveva ammettere che Stiles era entrato a conoscenza di Derek molti anni prima, ma il licantropo non aveva alcuna percezione di lui. In realtà, aveva cercato di ignorarlo anche successivamente. «Le servono dei testimoni? Abbiamo dei testimoni».

«Signor Stilinski» strascicò tra i denti la donna, lanciando un’occhiata al foglio con il suo nome impronunciabile. «Non siamo come gli altri orfanatrofi, le nostre procedure sono sfoltite e più veloci, siamo più flessibili su certi aspetti, requisiti e richieste, meno su altri. Lei è umano, sa che genere di bambini accudiamo qui?».

Non gli piaceva quell’accusa nella sua voce, ma forse se la stava immaginando, perché Derek non pareva per nulla risentito o piccato, ma Stiles aveva lottato per una vita per far valere la sua natura umana in mezzo a tutto quel soprannaturale che lo circondava in ogni dove, precipitandogli addosso, entrandogli fin dentro le vene. Primi tra tutti, aveva dovuto combattere con lo stesso lupastro acido che gli sedeva a fianco. Soprattutto con lui. «Ho sposato un lupo mannaro, quindi so benissimo di quali bambini stiamo parlando».

La direttrice non poté ignorare gli anelli dorati che entrambi indossavano in quel momento e la data concreta del loro matrimonio riportato sul certificato ufficiale. «E da quanto tempo conosce questa verità?».

Stiles non riusciva proprio a capire a cosa la donna puntasse. «Avevo sedici anni» con la vista periferica vide il licantropo irrigidirsi e Stiles sapeva bene quanto tempo effettivo fosse passato da allora, quanto male avessero affrontato, quanto giovane fosse realmente in quel momento e quanto lo fosse Derek stesso nei suoi ventuno anni, ancora una volta con un pezzo della sua anima che gli era stata brutalmente strappata via e mai più restituita; quando a quel tempo pensava che tutta la sua famiglia fosse stata rasa al suolo, come unico superstite lui e quello zio in coma, che aveva considerato il suo migliore amico in un’eternità precedente, ma che poi si era rivelato il peggiore dei suoi incubi. Il carnefice ultimo.

«Siamo un’associazione molto riservata e non permettiamo l’accesso a persone estranee al mondo soprannaturale» dichiarò la donna coincisa, tassativa e con delle motivazioni alle spalle, Stiles capiva bene quella rigidità, riuscire ad ottenere un appuntamento era stato un calvario inimmaginabile ed era stato necessario presentare il cognome Hale per potervi accedere, con l’intera reputazione che quel branco sfortunato e quasi estinto si era guadagnato nel corso dei secoli precedenti. Presumeva che nemmeno la sicurezza del suo conto in banca a sostegno di probabili piccini da adottare fosse stato ignorato, Stiles capiva anche quello. Era necessario tenere gli umani banditi da quella cerchia privata. «È soltanto insolito che un umano faccia richiesta di adozione dalle nostre parti e vogliamo essere certi che sappia a cosa vada in contro, che cosa l’aspetta, che questi sono bambini che hanno bisogno di attenzioni maggiori e nessuna distrazione. Niente di socialmente accettabile accade con loro nella propria vita».

«Sono pronto» dichiarò con certezza il figlio dello sceriffo; si era preparato a quel nuovo capitolo della sua vita insieme a Derek per anni, aveva affrontato ogni genere si avversità nei suoi ventinove anni, tredici dei quali dedicati a creature mitologiche che l’avevano arricchito, che aveva amato e odiato, che l’avevano distrutto e fatto rinascere, delle innumerevoli perdite che l’avevano accerchiato e delle nuove opportunità che gli avevano fornito. Aveva stretto i denti, serrato i pugni, versato litri di sangue, aveva pianto e urlato ed in tutto quel cataclisma aveva continuato a rincorrere Derek che lo teneva a quanta più debita distanza possibile. Voleva quella opportunità, avrebbe lottato ancora e ancora per quell’opportunità, voleva crescere uno o due bambini insieme all’uomo che amava dall’adolescenza, i loro figli; voleva maturare ulteriormente insieme a quella famiglia immaginaria e così dannatamente imminente che desideravano ampliare.

«Lo siamo entrambi» convenne e sottolineò il lupo completo, prodigandosi ad afferrare una mano di Stiles, facendone intrecciare le dita, infondendogli tutto il suo sostegno, la trave portante che rappresentavano l’uno per l’altro. Stiles gli dedicò il più bel sorriso pieno d’amore, affetto e gratitudine che avesse visto negli ultimi tempi.

«Va bene» sovvenne la Wilkinson, impilando la documentazione e sistemandola sulla scrivania. «Ho tutto il materiale per studiare il vostro caso, vi richiamerò quando avrò una risposta per voi. Buona giornata».

Stiles si sentì liquidato all’istante e rimase paralizzato sulla poltrona per qualche attimo di troppo, finché non fu il mannaro a risvegliarlo dalla sua stretta, tirandoselo via e conducendolo verso l’uscita di quel posto infame e avverso. Non si era nemmeno congedato come l’etichetta richiedeva ed era uscito in silenzio, sperò che almeno Derek, perfetto ed impeccabile come fosse, non avesse peccato di orgoglio insieme a lui.

«È stata una disfatta» proferì l’essere umano con il morale a pezzi, l’ira e il rincrescimento che ne facevano da padroni, una volta che abbandonarono l’edificio imponente e percossero qualche passo per una delle vie principali della città.

«Non lo è stata» affermò fermamente la creatura della notte, procedendo fedelmente al suo fianco.

«Invece sì!» esclamò con ardore Stiles, fomentato ed agitato, fermandosi in mezzo al marciapiede pubblico all’improvviso. «C’eri anche tu lì dentro, non puoi negarlo».

«Stai travisando la situazione, Stiles» lo ribeccò il mutaforma, interrompendo l’andatura esattamente un paio di centimetri avanti a lui. «Non era avversa nei tuo riguardi né infastidita, hai frainteso».

«Questa è bella» lo additò l’umano spietatamente, per nulla d’accordo con l’opinione del marito. «Non ho frainteso nulla, riconoscere il linguaggio del corpo è il mio lavoro, sono stato addestrato per questo, come decriptare ogni sillaba e tono usato. Sono un detective dell’FBI, per diamine» era bravo, eccellente, anche prima; i dettagli, i piccoli gesti, le parole, l’inflessione leggera della voce o quella più forte, le mezze verità, le cose non dette o dette platealmente, gli inganni, la macchinazioni, la manipolazione, i sentimenti genuini e quelli malvagi, gli intenti con doppie finalità e le bugie inventate senza davvero una ragione, Stiles aveva imparato a riconoscerle fin da bambino e crescendo il suo acume si era espanso, fatto più diligente e preciso. Era sempre stato dotato nella lettura delle persone, la base della sua diffidenza l’aveva soltanto protetto di più.

«È vero» confermò Derek, ben conoscitore e testimone delle sue abilità, del suo talento; ne era stato vittima. Forse lo era ancora. «Ma quando sei coinvolto emotivamente non sei lucido» Stiles gli lanciò un’occhiata assassina, del tutto in disaccordo con il suo pensiero e ben pronto a mettergli davanti agli occhi i fatti di quanto non fosse assolutamente non lucido quando era coinvolto emotivamente. «Non sempre».

Stiles sbuffò al suo ritrattare e lasciò correre, perché in parte era purtroppo vero. «Derek».

La supplica e il dolore invasero l’epidermide del lupo, i cinque sensi che erano costantemente attivi quando il suo umano era nei paraggi e il corpo che era continuamente predisposto verso il suo. «Non è successo niente di grave» le mani andarono a circondargli il viso niveo e il tocco rilassò Stiles nell’immediato. «Fidati di me, ho delle doti anch’io».

Le labbra di Stiles si curvano appena verso il cielo, sotto i polpastrelli della creatura della notte che sapevano esattamente cosa dovevano fare in sua presenza. «Doti soprannaturali?».

«Sì» confermò Derek rispondendo a malapena al suo sorriso stanco e provato, accarezzandogli un angolo della bocca.

«E se…» provò ancora Stiles, frastornato dalle miliari di sensazioni che lo invadevano e non volevano lasciarlo andare. «Se non dovessero richiamarci? Se fosse andata male? Se non ci permettessero di adottare?».

«Cercheremo un’altra associazione, in un'altra città, ovunque potremo andare» Derek non era uno che si arrendeva, soprattutto non davanti ai desideri di Stiles. E ai suoi.

