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Autore: _uccia_    10/10/2021    0 recensioni
Lui vive secondo un codice, il codice Vory. Nel mondo malavitoso russo esiste una gerarchia e delle tradizioni. Lei sarà lo strumento che lo farà ascendere al potere.
Lui è un sicario chiamato il Siberiano, lei una principessa della 'Ndrangheta italiana.
Quello che non sanno è che il loro destino è inesorabilmente intrecciato e che non avranno scrupolo a sfruttare la posizione l'un dell'altra per raggiungere la sommità della scalata al potere.
Perché più forte della loro ambizione, può essere solo il desiderio carnale e possessivo che pare bruciarli interamente.
Due personaggi che per quanto diversi si ritroveranno a dover lavorare di squadra, in un ambiente cupo e pericoloso diviso tra Stati Uniti, Honduras e la fredda Russia.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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                                                                                       ---------------VASILJ-----------------

La risposta russa alla mafia italiana si chiamava Vory V Zakone.
Ma le persone dell'est Europa preferivano non nominarne il nome direttamente, perciò fin dai tempi dell'Unione Sovietica optavano per un più generico termine: Organizacija .
A quei cari vecchi tempi andati, l'Organizacija consisteva in piccoli gruppi con basso grado di concezione gerarchica ma tutti erano versati a sabotare il regime comunista.
Migliaia finirono nei gulag ma anche da lì, l'Organizzazione dirigeva i fili di tutte le sue marionette in libertà, minacciando le famiglie dei secondini e ingaggiando sicari.
Con la Russia Post-sovietica le cose si fecero interessanti, si ebbe un salto di qualità.
Ciao ciao semplice ma glorioso traffico d'alcool e prostituzione e ben venuto controllo statale.
Tutte le attività illegali potevano essere fatte alla luce del sole, non c'era più paura o carcerazione coatta. L'intero sistema venne corrotto a tal punto che per l'Organizacija non bastava più l'est ma da quel momento guardò a ovest.
Stati Uniti e Europa furono i naturali obiettivi.
Molti dei malavitosi russi conducevano una doppia vita: una pubblica di uomini d'affari di successo con interessi nei campi più disparati e una nascosta da criminali.
Molti erano industriali, ma molto più spesso immobiliaristi e costruttori. Infatti il settore immobiliare era uno dei campi più redditizi e più vantaggiosi per quanto riguardava riciclaggio di denaro e truffe milionarie.
Vasilj era nato e cresciuto sotto questo antico regine autoritario, proveniva da una comunità siberiana di "criminali onesti". Per lui, le regole Vory della malavita organizzata erano legge.
Nessun impegno con la società.
Nessuna collaborazione con il potere statale.
Il sicario sarà il boia, a nessun'altro sarà permesso di compromettere la propria nobiltà.
Capacità di adattamento.
Abilità nel raccogliere informazioni.
Punizione dei traditori.
Lealtà al signore e capo Vor.
Crudeltà ed eroismo, se la paura sarà dimostrata l'uomo perderà i suo potere.
Ogni proprietà materiale appartiene al Vory V Zakone.
Più anni si passano in catene, più sarà glorioso il proprio posto all'interno del Vory V Zakone.
 
Ricordava bene il giorno in cui dovette lasciare il suo piccolo paese della Siberia.
Fu caricato in una camionetta logora, incrostata di fango congelato e puzzolente, insieme ad altri ragazzi della sua età in una gelida mattina.
Aveva undici o forse dodici anni e suo nonno, capo clan, dovette cederlo all'Organizacija per iniziare il suo obbligatorio periodo in catene.
Quando l'Organizacija chiamava alle armi, tutti i capi dovevano rispondere inviando quanti più uomini e se non ne avevano... fornivano reclute.
Quando dieci anni dopo aveva fatto ritorno nella sua terra desolata del nord, non era più il bambino spaventato che era. Ne tornò da uomo, con cicatrici e tatuaggi che ne dimostravano i crimini commessi.
