Fumetti/Cartoni americani > Transformers
Ricorda la storia  |       
Autore: _Cthylla_    09/10/2021    2 recensioni
|Contesto generale/vago sebbene si rifaccia a certi fumetti della IDW|
Il giovane e tendenzialmente ansioso mech di nome Odysseus incontra qualcuno infinitamente più disgraziato di quanto sia lui.
Dal testo:
''«Non farmi male…» fu tutto quel che disse l’altro.
«Te l’ho detto, non ti faccio niente» ribadì Odysseus, il quale iniziava ad avere il dubbio che quella povera creatura ormai fosse in grado di pronunciare solo quelle poche frasi che aveva sentito «N-non sarei in grado nemmeno volendo, in effetti… e non solo perché sei più grosso di me, amico».
«Amico» ripeté il mech arancione, e il modo in cui disse quella parola la fece suonare quanto di più alieno possibile «“Amico”… io non ho amici. Nessuno di quelli come me ne ha. Siamo… scarti. Disgustosi… inutili… le mie mani… le mie mani…»"
Genere: Dark, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Tarn
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Generation I, Transformers: Prime
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Specter Bros'- la serie'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
1

 
 
 
 
 
 
 
 
Munito di ciò che restava di un pezzo di grondaia arrugginito, alias quel che di più pericoloso era riuscito a trovare e ad afferrare al limitare di quella piccola discarica del suo quartiere di residenza, Odyesseus cercò di racimolare sufficiente coraggio per riuscire ad avventurarsi tra i rifiuti e soddisfare una malsana curiosità riguardo la quale il commento di un terrestre sarebbe potuto essere “Nomen omen”.
 
Non che lui sapesse cos’era la Terra o che l’Homo Sapiens avesse fatto la sua comparsa su di essa. Ciò non sarebbe accaduto che tra vari ed eventuali milioni di anni -così come una guerra civile tra cybertroniani che, nessuno lo sapeva, era ancora in là da venire; ma questi non erano che dettagli marginali.
 
“Primus nostro che sei nel cosmo…”
 
Ciò che contava per il giovane e mingherlino jetformer, che avrebbe potuto lasciare dei segni su quel pezzo di grondaia se solo avesse avuto forza sufficiente per riuscire a stringerla tanto, era scoprire cos’aveva visto quando era andato a gettare l’immondizia la sera prima… e uscirne vivo e possibilmente in salute.
 
“Sia santificato il Tuo nome…”
 
O comunque più in salute della volta in cui un mech più grosso di lui gli aveva fatto perdere a suon di botte una delle sue ottiche dorate: sarebbe stato già molto.
 
“Venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà…”
 
Tornare a casa malmesso era un’abitudine per lui -la periferia della città-Stato chiamata Tarn non era un posto per i deboli o per gli stupidi, e lui di certo era almeno una delle due cose- ma in quell’occasione era andata molto peggio del solito.
 
“Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori…”
 
Se non altro l’ottica persa era stata sostituita in fretta… e il donatore non proprio consenziente era stato lo stesso mech che l’aveva massacrato.
Pensare alla spietatezza mostrata da Scylla in quel frangente, sebbene fosse stata tutt’altro che gratuita e utilizzata per dargli una mano, lo fece rabbrividire leggermente. Odysseus amava e stimava le proprie sorelle ma ciò non cambiava il modo in cui si sentiva riguardo certe cose.
 
“E non ci indurre in tentazione ma Ti Prego Fammi Tornare A Casa Intero GRAZIE!” concluse, riuscendo a stento a soffocare uno strillo quando una robopantegana corse tra le sue gambe tremanti.
 