Stiles sapeva chi aveva di fronte, sapeva quanto il suo uomo potesse essere temerario, quanto lontano potesse andare, me non poteva trattenersi dal dissentire sotto le sue dita, dinegando il capo. «E se non bastasse? Se il mio essere stupidamente e limitatamente umano non fosse un requisito su cui si possa semplicemente soprassedere».

«Mio padre era umano» affermò il lupo mannaro, mandando in frantumi le sue teorie complottistiche. «Non siamo una società così chiusa come credi».

Oh, doveva vederlo davvero a pezzi per tirare fuori un argomento che difficilmente Derek affrontava; non che gli tenesse certi parti della sua vita occultate, non c’erano segreti o tabù tra loro, ma Stiles sapeva quanto dolore provocasse a Derek parlare di una famiglia che non esisteva più. Nemmeno Stiles parlava mai troppo di sua madre. «Non devo davvero ricordati che tuo padre ti ha procreato con tua madre, vero?» se il lupo si inorridì a quella rivelazione non richiesta e non necessaria, ma abbastanza logica, lo nascose piuttosto bene, ma il sospiro in fondo alla gola, soppresso, lo percepì eccome. «L’adozione è diversa, più complicata, lunga e complessa, troppi parametri in cui rientrare, troppi veti ed imposizioni, troppa burocrazia, troppa amarezza ed è scoraggiante, stancante, snervante e sempre a dimostrare di essere perfetti ed impeccabili. Ma non lo siamo, siamo imperfetti e disastrosi. Io sono un disastroso comune essere umano, non esiste un parametro in cui posso rientrare».

«Il tuo essere umano non è mai stato un difetto e non lo sarà adesso» Derek aveva dovuto scenderne a patti tantissimi anni fa, prima che Stiles se ne rendesse conto.

Un sopracciglio di Stiles si arcuò e aggrottò, insieme alle pieghe del naso che il mannaro trovava adorabili. «Ricordo benissimo che all’inizio per te era un serio motivo di fastidio».

«Non volevo ti facessi male» ci aveva provato davvero ad allontanarlo, a scoraggiarlo, ad infierire per tenerlo il più distante possibile dal pericolo, ma non conosceva ancora niente di Stiles e non sapeva quanto quest’ultimo fosse propenso a sfidarlo, a mettere in campo le sue prodezze e dimostrargli che non avrebbe mai dovuto sottovalutarlo. Derek aveva imparato a sue spese. Entrambi avevano pagato il prezzo troppo alto di quella vita stracolma di rischi.  

Stiles rimane ammutolito da quella rivelazione, un po’ sospettata, ma mai espressa. Derek aveva ripetutamente tentato di tenerlo alla larga dai guai, da qualsiasi pericolo, ma Stiles li trovava sempre, anche dove non c’erano. Si chiese per la prima volta se quella premura apprensiva e costante che nutriva nei suoi confronti non fosse indirettamente riflessa su quel padre unicamente umano, senza alcun gene mannaro che avrebbe potuto dare l’illusione di potersi salvare, che si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Con la famiglia sbagliata. Era stato un errore che un umano avesse sposato una lupa mannara, Alpha, mettendo al mondo dei figli e allargando i gradi parentali, quelli che erano svaniti in una nube di fumo e cenere? Erano undici le vittime dell’incendio di villa Hale, scatenato dalla psicopatica cacciatrice Kate Argent, in cui all’interno vi soggiornavano anche bambini umani, presumibilmente parenti dal lato paterno. Perché Stiles non sembrava saperne abbastanza? Nemmeno Derek a volte sembrava saperne abbastanza, del tutto all’oscuro della salvezza di sua sorella minore, Cora, che si trovava stranamente in Sud America in quel particolare giorno avverso – per quale ragione? –, portando il mannaro per sette anni a convincersi che alla devastazione del ramo Hale si fossero salvati solo lui e sua sorella maggiore, Laura, con il caro zio Peter in condizioni precarie e profondamente distrutto ed ustionato dal fuoco. E poi non poteva essere ignorata la prematura dipartita di Paige, trasversalmente causata dai desideri egoistici di un Derek quindicenne; aveva sbagliato e continuava a punirsi. «Voglio davvero crescere dei lupacchiotti con te, Der».

«Lo so» abbozzò un sorriso flebile, specchiandosi nelle iridi di miele desiderose e speranzose, lambendogli il naso con il proprio e schioccandogli un bacio castamente dolce sulle labbra carnose. «Lo faremo».

 

Stiles si era un po’ illuso, forse eccessivamente troppo, quando Derek tornò a Beacon Hills. O meglio, quando Stiles lo andò a prendere di peso, per salvarlo e scagionarlo dall’ennesima accusa di omicidio. Era molto e troppo positivo che il lupo avesse dalla sua parte oltre a lui, sia uno sceriffo – che casualmente era il padre del suddetto Stiles – sia un agente a pieno servizio dell’FBI – per coincidenza fortuita corrispondeva alla figura paterna di Scott McCall – che gli ripulirono la fedina penale, di nuovo.

Ma cosa comportava? Cosa rappresentava per lui riaverlo nella sua vita dopo che era sparito per quasi due anni? Si sarebbe corretto con un anno e mezzo. Non sapeva se fosse quel mezzo a pesare eccessivamente su quel cuore compromesso che aveva finto fosse stato riparato in una prima parte da Malia Tate/Hale e successivamente da Lydia Martin, il suo grande amore fanciullesco. Il suo unico amore, avrebbe ribattuto una volta.

Ma lo era stato per quanto tempo? Stiles sapeva di avere amato una sola persona negli ultimi tre anni di quel frammento esistenziale, profondamente, svisceratamente, fino a procurargli dolore fisico ogni volta che spariva dalla sua vita per andare chissà dove, senza mai metterlo al corrente delle sue decisioni.

Aveva sedici anni quando aveva posato lo sguardo su di lui la prima volta, consapevole di chi fosse, di chi fosse tornato in quella sfortunata cittadina trascorsi i sei anni dalla tragedia.

Aveva sedici anni quando aveva capito di essersi innamorato di quell’anima dannata e maledetta, offuscando tutto quello che fino a quel momento aveva rappresentato importante per se stesso.

Aveva diciassette anni quando aveva capito che il sentimento innocente e semplice, non troppo chiaro e possibilmente meno complesso di quanto si aspettasse, si era sostituito a qualcosa di ben più grande, di enorme ed incalcolabile, lacerante e totalizzante, la fase dell’innamoramento che veniva cancellata via, estirpata, per giungere dove mai si sarebbe aspettato. Non per la persona più tormentata dalle avversità che avesse mai incontrato. Aveva diciassette anni quando aveva capito di amarla e di non poter tornare indietro.

«Ehy, Der» salutò quando entrò dopo secoli all’interno del loft su cui non aveva più messo piede dalla sua ennesima partenza – o fuga, per gli intenditori.

Derek sembrò non sentirlo nemmeno, comportamento a cui l’umano aveva smesso di reagire tempo prima, ma in quell’attimo non sembrava volerlo ignorare deliberatamente, semplicemente si guardava attorno senza che riuscisse a riconoscere nulla di quello che gli era intorno, di quello che meno di diciannove mesi prima gli apparteneva di diritto, circondandosene.

Stiles non sapeva proprio come avrebbe dovuto reagire, se togliere il disturbo o rimanere; all’interno dell’edificio a volte faticava a calcolare se possedesse una maggiore quantità di ricordi felici o infelici. Era successo di tutto e sia lui che il lupo completo ne erano stati protagonisti, vittime e testimoni immobili, esamine.

«O resti o te ne vai» Derek la sua indecisione dovette percepirla interamente e mal digerire.

Stiles ci impiegò meno di un secondo a decidere di far scorrere la porta dietro di sé e accomodarsi sul divano che probabilmente aveva bisogno di una spolverata, come tutto il resto.

Il silenzio perdurò per una notevole quantità di tempo e Stiles, rigido e fremente, lo rispettò, lasciando al padrone di casa tutto lo spazio di cui avesse bisogno. Se non l’avesse voluto tra i piedi, l’avrebbe buttato fuori senza ripensamenti, giusto?

«Stiles» strascicò tra i denti stretti, voltandosi appena verso di lui, distogliendo lo sguardo da quell’enorme vetrata, unica attrice di quello spazio senza mura divisorie. «Cosa vuoi?».

«Volevo solo vedere come te la passassi» Derek gli rispose con un’alzata scettica e giudicatrice delle sopracciglia, nemico numero uno dei convenevoli vuoti. «Che progetti avessi».

«Progetti?» domandò di riflesso la creatura della notte, quasi non riconoscesse il significato di quel vocabolo.