Aveva perso anni, innocenza e pezzi di anima per la Vory V Zakone russa.
Lo avevano segnato e spezzato. Promise sulla tomba di suo nonno che non avrebbe dimenticato ciò che aveva dovuto sopportare e vendette al diavolo il piccolo pezzo di sé stesso che aveva ancora conservato, solo per giurare col sangue che avrebbe reclamato ciò che poteva essere suo.
Nelle vene gli scorreva il sangue di capo Vor. Forse aveva davvero speranza di farcela nella scalata che si prefissava di fare.

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Vasilj si guardò allo specchio e con un respiro profondo andò a calmare i nervi tesi di tutto il corpo. Batté le nocche fasciate strette da grezze bende bianche e fece roteare le spalle.
Non poteva essere in una forma migliore ed era più pronto che mai.
Tutto il suo corpo aveva sopportato anni di calvario fisico per raggiungere la perfezione, la sua dieta e la preparazione fisica lo avevano portato a una corporatura asciutta con pelle tirata su muscoli definiti da boxer professionista e minima percentuale di grasso.
I pettorali scolpiti nel marmo erano stati marchiati dall'inchiostro quando otto anni prima, all'età di ventidue anni, aveva giurato fedeltà all'Organizacija.
Un immenso crocefisso con nostro signore Gesù Cristo era stato raffigurato per sempre sulla sua pelle, le mani inchiodate sulla croce si aprivano come ali da spalla a spalla.
Un tatuaggio in bianco e nero che significava molto di più della fede in cui credeva. Faceva parte di una serie di marchi che lo ricoprivano pesantemente in tutto il corpo ed era stato proprio un tatuatore ufficiale della malavita russa a farglieli.
Tutti rigorosamente senza l'utilizzo di colori al di fuori del bianco e il nero.
Ai piedi della croce, all'altezza dello stomaco, erano raffigurati due angeli in ginocchio.
Sopra all'inguine, che facevano capolino proprio dall'elastico dei pantaloncini elasticizzati Nike neri, c'erano due ramoscelli di alloro.
Altre due croci stilizzate erano state tatuate in corrispondenza delle ginocchia, sul dorso della mano destra aveva una pistola e su quella sinistra una rosa.
Sulle dita, in corrispondenza di ogni falange, erano stati tatuati simboli di guerra come spade incrociate, stemmi, numeri e ossa.
Sull'avambraccio sinistro, tra il gomito e il polso, c'era una corona da Re impreziosita da pietre sfaccettate. Sull'avambraccio destro aveva elencati decine di nomi maschili scritti in cirillico.
Sui polpacci e sulle cosce aveva innumerevoli teschi, fiori, lettere, ali, visi di donna in stile vecchia scuola.
Sulla schiena a caratteri enormi, erano elencate le dieci regole fondamentali. Le dieci leggi inviolabili che aveva dovuto ripetere ad alta voce durante quella maledetta notte in cui aveva giurato.
Sotto alle scritte fra le scapole si avvolgeva, in altrettante dieci spire, un serpente con la bocca spalancata e i denti aguzzi protratti in avanti.
Ogni signore malavitoso Vor aveva tatuaggi diversi, ognuno personalizzava la sua pelle come fosse una carta di identità, ma quel serpente e quelle leggi sulla schiena ce li avevano solo i sicari poiché solo loro dovevano esserne i diretti esecutori.
Ora che Vasilj si concentrava davanti allo specchio, scalzo e vestito solo con i pantaloncini, poteva contare ogni singolo tatuaggio e ripensare ad ogni fottuta morte che aveva imposto per ordine di grassi uomini ricchi.
Le sue ambizioni andavano ben oltre dell'essere un sicario, doveva solo trovare l'occasione adatta. Rimandava da troppo tempo.
Poteva letteralmente sentire l'energia ronzare attraverso ogni fibra del suo essere, mentre saltellava prima su un piede e poi sull'altro.