Dopo qualche istante di immobilità in cui si guardò attorno per verificare di essere solo, senza drogati o possibili rapinatori acquattati nell’ombra, continuò ad addentrarsi nella discarica. Nel mentre non poté evitare di tornare col pensiero alla sera prima, quando aveva visto rintanarsi in mezzo ai rifiuti un qualcosa di azzurro attaccato a un altro qualcosa abbastanza grosso.
Aveva pensato a un animale, qualcosa tipo una turbofox o un cybercane di considerevoli dimensioni, ragion per cui aveva portato con sé un paio di salsicce di cadmio che aveva comprato appositamente quel mattino stesso: magari sarebbe riuscito a farselo amico e portarlo nel capanno dietro casa, non sarebbe stata la prima volta. Capitava spesso che Odysseus desiderasse provare nei riguardi delle persone la stessa tranquillità che provava verso gli animali, non aveva problemi con loro… se non spuntavano di botto come la robopantegana di prima, ovviamente.
 
“Prima o poi riuscirò pure a convincere le mie sorelle a lasciarmene tenere uno!” pensò, seppur memore del fatto che tanto Scylla quanto Charybdis gli avessero intimato di piantarla di adottare animali randagi.
 
Passò vicino a un altro grosso cumulo di rifiuti e sentì di nuovo il rumore di qualcosa che si muoveva. Qualcosa di grosso.
Forse quello della sera prima non era un animale.
 
Si irrigidì nuovamente e tese il tubo davanti a sé, conscio di star sembrando decisamente patetico causa mani che tremavano come se avessero stretto un martello pneumatico invece di un pezzo di metallo immobile e arrugginito, ma non riusciva a evitarlo, temendo di venire assalito da un momento all’altro.
 
«N-non venire fuori! Ho un tubo!... Ho un tubo e non ho paura di usarlo, q-quindi… quindi resta dove sei!» aggiunse per buona misura, facendo saettare da una parte all’altra le ottiche di due colori diversi mentre si voltava a destra e sinistra con passi freneticamente impacciati «Resta dove sei per favor- EEEEEH!» gridò quando, dopo essere inciampato nei resti di un gabinetto, cadde miseramente proprio nel cumulo di rifiuti dal quale aveva sentito provenire il rumore.
 
E atterrò su qualcosa di caldo, vivo e di dimensioni superiori alle sue.
 
«AAAAAAAAAAH!» strillò, con sincero terrore.
 
«AAAAAAAAAAH!» strillò qualcuno vicino a lui.
 
La conferma della presenza di un’altra persona portò Odysseus a gridare di nuovo, ancora più forte e con un tono ancora più alto, e l’altro a rispondere esattamente nello stesso modo in una cacofonia di acuti che avrebbero fatto invidia ad Eucryphia -compositrice e cantante lirica ormai attempata ma di indubbio talento-.
 
Solo dopo un po’Odysseus riuscì a calmarsi quel tanto che bastava da notare l’azzurro di un terrorizzato sensore ottico azzurro a poca distanza da lui, esattamente lo stesso che aveva visto la sera prima.
 
«N-non farmi male!» lo supplicò il proprietario di suddetto sensore ottico, abbassando la testa e intrecciando le mani in una preghiera «Per favore per favore n-non farmi male ti… ti prego. Ti prego non farmi male io- io n-non do n-noia a nessuno, non farmi male-»
 
«Ma chi, io?» fu la risposta istintiva di Odysseus, che mai nella vita si era sentito dire certe cose e diede persino una rapida occhiata alle proprie spalle per vedere se magari l’altro mech si stesse rivolgendo a un’altra persona «Sei tu che mi hai spaventato a mor… te…»
 
Finalmente Odysseus riuscì a guardare bene la persona che gli stava davanti, e se fosse stato un umano sarebbe impallidito nel notare mani che non erano mani.
Quelle di un cybertroniano che aveva subìto l’empurata, alias senza palmo e con tre sole dita piuttosto appuntite, non potevano certo definirsi tali.
Dalle “mani”, lo sguardo di Odysseus passò alla testa -altro segno evidente di ciò che l’altro mech aveva subìto- e poi al corpo color arancio, tutto sporco e visibilmente ammaccato.
 
