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Autore: _Lightning_    10/10/2021    2 recensioni
Quando Phoenix Wright viene ucciso sulla soglia del suo ufficio, sembra che la sua carriera di avvocato difensore sia prematuramente giunta al termine.
Ma qualcuno lo richiama di colpo dell'oltretomba, scaraventandolo nell'ennesimo, folle caso in cui nulla è ciò che sembra, nemmeno i nemici e gli alleati. Maya e Phoenix si ritroveranno a indagare insieme un'ultima volta, in una corsa contro il tempo nel limbo tra vita e aldilà...
[post-T&T // pre-Apollo Justice // What If? // Thriller // Suspense // MultiShip]
Genere: Generale, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Godot, Maya Fey, Pearl Fey, Phoenix Wright, Shelly de Killer
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Giorno ??? Ore 23:00
Studio Legale Wright & co.



 

Bussare alla porta del suo stesso studio aveva un che di paradossale. Soprattutto se conciato in quel modo assurdo. Soprattutto considerando l’orario.

Soprattutto quando notò il vaso di fiori che era improvvisamente spuntato sul pianerottolo. Si fermò a guardarlo con una strana stretta al cuore – un misto di commozione e terribile disagio, perché in teoria lui, quel vaso, non avrebbe mai dovuto vederlo.

Tulipani... e girasoli. Almeno hanno scelto gli unici che so riconoscere.

C’erano anche alcuni altri fiori con tre petali arcuati, di un indaco acceso e screziato di giallo. Non aveva idea di cosa fossero, né chi li avesse scelti, ma d’istinto gli sembrarono appropriati. Erano tutti freschi, un altro dettaglio che gli annodò un groppo in gola. Distolse lo sguardo da quel piccolo memoriale e bussò, fin troppo piano. Avvertì come decuplicata la sensazione del compensato che impattava contro le nocche arrossate dal gelo.

Nessuno rispose. Phoenix si mosse irrequieto sul posto.

Forse Pearls si era sbagliata e Maya non era più lì. Era notte fonda, dopotutto: per spostarsi senza essere notato aveva dovuto aspettare che le strade si svuotassero. Aveva recuperato un telo abbastanza ampio da coprirlo alla rimessa delle barche, sul lago, e si era assicurato un paio di giornali ai piedi a mo’ di scarpe.

Almeno così sembro un clochard e non uno svitato... o al massimo un clochard svitato.

Bussò di nuovo, leggermente più forte. Stavolta, un tramestio ben distinguibile si udì dall’altro lato, come se qualcuno si fosse svegliato di soprassalto alzandosi di corsa.

Phoenix si irrigidì con un vuoto nei polmoni, preparandosi all’impatto per il quale, lo sapeva, non avrebbe mai potuto essere pronto. Dopotutto, la prima volta che lui aveva rivisto Mia, era svenuto sul colpo. Contava però sul fatto che le Fey fossero decisamente più abituate a eventi del genere.

La porta si spalancò con uno scatto e Maya apparve sulla soglia, con le vesti scomposte e lo chignon mezzo sciolto.

«Pearly!» esclamò, ancor prima di aprire del tutto la porta.

Il richiamo le morì sulle labbra, sostituito da un’espirazione secca, troncata, come se qualcuno le avesse sferrato un pugno nello stomaco. Indietreggiò d'un passo, pallida come un cencio, una mano che andò a coprirsi la bocca.

«Ehm... più o meno» tentò di sdrammatizzare Phoenix, portando un palmo alla nuca e abbozzando un sorrisetto goffo, del tutto sbagliato in quella circostanza.

La ragazza tremò. Lo fissava ancora a occhi sbarrati, paralizzata sul posto. Proprio come se avesse visto un fan–

Beh, come darle torto.

L’abbozzo di sorriso morì sul nascere nel vedere il velo lucido anche andò ad annacquarle le iridi scure.

Sembra così... adulta. O stanca. Quanto tempo è passato?

Phoenix si era aspettato da lei qualunque reazione sopra le righe: da uno svenimento, a un abbraccio euforico, a un rimprovero scherzoso tra le lacrime, a una battuta di pessimo gusto. Lei viveva in quel mondo paranormale da quando era bambina: a Kurain il confine tra il regno dei vivi e quello dei morti era labile e continuamente rimescolato dalle mani delle sacerdotesse Fey. Rivederlo non doveva essere poi così strano.