"Lo ucciderai". Ivan sorrise dietro di lui. Il suo accento era totalmente differente da quello di Vasilj , forse moldavo o ucraino.
Vasilj questo non poteva giurarlo, non aveva mai chiesto a Ivan del suo passato da ragazzino libero.
 "Ma stà attento, ho sentito dire che l'incontro di sta sera è truccato", stava dicendo.
Vasilj gli rivolse un'occhiataccia dal riflesso dello specchio. "Lo dicono ogni volta".
Ivan si strinse nelle spalle e si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni del completo nero. "Sta volta è diverso, credo che dicano la verità. Andrai a combattere contro Dorian, il figlio di un Vor. E' un pezzo grosso, questa sera deve farsi vedere invincibile e non te la darà vinta".
"Sono quì per questo", gli rispose Vasilj non smettendo di saltellare sul posto. "Prima o poi doveva succedere, devo vedermela per forza con Dorian. Mi danno un'occasione unica, posso fargli saltare i denti senza per forza trovare una scusa".
Ivan annuì  per tranquillizzarlo ma si poteva capire dalla sua espressione corrucciata che ci stava ancora pensando.
Si grattò distrattamente la lacrima tatuata sotto all'occhio destro prima di ritentare:
"Aspettati ogni sorta di colpo basso, non badare all'arbitro. Non farà niente che impedisca a Dorian di farti sanguinare violentemente. Io sarò all'angolo del ring che cercherò di impedire di farti uccidere, ti avviso Vasilj che getterò la spugna se lo riterrò opportuno".
Vasilj finalmente si voltò in sua direzione, smise di saltellare e, a gambe divaricate in una posa statica, stette a guardarlo. "Non farlo. Questa sera saranno presenti alte cariche dell'Organizacija, se mi dimostrerò all'altezza potrò incontrarli e salire di livello. Potrò lasciare New York e tornare in patria, ho abbastanza uomini dalla mia parte e abbastanza rabbia da riuscire a entrare nei circoli che contano!".
Ivan scosse la testa desolato. "Se anche vincessi l'incontro, credi che il padre di Dorian ti lascerà andare? Siamo sul suo libro paga e quando avrai aperto in due il suo pupillo non credo che ti stringerà la mano".
Vasilj non avrebbe potuto fermarsi nemmeno se avesse voluto. Per come la vedeva, gli ultimi anni avevano portato a quell'incontro inesorabilmente.
Quando dalle palle di un boss schizzava un figlio legittimo, non si poteva certamente ignorarlo. Ne andava dell'onore dell'intera famiglia, il bambino doveva seguire il business e Dorian ne era pienamente coinvolto.
Quell'aborto a lungo termine, senza avere un minimo senso di praticità, si presentava quella sera alla platea come prossimo padrone di uno dei rioni più grandi di San Pietroburgo.
Per Vasilj invece sarebbe stata la scusa per far vedere quanta gente era dalla sua parte, quanta gente lo avrebbe seguito e quanti lo ritenevano un capo.
Alle sue spalle non c'era alcuna raccomandazione, solo un doloroso passato.
Si era fatto un nome nella strada e una reputazione autentica.
"Ho sentito dire che l' Organizacija si stà indebolendo", buttò lì senza pensarci troppo. "La capitale si stà rivoltando, i ragazzini delle piazze di spaccio stanno prendendo il sopravvento e si ribellano per via della scarsa qualità della coca che ricevono. Non riescono più a piazzarla".
Ivan accolse la notizia con espressione neutra. "E con ciò?".
Vasilj si controllò le fasciature alle mani facendo le spallucce."Dico solo, che questo può significare che la guerra tra trafficanti in Honduras stà prendendo piede più velocemente del previsto. Il fornitore dell'Organizacija stà perdendo qualità nella merce e ai vertici questo non piace. Le alleanze cominciano a farsi precarie. San Pietroburgo, Mosca, Ekaterinburg,... cominciano a litigare sugli approvvigionamenti".