«Sì, sei tornato, ma adesso? Resti? Andrai di nuovo via?» a Stiles costava anni di vita quella serie di domande che in passato non avrebbe neanche potuto accennargli.

«Non ho piani» Derek appariva completamente distaccato da quell’aspetto, come se non ci avesse riflettuto affatto e Stiles non stentava a crederci. «Quali sono i tuoi?».

Oh, quello non se l’aspettava proprio. «Tornerò indietro a finire il mio percorso e poi volerò dritto al college».

«College?» chiese stupito il lupo mannaro, guardandolo per la prima volta da quanto era entrato nell’appartamento con interesse. «Pensavo ti saresti limitato all’accademia».

Erano accadute alcune cose durante il loro viaggio che li avrebbe condotti a Beacon Hills a salvare il branco targato McCall. In tutta onestà non erano di chissà quale grandezza, ma mentre guidavano per autostrade e statali, dandosi spesso il cambio quando si percepiva stanchezza nell’atmosfera, il bisogno di essere più veloci, la preoccupazione e l’ansia che appestavano l’abitacolo, si erano trovati perfino a parlare tra loro, a snocciolare parole come se avessero bisogno di rendere il proprio compagno d’avventura al corrente di tutto quello che si erano persi stando a miglia di distanza. Non si erano detti ogni cosa, molte erano state lasciate all’immaginazione dell’interlocutore o semplicemente non bisognavano di approfondimento, ma altre erano state descritte nel dettaglio. Con la fatica che si faceva sentire, avevano avvertito l’esigenza di fermarsi per qualche ora in uno squallido motel da viaggiatori a raccogliere le forze, recuperare un sonno perduto che avrebbe potuto rivelarsi fatale nel caso fossero stati messi alle strette. Per Stiles si era rivelato un incubo condividere la camera con Derek, la vicinanza impalpabile anche se abbandonati in due letti singoli separati, la percezione che lampeggiava per l’essenza del lupo che lo lambiva, ma che non poteva toccare, allungare distrattamente la mano e azzerare il divario insormontabile che c’era tra loro. In cuor suo era consapevole che Derek percepisse il tumulto delle sue emozioni, i sentimenti che lo consumavano, ma non si espresse in alcuna maniera in merito né gli fece pesare la sua agitazione. «No, quello è solo un corso preparatorio. Del tipo: cosa vuoi fare da grande? Da lì ti forniscono gli strumenti e le informazioni che potrebbero servirti nel caso volessi continuare su quella strada» anche se il figlio dello sceriffo conosceva perfettamente la prassi da seguirsi, ma non era riuscito a rinunciare alla possibilità di frequentare quel corso formativo.

Derek lo guardò attento, quasi non si lasciasse scappare un solo battito di ciglia, e si avviò verso l’altro capo del sofà, approcciandosi a sedervisi. «Ed è quello che vuoi fare?».

«Non mi dispiacerebbe l’idea» in realtà aveva adorato tutto il tempo che aveva passato in quella stanza stimolante, anche se nel medesimo tempo lavorava sotto copertura, illegalmente, per riuscire ad arrivare a Derek prima di loro. «Semplicemente non avevo mai davvero considerato a quale organo governativo fare riferimento».

«FBI, quindi» sentenziò il mannaro per lui, in una conclusione definitiva.

«Sì» ma fin dove l’avrebbe portato?

L’assenza di suoni perdurò e per la prima volta Stiles si chiese come avrebbe dovuto romperlo. Se avrebbe potuto.

«Quale college?» chiese invece il mutaforma, lasciandolo sfiancato.

Stiles provava degli enormi giramenti di testa, quasi le vertigini. «SUNY».

Derek lo guardò in tralice, profondamente, come se volesse scavargli dentro e carpirgli delle informazioni che teneva per sé; o quantomeno tentava. «New York».

Per la prima volta l’umano si sentì profondamente smascherato, denudato, come se Derek gli avesse appena strappato il grande segreto che teneva per se stesso. Ma non era mai stato premeditato, era una coincidenza che non riusciva a classificare a che categoria appartenesse. «Sì, nello specifico il campus SUNY Old Westbury, specializzato in criminologia» il college che aveva scelto possedeva un numero sproporzionato di campus in tutta la città, molti condividevano lo stesso titolo di studio, ma i percorsi erano strutturati in modo differente, con corsi avanzati ed esclusivi a secondo della richiesta, si acquisivano determinate nozioni che davano quel tocco di diversità, offrendo ad ogni studente la possibilità di trovare la strada più adatta.

«Long Island» fu tutto quello che Derek proferì, fermo, tassativo e brusco, i fantasmi che prendevano forma.

«Sì, come…» c’era notevolmente qualcosa che gli stava sfuggendo di mano. «Come lo sai?».

«Vivevo da quelle parti con… Laura» l’esitazione fu devastante, peggio fu completare il pensiero. Il nome. «In realtà, possiedo ancora quell’appartamento. Buffo, l’avevo rimosso».

Buffo? Non pagava le tasse? Le bollette? Un mutuo? Era così disinteressato ai soldi, al patrimonio sproporzionato ottenuto con lo stermino della sua famiglia – aveva ereditato anche la quota di Laura alla sua morte? – da non notare prelevamenti automatici concordarti, per esclusione, in precedenza? In un’altra vita, quando nel mondo i sopravvissuti Hale erano soltanto due, lui e la sua Alpha, sua sorella maggiore.

«Ti serve?» domandò ad un tratto il lupo mannaro, un’insensata e immotivata rabbia, probabilmente scaturita da qualcosa che non aveva nulla a che fare con l’umano.

«No, cosa? No» Stiles era tramortito, terrorizzato e non aveva alcuna idea di come dovesse davvero sentirsi. «Ho una borsa di studio, l’alloggio è compreso» si interrogò sulla possibilità se anche quell’appartamento sconosciuto fosse un monolocale.

Derek tornò nel suo mutismo e Stiles era così pentito di rimanere lì, a farsi distruggere, a vedere l’uomo che amava annientarsi per delle conseguenze dovute alla sua presenza che non aveva minimamente calcolato. «Non ti sto inseguendo, Derek» perché? Perché era così avventato a non ragionare mai su quello che la sua bocca avrebbe dato fiato? Perché era così incauto da non controllare minimamente la sua impulsività?

Le iridi verdi del lupo lo attraversarono da parte a parte e Stiles seppe di aver perso. «Non lo penso».

Stiles non credeva affatto che corrispondesse alla verità.

«Quando ripartirai?» gli chiese invece il mannaro, quasi non volesse che la conversazione si concludesse, estrapolando quante più informazioni possibili.

«Tra due giorni» riuscì soltanto a farfugliare, con un groppo tremendo alla gola. «Ho ancora un paio di settimane di corso e poi mi dirigerò direttamente al college, ho una proroga finché non avrò terminato» l’illusione stava tornando a perseguitarlo? Ad ingurgitarlo? La speranza era l’ultima a morire, ma era la peggiore dei nemici per chi avrebbe dovuto imparare a rassegnarsi.

«Fammi sapere se ti serve un punto d’appoggio» affermò Derek senza crederci davvero, senza che ci fosse una reale azione che lo guidasse.

E quello era tutto.

 

«Che succede?» lo risvegliò Lydia da dei pensieri che non avrebbe dovuto possedere, da tormenti che non sarebbero dovuti esistere. Cristo, aveva una relazione, era impegnato e coinvolto sentimentalmente ed invece tutto quello su cui riusciva a concentrarsi era quel dannatissimo lupo misantropo.

«Non succede niente» sarebbe cambiato qualcosa se fosse accaduto il contrario?

«Oh» soffiò Lydia, piazzandosi davanti al cofano dell’amata Jeep azzurra di Stiles, su cui era appollaiato. «Penso di sapere cosa sia successo».

Il ragazzo la guardò con sguardo interrogativo, inclinando leggermente il capo e tentando in qualche maniera di carpire la sentenza prima che gliela rivelasse lei. «Sarebbe?».

Lei gli rispose con occhi furbi, sorridendogli ilare. «Derek è tornato».

Quello avrebbe risposto ad ogni quesito, corretto? «Sì, Derek è tornato».

La banshee gli si sedette accanto, scuotendo leggermente la lunga gonna e poggiandosi appena. «Gli hai chiesto di seguirti?».

Stiles aveva l’impressione di essere appena ruzzolato sgraziatamente sull’asfalto. «Perché dovrei chiedergli una cosa del genere?».

«Sappiamo entrambi quanto lo ami» rivelò candida, veritiera, senza nessuna accusa o risentimento, la voce della sua coscienza che prendeva finalmente forma e lo metteva davanti ad una oggettività incontrovertibile.

