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Autore: avalon9    10/10/2021    1 recensioni
“Perché non mi sono innamorato di te?” le chiede Ryou, il respiro ancora un po’ affannato e un languore morbido nel corpo.
“Perché non avrebbe funzionato” scrolla appena le spalle Zakuro, mentre si rigira nel lenzuolo al suo fianco, le loro gambe a intrecciarsi. “Lo sappiamo entrambi” continua, allungandosi fino a sfiorargli il collo, la pelle sensibile attorno alla voglia.
“Un vero peccato”.

Tre anni dopo una chiacchierata in un caffè che si andava restuarando, una complicità costruita nel tempo e la disillusione di non potersi amare.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ryo Shirogane/Ryan, Zakuro Fujiwara/Pam
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Cinque passi'
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Autore: Avalon9

Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life

Personaggi Principali: Ryou Shirogane; Zakuro Fujiwara

Altri Personaggi: un po’ tutti, ma solo citati

Rating: arancione

In proposito: “Perché non mi sono innamorato di te?” le chiede Ryou, il respiro ancora un po’ affannato e un languore morbido nel corpo.

“Perché non avrebbe funzionato” scrolla appena le spalle Zakuro, mentre si rigira nel lenzuolo al suo fianco, le loro gambe a intrecciarsi. “Lo sappiamo entrambi” continua, allungandosi fino a sfiorargli il collo, la pelle sensibile attorno alla voglia.

“Un vero peccato”.

Tre anni dopo una chiacchierata in un caffè che si andava restuarando, una complicità costruita nel tempo e la disillusione di non potersi amare.

Disclaimer: Tokyo mew mew é di Reiko Yoshida e Mia Ikumi. L’idea della storia, invece, è tutta mia.

Note: one shot; missing moment; raccolta.

Cose: qualcuno dice che nella vita ci sono onde e onde. E che se vuoi davvero sapere cosa significa vivere, devi scegliere la tua onda e cavalcarla. Ebbene: io ho deciso di fare così. E continuare a scrivere di getto, come non facevo da davvero tanto, tanto tempo.

Dal verde all’arancione, poi. Anche se all’inizio essere rossa. Che l’altalena dei rating per me non sia una novità va a braccetto con l’immagine che c’è nella mia testa: della storia in . E di questi due in particolare.

Chè mai ho visto come innamorati, ma come amanti solitari. Mi è piaciuto scrivere della loro complicità e dell’assenza di pudori e pregiudizi. Hanno combattuto assieme, ma soprattutto sono cresciuti assieme. E nulla mi toglierá mai dalla testa l’idea che fra loro ci sia un feeling speciale.

E’ stato divertente, ma anche difficile. Perchè da una parte volevo rendere Ryou ancora con quella sfumatura di insicurezza e tormento e angst che per me gli è propria, e al contempo volevo dare di lui l’immagine di chi comunque va avanti. O almeno ci prova a modo suo. E Zakuro. Zakuro è un personaggio troppo bello da gestire, si adatta perfettamente alle pieghe della vita come pochi.

Non ho definito il rapporto fra loro per scelta, ma se leggete attentamente noterete un certo particolare che sottende tutto.

Giusto per chiarire le tempistiche, infine: le avventure dei nostri eroi si svolgono fra gli anni 2000 e 2002 (sì: sono proprio di anni di pubblicazione del manga in patria). La conversazione fra Ryou e Retasu avviene nel 2010, otto anni dopo la fine della battaglia contro gli alieni. E questa scena si colloca quasi tre anni più tardi. Per le etá dei personaggi, fate un po’ voi i calcoli. Diciamo pure che sono adulti, sì.

Ultima nota: l’appartamento di Ryou a NY. Io l’ho immaginato come quello di Neal Caffrey di White Collar. Non perché i due personaggi abbiano granché in comune, quanto piuttosto perché è l’ambiente che vedo perfetto per lui.

 

 

 

 

Cinque passi

Passo due - Desideri

 

 

 

 

La prima cosa che percepisce, mentre chiude la porta alle sue spalle e slaccia il montgomery, sono le note di Wild is the Wind nella voce profonda e affascinante di Nina Simone. Poi arriva il rumore della doccia e il lieve sentore di note floreali, fresche e fruttate, eppure estremamente raffinate.

