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Autore: ChiiCat92    06/10/2021    5 recensioni
"[...] « Stai bene? » gli chiese Boruto. Aveva addirittura abbandonato il suo atteggiamento bellicoso per questo. Forse perché suo padre appariva pallido, forse perché in quell’ora di buio tutto sembrava più orribile di quanto non fosse in realtà.
« Sì, sto bene. » in parte era vero. Naruto si passò una mano sul volto. Tremava? « Ho solo dormito male stanotte. Ma non si parlava di me, giusto? » [...]"
Questa storia partecipa al Writober indetto da FanWriter, lista pumpNIGHT, prompt "Sogno"
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Himawari Uzumaki, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Shikamaru Nara | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Let Us Be

 

Quella mattina a svegliarlo fu un incubo. Non uno di quelli chiari, vividi, che rimangono impressi sulla retina. No, uno di quelli sarebbe stato facile da ignorare. Quando vedi un mostro in un incubo per quanto spaventoso rimane...irreale, un parto deforme di una mente inquieta. Avrebbe ringraziato per un incubo del genere. 

Invece, quello che lo svegliò quella mattina gli lasciò il cuore in panne, la schiena sudata e l’orribile, formicolante sensazione che qualcosa di tremendo era appena successo, o sarebbe successo.

Si volse su un fianco, dando la schiena alla moglie. La sua figura morbida sotto il lenzuolo gli sembrava intollerabile dopo l’incubo. Guardò l’ora sullo schermo del telefono e per poco non gli sfuggì un’imprecazione: troppo presto per alzarsi, troppo tardi per tornare a dormire.

Tornò a voltarsi sulla schiena, a contemplare l’oscurità intessuta dalle ombre sopra la sua testa. Il respiro della moglie, dolce, regolare, era un sibilo sottile, la prova della vita. 

Da qualche parte fuori abbaiò un cane, una macchina sfrecciò lungo la strada sollevando spruzzi d’acqua: forse durante la notte aveva piovuto. 

Incapace sia di rilassarsi sia di tornare a dormire, con il pensiero fisso sull’incubo informe che l’aveva svegliato, Naruto decise di alzarsi. Infilò le pantofole lentamente, neanche si aspettasse di sentirle scoppiare sotto i piedi come petardi, e scivolò completamente nel mondo dei vivi, degli insonni, dei padri di famiglia insoddisfatti.

Erano le 05:55 di un lunedì mattina e tutta la casa ci teneva a ricordarglielo. La cucina era silenziosa, salvo il ronzio del frigorifero; il bagno era buio; le porte delle camere dei suoi figli erano chiuse. Si soffermò a guardarle per un attimo.

Himawari era in quel periodo della vita in cui i genitori hanno ancora un certo ascendente su di lei. Se sedeva scomposta e veniva ripresa, chiedeva scusa, se masticava in modo rumoroso bastava una parola della madre per farla smettere, persino nel modo di vestire accettava ancora consigli. 

Boruto era tutta un’altra storia. 

L’adolescenza l’aveva reso indolente e ribelle, niente sembrava andargli bene, soprattutto se usciva dalla bocca del padre; era testardo, disubbidiente, pigro, sciatto, e tutta un’altra serie di epiteti poco lusinghieri che Naruto si ritrovava a rivolgergli un po’ troppo spesso. Per il piacere che provava a farlo impazzire, spesso era recidivo in comportamenti fastidiosi e pedanti.

Sulla porta della sua camera aveva attaccato un cartello giallo con ossa, teschio e l’immancabile scritta “KEEP OUT”. Inutili erano stati i tentativi di Hinata di farglielo togliere, e ancor di più lo erano stati quelli di Naruto. Così alla fine era rimasto, per ricordare a Naruto ogni giorno quanto suo figlio fosse incontrollabile. 

Sospirando, andò a preparare la caffettiera e a metterla sul fornello. 

Era ancora buio fuori, quel buio carico di promesse che precede l’alba.

Attese che l’aroma del caffè riempisse l’aria, seguito dal suono più bello del mondo (secondo solo alla risata della moglie e alle voci dei suoi figli ovviamente): il borbottio della caffettiera. 

L’incubo era ancora ai margini della sua coscienza, non allentava la prese né diminuiva l’inquietudine. 

Massaggiandosi il petto rifletté che forse doveva vedere un medico, anche se ammetterlo voleva dire accettare l’idea di stare invecchiando, e di avere paura di ogni strano ticchettio del suo cuore.

Forse avrebbe dovuto diminuire la quantità di caffè, anche se era piuttosto ipocrita da parte sua, dal momento che stava per berne uno, lungo. 

Però effettivamente avrebbe dormito meglio, e il cuore avrebbe smesso di dargli pensiero.

Bevve il primo sorso e si ripropose di scendere a quattro caffè al giorno, invece di cinque: tutto sommato era un compromesso accettabile. Soprattutto se così avrebbe evitato gli incubi. 

Seduto a capotavola, solo con il suo caffè, pensò distrattamente che quello che era il primo momento da almeno una settimana in cui poteva godere del piacere del silenzio. Senza le frecciatine di Boruto, la vocetta stridula di Himawari e le continue occhiate selvagge di Hinata. Anche se tecnicamente quelle non producevano un suono.