Sogno o son desto? «Lo sappiamo?».

«Sì» confermò la bionda fragola con autenticità.

«Amo anche te» non aveva mai dubitato di quello.

«Non allo stesso modo» lo contradisse lei, quasi lo sapesse meglio di lui stesso. Forse era così.

«No» convenne, erano due tipi di amore completamente distinti e separati. Un amore fanciullesco e un amore adulto. Un amore nato dal cuore di un bambino che non aveva ancora conosciuto nessuno dolore, che vi avrebbe trovato svoltando l’angolo, e un amore di un ragazzo che aveva sofferto ogni tormento possibile, versando lacrime di sangue per una metà che sentiva appartenergli. «Non allo stesso modo».

«Allora, glielo hai chiesto?» Lydia si sistemò meglio, guardando la vegetazione totalmente verde che gli balenava davanti.

«Non ne sono sicuro» Stiles in realtà non aveva capito niente di quello che era accaduto tra lui e Derek. «Intrinsecamente, forse.

La rossa ne rise deliberatamente deliziata e Stiles non poteva per nulla colpevolizzarla, in più adorava la sua risata.

«Quindi, è finita?» domandarlo gli chiese un enorme sforzo, maggiormente di quanto ne sentisse la necessità. «Tra noi».

Lydia lo fissò deliberatamente negli occhi, senza permettergli di sfuggirgli. «Ha senso continuare?».

«No» aveva mai avuto senso? Quello che c’era tra loro era terminato così com’era iniziato e si chiese se fosse realmente mai iniziato qualcosa. «Non sei stata un rimpiazzo, Lyds» sentiva che era importante specificarlo, che non vi era mai stato nessuna intenzione di renderla tale; nessuna delle sue ragazze. Ma possibile che in qualche modo, senza che lui ne avesse minimamente coscienza, l’avessero percepito?

«Non mi sarei mai abbassata a tanto» dichiarò la rossa senza inclinature, le iridi verdi che lo guardarono serie e prive di fraintendimenti, la conoscenza sopraffina che aveva di lui, poi un ambiente privo di suoni si presentò, quasi a concedergli un angolo di mondo riservato per respirare senza mettersi fretta.

La banshee saltò in piedi con grazia subito dopo, scostandosi dall’auto e scomponendosi i lunghi capelli biondo fragola. «Non puoi dire di non averci provato. Provato ad andare avanti senza di lui» ma non era servito a nulla la fantasia fallace che si era costruito.

«Magra consolazione» in realtà non vedeva nulla di positivo in tutta quella situazione. Aveva avuto due ragazze stupende, le aveva investite di affetto ed attenzioni, ma nessuna di loro riusciva ad ottenere l’effetto sperato. Nessuna di loro riusciva ad eliminare il profondo e radicato sentimento d’amore autentico che provava per Derek Hale.

Lydia rimase in religioso silenzio per un lungo arco temporale, fissando il cielo azzurro e godendosi la leggera brezza che le accarezzava il viso, scuotendo le cime degli alberi secolari che li avvolgevano, simulando un abbraccio protettivo. Peccato che quelle stesse radici inviolabili nascondessero le peggiori insidie. «Sai, non penso che Derek sia davvero del tutto immune al tuo fascino».

Stiles rise veramente divertito, forse un po’ sguaiatamente, forse anche un po’ in collera con se stesso, burlandosi spietatamente della propria persona. «Ho del fascino?».

«A modo tuo» lo pizzicò la banshee con affetto, dedicandogli una curva complice e mordace, da vera presa in giro. «Spero che troverai quello che stai cercando».

«Anche tu» proferì Stiles quando la osservò congedarsi, l’ultimo sorriso comprensivo che le avrebbe visto prima di partire, a chiedersi quando mai l’avrebbe rincontrato. A domandarsi se avesse permesso al suo antico sogno bambinesco, rincorso per oltre otto – nove e dieci – anni, di abbandonarlo troppo facilmente e freneticamente, imponendogli di sgretolarsi e volare via.

 

Due giorni dopo aveva preso un volo per tornare a Quantico, per terminare il suo corso preparatorio con il risultato migliore che potesse ottenere, e quando l’aveva lasciato nelle settimane successive, per prendere un ulteriore aereo e raggiungere New York, la casa che l’avrebbe ospitato per i prossimi quattro anni, si chiese se una volta terminati i suoi studi accademici, ci sarebbe mai tornato per completare l’addestramento ed avere l’opportunità ultima di essere un candidato papabile per divenire un ottimo agente dell’FBI.

Nel suo nido da scapolo universitario si sistemò in fretta e furia, come se fosse in ritardo sulla tabella di marcia, ma l’inizio dei suoi corsi erano previsti soltanto nei tre giorni successivi, permettendogli di ambientarsi ed esplorare il campus come meglio credeva, magari provando ad istaurare dei rapporti sociali che gli avrebbero permesso quell’esperienza condivisa più piacevole. 

«Chi è quel ragazzo?» ma la piega degli eventi fu destinata a cambiare al quinto giorno, quando uscendo dall’aula di scienze politiche – corso facoltativo, ma molto apprezzato dai piani alti –, seguendo il gruppetto di studenti e futuri colleghi con cui aveva conferito fino a qualche momento prima, conducendolo verso l’uscita, uno di loro pose quella domanda pericolosa, del tutto inconsapevole che la vita del figlio dello sceriffo avrebbe avuto una svolta completamente inaspettata.

«Il bel tenebroso?» indagò qualcun’altra in risposta, lanciando occhiate per niente disinvolte.

Le iridi ambrate di Stiles ebbero bisogno di qualche attimo di troppo rispetto ai suoi interlocutori per mettere a fuoco ciò che attirava tutta la loro attenzione, stranamente non particolarmente curioso dei pettegolezzi che di lì a poco sarebbero potuti sorgere, probabilmente perché quel giorno aveva già seguito tre lezioni diverse, con nessuna correlazione tra loro e la sua mente apparisse ignobilmente stanca. Nel momento in cui poté dare un nome al volto che attirava tutte quelle considerazioni – probabilmente per il suo sguardo stoico ed assassino, per nulla propenso ad emettere vibrazioni positive –, credette che il suo petto avesse cessato di battere. O stesse andando talmente tanto veloce da non avere le capacità di stargli dietro.

Stiles e il non tanto sconosciuto si riconobbero in un soffio di vento incorporeo e l’umano fu attraversato dalla terribile ed infatua certezza che fosse lì per lui. «Scusatemi, devo allontanarmi per un minuto».

Una serie di lo conosci? Sai chi è? Da dove salta fuori? Che cosa vuole? lo bersagliarono, ma gli scivolarono tutti addosso, precipitandosi verso la statua da dio greco che lo stava aspettando. «Derek» fu tutto quello che riuscì a bofonchiare a stento, quasi in apnea, un fiatone immotivato che gli addentava i polmoni. «Ehy, che ci fai da queste parti?» forse sarebbe stato più appropriato chiedergli cosa ci facesse esattamente a New York.

«Sono venuto a controllare la casa» fu la risposta pronta che la creatura della notte gli diede, imperturbabile al ritrovarselo davanti.

La casa? La stessa casa di cui aveva dimenticato l’esistenza? «Poi mi sono ricordato che dovessi già essere nei dintorni».

Dio, Derek lo stava aspettando sul serio. «Io… sì, sono arrivato qualche giorno fa» l’ossigeno stranamente cominciò a scarseggiare e la morsa all’apparato respiratorio si fece più mordente. «Gentile da parte tua passare» gentile? Ma Derek lo era stato mai?

Fu imperativo che il mutismo calasse nuovamente su di loro, non gli era mai pesato in passato, riempire i silenzi era il suo compito e Derek faceva finta di esserne abbastanza infastidito, quando in realtà l’attendeva al varco, a farsi assordare dai suoi sproloqui incompiuti, tuttavia in quell’istante la gravità del peso lo sentiva eccome, era un macigno sullo stomaco di cui non aveva le nozioni per disfarsene. «È tutta intera, la casa?» soltanto nel secondo successivo si rese conto di quanto infelice fosse quell’uscita, assalito dall’immagine di una casa che effettivamente era caduta a picco, sprofondando tra le ceneri.

Le iridi di giada del mannaro si pietrificarono su quelle di miele, congelando la scenografia. «Non sono riuscito ad entrare» accidenti, non poteva essere vero. «Ho aperto la porta e mi sono reso conto che era esattamente tutto come l’avevo lasciato».

