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Autore: MollyTheMole    10/10/2021    2 recensioni
Lui è emotivamente profondo, ma con la comunicazione fa schifo. Lei è un po' pazza per davvero e un po' fa finta di esserlo. C'è un serial killer da prendere, o forse no. Ci sono parenti ingombranti. Poi c'è la neve, tanta neve. Troppa neve. Shuichi era davvero convinto di amarla, la neve. Almeno, ne era convinto fino a che non ha sabotato una giornata con la sua fidanzata.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jodie Starling, Shuichi Akai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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COM'E’ BELLA LA NEVE?

 

ATTENZIONE: Il titolo è chiaramente ironico. C’è qualche parolaccia qua e là. 

 

Fin da quando aveva aperto gli occhi aveva capito che quella giornata sarebbe andata male.

Innanzitutto, non aveva sentito la sveglia.

Lui, che di solito non aveva vie di mezzo: o dormiva come un sasso dal calar del sole fino all’alba, o non dormiva proprio per niente.

La sera prima aveva fatto tardi al lavoro e per questo motivo aveva messo tre sveglie, con la consapevolezza che tanto lui, cascasse il mondo, alle prime luci del mattino sarebbe stato sveglio come sempre.

Tre sveglie.

N’avesse sentita una.

Era balzato di sotto dal letto, aveva ingurgitato un caffè bollente mentre si abbottonava i pantaloni, si era infilato la camicia mentre si lavava i denti ed era già sulla porta pronto per uscire quando, toccando la giacca, si era reso conto che i biglietti non c’erano. 

I biglietti di quello stramaledetto aereo non c’erano.

E non c’era nemmeno la valigia.

Lui, che di solito aveva sempre una valigia pronta per ogni evenienza, si era trovato con il suddetto bagaglio rotto dopo l’ultima trasferta. In quell’occasione era rimasto fermo come un fesso con la maniglia in mano e la ventiquattrore aperta per terra di fronte a tutto l’aeroporto.

Così, con il bagaglio a riparare, era stato costretto ad optare per un borsone che avrebbe dovuto preparare la sera prima, se solo non avesse fatto tardi al lavoro e non avesse deciso di dormire tanto io mi sveglio comunque all’alba, ho tempo per prepararlo.

Certo, come no.

Aveva aperto i cassetti di corsa ed aveva gettato dentro il borsone un po’ di cose alla rinfusa: mutande, calzini, qualche canotta, il pigiama - tanto che lo lascio a fare sotto il cuscino? - spazzolino, rasoio, dopobarba, pettine, saponetta, ah, no, aspetta! Ci vogliono quelli adatti al volo o mi cacceranno al check in!

Dunque, aveva sostituito il dentifricio con quello a norma di sicurezza per il viaggio, abbandonato la bottiglietta di dopobarba tanto male che vada lo chiedo a James, preso un caricatore extra per l’arma di ordinanza, il caricatore del telefono, computer e via di corsa giù per le scale. 

Quando era stato di nuovo in fondo, si era toccato la giacca cercando tutti i suoi effetti personali.

Portafoglio c’è.

Distintivo c’è.

Arma d’ordinanza c’è.

Telefono c’è.

Chiavi ci sono.

I biglietti?

Ma porca… 

Così era tornato indietro per la seconda volta, aveva trovato i biglietti abbandonati sul tavolo di cucina, aveva messo il turbo ed era saltato in macchina pronto per andare all’aeroporto.

Sulla sua Chevrolet di solito le cose andavano sempre bene. Era un’auto stabile, massiccia, che teneva la strada perfettamente, con un ottima accelerazione, un sistema frenante messo a punto la settimana precedente, sensori di parcheggio con telecamera incorporata, radio gigantesca per poter ascoltare i colleghi in vivavoce e comandi al volante. 

Insomma, una fortezza dove aveva sempre tutto sotto controllo.

Sempre, tranne quella mattina.

Innanzitutto, fuori nevicava.

E quando nevica a New York, di solito, il traffico va in tilt. 

Questo aveva comportato che si era dovuto lanciare in un vero e proprio percorso ad ostacoli irto di insidie, una gimcana nei confronti della quale aveva dovuto gettare la spugna, accostando per montare le catene e rigando - leggermente, ma pur sempre rigato era - il paraurti del suo gioiellino nell’accostamento, sfiorando un mucchio di neve ghiacciata dalla nottata.