Non uno che i ragazzi potessero sentire quantomeno. 

Nel buio rimasto dalla notte, ebbe il coraggio di dire a se stesso di essere infelice, poté essere egoista, poté sentire il peso di quella casa, quelle responsabilità, poté sentire il tempo sfuggirgli rapido tra le dita. 

Alla luce del giorno non avrebbe potuto fare quei pensieri, non davanti agli occhi blu di Himawari, morbosamente innamorati del suo papà. 

Infelice. 

L’ultimo sorso di caffè sembrò più amaro sulla lingua e si ritrovò a fissare il fondo della tazzina come cercando qualcosa che potesse giustificare il sapore. 

Pian piano il cielo si schiarì, passando dal blu scuro al viola e poi al rosa, Naruto però tenne gli occhi sulla tazza che aveva tra le mani, resistendo all’impulso di lanciarla contro il muro.

Avrebbe prodotto uno schianto che a quell’ora del mattino sarebbe risuonato come un colpo di cannone per tutta casa, probabilmente Hinata si sarebbe svegliata di soprassalto, forse anche Himawari, ma solo la moglie si sarebbe alzata per andare a controllare cosa fosse successo. Riuscì persino a immaginare la sua espressione mentre il disappunto prendeva il posto della preoccupazione. 

Pensò a cosa avrebbe potuto dirle. 

“Voglio il divorzio.” ad esempio, si intonava bene al sapore che aveva sulla lingua. Oppure “Sono stanco.” anche quello non era male. 

Strinse più forte la tazza, sentì montare la rabbia, avvertì i muscoli della schiena contrarsi e la conseguente ondata di adrenalina. 

L’avrebbe mandata in frantumi, quella stupida tazza, e così avrebbe fatto con il suo matrimonio, la sua famiglia, e tutta la sua vita.

Poi dei passi strascicati lo congelarono sul posto. Lo stomaco si serrò in una morsa e la bocca divenne asciutta come sabbia. 

Boruto entrò in cucina stropicciandosi gli occhi, curvo dentro il pigiama troppo grande. Sbadigliò come se fosse sul punto di slogarsi la mascella, e solo quando ebbe aperto il frigo e bevuto un sorso di latte direttamente dal cartone si rese conto di non essere solo. 

In un attimo, nel suo intorpidito cervello di quattordicenne, passarono diversi pensieri. Il primo riguardava la presenza del padre, il secondo il continuo, stressante, rimprovero di sua madre riguardo il bere dal cartone del latte.  

Naruto non poté fare a meno di pensare, invece, a quanto Boruto gli somigliasse. Non era solo una questione di assonanza di nomi, era il modo in cui stava in piedi, in cui respirava, il modo in cui i capelli biondi disobbedissero alla spazzola, il modo in cui esisteva che gli ricordava se stesso alla sua età. Per questo, forse, provava tanta frustrazione nei suoi confronti. 

Voleva forse punire se stesso per i suoi comportamenti passati? 

Patetico. 

« Papà. » disse quindi, rauco, il ragazzino. C’era ancora un pizzico di rispetto dell’autorità in lui, quando era del giusto umore, o quando veniva colto con le mani nel sacco come adesso. Agitato, spostò il peso del corpo da un piede all’altro, il cartone del latte che ballava tra le sue dita proprio come la tazza tra le mani di Naruto. « Come mai sei sveglio? »

Naruto valutò le sue opzioni. Avrebbe potuto fare il padre infastidito (che sapeva di essere) e rimproverarlo, o dirgli la verità e sembrare un rammollito. O non rispondere affatto ed evitare di ferire lui o se stesso. 

Si strinse quindi nelle spalle, scuotendo la testa, lasciando che fosse il figlio ad interpretare quel gesto.

Vedendo di non essere stato sgridato per il latte, cautamente Boruto ripose il cartone in frigo. 

Forse fu il silenzio, o l’intimità del giorno nascente, ma Boruto indugiò. Avrebbe già dovuto dire a suo padre che tornava a letto, per defilarsi il più presto possibile dalla cucina, eppure...era ancora lì, piantato con i piedi scalzi sul pavimento gelido (un’altra cosa per cui sua madre lo sgridava spesso, e di cui si rendeva conto solo adesso). 

Lasciò gli occhi azzurri vagare lungo i mobili della cucina, lontani dai piedi (nel caso suo padre fosse in vena di sgridarlo al posto della madre), lontani dalle proprie mani (continuava a tormentarsele), lontani dal volto del padre (troppo segnato dalla stanchezza e troppo simile al proprio). 

« Non riesco più a dormire. » disse, sottovoce, con un tono di voce il più neutrale possibile per non sembrare irrispettoso e per, sinceramente, lanciare una fune al padre, in modo che potesse prenderla e costruire insieme un ponte di comunicazione. 

« Siediti. » bofonchiò, goffo, Naruto, indicandogli malamente la sedia accanto a lui.