Il jetformer conosceva benissimo quel tipo di ammaccature: erano uno sgradito ornamento che gli capitava di indossare abitualmente… e non c’era da stupirsi che sul corpo del suo interlocutore ce ne fossero così tante. Odysseus finora non aveva mai visto dal vivo un transformer punito con l’empurata, aveva visto solo immagini e filmati, ma erano sufficienti per capire cos’aveva davanti: un pària, una persona che di solito veniva vista dalla società come feccia tra la feccia, privo di qualsiasi diritto diverso dalla vita -e anch’esso era questionabile, secondo alcuni.
Non paghi di mutilare i corpi dei propri simili, i Senatori avevano aggiunto a questo anche uno stigma sociale che rendeva la vita di quegli individui più infernale di quanto la menomazione lo rendesse di suo.
 
Si allontanò un po’ dall’altro mech che, di suo, non aveva ancora rialzato la testa né aveva disgiunto le mani. Odysseus notò che tremavano quanto e più delle sue.
 
Due pensieri attraversarono il suo processore: il primo riguardava la facilità con cui riusciva a immaginare almeno parte di ciò che quel disgraziato stava passando, mentre il secondo era una semplice considerazione, ovvero “Per quanto i transformers ridotti così possano ‘fare senso’, il Senato e noi che permettiamo a esso di fare cose del genere siamo infinitamente peggio”.
Peccato non poter fare alcunché a riguardo. Nessuno aveva l’intenzione o il coraggio, e lui, che più volte si era trovato terrorizzato dalla propria ombra, meno che mai.
 
Si rialzò con una certa cautela e con altrettanta cautela iniziò ad allontanarsi dai rifiuti e da quel povero disgraziato.
 
«Grazie» lo sentì mormorare «Grazie…»
 
Sulle prime il giovane jetformer non comprese neppure perché lo stesse ringraziando, poi realizzò: di sicuro era perché non lo aveva picchiato né insultato, contrariamente a quel che gli era accaduto in precedenza.
 
Distolse lo sguardo e fece qualche altro passo.
 
Un ringraziamento così sentito… solo per essere stato lasciato in pace in mezzo ai rifiuti. Odysseus non si considerava una cima ma sapeva che c’era qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto ciò. Anzi, era tutto tremendamente sbagliato.
 
A un certo punto non riuscì ad andare avanti. Non riuscì a evitare di pensare che lui, anche senza empurata, avrebbe potuto tranquillamente trovarsi al suo posto, uno scarto tra gli scarti. Era piuttosto sicuro che, privato dei genitori quando era una protoforma, senza le sue sorelle maggiori a mandare avanti l’attività di famiglia e a prendersi cura di lui sarebbe finito proprio in quel modo.
 
Lui per primo era un perdente nato, aveva già le proprie magagne e la cosa più intelligente da fare sarebbe stata fare finta di non aver visto niente, ignorare la miseria altrui -che non lo riguardava- e farsi gli affari propri sentendosi sollevato all’idea di avere ancora dei diritti, delle mani, una testa e una faccia normali; eppure non ci riusciva.
 
Forse il “non considerarsi una cima” era riduttivo rispetto alla sua reale stupidità… o così pensò prima di voltarsi nuovamente verso l’altro mech e dare fiato alla bocca.
 
«E-ehm. Ehi- no, no, tranquillo, non ti faccio niente» si sbrigò a dire, vedendo l’altro ritrarsi spaventato e alzare le “pinze” davanti al volto in una mossa di difesa patetica quanto inutile «È solo… sei ferito, giusto?»
 
“Che glielo domandi a fare, imbecille? Lo hai visto da solo!” si rimproverò. Faceva proprio schifo a relazionarsi con le persone.
 
«Non farmi male…» fu tutto quel che disse l’altro.
 
«Te l’ho detto, non ti faccio niente» ribadì Odysseus, il quale iniziava ad avere il dubbio che quella povera creatura ormai fosse in grado di pronunciare solo quelle poche frasi che aveva sentito «N-non sarei in grado nemmeno volendo, in effetti… e non solo perché sei più grosso di me, amico».
 