Stiles si sentì risucchiare dal suolo che avrebbe dovuto sostenerlo, ma non si sentiva sostenuto, saldo su quelle gambe lunghe che correvano da un’aula all’altra senza fermarsi, inciampando di tanto in tanto, giusto per non togliersi il vizio e far presente la sua firma indiscussa di ragazzo senza coordinazione. Stiles sentiva la morte nel cuore, una morte che non gli apparteneva, un lutto che gli balenò Derek non avesse mai superato, affrontato ed accettato. «E cosa hai fatto?».

«Ho chiuso tutto e ho cominciato a camminare senza meta, finché non mi sono ritrovato qui» rivelò il licantropo, più a se stesso che al suo interlocutore, come se non avesse affatto ascoltato la domanda sussurrata e trattenuta del figlio dello sceriffo.

Stiles era quasi certo che gli servisse nell’immediato una bomboletta di ossigeno per riprendere fiato. Cos’è che Derek stava effettivamente cercando? Gli occorreva una faccia amica? Una qualunque? Da quanto tempo lo stava attendendo impalato lì davanti all’ingresso del campus, tentando di scorgerlo prima o poi tra la folla frastornante di studenti? Le sue doti mannare potevano venirgli in soccorso?

Ritrovarsi in quello stato Derek sapeva non fosse l’ideale; così distrutto, sopraffatto, vuoto ed inspiegabilmente bisognoso di lui, lo stava lacerando ed aveva soltanto una minima percezione di quali pensieri disturbanti e dolorosi stessero bersagliando la mente della creatura della notte. «Qui ho finito» disse indicando l’edificio dietro di lui, afferrando tutto il coraggio che sapeva volersela dare a gambe. «Ho bisogno di mettere qualcosa sotto i denti, mi accompagni?».

Derek non se lo fece ripetere e per Stiles anche quello risuonava come un campanello d’allarme.

Fu Derek a condurlo all’interno di una tavola calda vicino al college, Stiles non aveva ancora imparato nulla sulla zona ed aveva sempre mangiato alla mensa, quindi fu piacevole che qualcuno di loro sapesse cosa stesse facendo e dove andare senza tentennamenti, dimostrazione che il mutaforma avesse davvero vissuto da quelle parti, per ben sei anni.

Non parlarono quasi di niente di concreto, Derek si limitata ad i suoi soliti mugugni senza finalità, giusto per fargli presente che lo stava ascoltando, mentre Stiles lo riempiva di chiacchere rumorose ed a volte impedite, balbettando quando accavallava una parola con un’altra, per l’eccessiva velocità della sua logorrea. La nota positiva fu il cibo rivelatosi davvero molto buono e doveva assolutamente appuntarselo. «Che cosa hai intenzione di fare?» la patata bollente prima o poi sarebbe dovuta saltare fuori.

«Nell’immediato futuro?» chiese retoricamente il lupo completo, ricevendo un cenno d’assenso dall’umano. «Trovarmi una camera d’hotel».

Un hotel? Uno di quelli ultra lusso, cinque stelle più una, da mille dollari una camera a notte – quando il prezzo era ottimistico?

Derek si lasciò scappare un singolo colpo di risa quando il naso di Stiles si arricciò contrariato a quel piano e sentì un battito quasi mancare nella sua direzione, cogliendo entrambi impreparati. «Non approvi.

«Piango per il tuo portafoglio» Stiles era una persona troppo parsimoniosa, soprattutto se era a conoscenza di un appartamento di proprietà che era pronto per ospitarlo, senza aggiungere un centesimo in più, ma poteva capire quanto estenuante e drammatico fosse per Derek tornare dentro delle mura che soltanto fino a tre anni prima avevano accolto lui e Laura, riprendendo in mano le loro vite e provando ad andare avanti, ricominciare, convinti che null’altro male potesse colpirli, sopravvissuti all’annientamento dell’antico branco Hale.

«Vuoi vederlo, non è così?» domandò il beta dagli occhi blu metallico, ricevendo un’alzata interrogativa del sopracciglio da parte del suo interlocutore. «L’appartamento».

«Beh, sono alquanto curioso, sarà anche questo un tugurio immerso nell’oscurità, dove tutta la luce viene assorbita?» proferì con sarcasmo il figlio della massima autorità di Beacon Hills, esibendosi nel suo più famoso ghigno malizioso.

Gli angoli delle labbra di Derek si arricciarono appena e Stiles stava ottenendo troppe vittorie in una volta sola; era esaltante. «Non oggi, ragazzino».

Stiles gli dedicò il sorriso da volpe furba quale era. «Farò il bravo bambino».

Derek era decisamente rassegnato, ma non se ne lamentò affatto.

 

Per tutta la settimana seguente Derek passò a prenderlo ogni giorno, portandolo a mangiare in un posto continuamente diverso, ritrovandosi sempre ad essere premiato dai suoi mugugni contenti e deliziati quando addentava qualcosa che rientrava tra i suoi gusti, facendogli cantare le papille gustative. Era anche l’unico tempo libero che Stiles aveva e Derek se ne appropriava senza neppure premurarsi di chiedergli il permesso, non che il ragazzo si tirasse indietro.

«Penso che una volta che mi sarò laureato, mi dedicherò a qualche specialistica. Probabilmente giustizia penale» dichiarò il diciannovenne sovrappensiero, mordendo probabilmente la patatina fritta più buona del mondo. Dio, Derek conosceva talmente bene i suoi gusti alimentari da essere quasi allarmante.

«Punti in alto, eh» Derek non ne era nemmeno troppo sorpreso, Stiles era talmente talentuoso e propenso a compiere più cose allo stesso tempo, che sarebbe stato quasi un peccato capitale limitarsi ad un seminato sobrio.

«Non voglio precludermi alcuna possibilità» il programma per accedere all’FBI era molto duro e chiaro, Stiles conosceva ogni passaggio. «Ma prima dovrò tornare a Quantico e successivamente trovarmi un posto nella polizia locale o statale» c’era talmente tanto da fare che poteva quasi esserne sopraffatto, probabilmente perché aveva la mania di correre.

«Non avere fretta, Stiles» lo rabbonì Derek, fin troppo consapevole dei pensieri assordanti che si stavano accumulando in quel preciso momento.

Stiles sospirò esausto e si passò una mano tra i capelli indomabili, contraendo le spalle. «Mi sento soltanto in ritardo sulla tabella di marcia».

«Un paio di mesi non fanno un ritardo» Derek sapeva che Stiles aveva preferito ritardare la sua frequentazione all’università per dedicarsi al corso preparatorio, un corso che era offerto a pochi. Era una notifica in più che sarebbe risaltato sul suo curriculum perfetto, che aveva ben intenzione di riempire. «Rilassati».

Stiles gli dedicò un sorrisetto saputo e leggermente divertito, probabilmente investito di stupore. «Lo sai con chi stai parlando?».

«Ahimè» con la persona più iperattiva e sconclusionata che conoscesse.

Stiles rise, davvero, di cuore. Poteva confessare di trovare Derek divertente? Probabilmente era un aggettivo che nessuno gli avrebbe mai attribuito e nemmeno il lupo l’avrebbe accettato, ma Stiles non riusciva a non vederlo sotto quella luce, a ridere con lui, ad alleggerirsi un po’ l’animo pessimistico. Era un divertimento cupo e sottile, ma lo adorava. E adorava trascorrere il suo tempo con lui, si sentiva bene. Ma forse non era il più affidabile dei testimoni, eppure poteva dichiarare di essere la persona che lo conosceva e comprendeva meglio. «E tu, come passi il tuo tempo?» di certo non entrando nell’appartamento che gli apparteneva ed affrontando i fantasmi che vi erano dentro, continuando a preferire strapagare una camera d’albergo che non gli serviva.

«Mi guardo un po’ in giro» riferì la creatura della notte, bevendo il suo caffè annacquato mediamente nero e ristretto. Stiles non sapeva cosa avrebbe mai dovuto significare quell’espressione. «Sono passato per le vie delle case degli studenti del mio vecchio college».

«Che?» aveva sentito bene? «College? Tu?».

Il lupo lo fissò con giudizio severo, perdurando nell’istantaneità del momento con la tazza di ceramica in mano. «Sì».

Okay, forse non avrebbe dovuto apparire così sorpreso, era molto poco lusinghiero e magari poteva evitare di strozzarsi con l’acqua. «Hai appena distrutto la mia idea di lupo delle caverne» che era una mezza bugia, Derek era incredibilmente colto e preparato, era un pozzo di conoscenza da cui attingere e Stiles si era deliziato fin troppe volte di ascoltarlo dispensarla.

