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Autore: _Trafalina970_    05/10/2021    1 recensioni
Era finito tutto così in fretta che si era trovato a vivere una vita completamente stravolta, e non se ne era reso nemmeno conto. Non una reazione, non un dramma, aveva semplicemente preso atto della cosa, aveva continuato ad esistere nello spazio e nel tempo lasciandosi trascinare dal flusso degli eventi, in una vita quasi in stand-by, nel costante stato di negazione della realtà, troppo orgoglioso per strisciare indietro e chiedere scusa, troppo stordito per prendere in mano la situazione.
[La storia partecipa al contest "Skip!" indetto da Soul Mancini sul forum di EFP]
Genere: Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al contest “Skip!” indetto da Soul Mancini sul forum di EFP.

Fatti e personaggi presenti in questo racconto sono completamente inventati da me. Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale.

 

The bed’s too big without you

 

Bed's too big without you

Cold wind blows right thru' my open door

I can't sleep with your memory

Dreaming dreams of what used to be

 

Spalancò gli occhi per l’ennesima volta da che si era deciso ad andare a dormire, quando i pensieri erano diventati così insistenti e martellanti che la sola idea di rimanere sveglio ancora a lungo l’aveva spinto a cercare sollievo nel sonno.

Il calore dell’aria entrava dalla finestra aperta, appiccicandosi alla pelle e rendendo l’intera stanza soffocante.

A nulla servivano la porta della camera da letto spalancata e la finestra del bagno aperta ad invitare un’inesistente corrente d’aria a percorrere il piccolo corridoio della casa vuota.

Si rigirò sul fianco, cercando inutilmente una posizione abbastanza comoda da permettergli di scivolare nel mondo dei sogni il più rapidamente possibile.

Forse, se non penso a niente, riuscirò ad addormentarmi.

Ovviamente, come da manuale, i pensieri iniziarono a farsi sempre più insistenti.

L’aria pesante della notte lo avvolgeva, posandosi sulla pelle nuda del fianco come una coperta di lana.

Si girò sul fianco opposto, chiudendo ostinatamente gli occhi e cercando di rilassarsi, provando ad ignorare la sensazione di vuoto che iniziava a nascergli nel petto.

Era come se ogni singola emozione, sensazione, impulso proveniente dal suo corpo fosse migrato all’interno della sua testa, svuotando il resto del corpo riducendolo alla stregua di un guscio rotto, e gli si fossero tutti ammassati nel cervello, premendo contro le tempie per uscire fuori lasciandosi dietro niente di meno che i residui del suo cranio esploso.

La temperatura della stanza stava abbondantemente sopra i 30 gradi centigradi, eppure l’interno del suo petto era più gelido del mare artico, non si sarebbe stupito di trovarvi dentro acqua, iceberg e il Titanic che affondava con tutti i suoi sentimenti a carico.

 

When she left I was cold inside

That look on my face was just pride

No regrets no love no tears

Living on my own was the least of my fears

 

Era esattamente così che passava la sua vita, da un anno a quella parte. Da un giorno all’altro si era ritrovato d solo, ad affrontare quelle che sarebbero state 365 giornate tutte pateticamente identiche, vissute tutte con lo stesso patetico stato d’animo, con la stessa patetica routine, nel suo patetico corpo, tutto per colpa del suo cervello, patetico oltre ogni misura possibile.

Perché era ok compiere piccoli errori nell’arco della vita. E invece lui no. A lui ne era bastato uno di dimensioni epocali per mandare tutto a puttane, e forse quella patetica vita era ciò che si meritava per essere stato così stupido da credere che la sua cazzata fosse facilmente perdonabile.

Era finito tutto così in fretta che si era trovato a vivere una vita completamente stravolta, e non se ne era reso nemmeno conto. Non una reazione, non un dramma, aveva semplicemente preso atto della cosa, aveva continuato ad esistere nello spazio e nel tempo lasciandosi trascinare dal flusso degli eventi, in una vita quasi in stand-by, nel costante stato di negazione della realtà, troppo orgoglioso per strisciare indietro e chiedere scusa, troppo stordito per prendere in mano la situazione.

