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Autore: Dorabella27    07/10/2021    11 recensioni
"Torniamo al passato, e sarà per tutti un progresso", disse qualcuno una volta. Archiviato il tono umbratile e malinconico della mia ultima ff, che, a dispetto del titolo, proiettava i personaggi di Madame Ikeda nel futuro, addirittura in età napoleonica, torniamo ora in pieno Ancien Régime. Nelle righe iniziali, il Generale comunica a Oscar e André che a palazzo Jarjayes arriverà un ospite molto, molto noto, e molto particolare. Dedicata a tutti gli amanti della musica - del XVIII secolo, e non solo -, e a tutti coloro che, qualche volta, hanno trovato un po' di ristoro e, perché no, di consolazione, nelle sette note.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, André Grandier, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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5 – Lezione di musica: chi spiega, chi apprende, chi comprende
 
"E ora, signorino Oscar, qual è l'ultimo pezzo che avete studiato con il vostro maestro di musica?"
 
La mattina era iniziata molto presto per Farinelli, che mai aveva trascurato una volta  i suoi esercizi, i suoi vocalizzi e i gorgheggi per mantenere la voce quello strumento elastico, insieme potente e delicato, che aveva fatto la sua fortuna in Europa, ma che era stata anche la sua dannazione.
 
        "Va' figlio mio! Non hai più nulla da imparare: ora tu sei il più grande cantante del mondo; e ben presto lo sapranno tutti, oltre a me e a te". Così gli aveva detto il suo maestro di canto, il grande Nicola Porpora, congedandolo dopo cinque anni, durante i quali il giovane Carlo aveva fatto lezione ogni giorno per oltre sei ore su un unico foglio da musica, su cui c'erano scale lente e veloci, trilli, mordenti, appoggiature semplici e doppie. Ed era vero. Però, più gli anni passavano e più si trovava a invidiare l'umile organista della Chiesa bolognese dove si recava alla Messa, e che era anche maestro del coro delle voci bianche: dopo la conclusione della funzione, il buon organista veniva sempre con aria cerimoniosa a informarsi se il signor Farinelli avesse gradito l'esecuzione delle musiche che accompagnavano la Messa, e se avesse rilevato qualche pecca nella esibizione della corale di fanciulli. Eppure, come invidiava quel simpatico musicista di provincia, senza pretese, ma che dopo le funzioni era sempre atteso sulla soglia della chiesa dalla moglie, una ragazzotta piccola e rotondetta, dal sorriso dolce e vivace, che teneva per mano due bambini dai capelli biondissimi come il padre....
 
        Si riscosse per ascoltare il Contino, che gli rispondeva pacato, compito come sempre, con gli occhi glaciali e la postura composta..
"L'ultimo brano che ho studiato con il mio insegnante di musica è stato il primo movimento del Trillo del Diavolo del signor Giuseppe Tartini, Monsieur Farinelli".
 
"Molto ambizioso il vostro insegnante, signor contino de Jarjayes. O molto dotato l'allievo. Sentiamo, dunque".
 