"Ti sei tenuto informato, vedo". Ivan non si lasciava trasportare dai giochi di potere, non gli era mai interessato nulla che non si potesse trovare in mezzo alle gambe di una donna o sul fondo di un bicchiere.
Come sicario, il suo stipendio e la sua fama gli aprivano molte porte di bische, bordelli e bar. Ivan era sempre stato un soldato e contrariamente di Vasilj, a lui questo piaceva molto.
"Se riesco a farmi notare, ho l'autentica occasione di farmi assegnare il controllo delle piazze in una delle maggiori città di Russia. Hai sentito cosa diceva la gente l'altro giorno? I grandi capi sono quì sta sera per vedermi!"
Vasilj indossò l'accappatoio tirando il cappuccio fin sopra alla testa rasata, nascondendo il volto.
Ivan sospirò ma non aggiunse altro, non insisteva mai oltre il necessario. Faceva parte di lui, Ivan il gregario. Ivan il compagno di scazzottate, frustate, bevute.
Di sangue.
Perciò Ivan non fece altro che tenere aperta la porta degli spogliatoi mentre Vasilj usciva. "Sono dalla tua parte, testa di cazzo di un Siberiano. Lo sono dai tempi del carcere e ancora mi domando il perché!".
Il ritmo di musica pompava forte dagli alto parlanti, la palestra era gremita di uomini di ogni età e stato sociale.
Il fumo di sigaro fluttuava in alto sulle luci al neon, le urla della folla sovrastavano le piazzate dei scommettitori al tavolo addossato su un lato del Ring.
La box era incentrata sulla postura e sebbene il pubblico non potesse ancora vederne il volto, Vasilj era determinato a dar loro lo spettacolo per cui erano venuti.
L'avversario era già al centro del Ring, gonfiava il petto e contraeva i bicipiti in una esibizione che doveva essere intimidatoria.
Vasilj lo aveva già visto combattere in passato, il che gli dava un vantaggio visto che Dorian non aveva mai visto combattere lui.
Il coglione figlio di papà non proveniva da anni di violenta educazione corporale, non aveva conosciuto la privazione dei più elementari generi di prima necessità come punizione se non abbatteva il nemico.
Dorian aveva stile però, era piuttosto bravo nel menare pugni alla vecchia maniera della strada. Era allenato e non avrebbe disdegnato colpi fallosi.
Il suo punto debole era l'arroganza, lasciava che il suo temperamento avesse la meglio su di lui.
Glielo si vedeva scritto in faccia, pensava di potercela fare.
Chissà quante ore si era spaccato di pesi preparandosi solo per quella sera.
Entrambi gli sfidanti erano coetanei, lui e Dorian avevano una differenza di età di un anno.
Vasilj trenta e Dorian ventinove, quella sera la differenza di età non avrebbe favorito nessun pretendente.
La musica si ferma e l'arbitro inizia il suo discorso, l'intera folla esplode in esuberanti applausi infondendo nell'atmosfera un'energia selvaggia.
Il fetore di sudore stantio permea l'aria, insieme al calore dei troppi corpi stipati.
Eccolo, il momento per cui un uomo potrebbe vivere e morire.
L'ovazione, l'adrenalina... roba da fare rizzare il cazzo e prudere le mani.
Vasilj ricominciò a saltellare sul posto, impaziente di cominciare mentre l'arbitro presentava il primo sfidante:
"Viene direttamente da San Pietroburgo... è alto un metro e ottanta, pesa sessantotto chilogrammi... Dorian Kozlov, detto 'il Gancio'".
L'idiota agitò i pugni e cominciò a girare in cerchio per aizzare la folla, mentre tutto in torno il pubblico rispondeva con incitamenti e altre urla incomprensibili.
"Viene dall'estremo nord, è conosciuto per essere il lupo dell'Organizacija...è alto un metro e ottantacinque per un peso di settantacinque chilogrammi... Vasilj Volkov, detto 'il Siberiano'".