Avrebbe tanto volentieri messo le mani su quelli del centro meteo, che non c’azzeccavano mai, ma pazienza. Il suo obiettivo era raggiungere l’aeroporto e partire il prima possibile.

Quando era stato di nuovo in macchina ed era stato pronto per ripartire, una telefonata lampo di sua madre gli aveva fatto tirare un profondo sospiro di frustrazione.

Gli c’era voluto quasi tutto il tragitto per spiegarle che no, non poteva tenere Masumi nemmeno per un’emergenza perché lui stava per partire per il Texas.

Là c’è caldo, si spera. Mica come qua.

Sì, ma che c’hai messo in valigia?

I calzini di lana, ovviamente.

Santa pace. 

Poi aveva dovuto spiegare a suo fratello che no, lui non poteva tenere Masumi perché stava per partire per il Texas con l’FBI per via di un serial killer in libertà, ergo, per quanto mi dispiaccia per il tuo appuntamento con la fidanzata, devi darle buca. 

In tutto questo, era finalmente giunto a destinazione.

Non all’aeroporto, però. Prima sarebbe dovuto passare a prendere la sua collega ed insieme si sarebbero diretti là facendo il punto della situazione in macchina.

Shuichi, però, avrebbe dovuto capire ormai da un po’ che il suo piano per quella mattina era saltato.

Il destino aveva deciso di accanirsi contro di lui e non ci sarebbe stato verso di fermarlo.  

La collega in questione, infatti, non gli aveva risposto al telefono. Mai. Nemmeno una volta mentre lui compiva quell’assurdo tragitto per passarla a prendere.

Ed adesso era lì, in piedi sulla soglia a morir di freddo, attaccato al campanello di una porta che non voleva saperne di aprirsi.

Accidenti, Jodie, apri! Fa un freddo becco!

Solo alla terza vigorosa scampanellata Jodie si decise ad aprirgli in portone, mandando il morale di Shuichi definitivamente sotto le scarpe.

Jodie dormiva, e anche della grossa. Se questo era comprensibile alle cinque e mezza del mattino, molto meno lo era l’abbigliamento in cui questa aveva deciso di schiacciare il suo pisolino prima della partenza.

Innanzitutto, ai piedi portava delle terribili babbucce di pelo con Paperino.

Il resto di lei era avvolto in una poco dignitosa tuta di pile da Super Pippo, con tanto di bottoni sul didietro e costellata di stelline rosa. 

Era lì ferma sulla soglia, ad occhi chiusi, senza occhiali e senza la minima intenzione di farlo entrare.

- Jodie?-

- N… ci serve niente, …zie.-

- Jodie? Sono Shuichi.-

Le passò una mano davanti agli occhi per essere sicuro che non fosse sonnambula.

Per tutta risposta, la sua collega sbadigliò.

- Che vuoi?- e brontolò qualcosa a proposito del fatto che fosse domenica.

- No, Jodie, non è domenica e noi abbiamo un volo da prendere. Ti ricordi? Il serial killer di Beaumont?-

La donna annuì, ma non aprì gli occhi.

Li aprì di botto due secondi dopo.

- Oh porca miseria, me lo sono dimenticato! Vieni dentro! Ma scusa che ore sono?-

- Tardi, l’aereo parte tra quaranta minuti e fuori nevica, quindi spicciati!-

Jodie sparì dietro la porta di camera sua, ne uscì di corsa mezza nuda con in mano i vestiti e la valigia e si chiuse in bagno, lasciando Shuichi seduto al tavolo di cucina a servirsi con i suoi biscotti.

Era qualche mese, ormai, che lui e Jodie stavano insieme. Era accaduto tutto molto in fretta. Si erano incontrati alle Hawaii, durante un meeting dell’FBI che era ben presto diventata una vacanza con delitto. Lei era una matricola e lui un agente navigato che l’aveva guardata risolvere il caso. Era alla ricerca di un partner per il suo lavoro e quando era tornato al quartier generale a New York aveva preso James da parte e gli aveva detto di assegnargli lei senza troppi mezzi termini.

E’ brava. Finalmente una con le palle.

Avevano lavorato bene insieme, almeno fino a quando Shuichi non aveva scoperto che Jodie era pazza scatenata. Amava i videogames e non batteva ciglio nemmeno di fronte alle scene del crimine più efferate. Restava a guardare lavorare il medico legale anche quando Shuichi si impegnava a guardare altrove ed aveva una profonda passione per la scienza che la portava a combinarne di tutti i colori, come quando aveva fatto saltare la corrente in ufficio perché si era messa in testa… Come aveva detto? Ah, sì, di dimostrare che il pannello elettrico va in sovraccarico solamente collegando due monitor, se l’FBI non aumenta le forniture di energia. 