        Si era seduto in poltrona e si era disposto all'ascolto. Ed era rimasto piacevolmente stupito e impressionato dalla tecnica del giovane Oscar François: suonava con una destrezza e una sicurezza rare in un adulto, non che in un bambino; le note si sgranavano veloci, nette e precise, e quelle piccole dita non avevano una sola esitazione; certo, al giovane contino mancava forse la componente espressiva, interpretativa, quella che si acquisisce con gli anni, con l'esperienza della vita, e forse anche con le delusioni che gli anni portano con sé. C'era davvero molto poco da correggere, nell'esecuzione del giovane de Jarjayes, e Farinelli prese a camminare, a passi lenti, le mani dietro la schiena, attorno a Oscar, che, nel pieno della concentrazione, suonava con gli occhi chiusi, con lievi moti della testa che facevano oscillare i ciuffi biondi, rilucenti come oro mentre erano toccati dal sole mattutino. Ogni tanto, giusto perché non sembrasse al giovanissimo virtuoso che l’illustre visitatore non riservasse la giusta attenzione al figlio del padrone di casa, Farinelli lasciava cadere una osservazione, con voce pacata: "Un poco più lento... con calma ... bene così...", ma quasi con distrazione, perché, a ogni passaggio davanti alla grande finestra della stanza, lanciava uno sguardo in basso, per vedere se il piccolo uditore di quel concerto improvvisato avesse cambiato posizione. André, infatti, attendeva, seduto sul bordo della vasca del giardino, apparentemente guardando le carpe d'amore che, con le loro grosse labbra, solcavano l'acqua trasparente per poi aderire alle pareti, ma, ogni tanto, alzava la testa in direzione della finestra aperta da cui provenivano le note di Tartini.
        Dopo l'esecuzione, Farinelli si complimentò con il giovane virtuoso, e scese quindi a passeggiare, nella frescura del mattino, nel parco del Palazzo. Il piccolo attendente dagli occhi di smeraldo non era più seduto sul bordo della vasca, e Farinelli si inoltrò nel labirinto di siepi di bosso, al centro del quale, su una seduta di marmo, ritrovò André.
Sedeva pensieroso, la testa bassa, e non si rese conto dell'arrivo di Farinelli, sino a quando non se lo trovò a pochi passi. Non appena lo vide, scattò in piedi, e si inchinò, da quel bambino bene educato che era.
        "Perdonatemi, Monsieur Broschi, cioè, Signor Farinelli ... io non mi ero reso conto..."
"Restate pure seduto, André. Credevo che vi avrei ritrovato ancora seduto sul bordo della vasca".
André non diede segno di aver colto l'allusione dell'ospite. Farinelli decise allora di essere più esplicito. "Vi piace molto ascoltare Oscar che suona il violino, vero?".
Una domanda posta con tono neutro, quasi innocente. Ma il risultato non si fece attendere. "Oh, sì! Adoro ascoltare le sue lezioni di musica! Lei è così meravigliosamente abile ..:".
"Lei?" Farinelli aveva una espressione stupita, le sopracciglia arcuate nel volto pallido. "Avete detto lei, André?".
"Beh, sì, certo...". Il ragazzino ora aveva abbassato gli occhi, ma per la mortificazione.
"Volete dire che il signor Contino..."
"Oui, Monsieur Farinelli, il signor Contino, Oscar, è una ragazza....e .....e.....", e qui gli occhioni verdi gli si riempirono di lacrime, e non fu più in grado di continuare.
"Ora capisco tutto", disse Farinelli, e gli si sedette accanto. André ora continuava a tenere gli occhi bassi, come se  improvvisamente avesse scoperto qualcosa di molto interessantre nelle fibbie delle sue scarpe.
"Quindi, André, mi state dicendo che l'erede del Generale è una ragazza ...". Fece una pausa, e poi aggiunse, per sollecitare una reazione, "una bellissima ragazza, che promette di diventare una splendida donna, e che non sfigurerebbe a corte!"
"E invece, Oscar a corte ci andrà, certo, ma sempre in uniforme, per proteggere la famiglia reale e la futura Delfina ... che pare debba venire dall’Austria, o dalla Germania, o da chi sa dove"
"Ah!"
"Sapete, Monsieur Farinelli”, continuò André, con un profondo sospiro,” io devo solo ringraziare il Generale, perché, vedete, se, dopo cinque figlie femmine, non avesse deciso di allevare la sesta, Oscar, appunto, come un maschio, io non solo non sarei mai arrivato qui, ma non l'avrei mai e poi mai conosciuta, perché sarei rimasto nel mio villaggio, con mio zio, a lavorare nella bottega di falegname che era stata di mio padre ... e Oscar adesso sarebbe circondata da cameriere, e forse sarebbe addirittura stata fatta educare in convento ... e non si chiamerebbe nemmeno Oscar”, concluse con voce flebile, in cui al vecchio cantante parve di udire un tono di contenuta disperazione.