Come previsto sembrò che l'intera dannata palestra venisse giù, il pubblico comincio battere i piedi a terra e la mano sul petto a ripetizione mentre emettevano quasi in coro il verso UH-UH profondo. Come degli hooligans allo stadio durante la partita di calcio della loro squadra.
Una volta che l'accappatoio venne tolto e che il tatuaggio delle dieci leggi con serpente annesso venne ben illuminato alla luce dei paletti al neon, fu subito chiaro che tutta quella gente era venuta solo per vedere un sicario in azione.
Per Dorian quell'incontro valeva tutto, se fosse riuscito ad abbattere un vero sicario avrebbe potuto conquistarsi la gloria che tanto ambiva. Nessuno avrebbe mai messo in dubbio la sua ferocia, si avrebbe parlato di lui con rispetto e si sarebbe conquistato un primo passo in avanti nella gerarchia per diventare un Vor.
La fama come anche l'onore erano cose fondamentali per la scalata al potere e sentiva tutto il peso dell'impresa che doveva affrontare proprio alla bocca dello stomaco.
Percependo in quel momento tutta la sua apprensione, Vasilj gli rivolse un sorrisetto di scherno.
"Qual è il problema? Hai paura?".
Dorian serrò la mascella con i bicipiti che tornarono a contrarsi, il suo sguardo vagò tra la folla in modo febbrile prima di fermarsi sul gruppo di tre uomini di mezza età seduti sulle seggiole in prima fila.
Dal lato opposto dei scommettitori, curvati a parlare l'un con l'altro senza prestare troppa attenzione allo scambio di battute sopra di loro, sedevano alcuni dei Vor più temuti.
Tra il gruppo in camicie nere sbottonate sul collo quello che valeva di meno era il padre di Dorian, il boss Kozlov.
Era dalle sue piazze che si doveva partire per far carriera, gestiva i vicoli di San Pietroburgo periferia. Dominava dall'attico di un casermone condominiale abitato interamente da famigliari di vario grado.
Praticamente era sempre circondato da consanguinei a fargli da guardia e il fatto che si fosse scomodato fino a New York solo per dare al figlio una possibilità di visibilità la diceva lunga sulle ambizioni che il padre riversava nel giovane rampollo.
Vasilj questo lo sapeva perché, come facente parte delle guardie di Kozlov, era stato obbligato a prendere un aereo e partecipare al match.
Gli altri due boss erano abituali pendolari tra Russia e Stati Uniti, la loro ragnatela di affari li costringeva a rimbalzare da un continente all'altro più volte durante l'anno ma nell'ultimo periodo si erano molto interessati alla nuova area portuale della metropoli ed era per quel motivo che quasi casualmente tre membri del Vory si trovavano tutti nella stessa città.
Era un evento così raro vederne più di due insieme che sembrava di assistere a un allineamento di pianeti.
La campanella di inizio incontro colse Dorian alla sprovvista, ma Vasilj era già su di lui con un balzo portentoso. Gli sferrò subito un primo gancio destro, giusto per dare il via alle danze stabilendo chi comandava.
Quando l'idiota piegò la testa, era stordito da morire e la folla rise a crepapelle.
"Andiamo", sbottò in quel momento il Siberiano. "Concentrati su di me, lascia perdere tuo padre. Ti darà il bacino su dove ti fa più male a fine incontro!".
"Stà zitto, pezzo di merda!" fu il ringhio di Dorian in risposta.
Non c'erano round stabiliti, sarebbero andati avanti fin quando qualcuno non fosse stato messo k.o.
Una regola rimaneva in vigore per tutto l'incontro: non colpire le parti intime. Che branco di femminucce.
Senza ulteriori esitazioni, Dorian gli si avvicinò e si lasciò andare a una serie di combinazioni tra ganci e pedate alla cintola
Vasilj bloccò e schivò ciascuna di esse e questo fece incazzare il suo avversario ancora di più sottoponendolo a un inutile speco di fiato.