Quando avevano scoperto che avrebbero avuto un maschio, che sarebbe stato il suo primo figlio, Naruto aveva provato sia gioia sia terrore. Ad un certo punto durante i primi anni del bambino la gioia era stata predominante, forse perché un infante che non ti risponde male e non prende decisioni contro la tua volontà è più facile da gestire di un adolescente. Adesso tutto quello che sentiva era prevalentemente panico, spruzzato dalla consapevolezza di non saper fare il padre. Forse perché ne aveva mai avuto uno.

« Cos’è che ti preoccupa? » provò a chiedergli.

Dovette essere la domanda sbagliata, perché Boruto sollevò le sopracciglia bionde e lo guardò trattenendosi dal dire qualcosa di insolente. Deglutì indietro quelle parole, e invece gli rispose, polemico ma ancora educato:

« Il primo giorno di scuola, pa’. » 

Naruto si sentì come se qualcuno gli avesse dato uno schiaffo, sgranò appena gli occhi, e irrimediabilmente si diede dello stupido.

« Ma certo. » disse, a mo’ di scusa, un sorrisetto traballante sulle labbra che avvertiva secche.  

Il primo giorno di scuola, il suo bambino che diventava un ometto, il passaggio dall’età di mezzo della scuola media a quella apparentemente più adulta delle scuole superiori. 

Una di quelle cose per cui di solito i genitori sono eccitati, scattano un sacco di foto e risultano imbarazzanti. Lui se n’era dimenticato.

Però, quella mattina un incubo l’aveva svegliato. Forse il suo subconscio voleva avvertirlo, forse non era un padre così terribile come pensava. In qualche modo il pensiero aveva messo radici, e l’aveva fatto dormire male. Non doveva rinunciare al quinto caffè giornaliero. 

Suo figlio di aspettava qualcosa da lui, qualcosa che non era in grado di dargli, o che aveva una scadenza a breve termine. Una finestra di dialogo aperta tra sé e quel piccolo demone biondo prima che sorgesse l’alba.

« Capisco che ti renda nervoso. » tentò Naruto, la lingua impastata come se il caffè si fosse tramutato in melassa e gli avesse incollato la trachea. « La scuola nuova, i compagni…è una cosa che può fare paura. »

« Io non ho paura. » sbottò il ragazzino. Ma certo, a quell’età non si aveva paura di niente, non dei genitori, non della morte. Eppure eccolo lì, sveglio prima della sveglia, a cercare disperatamente il conforto di suo padre.

Se solo Naruto fosse stato meglio di così. Se ne rammaricò, fissando le proprie mani giunte. Era colpa sua, alla fine, se non trovava mai la cosa giusta da dire per farlo sentire meglio, era suo dovere, Boruto non poteva imparare da solo a gestire le sue emozioni o a dargli un nome. Qualsiasi cosa fa meno paura una volta che le si è dato un nome, no? E di che cosa aveva paura Naruto? 

« No, no, non intendevo questo. » non c’era un posto giusto dove mettere le mani, sembrava sempre troppo severo, come se sedere a capotavola gli desse i poteri di un leader. Era quello che ci si aspettava da lui d’altronde. « Il cambiamento può...disorientare, immagino. »

“Immagino”, come se non si ricordasse come ci si sente ad avere quattordici anni, a pensare di non avere un futuro, a temere per la propria vita. No, non suo figlio. A differenza sua, Boruto era cresciuto in una casa amorevole, con genitori vivi e presenti (beh, al meglio delle loro possibilità), non era possibile per lui provare quello che aveva provato Naruto. 

Qualsiasi sentimento negativo provasse era frutto del suo capriccioso temperamento. Dalla vita aveva avuto tutto quello che Naruto aveva solo sognato, non poteva stare male, perché lui era stato peggio.

Si ritrovò a fare quei pensieri tutti insieme, tutti in una volta, ad una velocità tale che all’improvviso gli mancava il fiato e si sentiva il cuore battere all’impazzata proprio come dopo l’incubo.

« Stai bene? » gli chiese Boruto. Aveva addirittura abbandonato il suo atteggiamento bellicoso per questo. Forse perché suo padre appariva pallido, forse perché in quell’ora di buio tutto sembrava più orribile di quanto non fosse in realtà.

« Sì, sto bene. » in parte era vero. Naruto si passò una mano sul volto. Tremava? « Ho solo dormito male stanotte. Ma non si parlava di me, giusto? »

Boruto si strinse nelle spalle. La finestra, quel minuscolo spiraglio che si era aperto tra loro, si era chiuso. 

Dalla stanza di Himawari arrivò il suono della sveglia. « È okay. Facciamo colazione? »

Naruto batté le palpebre, confuso. La porta della stanza della figlia minore si aprì. Responsabile e puntuale come sua madre, anche se era così piccola. C’era da pensare che Boruto somigliasse a lui, per questo era un disastro.

« Buongiorno papà. » salutò la piccola, già con le braccia aperte per avere la sua attenzione.

Un girasole: l’unica cosa buona che Naruto era riuscito a fare. Una fitta di senso di colpa gli infiammò il viso.

Boruto distolse lo sguardo quando la sorella si lanciò sul padre per abbracciarlo.

Poco dopo si alzò anche Hinata. Non si stupì di trovare HImawari sveglia, ma Naruto e Boruto sì.