Si era semplicemente adattato a quella nuova sensazione di solitudine, aveva preso a tirare avanti in modo passivo, convincendo sé stesso che quella vita gli sarebbe andata benissimo lo stesso.

Si girò a pancia in su, gli occhi ormai inevitabilmente aperti e fissi sul soffitto bianco.

La luce della luna e dei lampioni sulla strada entrava dalla finestra spalancata, rischiarando la stanza e mettendo in mostra la piccola crepa nell’intonaco del soffitto, esattamente sopra alla sua testa.

Forse, se si fosse concentrato a sufficienza, l’intero soffitto gli sarebbe crollato addosso, mettendo fine alla sua esistenza (patetica).

Aggrottò le sopracciglia, accigliandosi. Chissà quando era comparsa quella piccola crepa. Forse era sempre stata là. Forse era un segnale da parte della casa, che gli suggeriva di dare una rimbiancata. Forse se la stava immaginano e basta. Forse stava impazzendo. O forse era già impazzito da tempo, e stava solo iniziando a rendersene conto.

 

Bed's too big without you

The bed's too big without you

The bed's too big

Without you

 

Sospirò, chiudendo di nuovo gli occhi. Mille immagini iniziarono ad affollarsi nel nero, creando scenari sempre più tragici nella sua mente già provata dal rimugino di quella notte eterna. Strizzò forte le palpebre fino a far comparire una cascata di puntini bianchi, cancellando tutte quelle immagini dolorose.

Allargò braccia e gambe, sperando di trovare un po’ di refrigerio in quella notte incandescente.

Il tallone sfiorò una porzione di materasso fresco (o meglio, sotto i 30 gradi), e prese atto della presenza dell’altra metà di letto vuoto, intatto, che aspettava solo lui.

Non aveva mai dormito in quella metà del letto, perché non era la sua metà di letto.

Non si era mai veramente reso conto di quanto fosse spazioso quel materasso, fino a quel momento. Ed era grande. Troppo grande. Grande e vuoto.

Rabbrividì, come la notte che si era ritrovato a fissare il cielo trapuntato di stelle sulla spiaggia, quella volta che avevano deciso di passare la notte là per vedere l’alba, e si era sentito così piccolo e risucchiato in quell’immenso spazio nero illuminato solo da tutte quelle minuscole lucine, che aveva trattenuto il fiato, finché una mano piccola e morbida non aveva stretto la sua, e allora era tornato a respirare.

Allungò una mano, fino a percepire con il palmo il lenzuolo liscio e inviolato dal suo corpo caldo e appiccicoso.

Forse, se si fosse spostato di qualche millimetro più in là, solo qualche millimetro, non sarebbe svanito nel vuoto di quelle lenzuola. E forse, forse, non sarebbe morto agonizzante soffocato dal suo stesso calore corporeo, anche se l’idea di sciogliersi seduto stante non gli pareva tanto male.

Rimase per un momento a contemplare il suo stesso corpo liquefarsi, la pelle sciogliersi, i muscoli diventare poltiglia e defluire sul pavimento insieme a tutti gli organi interni, lasciando tra le coperte niente di meno che il suo scheletro bianco candido.

‘Fanculo.

Con una spinta apatica, rotolò placidamente sull’altra metà del letto.

Un gemito di sollievo gli risalì dalla gola, perché nonostante il calore, era comunque passato dalla temperatura della superficie di Betelgeuse a quella di una tiepida giornata di sole nel Sahara.

Girò la testa e ispirò a fondo, chiudendo gli occhi.

 

Since that day when you'd gone

Just had too (sic) carry on

I get thru' day but late at night

Made love to my pillow but it didn't feel right

 

Per circa dieci secondi si convinse che poteva anche riuscire ad addormentarsi, poi, purtroppo, gli venne l’assurda idea di respirare. Come richiamato da un’epoca ormai svanita, il debolissimo sentore di un profumo che pensava di aver dimenticato gli invase le narici.