Aveva un buon gioco di gambe per essere il classico bullo di quartiere ma era davvero troppo emotivo. Per essere un combattente si doveva essere centrati e in equilibrio, ogni respiro e scatto ben controllato. Uccidere spesso richiedeva una maratona, non uno sprint.
Quando finalmente Dorian si decise a crollargli addosso cercando di afferrarlo per la testa, nel tentativo di trovare un momento di pausa dal suo sfogo, Vasilj ne approfittò con un gancio sinistro e un basso calcio destro.
Un respiro sibilante sfuggì dai polmoni di Dorian, quando il tallone del Siberiano si collegò al suo stinco. Il volto gli si deformò in una maschera di furia.
In mezzo al frastuono tutto intorno a loro, Vasilj riuscì a distinguere la voce del suo compagno d'armi Ivan provenire dall'angolo del Ring.
Ivan era salito sulle corde e con l'asciugamano in spalla si sbracciava e sgolava nel dirgli qualcosa:
"Il pugno.....! Tira..... pugno!"
Vasilj non ebbe modo di capire abbastanza in fretta cosa quelle parole volessero dire ma ne ebbe subito la spiegazione. Quando si voltò verso Dorian, schivò in un repentino scatto riflesso un devastante gancio destro armato da una anelliera in acciaio cromato.
Il pugno gli era passato talmente tanto vicino alla bocca che un pezzetto di labbro inferiore se ne volò via da qualche parte.
Il mento di Vasilj si inondò presto di sangue scarlatto.
La folla si lasciò andare in un delirante ruggito per poi ricominciare con il battito di mani al petto e il coro di UH-UH-UH.
I Vor, ai piedi del Ring, risero e batterono le mani compiaciuti dallo spettacolo.
L'arbitro era andato a farsi fottere fuori dalla visuale di Vasilj, non che si aspettasse l'interruzione del match per illecito utilizzo di arma.
"Non parli più Lupo?", lo sbeffeggiò Dorian tra una ansimata e l'altra.
Il coglione non ne aveva più, il fiato gli era corto. Voleva concluderla al più presto.
Vasilj raccolse il grumo di sangue e saliva che aveva in bocca e sputò a terra rabbiosamente. Gonfiò il petto, fece schioccare la schiena raddrizzando ogni vertebra... fece un respiro profondo.
Ivan dall'angolo ululò completamente su di giri. Si protese verso l'alto,sopra le corde e cominciò a battersi il petto incitandolo gorillescamente con UH-UH-UH.
Fu una sorta di segnale per il Siberiano che costrinse tutte le sue percezioni su Dorian davanti a lui. Non sentiva niente, non capiva niente.
Aveva osato versare il suo sangue.
Prima caricò un destro che venne parato, poi mandò a segnò un sinistro dritto all'altezza dello stomaco di Dorian che ebbe un sussulto e perse ogni traccia di colore dal volto.
Vasilj gli sferrò un implacabile pedata alla pancia che lo fece piegare in avanti e fu in quel momento che caricò la sua rabbia nel destro dritto alla testa ad altezza tempia.
Dorian detto 'il Gancio', stramazzò a terra in un attacco epilettico. Braccia e gambe che tremavano convulse in angolazioni innaturali.
Knockout, fine dell'incontro.
Era durato quanto? Quindici minuti?
Suo padre salì sul Ring insieme ad altri uomini a prestare soccorso mentre Vasilj veniva raggiunto e portato via da Ivan.
Con l'asciugamano datogli dall'amico si tamponò il labbro inferiore squarciato, già lo poteva sentire mentre tra una pulsazione e l'altra si gonfiava e prendeva una sfumatura sempre più intensa di viola e nero.
"Torniamo in spogliatoio prima che Kozlov decida di spararti proprio quì davanti a tutti", stava dicendo Ivan attraversando il pubblico in festa che si apriva come il Mar Rosso al loro passaggio.