«Veramente costernato» Derek lo prese spietatamente in giro e Stiles lo amò un pochino di più.

«Quale college hai frequentato?» era affamato di sapere, pensava di conoscere ogni curiosità su Derek, ma in realtà non era per nulla vero. Il nato lupo era un libro da migliaia di pagine ancora da scoprire.

Le dita del licantropo ticchettarono sulla porcellana della tazza, il nuovo sorso che prese dalla bevanda che lentamente si raffreddava e l’evidenza di quanto stesse rimandando l’esternare della risposta. «Columbia».

Stiles non riuscì proprio a processare l’informazione che gli veniva consegnata, il suo cervello andò quasi in tilt; gli sembrava così impossibile da credere che si stesse burlando di lui senza una reale ragione. «Columbia?» gli fece eco, scandendo sillaba per sillaba e chiedendo allo stesso tempo se fosse la stessa università che aveva nella mente. «Ma è ad un’ora di auto da qui, con i mezzi pubblici è persino il doppio» non che pensasse che Derek avesse mai usato un mezzo pubblico in vita sua, probabilmente non l’aveva nemmeno mai adocchiato da lontano, ma gli forniva chiaramente quanto la distanza fosse enorme dal luogo in cui si trovano in quel momento, quanto disaggio creasse raggiungere un punto dall’altro.

«Sì» Derek si limitò a confermare senza che fosse minimamente turbato o comprendesse lo sbalordimento dell’umano.

Se fosse stato vero, non avrebbe esitato nel fornirgli quel nome, era più credibile che se ne vantasse. «Allora… perché l’appartamento si trova qui?» non vedeva la logica in quella scelta, ancora meno comprendeva le azioni del mannaro in quei giorni. Dopo il viaggio faticoso e lungo che l’aveva visto quel giorno, andando a curiosare nel perimetro del suo vecchio college, perché era tornato perfettamente in orario soltanto per non mancare al loro appuntamento concordato silenziosamente dalla loro scoperta quotidianità?

La tazza per metà piena di caffè fu poggiata sul tavolo a cui sedevano, lo sguardo che si faceva improvvisamente lontano e Stiles si ritrovò a pentirsi enormemente della domanda. «La vita di Laura era già iniziata qui, prima che tornasse per prendermi con lei» i fantasmi sgusciarono silenziosi sulle iridi boscose, quasi di passaggio, un bussare leggero in un avviso di cortesia, per poi svanire, ma Stiles sapeva che nulla andava via. «Anche lei frequentava la SUNY, amministrazione aziendale, nel tuo stesso campus» il figlio dello sceriffo impallidì per la notizia e Derek non poteva proprio negarsi tale reazione; aveva sentito un vuoto e una risata derisoria in fondo alle orecchie quando Stiles gli aveva comunicato i suoi propositi futuri nella penombra del loft di Beacon Hills. L’universo aveva uno spietato senso dell’umorismo. «Ci serviva una casa, io avevo soltanto quindici anni e nessuna idea del futuro, ha scelto in base alle esigenze che avevamo in quel momento» con gli occhi rivolti al passato, sapeva fosse stata la sua eroina. «In seguito aveva anche trovato lavoro a venti minuti dall’appartamento, per lei si era rivelato essere una scelta azzeccata ed a me non è mai pesato la distanza che dovevo percorrere».

Stiles sentiva della devozione nell’aria e la stretta al petto che andava a stringersi si accentuava per quel piccolissimo antro di paradiso che Derek in qualche modo aveva trovato, ma che gli era stato nuovamente sottratto. «E in cosa…» ah, com’era diventato difficile mettere in fila le parole, eppure sapeva di dover direzionare la conversazione su qualcosa di diverso. «In cosa ti sei laureato?».

«Non l’ho fatto» la risposta di Derek fu lapidaria.

«Perché no?» Stiles aveva seriamente paura di chiedere, di addentrarsi in un territorio che si stava rivelando eccessivamente tortuoso. Ma c’era qualcosa che non lo fosse con Derek Hale?

«Avevo appena iniziato il terzo anno quando Laura scomparve» nel momento in cui aveva smesso di ricevere aggiornamenti regolari da parte di sua sorella, cominciando a tartassarla di chiamate senza risposta, Derek aveva lasciato tutto e l’aveva raggiunta alla meta da lei indicata, Beacon Hills – la città da cui erano scappati e gli aveva tolto ogni affetto familiare –, ma tutto ciò che l’aveva atteso, a discapito del ricongiungimento sperato incolume, fu il suo cadavere dilaniato in due. Tradita e uccisa dal loro stesso zio per sottrarle il potere di Alpha. «Non ci ho più pensato, non era importante» non ne aveva avuto il tempo né la voglia.

Perché? Perché Derek si trovava lì? In una città che conservava forse ancora più dolore e rammarico di quella che aveva abbandonato negli anni precedenti? New York aveva rappresentato una possibile rinascita; ricominciare, lasciarsi la tragedia alle spalle per ricostruire qualcosa di nuovo, di stabile, qualcosa che valesse e giustificasse tutta quella distruzione, ma era stato ripagato con maggiore accanimento, crudeltà e annientamento. Derek aveva perso tutto, di nuovo. Aveva perso ciò che aveva provato a ricostituire nella Grande Mela e poi nuovamente a Beacon Hills: il branco, lo stato di Alpha guadagnato appartenuto a Laura, una sorella minore ritrovata, ma che aveva preferito tornare indietro, ed era stato spogliato perfino della sua stessa natura soprannaturale. Che cosa aveva ottenuto in cambio? Divenire uno splendido lupo completo era la giusta moneta di scambio? E cos’era rimasto? A Derek non era rimasto niente, se non fantasmi e rimpianti.

Stiles si sentiva così male, stava morendo dentro, gli scoppiava il petto dallo strazio e non riusciva a respirare, sentiva un attacco di panico dietro l’angolo e non poteva permetterselo, perché non era giusto, non aveva il diritto di soffrire per e con lui. «Quale facoltà avevi scelto?».

Derek non distolse mai l’attenzione dal figlio dello sceriffo, era quasi certo che potesse sentire e captare tutto lo scompenso che gli viveva dentro, poteva ascoltarlo dirgli attraverso quelle perle di giada eloquenti non star male per me, caccialo fuori, ma Stiles non ne era in grado, non credeva neppure di volerlo. «Letteratura».

Uno sbuffo di risa gli sfuggì dalle labbra serrate ed era davvero tutto troppo inopportuno, farsesco per credere che potesse essere reale, ma lo era e si chiese a chi avrebbe dovuto vendere l’anima per avere quell’uomo meraviglioso per sempre nella propria vita. Ma la sua anima era già stata venduta, rubata e strappata via senza il suo consenso, da uno spirito oscuro millenario, un Nogitsune, che l’aveva condannato nell’eternità dell’esistenza.

«Lo trovi divertente?» domandò il mannaro con scetticismo e leggermente adirato, aggrottando le folte sopracciglia.

«È proprio da te» Stiles ne era talmente deliziato che sarebbe imploso. «L’uomo che non parla, ma che ama le parole».

Derek soffiò insofferente, considerandolo una causa persa, nascondendosi dietro la sua bevanda fumante e Stiles gli sorrise ammaliante.

Derek non riuscì a rinunciare ai loro sprazzi ritagliati di tempo nemmeno nei giorni a seguire.

 

La Wolfgang Childhood fece squillare il cellulare personale di Derek un mese dopo, accettò la chiamata senza neanche guardarsi intorno. «Vogliono che presentiamo delle lettere di referenza».

«Che cosa?» chiese furioso Stiles saltando giù dal divano a penisola, talmente carico di elettricità da rappresentare un pericolo.

«È la procedura» a volte Derek aveva bisogno di fargli presente fatti che conosceva meglio di lui, ma che l’escandescenza cancellava.

«Non mi interessa se è la procedura» che cosa dovevano dimostrare ancora? Volevano davvero dei testimoni che affermassero quanto lui ed il mannaro fossero una coppia stabile e solida?

«Stiles» la creatura della notte dovette intercettarlo, afferrarlo e bloccarlo per le spalle. «È una cosa buona, è il secondo atto, vuol dire che stanno seriamente valutando la nostra domanda».

Stiles mal ingoiò l’affronto immotivato che stavo provando dentro, ma il tocco di Derek aveva sempre la capacità di sgonfiarlo, di calmarlo e farlo ragionare. «Ne sei sicuro, Der? Non mi fido di quella donna».