E poi era bella, Jodie, oltre ad essere brava e moderatamente pazza. Gli aveva ricordato fin da subito una giovanissima Jodie Foster ne Il silenzio degli innocenti, e poco gli importava se lui, invece, aveva avuto fin da bambino una cotta per quella bella rossa di Dana Scully. 

Lei era il suo opposto. Divertente, scanzonata, appassionata di scienza tanto quanto lui lo era di letteratura, sapeva di avere un certo ascendente sugli uomini e non aveva paura di usarlo, ed aveva una padronanza fenomenale del Tai Chi che si era rivelata di grande aiuto in numerose sortite conclusesi con combattimenti corpo a corpo.

Non gli avrebbe dato un penny, al fringuello della Pennsylvania, ed invece Jodie menava mazzate non meno di lui e del suo JKD.

Era stato durante una di quelle occasioni - un combattimento all’arma bianca in cui lui si era preso una coltellata in un braccio, per la precisione - in cui una Jodie imbestialita e sull’orlo delle lacrime lo aveva preso a schiaffi nella sua Chevrolet, tuonando che lui era un bastardo di prima categoria incapace di rendersi conto che facendo male a se stesso faceva male anche agli altri.

Perché a qualcuno a questo mondo importa di te, brutto stronzo!

Era finita esattamente come chiunque si sarebbe immaginato. Aveva lasciato guidare Jodie fino a casa sua, dove lo aveva medicato intimandogli che aveva una laurea in medicina, quindi sta’ zitto e lasciami fare, e Shuichi quella sera aveva scoperto che - mettiamola così - Jodie il dottore lo sapeva fare bene anche quando non suturava le ferite.

Per questo motivo non aveva avuto nessun problema a guardarla sfrecciare in mutande dritta in bagno, anzi, gli diede motivo per risollevarsi un po’ ed ignorare la terribile sensazione che quella giornata fosse destinata ad andare a rotoli.

E, infatti, ci andò.

Amava Jodie perché era pazza, perché era bella  e perché, quando diceva di fare una cosa, la faceva. Poco importava se questo significava uscire con la zip dei pantaloni aperta e i calzini spaiati. Ci avrebbe pensato in macchina, tanto era sola con lui e l’aveva vista in precedenza in situazioni decisamente più compromettenti e con meno strati di vestiti addosso.

- I biglietti ce li hai?-

- Sì, aspetta che dico a James che stiamo arri…-

Ma non fece in tempo a finire la frase che il suo cellulare vibrò.

Jodie e Shuichi inchiodarono sulla porta e si scambiarono uno sguardo perplesso.

E adesso che c’è?

Sullo schermo, il numero di James scorreva a ripetizione mentre il telefono continuava a vibrare.

- Sarà in ritardo pure lui.- borbottò Jodie, guardando la neve cadere da dietro la finestra.

- O sarà incavolato come una bestia con noi.-

Non la ascoltò nemmeno mentre borbottava Shu, sei sempre il solito guastafeste! e rispose al telefono attivando il vivavoce.

- Siamo qui, stiamo arrivando!- commentò, prima che il suo capo potesse dire qualcosa.

- No, lasciate perdere. Non si parte più.-

Jodie aprì la bocca per protestare, mentre Shuichi chiuse gli occhi in attesa della mazzata finale.

Eccola che arriva…

- Il volo è stato cancellato. L’aeroporto di New York è blindato. Troppa neve. Partiremo domani non appena la tempesta sarà passata. Restate a disposizione, potremmo chiamarvi a breve.-

Shuichi alzò un sopracciglio, piccato.

Cioè, facciamo a capirci. 

Mi sono svegliato in ritardo, mi sono scapicollato per strada con il bagaglio sbagliato e senza colazione, ho pure rigato la macchina, non ho dormito con la mia ragazza perché saresti potuto piombare in casa sua in qualsiasi momento e adesso mi vieni a dire che non si parte più?

Jodie, al contrario di lui, lo guardò speranzosa e gli sillabò:

- Quindi si torna a letto?-

Erano quasi le sei del mattino.

Non poteva biasimarla, proprio no.

- Va bene, resteremo a disposizione. Avvisateci quanto prima.-

E chiuse la comunicazione.