Per quanto la folla apparisse bramosa di farlo, non una pacca di congratulazioni gli piovve sulle spalle e la schiena sudata. Nessuno osò toccare direttamente i due uomini mentre passavano, era normale così. Non andavano toccati.
Vasilj aveva già la mente oltre.
Prima di rientrare in spogliatoio si voltò verso il lato del Ring più lontano dalla confusione.
I restanti due Vor dell'Organizacija lo stavano osservando avidamente.
 
-----

Quando la mattina dopo il match, Vasilj venne convocato nella stanza d'hotel dove momentaneamente risiedeva Kozlov, per lui non fu niente di scioccante.
Due energumeni dai corpi di scimmioni e musi schiacciati da carlino, lo accompagnarono nella stanza del boss, prima di uscire chiudendosi la porta alle spalle.
Era prevedibilmente comprensibile che il padre cercasse di riscattare la virilità del figlio con minacce e riduzione della paga.
Forse Vasilj si aspettava un paio di taglietti in gola e addirittura un proiettile in una gamba ma decisamente non un ingaggio:
"Oggi ho un lavoro da sbrigare", aveva iniziato Kozlov guardando fuori dalla finestra il frenetico traffico della città a una decina di piani più in basso. Scostò il pesante tendaggio damascato.
"A Manhattan, è previsto che un auto blindata trasferisca d'urgenza Vittoria De Stefano a casa del padre a Boston".
"Volete mandare un messaggio?". Si azzardò a chiedere Vasilj, nessuna morbosità, solo raccolta di dati importanti per la portata a termine dell'ingaggio. La ragazza, figlia i un mafioso, andava rapita o uccisa? Quale condanna le sarebbe toccata per essere anche lei schizzata fuori dalle palle del padre?.
"Quei finocchi di Italiani non si devono permettere di entrare negli affari immobiliari russi. De Stefano si stà ripulendo i guadagni comprandosi attività di ogni genere dalle parti di Brownsville. L'Organizacija ordina che la ragazza sia rapita, portata fuori da sguardi indiscreti e fatta sparire. Il padre sà che stiamo arrivando, è abbastanza furbo da immaginarlo per lo meno".
Si voltò verso di lui, improvvisamente molto interessato alla reazione del Siberiano. "Ho fatto il tuo nome, credo che questo genere di lavori richiedenti rapidità e efficienza nell'eliminare le prove entrino comodamente nelle capacità di un sicario. Dico bene?".
Vasilj unì le mani dietro la schiena, alzò il mento in atteggiamento fiero, le orecchie sturate e pronte all'ascolto: "Per quando vuole che sia fatto?".
"Per circa le cinque di stasera, arriveranno a prenderla sotto il palazzo del suo appartamento".
Vasilj si prese un attimo per pensare. "Sarà proprio in orario di punta, troppa gente...".
Kozlov lo interruppe agitando la manona abbellita da ricchi anelli in oro giallo: "Prenderai una delle due Denali nere in garage e verranno con te anche i ragazzi".
Vasilj lanciò una rapida occhiata alle sue spalle, verso la porta che Pinco-Panco e Panco-Pinco sorvegliavano ottusamente da fuori.
"Con tutto il rispetto, l'ingaggio è mio e io voglio i miei uomini".
Kozlov si appoggiò allo scrittoio addossato al muro, incrociò caviglie e braccia. "Portati con te Ivan e un altro che vuoi, ma saranno i miei ragazzi ad affiancarti. Non voglio errori, non lascerò nulla al caso e loro ti terranno d'occhio".

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Alla fine, a prendere la signorina Vittoria De Stefano, si presentarono in cinque alla guida di due affidabili Suv.
Vasilj era seduto sul sedile del passeggero anteriore, nella Denali nera di Kozlov, in compagnia dei sue due accompagnatori senza cervello. Erano le cinque e venti minuti del pomeriggio e i tre attendevano all'imbocco della Quinta Strada di Manhattan.