Lanciò una lunga occhiata perlacea al marito, in cui lui tradusse tutta una serie di domande relative a quella mattina, poi in silenzio prese a preparare la colazione.

A differenza di Naruto lei si ricordava del primo giorno di scuola del figlio (“Sono cose da mamma”, avrebbe detto qualcuno, “Non preoccuparti”, ma nel profondo lui si sarebbe sentito inetto e irresponsabile comunque) e preparò per lui una torre di pancakes con panna e sciroppo d’acero.

Rinfrancato dalla carica di zuccheri l’umore di Boruto salì da zero a cinque, un valore che permetteva a tutti di vivere in quella casa senza drammi di sorta.

Naruto abbozzò un sorriso, intervenne quando gli venne richiesto, partecipò passivamente allo spettacolo della sua famiglia che giocava ad essere perfetta.

Finito di mangiare i ragazzi andarono a prepararsi, e Naruto si trovò da solo con l’imperscrutabile silenzio della moglie.

Coperto dal suono dell’acqua che scrosciava e dagli occasionali battibecchi dei figli, Naruto poté dire alla moglie: « Non ricordavo che la scuola cominciasse oggi. »  

Non provava più il bisogno di spaccare tazze contro il muro o far saltare in aria la sua vita, provava più che altro una serena rassegnazione.

« Non fa niente, può capitare. » rispose Hinata, serena e forse ancor più rassegnata di lui.

Alle persone normali non capitava, specialmente a quelle che avevano famiglia, figli, cose a cui tenevano. 

Naruto annuì, bonario, e prese a sparecchiare.

L’acqua calda del lavello fu di sollievo per le dita intorpidite.

« Lo accompagno io. » decretò, mentre sfregava la padella dei pancakes con decisione. Poteva guardare quella invece della moglie, ancora seduta a tavola con il suo caffè.

« Sicuro? » chiese lei.

« Sì. È una cosa tra uomini. »

Per fortuna non poté vedere le sopracciglia sollevate di lei in espressione perplessa, e lei non poté vedere la vampa di colore rosso acceso di vergogna sul suo viso.

Quello che non potevano vedere non poteva fargli del male.


Anche se non lo disse nemmeno una volta, Boruto era preoccupato di arrivare in ritardo. Non mise fretta alla guida di suo padre, perché avrebbe sicuramente scatenato un litigio, e non era quello che voleva adesso.

Avrebbe anche potuto dirgli che la mamma guidava meglio, ma di nuovo: non aveva voglia di litigare, era troppo impegnato in altri pensieri.

Arrivati nei pressi della scuola, Boruto si preparò a scendere al volo e non vedere più suo padre almeno fino all’una, ma Naruto fermò la macchina e scese con lui.

« Che stai facendo? » fu l’accorata, quando terrorizzata, domanda del ragazzo.

« Vengo con te, ovviamente. Mamma mi ha detto che oggi dovete essere accompagnati da un genitore. » 

« Sì, e mi hai accompagnato. Poi lì ci sarà Shikadai, sono a posto. » 

Ma suo padre non tornò in macchina né sembrò aver capito quello che gli aveva appena detto. Imbarazzante, con jeans e felpa arancione come se avesse ancora sedici anni, sembrava intenzionato ad accompagnarlo fin davanti al cancello.

Rimpianse di non aver chiesto a sua madre di accompagnarlo quella mattina, e ancor di più di averle detto dell’accoglienza e tutto il resto.

« No, no, vengo. Devo lasciarti davanti all’ingresso uno. » 

Fino ad un’ora prima non sapeva neanche che fosse il primo giorno di scuola, adesso fingeva con nonchalance di sapere tutto su quella giornata. 

Boruto avrebbe volentieri cominciato ad urlare e battere i piedi e fatto una scenata in piena regola, ma invece decise di affondare le mani in tasca e mettere su un’espressione tetra. 

Arrancò dietro al padre che teneva ostinatamente la testa alta e il sorriso sulle labbra, cercando di non provare vergogna per la propria esistenza. Ma vederlo salutare chiunque urlando “Buondì!” era più di quanto potesse sopportare.

Quando vide Shikadai tra i ragazzi, Boruto corse verso di lui, sospirando per il sollievo.

Naruto si ritrovò solo nella folla prima ancora di accorgersene. Il vociare allegro dei ragazzi e le loro facce entusiaste gli fece pensare che così sarebbe dovuto essere un adolescente: felice e senza ombre negli occhi. Poi si volse e vide Boruto.

Distante da lui, rideva, tutto il volto contratto nello sforzo di contenere le risa, luminoso come una stella. 

Erano giorni, forse settimane che non lo vedeva così felice.

Forse, realizzò sentendo il terreno mancargli sotto i piedi, il problema dell’infelicità del figlio era lui.

Rimase imbambolato, come se l’avesse colpito un fulmine, a fissare Boruto. Lo invidiò per un attimo. La sua giovinezza, il suo sorriso, gli amici. Invidioso di un quattordicenne, poteva essere più patetico di così? 

« Naruto! » 

Si volse così in fretta che quasi gli fece male il collo.

