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Autore: Chiara PuroLuce    08/10/2021    5 recensioni
Clarissa si ritrova in balìa di una pazza sadica, non sa come ci sia finita e non può scappare. Che fare? Ma sarà tutto vero o...
Genere: Drammatico, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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                                                                         UN INCUBO DI SOGNO
                                                         
                                                                 pumpNIGHT 2021 - Prompt 6 - Sogno
 
 
 
«È solo un sogno, è solo un sogno, è solo un… aaarghh!»
 
Clarissa si guardò in giro, ma com’era finita in quel posto. E perché era legata mani e piedi a qualcosa di duro e freddo? Una luce artificiale sopra la testa a illuminare quella stanza asettica. Pareti piastrellate di un verde smorto, armadietti di metallo e una robusta porta sicuramente blindata sul fondo. Non c’erano finestre, ma un ronzio fastidioso imperversava, una ventola? L’orologio davanti a lei segnava le 10.37 a.m., non le restava che fidarsi, non avendo modo di appurarlo. Era tutto così inquietante. Ma che stava succedendo?
All’improvviso la porta si aprì con un cigolio sinistro e una donna minuta vestita da chirurgo entrò. Che cosa voleva da lei, chi era?
 
«Senta, io non so chi lei sia o perché mi abbia legata così e messa in questo squallido posto, ma vorrei sapere che le ho fatto per meritarmi questo trattamento.»
 
Ma la donna non parlò, anzi, la fissò con quei suoi glaciali occhi blu e le fece un sorriso sghembo, prima di estrarre qualcosa della tasca e fare diffondere una musica d’opera. Poi avvicinò un tavolino, passò un dito sopra ciascun strumento che vi era posto sopra mentre li fissava con vivo interesse. Quel gesto la inquietò ancora di più, se possibile. Ma che cazzo stava succedendo e perché nessuno veniva a salvarla?
 
«Mi deve avere confusa con qualcun altro» provò ad ammansirla «io sono un tipo piuttosto solitario, non amo creare problemi alla gente e conoscerne di nuova quindi… se inavvertitamente le ho fatto uno sgarbo, me lo dica, per favore. Rimedierò.»
 
Ancora silenzio. Doveva assolutamente catturare la sua attenzione e farla ragionare.
 
«Signorina, la prego, non faccia sciocchezze. Sono solo un’inserviente dell’ospedale io, perché le interesso così tanto» provò ancora a dirle con voce rotta prossima al pianto. «Mi lasci andare e le prometto che non… aaaarghhh!»
 
Qualcuno aveva urlato. Era stata davvero lei? Era sua quella voce così alta e terrorizzata? Un dolore lancinante le aveva scosso il braccio e il corpo, la mano pulsava da matti. Ma cos’era successo? Cercò di riprendersi un attimo e alzare la testa per guardare, ma all’ultimo non ne ebbe il coraggio. Sentiva solo un liquido caldo uscire dal suo corpo e la testa girare, stava per svenire? No, no, non doveva farlo.
Guardò la donna che non sembrava per nulla turbata, appoggiare una piccola ascia insanguinata sul tavolino e sorridere soddisfatta, poi prese qualcosa in mano e lo esaminò alla luce artificiale, minuziosamente, uno dopo l’altro e fu allora che lei vide. Vide le sue… dita! Cosa? Quella pazza le aveva appena amputato le dita e ora canticchiava sottovoce come se niente fosse?
No, no, doveva essere per forza un sogno, non poteva accadere a lei. Era una persona anonima, assolutamente tranquilla e solitaria lei, non aveva mai dato noia a nessuno, non uccideva nemmeno le formiche.
Da quanto tempo si trovava lì e perché nessuno sentiva le sue urla.
Cercando disperatamente di non svenire, aprì gli occhi e puntò lo sguardò laddove prima c’era la sua bellissima mano intera con le dita lunghe e affusolate e che ora appariva… maciullata e sanguinolenta. Un conato di vomito le salì, ma lo ricacciò indietro. Non doveva cedere. Aveva l’impressione che quella donna godesse nel procurare sofferenza e che se lei avesse urlato… sarebbe stato molto peggio.
La sua aguzzina si avvicinò nuovamente a lei, ma questa volta dalla parte opposta del tavolo e lei si ritrovò a supplicare pietà. Aveva capito quello che stava per accadere e voleva cercare di fermarla, ma fu tutto inutile.
 
«La scongiuro signorina, se… se lei mi priva anche di queste dita, io… come farò a… non potrò mai più…aaaarghhh!»
 