Si era fatto rapidamente buio, in quel periodo dell'anno al riparo dei grattaceli, il sole calava presto in una delle più famose vie del centro.
Il parco era solo in fondo alla via e le luci dei negozi sfavillavano di vita nel bel mezzo della frenesia da shopping.
I marciapiedi pullulavano di gente con borsoni e cappotti firmati, i semafori scattavano con odiosi cicalini per gli attraversamenti pedonali e la sfilata di automobili si stava facendo sempre più densa.
"Stanno uscendo, porta sul retro dell'edificio", avvertì Vasilj alla radio agganciata alla propria pettorina anti proiettile.
Vittoria De Stefano venne fatta accomodare sul retro del secondo Suv, con lei sui sedili anteriori c'erano due uomini vestiti in maniera informale. Giacche paravento e cappellini con frontini.
"Bel telaio", commentò con una sghignazzata Pinco-Panco accanto a lui, alla guida.
Chiaramente non si riferiva al Suv.
La De Stefano era un bella giovane donna e insolitamente alta per la media delle femmine. In proporzione ai suoi accompagnatori non deludeva le aspettative di fisicità che ci si potrebbe aspettare da una principessa della 'Ndrangheta.
Dalla camicetta aderente si riusciva a dedurre la gonfia dimensione dei seni e la stretta circonferenza della vita. Nonostante portasse lunghi pantaloni larghi a vita alta, accostati ai tacchi a spillo, sembrava che avesse un paio di gambe che non finivano più.
Rispecchiava quello che il mondo chiamava bellezza Mediterranea, folti capelli scuri raccolti in un chignon e pelle abbronzata.
"Magari ci facciamo un giro su di lei prima di farla fuori", ridacchiò Panco-Pinco dai sedili dietro.
Vasilj a malapena li ascoltava, piuttosto si apprestò ad avvertire rapidamente Ivan in attesa dall'altra parte della radio.
"Sono partiti, dovresti vederli passare tra quindici minuti. Li seguiamo a qualche auto di distanza, state pronti!".
Con ciò, diede un paio di pacche al cruscotto per esortare l'idiota al volate a partire.
Ivan era scortato all'imbocco della superstrada verso Boston, da un ragazzo di nome Nicolaj. Un Boevik che Vasilj aveva imparato a rispettare. In quanto soldato semplice, Nicolaj vedeva nelle figure di sicario di Vasilj e Ivan dei punti di riferimento.
Era un buon combattente e un fedele alle leggi Vory, si doveva solo dargli tempo. Era uscito dal carcere solo da sei mesi, doveva ancora farsi lo stomaco per le sparatorie di strada e gli inseguimenti.
Fin che si mantenevano in scia degli italiani, Panco-Pinco ci tenette a precisare all'orecchio del Siberiano: "La ragazza, verrà con noi. La terrò io, quì dietro. Ivan e il Boevik potranno ritirarsi e tornare al punto di ritrovo".
Vasilj si voltò con uno scatto. "Non era questo il piano".
"Il piano è cambiato, ordine diretto da Vor Kozlov. Vatti a lamentare da lui!"
Non prometteva niente di buono.
Era forse questa la punizione per aver colpito brutalmente il figlio di un Vor?
Stava per succedere qualcosa e Vasilj non era stato informato.
Avevano ormai raggiunto l'imbocco della superstrada, il luogo dell'agguato.
I Suv degli italiani rallentarono e si apprestarono a immettersi nella colonna di auto del casello.
Era giunto il momento e a Vasilj non era stato dato il tempo per riflettere, su ciò che potevano avere in mente i suoi due accompagnatori e quel maiale di Kozlov.
Così, quando con un stridore di pneumatici e un rombo di motore la Denali guidata da Ivan irruppe nella visuale provenienti da destra in direzione secondo Suv italiano. Lo schianto che ne risultò impattando sul fianco del mezzo, provocò l'orribile sensazione in Vasilj che stesse sbagliando ogni cosa.
 
  
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