"Capisco che voi siete molto affezionato a .... Oscar...". Istintivamente, Farinelli nominò senza alcun titolo, o epiteto, o determinativo quella creatura così affascinante e singolare, condannata per sempre, come lui, anche se per altre ragioni, a vivere in un limbo fra due mondi, senza poter mai appartenere definitivamente all'uno o all'altro. .
"Oh, sì, Monsieur, immensamente! Oscar, lei.... è la mia vita!” André fece una pausa: quello straniero, che non avrebbe certo rivisto mai più, era il solo cui avesse mai osato dire quello che gli si agitava in petto da quando ... da quando aveva visto Oscar e le aveva parlato per la prima volta. Nemmeno con sua nonna, che pure doveva avere intuito qualcosa, si era mai permesso di essere così esplicito. Invece, quello strano vecchio signore dalla figura diritta e dignitosa e dalla espressione malinconica e buona gli ispirava una istintiva fiducia e voglia di confidarsi. E allora continuò: “Vedete, Monsieur Farinelli, io lo so che qualcuno potrebbe ridere se mi ascoltasse dire certe cose, perché la gente di solito pensa che i bambini non provino sentimenti profondi, ma io vorrei solo starle vicino, per tutta la vita, un passo dietro a lei, per proteggerla, difenderla ... Dovete sapere, Oscar è così leale, così buona, che nemmeno pensa che al mondo ci sia il male, o che ci siano dei pericoli, e io...io..."
        A questo punto, André non riuscì a finire la frase: scoppiò a piangere, e l'anziano cantante non poté che consolarlo con un muto abbraccio, senza potergli dire nulla, perché davvero vedeva e sentiva che quel bambino si era condannato a una infelicità senza fine e senza limiti, a un martirio che, se aveva ben capito il suo carattere nobile e altruista, l'avrebbe consumato in silenzio.
        "Oh, signor Farinelli ... la mia sola paura è che a Oscar un giorno possa succedere qualcosa ... qualcosa che me la tolga ... e a volte spero che suo padre cambi idea, e che non voglia più farla vivere da maschio. Ma allora.... le troverebbe un marito del suo rango; vedete, io non sono nobile, e allora sarebbe proprio impossibile ...". Farinelli si commosse: per quel male, davvero, non c’era rimedio; nemmeno la sua musica poteva essere più che un lenimento momentaneo. Sarebbe servito un altro mondo, un mondo diverso ... ma che, forse solo una rivoluzione.
“E lei, e Oscar?”, chiese, a rischio di essere indelicato.
“Oh, Oscar, lei”, rispose mesto André; “mi è tanto affezionata, mi vuole bene, lo so, lo sento ... ma lei... non sa, forse non vuole sapere certe cose", e qui alzò le spalle “e io non voglio che nemmeno ci pensi, a certe cose. Se il Generale sapesse ... ve lo immaginate? No, non voglio che Oscar si prenda dei rimproveri per colpa mia, o degli schiaffi”, e scosse la testa, pensando che a lui, in cinque anni passati a palazzo Jarjayes, il generale non aveva mai dato uno schiaffo, ma solo perché lui aveva un sacro terrore della sua autorità, e non avrebbe mai osato sfidarlo, come invece faceva spesso Oscar, quando trovava ingiusto un divieto o una decisione del padre. E lui, André, quando assisteva a queste scene, si sentiva penosamente dilaniato: da un lato, trovava che il Generale fosse un padrone molto severo ed esigente, ma anche generoso, in fondo, perché lo trattava bene, gli faceva impartire la stessa educazione da signori che veniva data a Oscar, gli aveva lasciato una bella camera grande e comoda, lontana dagli abbaini della servitù, per giunta molto vicina a quella di Oscar, e, a parte assistere Jaques nelle scuderie, perché un buon attendente doveva saper ferrare e curare i cavalli, aveva molto tempo per giocare con lei. Per cui, André rispettava il Generale, e gli voleva anche bene, un bene fatto di gratitudine e di ammirazione per quella figura così diversa da suo padre, sempre sorridente e affettuoso, espansivo e allegro. D’altro canto, quando vedeva la mano del Generale abbattersi sulle guance di Oscar, anche se lei restava impassibile, senza una lacrima negli occhi, anche quando lo schiaffo era così violento da farla sbilanciare e cadere a terra, sentiva montare lo sdegno, e il suo spirito era come un vascello che, travolto e sballottato, ora in una direzione ora nell'altra, dalle onde di una tempesta, rischiava di affondare.