Il suo corpo prese a inarcarsi dal dolore e la testa a muoversi frenetica da entrambi i lati mentre urla sempre più forti si mischiavano a un dolore così forte da fargliela pulsare. Era inutile parlare con quella donna, era… era… poi il buio.
Quando si svegliò, mise a fuoco la stanza e subito delle fitte intense le attraversarono il corpo, ci mise un attimo a ricordare, ma poi… la realtà incombette su di lei come un falco sulla sua ignara preda e pianse calde, silenziose lacrime.
La pazza minuta e sadica, l’aveva appena privata della capacità di toccare qualsiasi cosa con una freddezza e precisione tale, da lasciarla senza fiato.
Si guardò in giro e non la vide più, anche se la musica permeava. Che se ne fosse andata, soddisfatta?
Poi… mentre la paura invadeva la sua anima, i suoi occhi incrociarono la figura della sua aguzzina comodamente seduta a godersi un buon libro. Doveva avere emesso un qualche suono rivelatore, perché subito la raggiunse e le sorrise. Le si gelarono anche le vene, se fosse stata mai possibile una cosa del genere. Quel sorriso era diabolico, freddo, calcolatore come la sua proprietaria e lei seppe che era ancora in pericolo. La pazza non aveva ancora finito con lei.
E così fu.
La donna prese un bisturi, si sporse sopra di lei e senza esitazione, le squarciò la pancia. Le sue urla si mischiarono a qualcosa di mai sentito prima, un pianto? Le mani insanguinate della pazza sollevarono qualcosa sopra il suo corpo. Cos’era? Con quel poco di lucidità che le era rimasta - mentre sentiva il sangue sgorgare copioso dal suo corpo, rendendola sempre più debole - mise a fuoco l’immagine.
Un bambino. Il suo bambino. Quella donna le aveva rubato suo figlio. Ma… ma questo era assurdo, lei non era incinta. Vero? Al momento non sapeva neanche come si chiamasse a dire il vero, ma se c’era una cosa di cui era sicura… era che non era in stato interessante, semplicemente perché era sterile. O no? A questo punto non sapeva più nulla.
Questa era la prova che stava sognando, vero? Vero? Vero?
 
«Ladra!» Urlò con le poche forze che aveva. «Metta giù quelle sue manacce da mio figlio!»
 
E la pazza, per la prima volta da quando quella tortura era iniziata, rise. Rise forte e a lungo. Suo figlio piangeva disperato, ancora sollevato sopra di lei come un trofeo e lei rideva. Suo figlio era bellissimo. Rosa, dalla pelle raggrinzita con degli strati bianchi attaccati al suo minuto corpicino, sporco di sangue con folti capelli neri. Suo figlio era vivo e lei stava per morire, se lo sentiva nel profondo. Le forze la stavano abbandonando velocemente, doveva avere qualche emorragia interna in corso.
Improvvisamente conscia della realtà, pianse tutte le sue lacrime. Quella donna l’aveva privata di tutto. Del suo bimbo, delle dita, della vita. Quella donna le aveva rubato tutto. Ora capiva. Nella sua pazzia, era stata lucida in quello che aveva fatto. Senza le mani integre, lei non avrebbe mai potuto stringere il suo piccolino a sé. Non l’avrebbe mai potuto toccare. E neanche vederlo crescere. Perché lei stava morendo e quella donna si stava allontanando con il suo bambino tra le braccia, mentre gli cantava una ninna nanna tranquillizzante e recuperava un biberon pieno di latte da non seppe bene dove.
 
«Brucia all’inferno schifosa assassinaaaaa! Ridammi mio figlioooooo!» Urlò disperata.
 
Era finita. Era sola. Nessuno sarebbe arrivato a salvarla, nessuno avrebbe ucciso quella donna e messo al sicuro il piccolo. Tutto stava diventando buio e lei non voleva più combattere. Si lasciò vincere dall’oscurità e il mondo davanti a sé, scomparve per sempre. Erano le 23.37.
 
 
                                                                                   
֎֎֎֎֎

 
«Scopetta perfetta, è la scopa elettrica per la tua casa che hai sempre sognato. Amica, cosa aspetti, chiama il numero in sovraimpressione e potrai averla a un prezzo ridotto, ma solo se sarai tra le prime cinquanta telefonate.»
 
Ma che cazzo…
 
«Aaaaaaaarghhhhhhhh!»
 
Clarissa lanciò un urlo potente, talmente forte che avrebbero sentito anche in mezzo a un cantiere in piena attività e balzò sul divano.
Che cazzo era successo, dove si trovava. D’istinto di guardò le mani e contò le dita… tutte, c’erano tutte e dieci. Rise come una scema da sola. Si tastò la pancia, piatta e integra. Nessun bambino in prossimo arrivo, nessuno squarcio. Pazzesco. Non riusciva proprio a capire come… eppure era così reale.
Si guardò cauta in giro. Il suo bilocale era tranquillo, nessuna piccoletta pazza in vista, la luce del giorno illuminava tutto l’ambiente e un tizio pelato in un brutto completo da matrimonio pubblicizzava una scopa elettrica.
Era stato solo un sogno… fiuuuu. Sì, ma che strizza.
Solo quando il suo sguardo si fermò sul tavolino davanti a lei, capì.
Prese il cellulare e mandò un messaggio al suo fidanzato.
 
«La prossima volta che te ne vai via per lavoro, per favore, controlla che non ci sia della peperonata in frigo. Sempre se non vuoi ritrovarmi stecchita per un colpo apoplettico. Ti amo, ma non cucinarmela più.»
 
Poi spense la tv e andò a farsi una lunga doccia calda. Il test di gravidanza con due linee rosa, in bella vista sul tavolino.
   
 
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