Rimasero in piedi, in silenzio, di fronte alla porta, entrambi con le valigie in mano a domandarsi la stessa cosa.

E adesso?

Si scambiarono uno sguardo confuso.

Jodie, però, fu la prima a riprendersi.

- Hai fatto colazione?-

- Ho preso un caffè al volo e ti ho rubato un po’ di biscotti.-

- Fermati e prendi qualcos’altro. Ho dei biscotti con la marmellata.-

Così si fermò a guardarla fare colazione inzuppando biscotti alla marmellata di albicocche nel latte, mentre lui provava con tutte le sue forze a buttarne giù uno.

Jodie, però, sapeva essere spietata quando voleva e non gliela fece passare liscia.

- Ti fanno proprio schifo, eh?-

- No, sono buoni.-

La donna alzò un sopracciglio.

- E va bene. Sembra melassa. Troppo dolci.-

Jodie lo guardò storto da sotto in su, con i baffi di latte sulla bocca.

- Quanto sei schizzinoso, mamma mia. E questo è dolce, e quest’altro non sa di niente, e quest’altro ancora è troppo salato…-

Shuichi, però, non l’ascoltava più. Era rimasto ipnotizzato dalla danza dei baffi di latte, piccole goccioline impigliate nella peluria biondiccia ed invisibile sul volto di Jodie.

Impulsivamente, tese la mano e strusciò il pollice sul labbro superiore.

- Avevi del latte qui…- si giustificò, continuando a sfregare, ma anche se il latte non c’era più la sensazione di star facendo la cosa più bella del mondo, nel posto giusto e al momento giusto permaneva.

Vuoi vedere che forse questa discreta giornata del cavolo qualcosa di buono l’ha portato?

Jodie provò a mordergli il pollice e in quel momento Shuichi si disse convinto che sì, qualcosa di buono in quella giornata doveva esserci per forza, perché quando Jodie giocava così di solito aveva qualcosa in mente. 

- Una di queste volte mi staccherai una falange.-

- Melodrammatico.- disse, continuando a girare il cucchiaio dentro la tazza.

- Sai, non ce l’ho messo, lo zucchero, nel latte.-

Un sorriso consapevole si stese sul volto di Shuichi.

Si comincia.

- Davvero?-

- Davvero.-

Avvicinò il viso al suo.

- Non è un trabocchetto, vero?-

Jodie scosse il capo biondo, strusciando il naso contro il suo, ed in men che non si dica Shuichi potè sentire il sapore di latte e biscotti delle sue labbra poggiate sulle sue. 

Poco importava se erano le sei del mattino, se faceva un freddo cane, se aveva la valigia sbagliata e se aveva rigato l’auto. Poco importava se aveva fatto arrabbiare sua madre e suo fratello. Lei era lì, seduta sulle sue gambe con le mani infilate nei suoi capelli, con quel sapore dolciastro che gli piaceva tanto, e soprattutto improvvisamente consapevole che lui era lì con lei, non era un venditore porta a porta, non era domenica ma sarebbero potuti restare assieme comunque tutto il giorno intrattenendosi in attività decisamente più appaganti di dare la caccia ad uno psicopatico. 

Che sia benedetta la neve e il meteo che sbaglia sempre.

- Andiamo di là?- gli disse, ammiccando verso la stanza da letto con la testa bionda arruffata.

Che, me lo chiedi?

Decise di stuzzicarla un po’.

- Dipende.-

Jodie sembrò delusa.

- Da cosa dipende?-

- Dal pigiama. Che ci facevi con quella palandrana addosso?-

Palandrana, eh?

Il suo British English sapeva mandarla fuori dai gangheri. 

- Che c’è? Faceva un freddo cane! E poi ho un sacco di roba in tintoria e la mia biancheria migliore è rimasta a casa tua, e non devo dirtelo. A te piace così tanto trovare la mia roba dentro il tuo cassetto.-

Shuichi ghignò, colto in flagranza di reato.

- Dunque, andiamo di là o no?-

- Dipende. Vuoi rimetterti la calzamaglia?-

- Non è una calzamaglia, è un pigiama. Sì, potrei rimettermelo, come potrei rimettermi le ciabatte di Paperino.-

- Allora rinuncio.-

- Perché? Non ti divertirebbe toglierlo?-

Il ghigno sulla faccia di Shuichi si fece ancora più largo.

- Perché perdere tempo a fare le cose due volte? Posso sempre togliere questi.- e stuzzicò un bottone della camicia.