        Una volta, quando era ancora al villaggio, aveva sentito un bambino poco più grande di lui, tornato al paese per il matrimonio di uno zio, raccontare, quasi vantandosi, in un capannello di mocciosi, che nella famiglia di nobili che lo aveva accolto il suo compito era giocare insieme al giovane contino, e poi assistere in piedi dietro di lui alle lezioni del precettore, ed essere punito al posto del suo padroncino, cioè prendersi i colpi di bacchetta sulle dita del maestro, gli schiaffi della signora  contessa, e andare a letto senza cena quando proprio il giovane aristocratico la combinava più grossa del solito. All’inizio, quando era stato accolto in casa Jarjayes, aveva temuto un simile trattamento: ma aveva scoperto presto che non solo anche lui avrebbe imparato, seduto alla scrivania come Oscar, con carta, penna, inchiostro e libri tutti suoi, la lettura e la scrittura, la matematica e la geografia, la storia antica, il latino, l’inglese, l’italiano e le buone maniere; ma, soprattutto, aveva subito capito che a Palazzo Jarjayes colpe e meriti erano qualcosa di strettamente personale, e che ciascuno dei membri della famiglia e della servitù veniva valutato, premiato o punito, solo ed esclusivamente in base al suo comportamento. In verità, una volta, aveva parlato a Oscar, che aveva da poco rimediato un sonoro ceffone per essersi ostinata a maneggiare di nascosto una delle pistole del padre, di quello strano incarico del suo compaesano, che si buscava schiaffi e bacchettate in luogo del contino de Girodelle; era sottinteso che André, considerata la frequenza inquietante con cui Oscar veniva punita e picchiata dal suo signor padre, le stava proponendo un analogo accomodamento, ma lei, ancora con il livido del ceffone ben visibile sullo zigomo, lo aveva interrotto, scuotendo la testa e dicendo con durezza: “Non ho mai sentito una cosa più stupida. Perché mai un nobile non dovrebbe pagare per i suoi errori, se sbaglia?”.
        André si riscosse dalla sua triste fantasticheria e continuò il suo discorso, mestamente seduto accanto a Farinelli, che lo ascoltava guardando dritto davanti a sé, mentre il bambino parlava fissando, a terra, le file di formiche rosse che ora si rompevano e ora si intrecciavano sulla sommità delle loro minuscole biche.
 “Vedete, Monsieur Farinelli, io mi so contentare, perché lo so qual è il mio posto, e capisco anche la fortuna che ho avuto: a  me basta stare sempre vicino a Oscar, e sapere che mi vuole bene, e anche se a volte sospetto che per lei sono solo un compagno di allenamento e il suo attendente, poi lo so che non è vero, e che lei mi vuole molto bene, più di quanto non  sappia lei stessa. A volte ho anche paura che qualcuno capisca qualcosa, e allora mi sforzo di starle un po’ lontano, di guardarla di meno, di guardare altre bambine ... ma come si fa? Oscar è troppo bella, troppo intelligente, troppo buona e coraggiosa; nessuna è come lei, e penso che se anche scappassi via, non me la potrei mai dimenticare, e ormai sarebbe sempre qui con me”, e si indicò il cuore con la mano.
“Ah, mio piccolo amico,....”, Farinelli cercava le parole giuste, per consolare con semplicità una pena inconsolabile, una pena già da adulto, ma le parole gli morirono sulle labbra quando vide sbucare, da dietro una siepe, Oscar. Aveva l’impressione di chi è a un soffio dall’essere spazientita, anche se le parole che le uscirono di bocca avevano l’inflessione della preoccupazione. Teneva ancora in mano il violino e l'archetto, e aveva le guance rosse.
“André, ma perché ti sei nascosto qui? Già non ci sei mai quando faccio lezione di musica, ma se poi per trovarti devo percorrere dieci leghe,...”
“Scusami, Oscar”, abbozzò André.
“Il vostro giovane amico, signor Contino de Jarjayes”, lo interruppe Farinelli, salvando la situazione, “è stato così gentile da guidarmi lungo questo labirinto. Da solo, infatti, mi sarei certamente smarrito”.
Oscar sorrise, e allora davvero l’anziano cantante capì come mai André era stato conquistato e avvinto da quella splendida creatura.
"Allora, Oscar", le chiese Farinelli, "visto che André non ha potuto assistere alla vostra lezione di musica, che ne dite di replicare l'esecuzione del brano di Tartini?".
"Qui? Ora?", chiese Oscar, stupita.
"Qui, ora", ripetè, tranquillo, il grande virtuoso.
"Va bene”, disse Oscar; e poi, con compunta concentrazione, come se stesse per esibirsi davanti a una importante platea, annunciò: “Monsieur Farinelli, André, per voi ora eseguirò il primo movimento della sonata "Il trillo del diavolo", del signor Giuseppe Tartini".
 
E mentre Oscar suonava, André non aveva occhi che per lei.
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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