«Amico» ripeté il mech arancione, e il modo in cui disse quella parola la fece suonare quanto di più alieno possibile «“Amico”… io non ho amici. Nessuno di quelli come me ne ha. Siamo… scarti. Disgustosi… inutili… le mie mani… le mie mani…»
 
«Tornerebbero utili a me al posto di vari attrezzi, con il lavoro che faccio» disse Odysseus, senza pensare «Ehm. Ascolta, non è una buona idea restare qui. Potrebbe capitare brutta gente, io non ti voglio fare niente, ma loro… loro la pensano in un altro modo».
 
«Lo so» mormorò l’altro «M-ma non so dove altro andare. Non so neanche come sono arrivato da queste parti, non ricordo… l’unico ricordo davvero chiaro che ho è quando loro mi hanno…» mosse le pinze in un gesto convulso «E i primi giorni, quelli subito dopo. Il resto, quel che è successo in seguito e la mia vita prima del Senato, invece… solo frammenti… persone, cose…» emise un lamento «La mia testa…»
 
“Sei in brutte condizioni ma almeno capisci quel che dico e sei capace di mettere le parole in fila” pensò il jetformer, passandosi nervosamente una mano tra i “capelli” grigi. Dodici “tentacoli” mobili, forti e molto allungabili, l’unica cosa che condividesse con le proprie sorelle: peccato non sapesse usarli in modo utile, contrariamente a loro. «Avresti bisogno di un medico».
 
«Non ho shanix. E comunque… e comunque n-non… nessun medico perde tempo con quelli come me».
 
«Brushsling non è così stronzo. È il medico da cui vado io… o-ormai sono di casa. Già. Per gli shanix… sì, effettivamente per tutto quel che devi fare tu magari ce ne vogliono un altro po’rispetto a quelli che ho messo via, però… p-però magari in un paio di settimane riesco a raggiungere la cifra? Forse».
 
Per il poco che si poteva capire dal suo volto senza espressioni, alla paura del mech arancione si aggiunse la confusione. «Non capisco».
 
«Tu hai bisogno di un medico e io conosco un medico da cui farti andare, e tra poco avrò anche abbastanza shanix… penso. Nel frattempo penso di poterti far entrare nel capanno, le mie sorelle di solito non ci vanno mai, e dopo essere stato curato puoi andare… non so dove. Da qualche parte. I-io… voglio aiutare. Aiutarti. Ecco».
 
“Se Scylla e Charybdis scoprono la cosa mi staccano la testa” pensò Odysseus, ovviamente in senso figurato “Ma spero di no… spero in bene anche per stasera, Charybdis a quell’ora è già a letto e Scylla di solito torna più tardi…”
 
«No. No» disse il mech, scuotendo la testa «Tu non devi aiutarmi. Nessuno lo fa, nessuno lo deve fare-»
 
«Le persone non vengono punite se decidono di avere a che fare con quelle a cui è capitato… quel che è successo a te. Abbiamo il diritto di fare, o non fare, assolutamente tutto quel che vogliamo con voi».
 
Nel bene e nel male, ma non era necessario specificarlo: entrambi ne erano consapevoli.
 
Il povero disgraziato tra i rifiuti osò, in maniera esitante, sollevare il proprio sguardo per incontrare il suo, anche se solo per un attimo. «E tu… v-vuoi usare questo diritto per aiutare. Aiutare me».
 
«Sì».
 
«N-non… questo è… è una presa in giro. Vero?»
 
«Pff. Sono l’ultimo che può prendere in giro qualcuno, io. Una settimana fa ero in un vicolo e ferito più o meno come te. Questo posto non… diciamo che di solito non è l’ideale per le persone come me e te. Quelle che non si sanno difendere. Sai».
 
«Nessun posto è l’ideale per chi non si sa difendere».
 
«Sì. Già. Davvero, io voglio solo darti una man- ehm, aiutare. Se io quando fa buio torno qui e ti porto nel capanno, tu vieni con me? O no?»
 