“Ricordami perché ti ho dato le chiavi di casa mia” le domanda, appoggiandosi allo stipite della porta. Il bagno é un misto di vapore caldo, rosa e bergamotto e riflessi di qualche candela accesa quasi per distrazione.

“Perché sei un misantropo e qualcuno ogni tanto deve controllare se sei ancora vivo” si sente rispondere dal vano doccia, la figura appena delineata contro il vetro satinato che ancheggia sulle note jazz in sottofondo.

Ryou ridacchia, mentre si piega a recuperare un asciugamano dal mobiletto per lasciarlo sul gancio accanto al box.

“Quando sei arrivata?” le chiede ancora, togliendosi la giacca del suit e slacciando i primi bottoni della camicia blu avio. Non ha mai amato i completi formali, concedendosi piuttosto uno stile tutto suo, un misto di classico e casual più pratico che elegante. Eppure con gli anni ha imparato a venire a patti anche con il guardaroba, ben conscio che nell’ambiente in cui lavora un buon vestito é già di per sé il miglior biglietto da visita e l’ago che fa pendere la bilancia degli affari in suo favore.

“Un paio di ore fa” si sente rispondere, mentre lo scroscio della doccia cambia intensità e il vapore diventa una condensa sullo specchio.

“E hai deciso di sequestrarmi il bagno”.

“Fuori nevica, se non l’hai notato” la voce che si confonde con il ticchettio sul vetro della doccia. La musica intanto é cambiata, e alle calde note jazz si sono sostituite quelle più languide del blues. “E poi tu non ami le docce bollenti”.

“Non è un buon motivo per finirmi l’acqua calda” le risponde a tono, ben sapendo che é una battaglia persa. La sente ridacchiare sotto l’acqua, assieme all’odore talcato che adesso si fa più intenso, con il sandalo. Ryou conosce bene quel profumo, glielo ha fatto scoprire lui anni prima, quando le ha regalato il primo vaporizzatore. Una fragranza sensuale, elegante e raffinata assieme. E lei se ne é innamorata, come solo una donna può innamorarsi di un profumo.

“Ti porto fuori a cena oppure…?” le chiede alla fine, immaginando già la risposta mentre recupera il cellulare dalla tasca interna del cappotto.

“Oppure”.

Ryou ridacchia ancora, si limita a scrollare le spalle e si avvia verso il soggiorno.

“Il solito, immagino” le dice, alzando un po’ la voce per farsi sentire sopra Sinnermen e lo scroscio dell’acqua.

“Perché per una volta non mi sorprendi?”

“Perché sei di gusti troppo difficili” la rimbecca, prima di concentrarsi  sulla voce che gli chiede di cosa abbia bisogno.

Non si aspettava una sua visita, ma non è nemmeno sorpreso di riceverla. Sono più di otto anni che se la ritrova in casa nei momenti meno aspettati, quando finisce un lavoro importante o é solo di passaggio. Negli anni, hanno costruito una loro strana routine, fatta di visite all’ultimo minuto per una sola notte o pigre giornate trascorse assieme.

Alla prova dei fatti, quando Kei non lo accompagna in America, é lei l’unica persona con cui possa dire di interagire in modo naturale. O quasi.

Quando Zakuro lo raggiunge in soggiorno, Ryou ha scambiato il completo elegante per i soliti jeans chiari e un maglione di chachemire a collo alto, come sua abitudine. Ha appena richiuso la porta finestra, un leggero sentore di tabacco a confondersi con il bouquet lieve e fruttato dello Chardonnay.

“Vedi che se vuoi sai sorprendermi?” gli sorride lei, occhieggiando al cartone di pizza sul basso tavolino del salotto e rubandogli un sorso dal calice di vino.

“Lieto di esserci riuscito, wolfie” le risponde a tono, sistemandole una ciocca dietro l’orecchio.

Ha i capelli ancora un po’ umidi e quel profumo conturbante che la rende seducente anche in quel momento, scalza e con una felpa crema e mattone oversize addosso.

“La mise é la prova per una nuova sfilata?”

“L’ho trovata in fondo al tuo armadio” alza le spalle Zakuro, mentre si accomoda sul divano e raccoglie le gambe sulla seduta. “Mi è sembrata comoda. E io per oggi ne ho abbastanza di tacchi alti e vestiti firmati”.