«Non devi fidarti, dobbiamo solo fare del nostro meglio per dimostrare di essere degni tutori» una mano si incastrò tra i capelli castani dell’umano e gli alzò il viso per permettergli di fissarlo accuratamente. «Gli forniremo tutta la documentazione che ci richiederanno».

Stiles soffiò uno sbuffo d’aria tra le labbra di Derek e il mutaforma lambì appena le sue. «Sei tu l’uomo pragmatico».

«Sì» Derek gli baciò la bocca di riflesso, come premio del totale affidamento che riponeva in lui. «Proprio per questo le avevo già fatte preparare».

Stiles stentò a credere alle proprie stesse orecchie e lo guardò con occhi sgranati, completamente scioccato. «Davvero, da chi?».

«Da tuo padre, Scott, Malia, Liam e anche Cora» il lupo completo elencò per bene, scadendo nomi che per loro erano fin troppo familiari.

Stiles non poteva fare a meno di notare quanto Derek fosse stato attento e scrupoloso, delle persone che più gli stavano al cuore e di quanta cura si fosse occupato di tutti loro, con un occhio di riguardo per i membri del branco che fin dall’inizio avevano manifestato problemi nel gestire la loro natura mannara, ma di cui Stiles si era fatto carico, aiutandoli e riuscendo nell’impresa. Chi meglio di Malia e Liam potevano raccontare senza riserve e con certezza quanto l’umano fosse adatto a prendersi cura di cuccioli di lupo, incapaci di controllare la loro parte animale e soprannaturale. «L’ho chiesta anche al tuo supervisore».

Dopo dieci anni di relazione riusciva ancora a sorprendersi di quanto Derek fosse tre passi avanti a lui quando si parlava di documentazione e ragionasse con lucidità al contrario suo che invece veniva divorato dall’ansia? «Sei proprio un uomo da sposare, Derek» in più c’era qualcuno all’interno del suo ufficio che non fosse al corrente della decisione sua e di Derek di adottare un marmocchio? La loro vita di coppia era sempre stata di dominio pubblico.

«Non sei riuscito a resistere» Derek aveva il sospetto che quella battuta fosse sulla punta della lingua da quando avevano convogliato a nozze, ormai aveva perso ogni speranza di buon senso da parte del suo tsunami personale. La volpe più furba e leziosa su cui avesse posato gli occhi.

Stiles gli avvolse il viso tra le mani e lo baciò esattamente lì, in mezzo al soggiorno enorme ripieno dei loro oggetti personali e pronto per essere ribaltato completamente dai futuri piccoli componenti della famiglia Hale-Stilinski. «Ti amo dalla profondità del mio cuore».

Derek ricambiò la morsa con la stessa medesima intensità, stringendolo maggiormente contro di sé e propenso a non mollarlo. «Ti amo nell’identico modo».

 

«Cos’è questa?» domandò la creatura della notte quando Stiles gli porse una busta aperta con cura una volta che fece ritorno in casa. Il francobollo affiancato riportava Parigi, su cui vi era raffigurata a tratteggi colorati la riconoscibile ed indistinguibile Torre Eiffel.

«La lettera di referenza che ho chiesto di scrivere ad Isaac» Stiles era stato un po’ sulle spine per tutta la giornata, quando l’aveva ritirata dalla buca delle lettere quella stessa mattina, divorando parola per parola seduto alla scrivania del suo ufficio.

Le pupille nere del lupo si rimpicciolirono, stuzzicate da qualcosa che l’umano non poteva cogliere, e lo guardò senza che capisse con chi stesse parlando. «Perché?».

«Principalmente hai pensato di raccogliere lettere dalla mia parte, raccontano anche di te, ma non mi sembrava abbastanza» chi aveva Derek interamente dalla sua parte? Soltanto Cora, forse e Stiles non lo trovava sufficiente. «Sei stato il suo tutore, mi è sembrata la persona più giusta».

Derek rigirò la busta senza crederla reale, le dita che sembravano non toccarla seriamente, stringendo aria. «Non ho fatto un buon lavoro» anzi, era stato terribile.

«Questo non è vero» dissentì il figlio dello sceriffo con enfasi, battendosi a mani nude per una verità che Derek si ostinava a non voler vedere. «L’hai accolto quando non aveva un posto in cui tornare, l’hai protetto nel modo in cui ti era stato permesso, cercando di trovare la soluzione più appropriata, e sei stato la prima persona a credere in lui, ti pare poco?».

Derek non era persuaso e Stiles se l’aspettava. «È una bella lettera, Der, non ti chiederei di allegarla alle altre se non lo fosse».

Le perle boscose si legarono a quelle di miele, cercando di mettere a fuoco seriamente chi avesse di fronte, la sua vera natura. «Hai chiesto un favore ad Isaac, qualcuno che mal digerisci» era davvero qualcosa di mastodontico, qualcosa di incalcolabile.

I tratti del viso di Stiles mutarono e gli regalò uno dei suoi marchi di fabbrica: un sogghigno impudico. «Sempre pronto a sacrificarmi per le cause giuste».

L’abbraccio con cui Derek lo stritolo fu del tutto inaspettato.

 

Derek allegò davvero la lettera di Isaac alle altre, insieme a tutta la documentazione nuova richiesta e due mesi dopo la Wolfgang Childhood li richiamò per fissare un appuntamento. Stiles era un fascio di nervi e in un’ansia perpetua.

«Tra i moduli di preferenza avete scartato la fascia d’età compresa dai 12 ai 17 anni» riassunse la Wilkinson dopo che gli ebbe illustrato passo per passo i fascicoli che avevano presentato, affrontando punto per punto e spiegando le varie procedure, tenendosi vicino le numerose lettere di referenza che lui e Derek avevano presentato.

«Ehm, sì» era una cosa brutta? Stiles non voleva escludere nessuno, non aveva nessuna preferenza. Lui e Derek erano stati bene attenti a compilare il più correttamente possibile i moduli, a sottolineare che non cercavano niente di speciale, che erano aperti ad ogni possibilità, senza alcun limite. Che avrebbero accettato tutto quello che gli avrebbero offerto, salvabile. «Diciamo che siamo un po’ esausti di avere adolescenti intorno, vorremmo una pausa per qualche anno» sia Stiles che il mannaro si erano occupati per anni di adolescenti, adolescenti di tutti i tipi, pieni di rabbia e privi di controllo, fagocitati da vendette e prese di potere, ribellione. Dio, Stiles stesso era un adolescente a quel tempo e doveva trovare ogni rimedio da insegnare a quei dannati lupi, coyote e chimere novelle su come gestire, controllare e padroneggiare la loro natura soprannaturale; lui che era solo un semplice e comune essere umano che si era affacciato per puro caso a quel mondo celato. «Magari con il secondo procederemo in modo diverso».

«Non vi sto giudicando» proferì la direttrice, percependo il disagio di entrambi. «Secondo, dice? L’avete già messo in programma?».

Stiles non capiva se volesse infierire su una certezza, che non avevano, di riuscire ad adottare un primo bambino, pensando di avere vita più facile in una seconda occasione, o se in realtà era mera curiosità professionale. In realtà non erano così comuni le doppie adozioni. «Ci piacerebbe, una volta che avremo ingranato».

«A tempo debito» si aggiunse in salvataggio Derek a concordare, prima che Stiles compiesse una delle sue avventatezze, poggiandogli una mano sulla spalla a calmarlo e rallentarlo. «Un passo alla volta».

Stiles gli sorrise incoraggiato e leggermente inebetito, mentre la creatura leggendaria gli rispondeva tacitamente con una stretta sul punto in cui aveva depositato le dita e un lieve cenno della testa, gesti che alla loro interlocutrice non sfuggirono.

«Se volete seguirmi, ho qualcuno a cui vi piacerebbe presentarvi» comunicò la donna con una complicità un po’ nascosta che Stiles proprio non si aspettava, precedendoli nell’aprire la porta e indicandogli il corridoio in cui voleva condurli.

Stiles e Derek esitarono per un momento, con l’umano che cercava nel lupo completo un sostegno e la conferma nell’aver interpretato in modo corretto il significato non tanto nascosto in quell’offerta forte.

La seguirono con un singolo cenno del capo, mentre il figlio dello sceriffo stringeva la mano di Derek da cui emergeva la fede, procedendo di un passo avanti emozionato ed intimorito.

La Wilkinson li accompagnò davanti un’enorme camera che entrambi identificarono come la stanza dei giochi, il cui interno era occupato da numerose testoline di tutte le età e dimensioni intenti a dilettarsi tra loro, creando piccoli gruppi coesi, con pochi soggetti completamente isolati. Il cuore di Stiles si contrasse pericolosamente e la stretta sulle dita di suo marito si fece più ferrea.