Non era sicuro che fosse reale, probabilmente il suo cervello stava cercando di rimettere insieme dei pezzi di una vita perduta attraverso quei bastardelli dei suoi ricordi.

Sentì qualcosa di pesante e freddo all’altezza dello stomaco e, insieme, l’improvviso e impellente bisogno di piangere.

Tutto questo perché, in uno slancio di intraprendenza, aveva deciso di rompere la routine con uno stupido e insulso gesto, ovvero slittare nell’altra metà di letto. Tutto questo perché non riusciva a impedire alla sua mente di darci un taglio.

Le lacrime iniziarono a scivolare lentamente lungo il profilo del suo naso, così, senza che lui avesse dato loro il permesso di uscire dai suoi occhi già disidratati dal caldo, e iniziarono ad inzuppare il cuscino premuto contro la sua guancia.

Non piangeva da tantissimo tempo.

Non ho pianto neanche quando se n'è andata.

Un singhiozzo spezzato risalì la sua gola, risuonando in quella stanza vuota, in quel letto troppo grande, ma improvvisamente opprimente.

Un errore. Ho commesso un errore. Uno solo.

Affondò il viso nel cuscino, perdendosi nel ricordo dolce amaro si quel profumo che era solo nella sua testa, respirando forte dal naso, mentre le lacrime continuavano a scendere imperterrite bagnando la federa ruvida.

Ogni giorno, ogni singolo giorno, si era alzato al mattino, aveva indossato una maschera di indifferenza e negazione, e, come in uno stupido gioco di ruolo, aveva interpretato la parte del ragazzo felice.

Non era più sicuro di poter continuare, e, mentre le lacrime rischiavano di soffocarlo, si rese conto di quanto fosse immensa la bugia che aveva scelto di raccontarsi ogni singolo fottutissimo giorno.

Un dolore sordo e lancinante iniziò a farsi strada nel suo petto, forse era lo stomaco che gli rinfacciava anni di amarezza e falsità, o forse era il suo cuore che si era finalmente spaccato come un'anguria lanciata da una finestra, spappolandosi al suolo in un insieme di buccia e polpa rossa, con il succo che colava via. Sperò che fosse la seconda.

 

Every day, just the same

Old rules for the same old game

All I gained was heartache

All I made was one mistake

 

Giacque immobile per quelli che gli parvero anni, il respiro affannato, le lacrime che scendevano piano, ma inesorabili, il cuscino che cercava di assorbire tutta quella disperazione improvvisa, il caldo che non riusciva a penetrare il gelo all'interno del petto.

Fu solo quando una tenue luce rosata illuminò le pareti che si rese conto di essere ancora vivo e padrone (più o meno) del suo corpo.

La stanza andò pian piano rischiarandosi, e le lenzuola bianche sembrarono tingersi di oro e rosa a quella luce timida, eppure irrefrenabile che iniziò a riversarsi nella stanza.

Anche illuminato dal sole, il letto era enorme.

Lasciò vagare lo sguardo per la stanza, gli occhi che ancora bruciavano per tutte le lacrime versate, non si era neanche accorto del momento in cui avevano smesso di scendere, lasciandolo in balia del vuoto che sentiva nel petto.

La crepa sul soffitto, illuminata dalla luce del mattino, assumeva una tonalità grigio chiaro in contrasto al bianco della vernice.

Man mano che i minuti passavano, la luce aumentava e cambiava lentamente colore: da grigio-rosa diventò giallo pallido, poi dorata, poi di un bel giallo brillante.

Fuori dalla finestra poteva vedere il cielo azzurro, senza neanche una nuvola.

Qualcosa iniziò ad agitarsi in fondo allo stomaco, una sorta di smania, l’impulso improvviso di alzarsi da quel letto e fare qualcosa, doveva agire, doveva sbrigarsi.

Ma per fare cosa?

Non lo sapeva, ma non era importante, sapeva solo che doveva, subito.

Con un gesto improvviso fece leva sul braccio, alzandosi a sedere e mettendo le gambe giù dal letto.

Chiuse gli occhi, cercando di ignorare l’alone nero che gli aveva offuscato la vista per il brusco cambio di posizione.