“Non ti sta male” commenta Ryou, mentre la raggiunge e si accomoda accanto a lei sul divano. Zakuro gli ammicca appena, una fetta di pizza in mano e la grazia che la contraddistingue anche nelle banalità.

Perché é banalità starsene seduti su quel divano, a consumare una pizza dal gusto forte di pomodoro e basilico, raccontandosi le ovvietà della giornata, le mani che si sfiorano a rubarsi il bicchiere. Ryou non ne ha preso un secondo, sa che è inutile. Quando si ritrovano così, ci sono cose che sono naturali: come condividere lo stesso bicchiere o litigare su cosa guardare alla televisione.

“É la tua nuova passione?” gli chiede Zakuro, allungandosi sopra di lui fino alla custodia del DVD sul tavolino d’angolo. Ryou getta indietro la testa e ride, mentre se la sente premere addosso senza malizia.

“Guarda che non sei una piuma, wolfie”.

“E tu diventi sempre più cafone” gli soffia lei, due centimetri dalle labbra e la custodia che finisce per impattare di spigolo sulla fronte di lui.

“Ma se sono un cavaliere” si difende Ryou, massaggiandosi la fronte e osservandola mentre legge veloce la sinossi del telefilm.

“Ma qualcosa di leggero tu mai, eh?” lo provoca alla fine, uno sbuffo divertito nella voce, mentre recupera l’ultimo sorso di vino e lascia la custodia di Game of Thrones sul tavolino, accanto al cartone vuoto e alla bottiglia a metà.

“Prima di giudicare, dovresti guardarlo.”

“Mi è bastata la maratona del Signore degli anelli, grazie” fa una smorfia Zakuro, aggiustandosi i capelli che le spiovono sul viso. “Sai” riprende dopo un istante. “Non ho mai capito questa tua passione per il fantasy. Ti avrei visto piuttosto come un fan sfegatato di Star Wars”.

“Quello, se mai, é Kei” ride Ryou, una scrollata di spalle che sembra racchiudere tutta una storia.

“Non mi sorprenderebbe” mormora Zakuro, le labbra a sorridere contro il vetro. “Comunque resto della mia idea”.

“Punto primo: Jackson è stato fantastico nel ricreare la Terra di Mezzo” obietta Ryou, enumerando sulle dita. “Punto secondo: non credi che ne abbia avuto abbastanza di alieni, nella mia vita?”

Zakuro gli sorride appena, raccogliendo nella mano l’indice e il medio che Ryou ha alzato nel suo calcolo immaginario.

“Non riesci proprio a perdonarli?”

“Ti ricordo che ci lavoro, con loro. Quando sono qui, é Pai che monitora tutto e aggiorna i dati”.

“Non è quello che ti ho chiesto” gli sottolinea Zakuro, mentre gli accarezza i ciuffi un po’ lunghi che gli ricadono sul viso.

“Tu hai perdonato tua madre?” controbatte Ryou, sapendo di farle male con quelle parole, riaprendo una cicatrice che non si è mai del tutto rimarginata. E Zakuro accusa il colpo, un sospiro trattenuto fra i denti, ma non abbassa gli occhi, come a sbattergli in faccia il peso delle sue stesse parole.

Sorry” soffia alla fine Ryou, accarezzandole l’ovale del viso con il dorso della mano. “I’m an idiot. Volevo ferirti. E non te lo meriti.”

“Almeno hai la decenza di ammetterlo” sospira Zakuro, allungandosi sul divano e accomodandosi meglio contro di lui, la testa incastrata nella sua spalla. “Anyway you’re not an idiot.

Thanks”.

You’re an asshole, when you get into it”.

Ryou ride, mentre la abbraccia e se la sistema meglio addosso, allungandosi a sua volta sul divano un po’ troppo stretto.

“Questa volta non posso darti torto, wolfie”.

“Perché?” lo provoca ancora Zakuro, il respiro che gli solletica la gola e le dita a intrecciarsi con le sue. “Ci sono mai state volte in cui non abbia avuto ragione?”

“Sei davvero impossibile” sorride ancora Ryou, una smorfia divertita nei suoi capelli che sanno di fresco.