«Lei è Corine, provate a pallarle con semplicità, come se foste dei comuni volontari pronti a socializzare con tutti loro» la direttrice accennò con descrizione nella direzione di un minuscolo gruppetto di tre esserini di differente età, due bambine intente ad interagire tra loro e un maschietto che si limitata a vigilare, come un corvo ‒ o un lupo Alpha, avrebbe corretto Stiles. «È la più piccola».

Stiles non vedette più nulla e l’intera attenzione fu catturata dal frugoletto tutto in tinta di verde, da cui emergevano i capelli di un biondo dorato, sorridente e splendente verso la figura sedutale di fianco. La presa su Derek si allentò, fino a sciogliersi.

«Ehy, ciao» fu tutto quello che l’umano riuscì a farfugliare una volta giunto a lei, con un groppo in gola e la voce che manifestava il turbine di emozioni che gli vorticavano nell’organismo.

La bambina lo adocchiò per la prima volta, posando i suoi occhioni dell’azzurro più maestoso che avesse visto, contraendo appena il nasino alla francese cosparso di leggere lentiggini, come se tentasse di richiamare alla memoria un viso che non riconosceva ‒ a Derek, testimone silenzioso, quella smorfia ricordava sicuramente qualcuno. «Ciao».

Quanti anni avrebbe mai potuto avere, quattro? «Io sono Stiles, tu come ti chiami?».

«Stils, che nome buffo» ripeté in una eco infantile e legittimamente divertita, inciampando sulle vocali e sbagliando pronuncia. «Corine» si presentò lei, mostrando il suo sorriso dolce e la mancanza di un canino.

«Che nome ridicolo» dichiarò una voce infastidita, fanciullesca e del tutto sconosciuta alle orecchie di Stiles, accompagnata da uno sbuffo derisorio.

Le iridi di ambrosia si inoltrarono nella direzione da cui captò la nuova intrusione e si affacciarono su degli occhi azzurri ostili, brutali e freddi, taglienti come pochi ne avesse visto. Ma Stiles li conosceva bene, tredici anni prima vi si era imbattuto in simili, deturpati dal dolore e dalla sofferenza, l’immensa solitudine che non potevano scacciare e che li gremiva; con il trascorrere del tempo e delle avversità erano perfino peggiorati. Stiles aveva tentato di salvarli come poteva, al meglio delle sue capacità.

«Erick» lo sgridò l’altra bambina, intimandogli di tacere e lui sbuffò infastidito, ignorandoli l’istante dopo, tornando al suo oggetto di interesse.

Stiles la mise a fuoco per la prima volta, venendo catturato dai lunghi capelli biondissimi, distribuiti in dolci boccoli e l’aria riservata, le stesse identiche iridi azzurre degli altri due componenti del gruppo, le lentiggini sparse sulle parti superiori delle gote come se fossero state abilmente disegnate; anche Erick le aveva, ma molto più discrete. Fu attraversato da un sospetto e qualcos’altro lo turbò.

«Io sono Derek» si intromise il lupo completo, richiamando tutta l’attenzione su di sé, poggiando entrambe le mani sulle spalle tese e turbate di Stiles, avendo percepito perfettamente il mutamento del suo stato d’animo al suono delle ultime lettere pronunciate dalla voce femminile, un suono che rispondeva ad un rimbombo spaventosamente simile del passato. Aveva effetto anche su di sé.

Stiles lo adocchiò appena, con tutta la gratitudine del mondo per quel salvataggio tempestivo e l’ossigeno tornò a circolare più fluidamente dentro di lui. «E tu, lupacchiotta, chi sei?».

La ricciolina l’osservò sorpresa per un attimo, la leggera timidezza dei suoi ipotetici sette anni che le imporporava le guance chiare, facendo risaltare le piccole macchioline colorate, l’impercettibile sorrisetto sul viso lusingata da quel nomignolo estremamente dolce. «Laura».

La presa di Derek si serrò su l’umano, gli faceva quasi male per quanto le sue dita stessero scavando dentro la pelle e le ossa, ma Stiles non si sarebbe lamentato, non glielo avrebbe fatto notare e sarebbe rimasto in silenzio a subire il suo sconvolgimento. Uno che li stava colpendo in egual modo, seppur con entità diverse. Uno schiaffo perfido della realtà, i fantasmi che apparivano tornare a bersagliarli. «Piacere di conoscervi» faceva profondamente male cercare di andare avanti con il sorriso sul volto, senza mostrare quanto fossero colpiti e sopraffatti, ma lo doveva a Derek ed alla bambina che forse sarebbero riusciti ad adottare dopo anni di organizzazione e piani. «Siete molto amiche?».

Corine lo guardò contrariata, studiandolo un po’, quasi lo trovasse evidentemente ottuso. «Siamo sorelle» lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo, un legame che potevano vedere a occhio nudo, insieme alla grande complicità che vi era tra loro. «E Erick è il fratello grande grande».

Stiles quasi saltò in aria sulla sediolina per le fattezze di un bambino su cui si era accomodato per istaurare un dialogo di conoscenza primaria, cercando immediatamente con sguardo allarmato ed interrogativo la figura del consorte che provava la medesima costernazione. «Siete tutti e tre fratelli?» ottenere delle conferme era un suo diritto, ma non era sicuro di voler conoscerne il responso.

«Siete qui per adottare mia sorella?» domandò a bruciapelo l’unico maschietto del gruppo, l’oscurità che li attraversava da parte a parte. «Non ci riuscirete, non ci separerete».

«Che significa?» Derek dovette chiederlo alla direttrice, esigere delle spiegazioni, perché era sicuro che non stesse parlando con lui.

«Mi dispiace signori Hale» Stiles in un altro momento l’avrebbe corretta, entrambi avevano mantenuto il loro rispettivo cognome al momento del matrimonio, ma non sembrava più avere importanza davanti alla sua desolazione e scuse. «Erick è ostile, non lasciatevi intimidire, non ha nessun potere decisionale» sottolineo con i tratti severi, investiti di un profondo e ripetuto rimprovero verso il bambino.

Come poteva averlo? A occhio e croce dimostrava avere meno di dieci anni, completamente nessun controllo su un membro che gli sarebbe stato strappato via se la pratica fosse andata avanti. Forse nessuna possibilità di rincontrarlo in futuro. Divisi, spezzati per sempre.

Quasi mai i fratelli venivano adottati dalla stessa famiglia, in rarissime occasioni il medesimo nucleo familiare ritornava l’anno successivo per procedere con una seconda pratica, ma tre? Tre fratelli non sarebbero mai più stati riuniti sotto lo stesso tetto, forse nemmeno sotto lo stesso cielo, separati da interi stati. Non avevano già sofferto abbastanza nella loro brevissima vita? «Prendiamoli noi».

«Che cosa?» Derek lo guardò senza che riuscisse ad interpretare il suo linguaggio mentre Stiles si alzava dalla sediolina e si animava nella sua direzione, quasi gli fosse diventato ostico, una lingua straniera del tutto sconosciuta. Eppure i suoi occhi verdi si accesero di consapevolezza e terrore, inviandogli una scintilla di avvertimento.

«Adottiamoli noi, tutti e tre» quando l’ultima sillaba lasciò le sue labbra lo sguardo severo e deluso di Derek lo inchiodò, insieme a quello giudicante e di disapprovazione della Wilkinson, accompagnati da una triade di sorpresi e disorientati, investiti da un pallido ed insospettato riflesso di speranza e si rese conto dell’enorme errore di cui si era macchiato, impossibilitato a ritornare sui propri passi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sarò sincera, pensavo che la mia vena artistica targata sterek avesse terminato di creare storie a loro delicate, o quantomeno ad avere la voglia di metterle per iscritto, ma a quanto pare mi sbagliavo. Sono anni che ho questa storia nella testa, ma non l’ho mai concretizzata, finché un giorno ha preteso di essere realizzata.

È pronta da diversi mesi, ma ritardavo nel revisionarla, mi sono presa le mie pause e mi pare ironico che sia riuscita a trovare il tempo di pubblicarla proprio dopo che l’annuncio di un certo film è stato dato, un film di cui ignorerò l’esistenza.

Purtroppo questa storia ha avuto solo i miei occhi e non è stata betata da nessuno, eccetto me, quindi mi scuso se troverete dei refusi o errori sparsi, ma quando si conosce una storia a memoria, difficilmente si notano.

Spero che questi Stiles e Derek adulti e maturati insieme possano tenervi compagnia, insieme alle sorprese che avranno per noi.

A settimana prossima,

Antys

   
 
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