Con una mano iniziò a tastare il comodino a fianco al letto, alla ricerca del cellulare. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, sentì sotto le dita il freddo e liscio vetro dello schermo.

Controllò le notifiche mentre cercava di fare mente locale.

 

Now the bed's too big without you

The bed's too big without you

The bed's too big

Without you

 

Non si era neanche reso conto di aver solo guardato distrattamente i quindici messaggi nel gruppo relativo al regalo di compleanno di qualcuno, di aver messo mi piace a quattro foto random nella home di un qualche social e di essere poi passato a scorrere le chat vecchie di secoli, fino a fermarsi a quella specifica chat, il cui ultimo messaggio risaliva ormai a circa un anno prima.

Quelle semplicissime due parole che erano state in grado di fargli sentire il gelo fin dentro le ossa, unite alla consapevolezza che aveva irrimediabilmente mandato tutto a puttane. Quel “dobbiamo parlare” buttato là come una bomba, che poi era fragorosamente esplosa nelle sue mani.

Scorse brevemente i messaggi precedenti, così innocenti e spensierati. Come aveva potuto rovinare tutto così in fretta?

Lanciò il telefono sul letto, le lacrime che rischiavamo di ricominciare a scendere.

Si alzò in piedi, fece per uscire dalla stanza, ma sulla soglia si fermò, come trattenuto da una forza invisibile.

Si voltò indietro.

Il cellulare, un piccolo rettangolino nero in mezzo al bianco delle lenzuola, sembrava minuscolo. No, era il letto ad apparire enorme. Enorme e vuoto.

Tornò indietro con rabbia, afferrò il cellulare e riaprì quella chat maledetta.

Le dita digitarono una frase, poi la cancellarono, poi ne scrissero un’altra, e poi cancellarono anche quella.

Si morse l’interno della guancia, palesemente a disagio. Eppure, era qualcosa che doveva assolutamente fare, non sarebbe riuscito a vivere un giorno di più con quel peso addosso.

Poteva sentire il cuore battere a mille contro lo sterno come a voler uscire e prendergli il telefono dalle mani per lanciarlo fuori dalla finestra e impedirgli di fare ciò che stava facendo.

Alla fine, il pollice premette quella stupida freccetta dell’invio.

Una spunta.

Due spunte.

Non poteva sopportare oltre. Aprì il primo cassetto del comodino e ci lanciò il telefono il più velocemente possibile, ignorando i due anelli che giacevano abbandonati sul fondo, un rapido bagliore nel buio.

Rimase fermo al centro della stanza, il respiro che pian piano andava regolarizzandosi.

Ormai era andata, non poteva più tornare indietro.

Alzò gli occhi al soffitto, incontrando di nuovo quella crepa grigia.

Devo rimbiancare.

Finalmente, il petto un po’ più leggero, lasciò la stanza e quel letto decisamente troppo, troppo grande per una persona sola.

 

(Bed's too big without you

The bed's too big without you

The bed's too big without you

Without you

Without you)

 

******

Ciao a tutti!

Finalmente torno con un nuovo racconto, dopo mooolto tempo di silenzio stampa XD

Come ho già detto altre volte, non sempre mi trovo nel mood adeguato a scrivere, ed è ancora più difficile per me concludere un racconto una volta che l'ho iniziato, per cui, questo qua che avete appena letto rappresenta un po’ una piccola vittoria per me!

Vorrei ringraziare tantissimo Soul Mancini, che mi ha invogliata a partecipare al suo contest, dandomi uno spunto per rimettermi a scrivere (e anche per tutto il resto! XD).

La canzone su cui si basa il racconto è The bed's too big without you dei Police, è una canzone che non conoscevo, anche se il gruppo mi era già noto, ed è stato divertente provare a basarci una storia!

Spero che il racconto vi sia piaciuto, non è esattamente un trionfo di allegria, ma mi sono lasciata ispirare dalla canzone, e questo è quello che è venuto fuori.

Grazie a tutti quelli che hanno letto, alla prossima!

B.

   
 
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