Shikamaru si avvicinò a lui con la mano alzata. Ma certo, se c’era Shikadai doveva esserci per forza anche lui, lui o Temari. Fu contento che il bastoncino corto fosse toccato a lui e non alla moglie. 

Patetico e anche egoista, quella giornata cominciava a illuminare un po’ troppo i punti neri della sua anima.

« Ah...Shikamaru, buongiorno. » 

Provò l’estraniante sensazione di trovarsi in due posti contemporaneamente. Qui con il suo amico d’infanzia e più in là al posto del figlio, giovane, spaurito per il suo primo giorno di scuola. 

« Nervoso? Stamattina Shikadai si è svegliato all’alba, l’ho trovato già vestito e pronto che non erano neanche le sei. Forse riuscirà a fare meglio di quando non abbia fatto io a scuola, che dici? »

Voleva essere una battuta. In un altro momento Naruto avrebbe riso e ricordato gli aneddoti di quando erano ragazzi, marinavano la scuola o tiravano brutti scherzi agli insegnanti. Aveva come l’impressione che quella parte di sé fosse morta e sepolta da un pezzo. 

« Già. » commentò solo, annuendo, lo sguardo lontano, fisso sul figlio ma perso nel tempo.

« Qualcosa non va…? » più di dieci anni di amicizia e Naruto non riusciva neanche a concepire l’idea di raccontare a Shikamaru come si sentiva, come si sentiva davvero.

« No, niente, sono solo sovrappensiero. » 

Shikamaru lo guardò come se avesse appena bestemmiato, o peggio, ma non aggiunse nulla. Era già abbastanza strano che Naruto non avesse voglia di parlare né fosse dell’umore giusto per scambiare qualche battuta. 

Non si vedevano e si sentivano da qualche tempo, il pensiero che forse avrebbe dovuto prestare più attenzione al suo amico si insinuò in lui per un attimo, per poi abbandonarlo quando Shikadai gli corse incontro. 

Ad un certo punto, la vita ti costringe a mettere cose e persone in ordine di priorità. 

Anche Boruto, seppur strascicando i piedi e perdendo il sorriso, tornò dal padre. Shikadai salutò Naruto con entusiasmo simulato, per poi disinteressarsi della sua esistenza. 

Era quello che riusciva meglio a quei piccoli animali selvaggi, dopo averli cresciuti, nutriti, accuditi, protetti dimenticavano velocemente che dovevano quantomeno portargli rispetto.

La campanella suonò prima che Naruto potesse trovare ulteriori motivi per essere di cattivo umore.

Hinata gli aveva detto che la prima ora consisteva in una sorta di riunione con tutti i docenti per accogliere e conoscere la classe. Avrebbe voluto essere altrove, e trovò stupido essersi offerto per partecipare a quella farsa.

Tanto, in ogni caso, sapeva così poco della vita del figlio che esserci quel giorno non avrebbe fatto la differenza.

Mentre gli alunni scappavano verso la classe, i genitori accompagnatori li seguivano in silenzio, osservando i corridoi, i volti, il passato, ricordando momenti di felicità.

Shikamaru si affiancò a Naruto, senza riuscire a strappargli neanche una parola. Eppure si trovavano nella loro vecchia scuola, i loro figli avrebbero frequentato la loro stessa classe.

Ma l’amico sembrava distante, gli occhi azzurri resi scuri dai pensieri. 

Avrebbe potuto chiedergli di nuovo se tutto andasse bene, ma di certo lui avrebbe mentito.

Perché niente andava bene.

Non era solo colpa dell’incubo che aveva svegliato Naruto quella mattina, era colpa dell’improvvisa consapevolezza che gli era piombata addosso. Aveva vissuto per anni con gli occhi chiusi, e adesso suo malgrado era riuscito ad aprirli.

« Entrate in classe ordinatamente, grazie. » 

Naruto sentì vibrare qualcosa dentro di sé. Riconobbe immediatamente quella voce e quando sollevò lo sguardo non fu il solo ad avere sul volto un’espressione stupita.

Anni prima aveva creduto di poter stringere con Sasuke un’amicizia meravigliosa e duratura, di quelle che non si spezzano per quanto la vita possa provare a farlo; anni prima aveva provato per lui sentimenti proibiti; anni prima l’aveva visto lasciare la città per continuare gli studi; anni prima aveva perso le sue tracce solo per scoprire che si era sposato e aveva avuto una figlia. 

Rivederlo adesso, dopo quella che aveva tutti i diritti di chiamare “eternità”, gli sembrò ingiusto. Era riuscito quantomeno a scendere a patti con la sua assenza, ed era stato bravo abbastanza da non seguirlo sui social solo per sapere quanto fosse felice con la sua famiglia, lontano da lui. 

Vestito di tutto punto, camicia, pantaloni e giacca, sembrava più vecchio di quanto non fosse; aveva ancora quell’aura oscura tutto intorno, come se risucchiasse luce con il suo sguardo nero petrolio; la manica sinistra della giacca pendeva vuota lungo il fianco, e nella mente di Naruto il ricordo dell’incidente che avevano avuto quando avevano sedici anni tornò con un colpo di frusta. Lui aveva riportato solo lievi ferite, e anche se il braccio destro tremava più debole dell’altro e a volte gli doleva quando si avvicinava il maltempo, a Sasuke era decisamente andata peggio. 