You too” ricambia lei, socchiudendo gli occhi a godersi il tepore del corpo di Ryou accanto il suo, il ruvido dei jeans contro le sue gambe nude e la sensazione di silenzio della neve che cade su New York.

Ryou ha spento quasi tutte le luci e una debole luminescenza viene solo dai riflessi della città oltre la grande porta finestra. Non le ha chiesto quanto resterà: sa bene che l’indomani potrebbe svegliarsi e non trovarla come sa che potrebbe aggirarsi per casa per un mese intero, in base ai suoi impegni.

Zakuro odia gli alberghi quanto lui, e quell’attico in Riverside Drive é diventato per entrambi un rifugio particolare, il pied-a-térre ideale durante i loro soggiorni newyorkesi. Ryou possiede altri uffici, laboratori e appartamenti, sia a New York sia in altre città, ma con quello ha sempre avuto un legame particolare, forse il solo altro posto che sentirebbe di poter chiamare casa oltre alla sua mansarda sopra il Caffè.

Lui lo occupa abitualmente, quanto torna sulla east cost; Zakuro non sempre. Lo usa quando ha davvero bisogno di staccare, o lo raggiunge quando lui ne ha combinata qualcuna delle sue ed è scappato in America come suo solito. O se è successo qualcosa che nessuno dei due é pronto ad affrontare.

So” la richiama lui, quando il tempo si è trasformato in un tenue dormiveglia. “Mi vuoi dire che è successo?”

“Perché pensi che sia successo qualcosa?”

“Oltre al fatto che sei qui?” ridacchia appena. “Sei più pungente del solito”.

“Tu, invece, sei zucchero filato”.

“Vedi?” sorridono entrambi, consci che ormai nessuno dei due é più davvero capace di nascondersi all’altro. C’è sempre stata una complicità particolare, fra loro, la capacità di comprendere almeno in parte le azioni dell’altro, il sentirsi sotto esame ogni volta che si sorprendevano a osservarsi. E quando al sospetto si sono sostituiti la stima e il rispetto, sono nati loro, con le ore trascorse in silenzio nel Caffè, a volte a lavorare altre solo a leggere o guardare un film, accoccolati in un silenzio che era di placido conforto per entrambi.

“Sei dimagrito ancora?” gli chiede Zakuro, mentre passa la mano sulla trama morbida del maglione, cercando la spigolositá delle costole.

“E’ per questo che sei qui?” le chiede. “Per controllarmi perchè sei preoccupata?”

L’occhiata che Zakuro gli rivolge, fra lo stanco e l’ammonitore, contiene più di un discorso e racconta più di quanto Ryou vorrebbe ascoltare.

“Sto bene, wolfie” la rassicura in uno sbuffo leggero, scivolando un po’ di più sui cuscini fino ad allungarsi completamente sotto di lei. “Corro, mangio sano e non mi affogo nel lavoro.”

“Mi sembra difficile crederti” gli ribatte, il mento sul suo sterno e i piedi che scalciano nell’aria, un misto di innocenza e seduzione che esercita senza nemmeno accorgersene. “Qui c’è ancora il segno degli occhiali” aggiunge pizzicandogli la radice del naso.

“Sono solo stanco” Ryou scrolla appena le spalle, un’ombra di sorriso che non vuole diventare un’ammissione di qualcosa. “É stata una settimana impegnativa”.

“Per il lavoro o per altro?”

“Ma tu non molli mai la presa?” le chiede rassegnato, allargando le braccia quel tanto che lo schienale gli concede. Perché conosce bene la preoccupazione che Zakuro ha negli occhi. É lo stesso sguardo che Kei gli rivolgeva quando era ancora bambino e si intestardiva in ritmi che il suo corpo non avrebbe mai retto, pur di ricostruire ciò che il fuoco aveva strappato, per impedirsi di soffocare nel dolore e nel senso di perdita che gli ha sempre stretto lo stomaco.

Ed è lo sguardo che si è sentito addosso negli ultimi tre anni, irritante e confortante assieme.

“Sono una ragazza ostinata” gli rimanda, scivolando lungo al suo corpo e accomodandosi sul tappeto, una mano a massaggiargli la testa mentre lui si rigira pigro di fianco, il viso mezzo affondato nel cuscino.