Invece, Maya si limitò a esalare un respiro flebile, quasi inudibile, che liberò infine un paio di lacrime lungo le sue guance. Phoenix si sentì sprofondare.

«Nick» mormorò soltanto, prima di avvicinarsi di un passo per abbracciarlo.

Non era l’abbraccio dirompente e spaccaossa che si era aspettato. Lo cinse con lentezza esitante, come se temesse di sentirlo svanire da un momento all’altro. Si aggrappò alle sue spalle, abbandonandosi di peso e costringendolo a sorreggerla. Era leggerissima.

Fu in quel momento che Phoenix prese davvero consapevolezza di cosa stesse accadendo. Del fatto che, chissà quanto tempo prima, lui era morto in quell’esatto punto. Forse era stata proprio Maya a trovarlo. A vedere il suo corpo, il sangue, la carta di De Killer, in un mattino qualunque uguale a tutti gli altri – non voleva pensarci.

E adesso era di nuovo lì. Solo uno spirito di passaggio in un corpo altrui, che si sarebbe dissolto presto. Perché sia Mia che Maya gliel’avevano ripetuto più volte: non si doveva abusare di quel dono; non si doveva assottigliare un confine che avrebbe sempre dovuto essere ben tangibile.

Non sapeva con che coraggio aveva potuto pensare che quella sarebbe stata una riunione felice e spensierata, condita dal loro solito umorismo pungente e infantile, da fratelli sempre pronti a stuzzicarsi.

Ricambiò l’abbraccio con la medesima esitazione e tutta la delicatezza di cui fu capace. Non seppe dare un nome alla sensazione che gli stringeva lo stomaco come un crampo molesto, facendogli pizzicare gli occhi… almeno finché il suo sguardo non si posò di nuovo sui girasoli e i tulipani – e gli iris, erano iris – disposti con cura all’interno del vaso blu. Li fissò da sopra la spalla di Maya, quasi inerte nella sua stretta.

Mi sento davvero in colpa... per essere morto?

Non ebbe il tempo di rimuginare su quel pensiero, perché Maya si staccò di colpo da lui, strofinandosi il naso e asciugandosi in fretta le lacrime. Mantenne i palmi sulle sue spalle e trasse un respiro enorme, prima di parlare:

«Pearl...»

«Mi ha evocato lei. Non so perché, ma ha detto... cioè, mi ha scritto di...»

«Aspetta. Entra, non puoi farti vedere qui... non puoi farti vedere e basta» disse lei rapida, con voce spenta, almeno finché un microscopico sorriso non le incrinò le labbra nel guardarlo, come se per un attimo si fosse voluta dimenticare di tutto ciò che era accaduto e stava accadendo per soffermarsi sul fatto che lui fosse lì.

Tipico di Maya, rispolverare quella forza d’animo anche nei momenti più dolorosi. Ricambiò esitante, sentendosi improvvisamente fuori posto – fuori mondo – ma il sorriso di Maya si affievolì subito, come spento da un respiro troppo forte.

Phoenix si lasciò guidare all’interno dell’ufficio per il polso, assecondando il gesto di Maya, che sembrava temere che potesse perdersi o svanire lungo quel brevissimo tratto. Si bloccò poco dopo la soglia, sopraffatto da un brutto senso di déjà-vu. Come quella sera, la stanza d’ingresso era illuminata unicamente dalla lampada da lettura sulla scrivania nell’altra stanza, creando ombre bluastre negli angoli più bui.

Maya accese la luce centrale, dissipando il ricordo dai suoi occhi. Phoenix batté le palpebre, scoprendo che tutto era rimasto immutato dall’ultima volta aveva messo piede lì. Si spostò come in sogno nell’ufficio, con Maya che continuava a tenergli un lembo del telo con cui si stava ancora coprendo.

Anche lì, niente era cambiato: i tomi di giurisprudenza torreggiavano come al solito nella libreria, il poster di quel vecchio film che piaceva a Mia era appeso alla parete e le foglie di Charley facevano capolino dietro la scrivania, verdi e brillanti – Maya e Pearl ne avevano avuto cura – e l’insegna dell’Hotel Gatewater brillava oltre le tapparelle. 

Mancava solo la polvere: tutto era tirato insolitamente a lucido.