Non era una proposta molto prudente, dopotutto non sapeva assolutamente niente di quel mech, neppure il suo nome; il suo Senso di Sfiga però suggeriva che stava tendendo una mano a qualcuno di innocuo e che quindi non stava portando vicino a casa propria uno spietato killer “legalizzato” che gestiva una prigione ricavando sentio metallico dai prigionieri dopo averli fatti entrare in una camera di fusione con l’illusione che fosse un sistema di teletrasporto, il tutto mentre beveva energon extra forte di ottima qualità da una bottiglia di vetro di pregevole fattura e ascoltava musica classica.
Chissà da dove saltavano fuori quelle fantasie, poi.
 
«Vuoi aiutarmi davvero» disse il mech sconosciuto, attonito «S-sei… sei convinto».
 
Il jetformer annuì, muovendo leggermente le sue ali blu. Lo faceva quando era teso, ossia quasi sempre. «Sì. Ehm… magari prima potresti dirmi la tua designazione? Io sono Odysseus».
 
Seguì un lungo momento di silenzio.
 
«Glitch. È il modo in cui hanno iniziato a chiamarmi, anche se… anche se non ricordo chi è che “mi chiama”. Né perché dovrebbero farlo…» sibilò di dolore e tornò nuovamente a massaggiarsi le tempie.
 
«Penso di avere anche degli antidolorifici a casa, stasera metto nel capanno anche un po’di quello. Se vieni».
 
Glitch, in un gesto forse poco conscio, dopo aver stretto convulsamente le pinze una all’altra iniziò a passarsi sul volto le “dita” della mano sinistra, arrivando a lasciare dei segni -o meglio, ad approfondire dei segni già presenti. Doveva essere un suo tic nervoso, ma dopo l’empurata era normale che un transformer potesse avere un rapporto conflittuale con la propria faccia, se poi di faccia si poteva parlare. «Tu non dovresti… non è il caso di essere gentile. Non qui… o da qualsiasi altra parte. Perché sei gentile con me?»
 
«Non mi capita spesso di riuscire a fare qualcosa di buono, se non nel mio lavoro, per cui… per cui stavolta voglio. E poi» Odysseus abbassò la voce «Io non so perché il Senato ha fatto questo proprio a te, ma so che lo fanno anche per motivi come aver disobbedito a uno dei loro ordini, per aver manifestato contro di loro, per il solo fatto di essere nati con capacità strane o semplicemente perché sì. E questa cosa» abbassò ancora la voce «Fa schifo, ok?! Schifo! Ecco».
 
Glitch sollevò nuovamente lo sguardo su di lui, poi lo riabbassò di nuovo altrettanto velocemente. «Cerca di non farti sentire mai. Non devi finire anche tu come me» fece una breve pausa di silenzio «Se… se tu non cambi idea e stasera torni, io… vengo con te. Sì. Mi troverai qui sotto i rifiuti. Grazie» disse «Grazie grazie grazie».
 
Odysseus si sforzò di sorridere e annuì.
Non avrebbe mai pensato di poter provare più pena di quanta ne provasse per se stesso.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
«Dobbiamo muoverci in fretta e con cautela, Glitch!...»
 
«M-ma sono due cose oppost-»
 
«Persone!» sibilò Odysseus nascondendo se stesso e il suo nuovo amico dietro un bidone.
 
Glitch aveva sobbalzato, probabilmente lo faceva sempre quando veniva toccato -l’aveva fatto anche quando Odysseus gli aveva detto di attaccarsi al suo braccio e lui, dopo avergli chiesto almeno cinque volte se ne fosse sicuro, gli aveva dato retta- ma quello non era il momento di prestare attenzione ai suoi traumi. Il tragitto dalla piccola discarica al capanno era breve, però gli sembrava lontanissimo, come sempre e specialmente di sera.
 
“Devo stare attento, stavolta se ci beccano non fanno male solo a me. E lui ne ha già passate abbastanza” pensò Odysseus, sporgendosi leggermente da dietro il cassonetto una volta che il gruppetto di persone li ebbe superati. «Via libera».
 
Quando fecero per rimettersi in marcia, tuttavia, Odysseus sentì qualcuno strattonare via Glitch.
 
«Cosa abbiamo qui?... Un senza-faccia?!»
 