Una serie di orribili flash si susseguirono rapidamente nella sua memoria. I momenti insieme, le risate, le discussioni, le notti passate a studiare, i brutti voti, gli esami, i dodici anni, poi i tredici, poi i quattordici. 

Naruto strinse i denti e si odiò, perché quei ricordi erano venuti a galla con Sasuke e non con Shikamaru, l’amico che era rimasto al suo fianco nonostante tutto. 

I ragazzi entrarono in classe, e Naruto realizzò con orrore che Sasuke non era lì per la figlia, ma era lì in qualità di insegnante. 

Era più bravo di lui a nascondere emozioni e pensieri, e quando si rivolse ai genitori il suo sguardo di fuoco nero non si posò su Naruto neanche un attimo.

« Prego accomodatevi in classe anche voi. » 

« Ma quello non è Sasuke...com’è che si chiamava? Sasuke… » gli chiese Shikamaru, sottovoce.

« Uchiha. » finì per lui Naruto, con la gola sottile come una cannuccia. Chissà come era riuscito a parlare: sentiva di riuscire a malapena a respirare. 

« Erano anni che non lo vedevo, non sapevo che fosse tornato in città. » 

« Neanch’io. » e avrebbe fatto meglio a non scoprirlo.

Shikamaru entrò in classe prima di lui, perché il corpo gli sembrava troppo pesante per muoversi in avanti adesso. Lasciò che la massa di genitori eccitati lo superasse, e rimase da solo in corridoio, davanti alla porta, insieme a Sasuke.

Lui lo guardò a lungo, occhi neri e brucianti, profondi un abisso. Chissà cosa pensava, chissà se pensava anche lui a quando giravano insieme in quei corridoio, due ragazzini che non ne sapevano niente della vita, e di come sarebbero cambiati di lì a vent’anni. 

« Il tuo è quello biondo. » non era neanche una domanda, più che altro una considerazione, amara, sputata fuori solo per riempire il silenzio imbarazzante che era caduto tra loro. 

Naruto si portò una mano a massaggiare il collo, un gesto che avrebbe dovuto confortarlo ma che lo fece sentire un bambino.

Sasuke aveva il potere di farlo sentire a disagio, anche adesso che erano entrambi adulti realizzati. 

« Dicono che mi somigli. » gli disse, mo’ di scusa.

Sasuke spostò lo sguardo sulla classe. Gli bastò una frazione di secondo per inquadrare Boruto. Lui e quei suoi occhi che potevano fermare il tempo. 

Tornò a fissare Naruto e lui si sentì in colpa. Avrebbe dovuto fare un lavoro migliore con suo figlio. 

« Sì. Spero che non ti somigli nel rendimento scolastico. » 

Naruto diede in una risatina imbarazzata. Era coperto di sudore caldo, la camicia incollata sulla schiena. Perché era così difficile reggere la presenza di Sasuke? 

« E quindi...sei un insegnante. » 

Sasuke sollevò un sopracciglio. « Wow, non hai perso il tuo spirito di osservazione. » Naruto avvertì quelle parole come coltelli nella carne, tutti piantati con estrema precisione. Sasuke era abile con le lame. « Entra, così possiamo cominciare. » 

Non se lo fece ripetere. Prima cominciavano prima finivano.


Per un’ora Naruto rimase in piedi di fianco al banco che Boruto aveva scelto (l’umiliante ultima fila) di fianco a Shikadai. 

Non registrò neanche una parola di Sasuke, impegnato com’era a non guardarlo, non guardare il suo corpo, non guardare le sue labbra. 

Sperò nel buon senso di Boruto e che almeno lui stesse prendendo appunti, sicuramente Sasuke stava parlando di cose importanti sul regolamento della scuola, ma lui non riusciva a tenere collegato il cervello il tempo sufficiente per registrare le informazioni.

La voce di Sasuke era cambiata, si era fatta più profonda. Non sembrava più alto, quanto più imponente, in lui si percepiva la rigidità e l’autorevolezza tipica degli insegnanti.

Era a suo agio nel muoversi per la classe, e di certo incuteva abbastanza timore da mettere a tacere i più chiacchieroni. 

Naruto era certo di averlo sentito mentre diceva quale materia insegnasse, ma come tutto il resto del discorso anche quella parte si era persa nel reticolo vischioso della sua mente.

Matematica? No...storia? Forse scienze…? 

L’avrebbe chiesto a Boruto, poi. 

La campanella suonò quasi all’improvviso, ma nessuno a parte Naruto sobbalzò per lo spavento. 

Fortunatamente nessuno parve accorgersene. Tranne forse Sasuke: ai suoi occhi non sfuggiva niente. 

Pian piano i genitori uscirono dall’aula, salutando i figli con le lacrime agli occhi.

« Ti prego non fare stronzate. » sfuggì dalle labbra di Naruto. Boruto incassò quella frase spingendo il collo tra le spalle, come se l’avesse schiaffeggiato in pieno volto, mentre lui realizzava di aver parlato più a se stesso che al figlio. 

Dopo di lui uscì anche Sasuke.