“Una vera testa dura”.

Zakuro fa spallucce, appoggiando la testa di sbieco sul suo petto, chiedendosi quando é successo che Ryou ha iniziato a lasciarsi toccare in quel modo. Lui, che ha sempre evitato abbracci e lievi pacche sulle spalle, che si ritraeva al minimo sentore di un contatto, respira piano sotto la sua mano, gli occhi socchiusi a rincorrere qualcosa di impreciso.

“Guardami” gli sussurra appena, scendendo lungo il profilo del viso, disegnando la mascella che col tempo si è fatta più marcata.

Ryou” lo chiama, sfiorandogli leggera le labbra con un dito. “Ichigo sta bene adesso. Smettila di scappare.”

“Non sto scappando” soffia Ryou, intrecciando le dita con quelle di Zakuro che ancora gli sfiorano le labbra.

“Sei qui da sei mesi. E non hai fissato una data di rientro” gli ricorda Zakuro, senza livore. “Chiami di rado. Scrivi ancora meno” prosegue in un elenco che é un sussurro che cela appena una nota di apprensione. “Pai non ti sente da settimane”.

“Sono stato impegnato” tenta di giustificarsi, sapendo benissimo che è una bugia. E sapendo che anche Zakuro lo sa.

“Cosa vuoi che ti dica, wolfie?” sbuffa alla fine. “Avevo bisogno di staccare. Di cambiare prospettiva”.

Perché non si possono cancellare gli ultimi tre anni in una manciata di giorni, la frustrazione di restare sempre sul filo del rasoio, di esserci senza scoprirsi troppo. Ha perso venti chili nel giro di un paio di mesi, logorato dal senso di impotenza e dal rimpianto, solo per starle accanto.

Perché é stato lui a spingerla a provarci ancora, a credere che il matrimonio con Aoyama doveva solo ripartire. Perché era quello che avrebbe fatto un amico, quello di cui Ichigo aveva bisogno: qualcuno che le dicesse che il suo amore da adolescente era una favola vera.

Ed è stato lui il primo che Ichigo ha chiamato, quando ha scoperto di essere incinta. Non l’ho detto ancora a nessuno. Nemmeno a Masaya. Volevo lo sapessi per primo tu, Shirogane-kun gli aveva detto raggiante dall’altro capo del telefono. E lui si era congratulato, nella voce un sorriso che mascherava lo strazio di una distanza sempre più incolmabile. Però c’è stato. C’è stato quando Ichigo è rientrata per dirlo ai suoi genitori, la mano stretta in quella di Aoyama e una serenità ritrovata nel sorriso. C’è stato per commentare sarcastico le prime ecografie, con quell’irriverenza che era un gioco fra loro soli, un modo per sottolineare che niente è cambiato negli anni. Perché era quello di cui Ichigo aveva bisogno, prima di soffiarle all’orecchio quel sarai una madre fantastica che ha estasiato lei e dilaniato lui.

E c’è stato anche dopo. In quella sera di febbraio in cui Ichigo lo ha chiamato, il terrore e il dolore nella voce. Quando l’ha trovata in fondo alle scale di casa Aoyama, un tacco rotto e il sangue che non si fermava. Era con lei e le stringeva la mano quando il medico le ha detto che per quella caduta accidentale aveva perso il bambino e l’ha raccolta contro il suo petto mentre Ichigo piangeva in silenzio, in modo quasi delicato. C’è stato per offrirle il calore di un abbraccio senza chiedere nulla, il viso affondato nei suoi capelli e le mani a stringere le spalle che tremavano.

E c’è stato per lasciarla al conforto di Aoyama quando l’ha raggiunta, chiudendo la porta su un dolore che non gli apparteneva e che comunque lo straziava. Come erano diventati strazianti i singhiozzi di Ichigo.

E anche dopo. C’è stato quando il suo matrimonio è andato in pezzi e al dolore si sono sostituiti il rancore e il risentimento. C’è stato per andare a Londra, quando lei lo ha chiamato in lacrime come una bambina, supplicandolo di andare a prenderla, perchè da sola non riusciva a tornare. Tredici ore di volo diretto solo per risalire su un aereo e riportarla a casa.