Odysseus, terrorizzato, si voltò a guardare il mech sopraggiunto dietro di loro: non era tanto più grosso di Glitch ma era visibilmente più aggressivo e odorava di energon extra forte.
 
«Non farmi male!» esclamò il povero disgraziato color arancio, spaventato quanto e più di Odysseus «Ti pre-»
 
Il rumore di statiche che seguì il pugno dato a Glitch dal tizio fece capire subito che il viso di questi era stato sicuramente danneggiato. Stava succedendo precisamente quel che avevano cercato di evitare, e il tipo non sembrava aver voglia di fermarsi solo a un pugno in faccia.
 
Odysseus a quel punto fece una cosa decisamente rara per lui, alias afferrare il coperchio del bidone e abbatterlo sulla testa dell’ubriaco con tutta la forza che aveva. Risultato: il tizio, che aveva a malapena avvertito il colpo, gli diede un pugno allo stomaco abbastanza forte da far cedere le ginocchia e lo afferrò per il collo, ciò dopo aver lasciato cadere Glitch.
L’unica consolazione era aver almeno tentato di fare qualcosa, ma in quel momento, sinceramente, a Odysseus non sembrava granché.
 
«Uno di sfigato che ne difende un altro! Cosa cazzo siete, una coppietta?! Una coppietta fatta da schifo che si sbatte altro schifo, EH?!»
 
Un altro pugno allo stomaco.
Odysseus, piuttosto abituato, stimò che in teoria si sarebbe stufato dopo altri cinque o sei colpi: la sua esperienza suggeriva quello, almeno quando il picchiatore di turno era a quel livello di sbronza. Si augurò di non sbagliare.
 
Fu a quel punto che il mech ubriaco lanciò un grido di puro dolore e crollò sulle ginocchia appena prima di iniziare a rantolare e rimettere energon a tutto spiano. Nel rialzarsi velocemente, il jetformer notò che tanto le gambe quanto i fianchi stavano avendo una rapida serie di spasmi e che i piedi, nell’arco di millisecondi, non ne ebbero più, restando immobili come quelli di un transformer morto.
 
«La mia testa…» si lamentò il mech arancio, ancora a terra.
 
«Glitch! Stai bene?!» esclamò Odysseus, avvicinandosi all’altro «Dobbiamo andare via, non so cos’è successo ma non…»
 
«Sono “successo” io. Non camminerà mai più, se non morirà a forza di vomitare… ma spero di no» disse Glitch, con un tono ben diverso da quello usato nella discarica «Sarebbe troppa grazia rispetto a quello… che merita… Odyssesus-» si strinse la testa tra le mani dopo un altro lamento «P-potrei… potrei svenire, fa male-»
 
«Non puoi svenire, non ce la farei a portarti. Resisti un altro po’, ok? Dobbiamo arrivare al capanno, ti aiuto a rialzarti, va bene? Glitch!»
 
«Sì… ci sono. Ce la faccio… forse».
 
Abbandonata la cautela in favore di un passo veloce per quanto riuscivano ad andare, si rimisero in viaggio verso il capanno.
 
«Allora è per quello che ti hanno fatto quel che ti hanno fatto… giusto? Quella cosa di prima, i-il tizio ridotto in quel modo, tu…» abbassò la voce «Sei un outlier, vero?»
 
«Sì… m-ma la cosa non mi ha mai aiutato molto. La mia abilità fa male… fa tanto male…»
 
«Ho capito. Grazie, Glitch».
 
«C-come?!...»
 
«Grazie» ripeté Odysseus «Per avermi aiutato anche se sapevi che ti avrebbe fatto male».
 
«Tu… tu hai fatto lo stesso prima. Hai cercato di farlo smettere e l-le hai prese per colpa mia, e non dovevi. N-non eri tenuto. Io non potevo… ho fatto quel che dovevo».
 
«Potevi approfittarne per fuggire».
 
«Sono spazzatura ma non sono spazzatura ingrata, Odysseus».
 
«La tua voce è molto più profonda quando non sei spaventato o non sei troppo teso… ci faccio caso solo ora» commentò il jetformer, non sapendo bene cos’altro dire.
 