« Ti va di prendere un caffè? » 

Sasuke sollevò entrambe le sopracciglia. « Io lavoro. Ho un’altra classe in cui andare adesso. » 

« Solo un caffè. » perché suonava come una supplica? 

Naruto che cazzo ti è successo. 

Sasuke respirò a fondo, guardò l’ora sull’orologio da polso, scrollò le spalle, impercettibilmente. Per Naruto poter osservare quei piccoli gesti era come abbeverarsi ad una fonte dopo chilometri di camminata. 

« D’accordo, vieni con me. » 

Shikamaru si era fermato in corridoio per aspettare Naruto, ma dal momento che lo vide andare dall’altra parte insieme a Sasuke capì che l’aveva preferito a lui. Una vera seccatura. 

Naruto seguì Sasuke tallonandolo come se si aspettasse che lui sparisse da un momento all’altro. 

Lo portò nell’aula insegnanti, uno spazioso ambiente neutrale con armadietti, tavoli, sedie, fotocopiatrice ad esclusivo uso dei docenti e, soprattutto, la macchinetta del caffè. 

Sasuke preparò due caffè, senza dire una parola e senza voltarsi a guardare Naruto. Quando gli porse il bicchierino di carta le loro dita si sfiorarono e Naruto avvertì un brivido attraversargli la schiena. 

Sasuke fece finta di niente, ma per un attimo i suoi gesti sembrarono farsi più impacciati, versò un po’ di zucchero sul pavimento, senza centrare il bicchiere. Si ricompose subito in ogni caso. 

Naruto rimase in silenzio a fissare il caffè nel bicchiere. 

Di’ qualcosa, ti prego. 

« Non sapevo che fossi tornato. » 

« Non pensavo di doverlo dire a qualcuno. » 

Perché aveva come l’impressione che Sasuke sapesse quale fosse la risposta più cattiva da usare contro di lui? Forse dipendeva dal fatto che lui lo conosceva meglio di chiunque altro. 

« Come sta… » 

« Sakura? » Naruto deglutì al sentire quel nome. Un’altra macchia di colore si accese nei suoi ricordi. Aveva scelto lei alla fine. « Sta bene. » 

« Come mai… » 

« Mi hanno chiamato a lavorare in questa scuola e ci siamo trasferiti. » gli occhi scuri di Sasuke si posarono su Naruto. « Perché volevi prendere un caffè con me quando non sei neanche in grado di guardarmi, usuratonkachi? » 

Naruto lasciò cadere il bicchiere. 

Fu un attimo di follia, o forse quello che avrebbe sempre voluto fare. 

Afferrò Sasuke per le spalle con una mano, l’altra andò dietro il collo per bloccarlo a sé.

Lo baciò.

Sapeva di caffè, e di occasioni perse. 

Sasuke non si ritrasse, né si ribellò, avvinghiato nell’abbraccio di Naruto. 

Quando si separarono, Naruto era rosso in volto e aveva il fiatone. 

Lentamente, il sangue da bollente cominciò a gelare. Cosa diavolo aveva fatto?! 

« Io… » balbettò. « Mi...mi dispiace. » 

Sasuke, allora, scoppiò a ridere.

La sua era risata arrugginita, con un’allegria che raramente la moglie o la figlia vedevano, qualcosa che era prezioso e di Naruto soltanto. 

« Ci rivediamo dopo quanto? Quindici anni! E riesci a dire solo questo? Che ti dispiace?! » 

I suoi occhi sembrarono diventare rossi mentre si avventava contro Naruto, sbattendolo contro la fila di armadietto.

Lui registrò vagamente il dolore, sommerso sotto uno strato di sorpresa, soprattutto quando Sasuke lo baciò. Passionale, rovente, la lingua che cercò di infilarsi tra le sue labbra.

Glielo lasciò fare, perché non voleva altro che quello.

Per anni aveva rinnegato a se stesso quanto amasse Sasuke, non come persona o come amico, come qualcosa di più. Era diventato il suo modello, aveva nascosto il desiderio che cresceva dentro di lui come semplice rivalità. Ma era molto, molto di più.

Più cresceva, più diventava difficile stargli accanto, e controllare la sua gelosia quando c’era Sakura in giro.

La notte dell’incidente erano entrambi ubriachi. Naruto ricordava quel giorno come il più brutto e il più bello della sua vita.

In discoteca le luci confondevano la vista, e l’alcool intorpidiva il buon senso. Naruto si era avvinghiato a Sasuke, le braccia intorno alla vita, il viso affondato nel collo ad aspirare l’odore di cenere d’incenso che spirava da lui. E lui non si era ritratto.

Entrambi su di giri, avevano lasciato che le mani studiassero il corpo dell’altro, toccando e lasciandosi toccare, mentre l’adrenalina si riversava a fiumi nelle vene.

Tutto d’un tratto la musica era diventata troppo forte, la gente troppo rumorosa, il caldo insopportabile: avevano bisogno di un posto appartato, lontano da occhi indiscreti. 

Erano saltati in macchina senza pensarci. Naruto non ricordava neanche chi dei due guidasse quella notte, a tratti gli sembrava di essere lui al volante, a tratti Sasuke. Aveva ricordi frammentati dei momenti prima dell’incidente.