C’è stato per aiutarla a realizzare la fine di tutto un sogno, per accompagnarla dallo psicologo e per convincerla ad accettare il divorzio prima che i sensi di colpa la tirassero a fondo. E mentre Ichigo ritornava quella di un tempo, un sorriso sereno negli occhi appena velati di malinconia, Ryou continuava a recitare il ruolo di migliore amico, quello che la spronava e la confortava, senza mai permettersi un gesto di troppo, senza illudersi che ogni sfioramento casuale non fosse che l’ancora di cui lei avesse bisogno per non precipitare. Nello stomaco un grumo di sentimenti che lo facevano boccheggiare, consumandolo.

E c’è ancora, nonostante tutto, i chilometri e il lavoro. C’è per ascoltarla ridere di nuovo spensierata, per canzonarla quando si arrabbia e prenderla in giro per sciocchezze. C’è come c’è sempre stato, e come vorrebbe sempre esserci, ben sapendo che nulla cambierà fra lui e Ichigo e che quel sentimento contorto e autodistruttivo é la zavorra che lo trascinerà a fondo.

Kei è preoccupato” continua Zakuro. “E anche Retasu, e Purin, e Minto iniziano a preoccuparsi. Anche Ichigo”.

“E tu?”

“Io sono qui” gli risponde Zakuro, un soffio sulle labbra che si piegano leggere.

“Ci sei sempre stata” mormora Ryou, rigirandosi per accarezzandole lieve la pelle dietro l’orecchio, dove sa che ha conservato una sensibilità maggiore.

E Zakuro gli sorride piano, mentre gli sfiora il palmo della mano con un bacio leggero e si allunga a strofinargli con il naso il collo, dove il maglione cede alla pelle.

Wolfie” la chiama Ryou, le labbra di lei che respirano contro le sue, a due millimetri di distanza.

Shhh” gli sussurra Zakuro, un dito come di vento a risalire lungo il viso. “Lasciami fare” lo invita, la lingua che disegna il profilo del mento. “Non è tradimento” gli soffia piano, guardandolo negli occhi.

“Lo so” le risponde Ryou.

E chiude gli occhi, mentre la sente sfiorargli l’orecchio e scendere lieve lungo il collo, fino a scostare il maglione e rivelare la voglia che nasconde fra i capelli. Zakuro la sfiora lenta, attenta, gustandosi l’incresparsi della pelle di Ryou a quel semplice contatto.

Ride piano contro la sua pelle, spiandolo tra il velo di capelli e l’occhio che ha socchiuso. Lo bacia lenta, a un soffio dalle labbra e cerca la sua mano, per stringergliela. E ancora gli sorride, sottile, seducente, quando lo costringe ad alzarsi e lo sospinge sul letto.

Ryou non dice nulla. La segue docile e la lascia fare, mentre gli solleva il maglione lungo le braccia, un fruscio lieve di lana e capelli scompigliati. Le mani abbandonate sul copriletto, la guarda quando si toglie la felpa così grande e gli si inginocchia fra le gambe. E continua a guardarla anche quando Zakuro lo accarezza, attenta e audace assieme, ripetendo gesti conosciuti, sicura di dargli quel piacere che per un’ora, per un istante gli fará dimenticare ogni cosa.

Come la prima volta che hanno fatto l’amore.

Quando Zakuro se lo é ritrovato davanti alla porta della suite, ormai quasi tre anni prima, le mani nelle tasche della field militare e uno sguardo disperato. É stata la prima volta che lo ha visto così: semplicemente a pezzi.

Ichigo é tornata a Londra. Da Aoyama le ha sussurrato, la testa che si abbandona contro la sua spalla. Zakuro lo aveva solo accolto in un abbraccio che sapeva di terra che non frana, e che aveva stupito lei per prima, perché Ryou non era scappato. Era solo rimasto lì, in piedi fra il corridoio e la soglia, il respiro pesante che nascondeva qualcosa che non avrebbe mai voluto mostrare. E che lo stava distruggendo.