Dopo un breve borbottio, Glitch rimase in silenzio per il resto del viaggio.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
Entrati nel capanno e acceso un lumicino aranciato, i due mech si accasciarono a terra con un sospiro.
 
«Ho cercato di mettere su una cuccetta improvvisata lì. Ho lavato tutto quindi è pulita» disse Odysseus, indicando stancamente la cuccetta in questione «E ho messo delle coperte in più, a brevissimo le temperature si abbasseranno parecchio, quindi ne avrai bisogno. Per il bagno… in qualche modo faremo pure. Sì, come alloggio fa abbastanza schifo ma è sempre meglio che in mezzo ai rifiuti, e qui non ti tocca nessuno».
 
«Hai g-già fatto molto più di quel che dovevi… anche perché non “dovevi” proprio niente. Grazie. Grazie grazie».
 
Il jetformer sorrise. «Ringraziami quando riuscirò a farti curare».
 
«Ti ripagherò. In un modo o nell’altro lo farò, dovessi impiegare tutta la vita per racimolare gli shanix in qualche maniera» affermò Glitch.
 
«Tranquillo» disse Odysseus «Non-»
 
Con la coda dell’occhio intravide un’ombra tentacolata alla sua sinistra.
 
«AAAAAAAAAAH!» strillò, facendo cadere svariati attrezzi nell’allontanarsi, mentre Glitch -pur non capendo il motivo- strillava a sua volta.
 
Finirono ad attaccarsi uno all’altro, spaventati a morte per l’ennesima volta in quella gionata, e Odysseus strillò un’ultima volta… prima di capire che ad averlo spaventato non era stata nient’altro che la sua ombra, mista a quella di uno degli oggetti del capanno, e che quindi i tentacoli non erano altro che i suoi capelli.
 
«Oh ma perché cazzo devo fare sempre così?!» sbuffò Odysseus, sconfortato.
 
Strillò nuovamente quando la porta del capanno si aprì di scatto, e a stento notò che Glitch era andato a rifugiarsi dietro di lui.
 
«Non so perché ti sia messo a strillare» disse la voce femminile di una femme della quale, nel buio del capanno, si vedevano chiaramente solo le ottiche dorate e una massa di “capelli” come quella di Odysseus che si muoveva come se fosse stata fatta di razor snakes «Ma se hai portato qui un altro cybercane, ricordati che ti avevo già detto-»
 
La femme, notando che a fissarla non erano solo le ottiche dorata e verde del fratello ma anche quella azzurra di chissà chi, si interruppe e accese la luce del capanno.
 
Odysseus sentì Glitch tremare e stringere le dita attorno alle sue braccia come se si fosse trovato davanti un mostro, ed emettere suoni inconsulti nel tentativo di articolare parole che non uscivano.
 
Scylla, guardando i due mech sul pavimento, sollevò leggermente un sopracciglio.
 
«Ad aver immaginato che avresti iniziato ad accogliere mech randagi, ti avrei lasciato continuare coi cybercani».
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Allora… non so bene cosa dire se non che, per quanto questa fanfiction sia nata più che altro perché ho avuto voglia di far incontrare questi due poveri disgraziati, non altera assolutamente niente a livello di quel che ho già scritto di Damus/Glitch/Tarn e del suo passato nel resto delle mie storie. Le spiegazioni su come Glitch sia finito in un tempo che decisamente NON è il suo verranno più avanti, incluso il perché Scylla non abbia riconosciuto Glitch in “A light for the lost and the meek” e perché Tarn non abbia idea del fatto che Scylla abbia un fratello e una sorella.
Se riesco ad andare avanti, cosa che spero :’D
 
Grazie a chi ha letto e alla prossima!
_Cthylla_
 
Qui, ecco delle immagini di Odysseus, Scylla e Glitch. Charybdis si vedrà dopo. I disegni dei fratelli sono miei, quello di Glitch viene dai fumetti.
Volevo mettere direttamente le immagini, ma purtroppo non ci riesco xD





 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Transformers / Vai alla pagina dell'autore: _Cthylla_