Tutta la felicità di quegli attimi era annegata nel sangue.

Non ne avevano più parlato, non si erano più avvicinati, non avevano più trovato l’intimità di quella notte. 

Sasuke aveva dovuto affrontare la consapevolezza di aver perso un braccio e si era chiuso in se stesso, lasciando fuori Naruto. 

Neanche un anno dopo il loro rapporto era diventato un campo minato: in ogni istante rischiavano di tirar fuori un argomento che avrebbe fatto scoppiare una bomba. Avevano preso a frequentarsi sempre meno, mentre nella vita di Naruto era entrata Hinata. 

L’ultimo anno di liceo, quasi con naturalezza, l’avevano passato da estranei. Dopo il diploma Sasuke era andato via, e Naruto aveva cercato di dimenticare.

Le mani di Naruto percorsero il corpo di Sasuke, prima sopra la camicia, stirata di tutto punto e fresca di bucato, poi sotto, infilandosi dopo aver slacciato un bottone.

« Ho due figli. » mormorò, il calore del corpo di Sasuke era come lo ricordava, il suo profumo lo stesso di un tempo. 

« E sei felice? » 

Lacrime punsero come spilli il retro degli occhi di Naruto, impossibilitate a versarsi tra le ciglia per un puro sforzo di volontà. 

« Hai una figlia anche tu. »

« Io non sono felice. » 

Finalmente Naruto trovò la forza di guardare Sasuke negli occhi.

Aveva sbagliato tutto lasciando che la vita gli scivolasse tra le dita seguendo un percorso che aveva tracciato qualcun’altro.  

Si era costretto al silenzio per troppo tempo. 

« Neanch’io. » 

Prese tra le mani il viso di Sasuke e lo baciò ancora, più forte, disperatamente. Il suo sapore era diverso, ma solo perché la prima volta l’aveva sentito annaffiato dall’alcool.

Non fu con sorpresa che realizzò che gli era mancato, fu con sofferenza. Avrebbe potuto essere felice molto prima se solo avesse… 

Sasuke si allontanò, spingendolo piano con l’unica mano aperta sul suo petto.

« Non qui. » riuscì persino a vederlo sorridere. « Siamo ancora a scuola, usuratonkachi. » 

Naruto lo afferrò per il polso, preso da una smania che aveva poco (tanto) a che vedere con l’inguine che tirava e la schiena che formicolava. 

« L’ultima volta che ti ho lasciato andare me sono pentito per vent’anni. » 

« Tutto questo ha un prezzo, lo sai? » 

« Lo pagherò, se significa riaverti con me. »

Sasuke sbuffò dal naso. Si scrollò dalla sua presa e tornò un pezzo unico di indifferenza, com’era stato quella mattina. 

« Non sei cambiato per niente, sei il solito cretino. » 

« Ti viene così difficile dirmi una parola carina, tanto per cambiare? »

« Mi sei mancato. » Naruto si sentì colpire al petto da quelle parole, la rabbia sfumò all’improvviso. « E ora sparisci. Fuori. Vattene. Devo lavorare. » 

Ma aveva un sorriso sulle labbra mentre lo diceva. 

Naruto sentì di camminare un po’ più stabile sulle gambe mentre andava all’uscita dell’aula. Parole complicate come “tradimento” o “divorzio” o “immorale” o “sbagliato” erano lontane nella sua mente. Tutto quello che riusciva a vedere era Sasuke.

Si volse per accertarsi che fosse ancora lì. 

Anche lui lo stava guardando, soppesando l’enormità di quello che avevano appena fatto, e che avevano intenzione di fare. Perché si sarebbero rivisti, ogni giorno, dopo aver portato Boruto a scuola. 

Sei orribile, sei una persona orribile. 

Eppure non si era mai sentito meglio in vita sua. 

All’improvviso Naruto si ricordò il sogno che l’aveva svegliato quella mattina.

Aveva di nuovo sedici anni, erano in discoteca, ballava ubriaco agitando un bicchiere vuoto. Sasuke era lì con lui, per la prima volta disinibito e libero dal solito ghiaccio. 

Con loro c’erano anche Sakura e Hinata. 

Se anche avesse avuto il coraggio di baciarlo, con loro lì non avrebbe mai avuto l’occasione. 

Era stato questo a svegliarlo. 

« Ci vediamo domani? » gli chiese, indugiando sulla soglia. 

Sasuke annuì per poi scacciarlo malamente con un gesto della mano.

Questa volta le cose sarebbero andate diversamente. 

 

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The Corner 

Perdonatemi, questa non doveva essere una shot del Writober ma una fanfiction scritta per...boh, per me, per altro. Però il prompt del sesto giorno calzava a pennello e non avevo, detto sinceramente, altre idee. Già che avevo finito di scrivere questa e che ci tenevo molto a pubblicarla, ma avrei dovuto rimandare alla fine di ottobre perché non volevo disordinare le pubblicazioni sulla pagina...ho pensato, ma sì, sembra una buona idea.
Una lunghissima fanfiction narusasu, era circa dal 2012 che non ero nel fandom di Naruto, adesso è tornato più forte che mai.

Chii
   
 
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