Lo aveva fatto entrare, nella suite e nel suo letto, assecondando una supplica che sapeva di disperazione. Zakuro lo ha amato, quel pomeriggio ventoso di fine aprile con nell’aria il flebile profumo dei fiori di ciliegio. Lo ha amato perchè era quello che Ryou desiderava, quello di cui aveva bisogno: sentirsi per un istante il centro di qualcuno, il fulcro di un sentimento che è anche solo piacere.  Zakuro lo ha amato come lo ama tutte le volte, senza chiedere nulla, il nome Ichigo a rotolare fra gli ansiti e i gemiti fiochi.

Lo ama come si può amare per solitudine e condivisione, con passione e senza sentimenti. Lo ama per usarlo e per farsi usare, senza parole che sarebbero bugie cui nessuno dei due potrebbe credere. Lo ama per semplice egoismo, per sentirsi amata. E per illudere lui dello stesso falso amore.

Lo ama anche in quel momento, quando lo sente sbuffare, un respiro trattenuto fra i denti che diventa un rantolo roco di appagamento. Ryou le sorride piano, dolce e colpevole assieme, quasi malinconico, mentre le mani scendono in un invito, facendola alzare, le gambe che si intrecciano dietro i suoi fianchi, la bocca sul suo seno. Zakuro sa di sudore, vetiver e storace, un sapore che conosce e lo stordisce.

You’re incredible” le sussurra Ryou all’orecchio, una concessione che lascia aleggiare un intero discorso, e la sente sorridere compiaciuta, il volto nell’incavo della sua mano, i capelli a spiovergli sul petto.

You’re really incredible” le ripete Ryou, e si lascia rovesciare sul letto, i fianchi stretti da Zakuro, bella nuda e audace sopra di lui. “Perché perdi ancora tempo con me?”

“Perché ne vale la pena” gli risponde Zakuro, un ringhio sordo in fondo alla gola e un graffio che intacca appena la pelle dell’addome. “E perché ne hai bisogno. E io lo voglio” aggiunge mentre inizia a muoversi su di lui, lentamente, come fosse la prima volta, intrecciando le mani, il piacere che si insinua lieve, in punta di piedi fra loro.

Ryou la guarda: Zakuro é bella. Bella e pericolosa, magnetica, come ogni volta, come sempre. É bella quando lo guarda, muovendosi seducente sopra di lui; è bella mentre gli raccoglie una mano e se la porta al seno; é bella quando gli imprigiona il viso fra le braccia, tesa sopra di lui, le labbra lucide che ammiccano nella penombra. É bella quando gli accarezza il petto, indugiando poi con la bocca sugli zigomi e infine sulla giugolo.

É bella mentre gli impone di guardarla, di sentirla, di amarla come vuole essere amata. Come vuole amarlo. E Ryou sa che si lascerà andare, che l’asseconderà in ogni movimento, in ogni fremito. Perché é lei che decide ogni cosa, che sceglie se averlo con dolcezza o passione, se sfidarlo o cullarlo perché trovi in quel contatto un briciolo dell’abbandono di cui ha bisogno.

Zakuro é il suo specchio, la sola che sia mai riuscita a metterlo davvero a nudo, l’unica cui conceda di vederlo arrendevole e prostrato. Zakuro c’è stata per lui ogni volta che é crollato, quando l’insofferenza e la disillusione lo schiantavano a terra e tutto quello che poteva fare era mostrare il suo miglior sorriso indisponente e raccattare la prima scusa per scappare.

Ryou é sempre scappato per non trovarsi in pezzi; e continua a scappare. Lo sanno entrambi. Come sanno che quel loro modo di cercarsi, di toccarsi é più dell’amicizia e non ha nulla dell’amore. E che a entrambi va bene così.

“Perché non mi sono innamorato di te?” le chiede Ryou, il respiro ancora un po’ affannato e un languore morbido nel corpo. La neve ha formato una coltre sottile sul terrazzino e dalla finestra filtra una luce irreale, di luna pallida e neon.

“Perché non avrebbe funzionato” scrolla appena le spalle Zakuro, mentre si rigira nel lenzuolo al suo fianco, le loro gambe a intrecciarsi. “Lo sappiamo entrambi” continua, allungandosi fino a sfiorargli il collo, la pelle sensibile attorno alla voglia.

“Un vero peccato” bisbiglia Ryou, socchiudendo gli occhi, il respiro caldo di Zakuro che gli solletica la pelle.

  
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