Non credo di aver mai avuto una scrivania così pulita. Direi che è ironico, se non fosse tragico.

Trovò rapidamente l’unico dettaglio fuori posto: una busta trasparente per abiti appesa davanti alla finestra. Dentro vide il suo completo blu, con la cravatta rossa adagiata sulla stampella. Ebbe la spiacevole sensazione di stare guardando il suo vestito funebre.

Maya seguì il suo sguardo, irrigidendosi un poco.

«Se vuoi cambiarti...» cominciò titubante, adocchiando il completo, ma Phoenix scosse brusco la testa.

«Ho... avevo dei vestiti di ricambio, da qualche parte» aggiunse, accennando all’armadietto nell’angolo.

Maya quasi sobbalzò, abbassando il capo di lato con espressione mortificata.

«Oh. Oh, giusto. Scusa.» Inclinò un poco le spalle verso il basso. «Neanch’io voglio rivederti con quello addosso» aggiunse, più piano.

Siamo in due, credimi.

Phoenix si pentì della propria durezza, ma quello non era esattamente un argomento attorno al quale potesse aggirarsi in punta di piedi. E, al momento, avevano faccende più urgenti a cui pensare, decisamente più importanti della sua morte – anche se non sapeva ancora quali fossero, in effetti.

«Mi rendo... presentabile e poi facciamo il punto della situazione, d’accordo?» la riportò al presente, stringendole appena le braccia per riscuoterla «Non sarei io a doverlo dire, ma... sono abbastanza confuso» concluse, accennando alle proprie condizioni piuttosto... particolari.

È un miracolo se non mi hanno arrestato per offesa alla pubblica decenza. Neanch’io saprei tirarmi fuori da un’accusa del genere.

Maya esitò, fissandolo per un attimo da capo a piedi. Il primo, vero sorriso fece breccia sul suo volto, illuminandole un poco gli occhi di nuovo lucidi con una risatina sporcata dalle lacrime.

«Sei ridicolo» proferì abbracciandolo di nuovo, con più vigore rispetto a poco prima, in un modo che per un momento gli restituì la vera Maya. «Veramente ridicolo. Con questo telone addosso, poi, fai concorrenza al cappotto del detective Gumshoe.»

Oh, buon Dio.

«Grazie per avermi fatto immaginare Gumshoe con una tenuta da accolita addosso. È quasi più raccapricciante di Sbirrotto.»

«Ridicolo» ribadì lei, continuando a stringerlo come se non avesse alcuna intenzione di lasciarlo andare, adesso che era tornato.

Phoenix non si sottrasse: aveva già vissuto quella situazione, in un certo senso, e capiva quando Maya aveva bisogno di un appiglio, per quanto stavolta fosse solo temporaneo.

Mi sei mancata anche tu.

Forzò un sorriso, in qualche modo, consapevole che potesse vederlo – perché dopotutto aveva imparato a forzarne di più ampi nei momenti più bui. I suoi occhi, però, rimasero seri e appuntati sul suo completo ordinatamente appeso lì vicino, che incombeva su di loro come uno spettro bluastro. Sembrava irradiare tristezza, la stessa che sembrava aver inghiottito Maya. Strinse le labbra.

Maya… perché non mi hai chiamato prima?


 



 


 


Note dell'Autrice:
Cari Lettori, rieccomi qui con questa storia un po' folle!
Questo capitolo ha un tono un po' più sobrio, rispetto agli altri, ma spero non risulti troppo fuori luogo – anche se ho cercato di mantenere l'anima sardonica di Phoenix.
Se Maya vi sembra strana, è voluto, non allarmatevi ;) Ah, ci tengo a specificare che per me il loro è un rapporto puramente fraterno; ovviamente siete liberi di leggervi ciò che volete, ma diciamo che shippo Phoenix con "altre Fey" ahahah
Ringrazio di cuore
Cida e Sian per aver commentato gli scorsi capitoli ♥ E tutti coloro che seguono e leggono in silenzio!
La storia è praticamente stilata fino alla fine, ma nell'ultimo periodo ho avuto pochissimo tempo da dedicare alla scrittura, quindi potreste vedere degli aggiornamenti un po' più rarefatti... ma arriveranno, promesso!
A prestissimo,

-Light-

 







 

   
 
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