Sì, la mattinata era cominciata male, ma si stava aggiustando tutto, e adesso stava davvero andando bene. Jodie sapeva farlo diventare matto. Era il massimo potersi lasciare andare con lei in quel bel letto enorme, morbido e soprattutto silenzioso. Ecco, quel letto era stato il loro migliore alleato. Mai un lamento, mai un cigolio, mai un vicino che potesse guardarli con aria sorniona al mattino successivo. Non esattamente lo stesso poteva dirsi per le volte in cui la donna aveva passato la notte a casa sua. Il suo, di letti, sembrava un vecchio tappeto elastico del luna park e faceva un chiasso tale da indurlo a pensare che, prima o poi, qualcuno avrebbe chiamato la polizia per disturbo della quiete pubblica. 

Sì, Jodie sapeva farlo diventare proprio matto anche con le sue fantasie strane, soprattuto quando gli sospirava nell’orecchio la solita frase.

Dimmi qualcos’altro in British English.

E nonostante la cosa lo lasciasse perplesso e non riuscisse a spiegarsi per quale motivo le piacesse sentirlo parlare come Mary Poppins, finiva sempre con l’accontentarla.

Proprio quando anche l’ultimo indumento fu gettato sul pavimento, proprio quando ormai la pelle bruciava troppo e le dita di Jodie si erano saldamente ancorate ai suoi capelli, insomma, proprio sul più bello, il telefono squillò.

Eh, no. 

I due si guardarono, perplessi.

No, dai.

Jodie allungò una mano sul comodino e scorse il numero di telefono.

- E’ James.-

Shuichi alzò gli occhi al cielo.

- Pronto?-

- Jodie, posso parlarti un secondo?-

Shuichi decise che non si sarebbe fatto fermare da una maledetta chiamata di lavoro e continuò a stuzzicarle il lobo dell’orecchio. 

- Naturalmente, dimmi.-

- Ti prego di mantenere il massimo riserbo.-

- Come no. Dimmi pure.-

- Questo freddo del diavolo ha congelato l’acqua nelle tubature, ho la caldaia in blocco. Nemmeno i pinguini stanno in casa mia, e infatti vivono al Polo Sud. Ti dispiace, figlia mia, se vengo a stare da te per qualche giorno? Se tutto va bene, domani il tecnico dovrebbe risolvere il problema, ma nel frattempo finirò col congelare!-

Jodie immaginò che dovesse essere proprio disperato per chiamarla figlia mia, ma fu presto distratta dal peso del corpo di Shuichi, che era stramazzato su di lei per la disperazione ed aveva nascosto il viso nel suo collo, borbottando maledizioni. 

Lo guardò con aria colpevole.

- Naturalmente, vieni quando vuoi.-

- Allora, se non ti dispiace, passo subito. Ho davvero bisogno di una doccia calda, dopo una notte passata all’addiaccio!-

Jodie posò il telefono sul comò, accarezzando la schiena di Shuichi nel tentativo di consolarlo.

- Non posso lasciarlo lì, dai.-

Un sospiro.

- Troveremo il modo.-

Sì, nell’armadio delle scope al terzo piano dell’FBI.

Un altro sospiro.

Ben presto furono costretti a tornare alla realtà, ad elaborare il fatto che al calduccio in quelle lenzuola proprio non ci potevano stare. Shuichi raccolse le sue cose e si avviò verso la porta, inconsapevole che James avrebbe passato non un giorno, bensì l’intera settimana a casa di Jodie, a discapito suo e dei suoi sogni proibiti.

Quando fu fuori dalla porta, sulle scale, con il freddo che gli entrava nelle ossa, la vista della sua macchina coperta di neve lo incupì ancora di più.

Guardò in alto, al cielo plumbeo da cui fioccavano inesorabili scrosci di neve candida e sospirò.

Pensare che mi piaceva la neve, quando vivevo a Londra.

Estrasse il cellulare di tasca e compose il numero del fratello.

- Shukichi? Sì, sono io. Cambio di programma, volo cancellato. Dì pure a mamma che Masumi la tengo io. Sì, divertiti al tuo appuntamento.-

Chiuso nella sua macchina con il riscaldamento acceso nel tentativo di scongelare il vetro ibernato, Shuichi si strofinò le mani intorpidite e pensò alla sorellina.

Almeno sarò in buona compagnia.

 

NOTE DELL’AUTORE: Buonsalve! Non so come mi sia venuto in mente questa storiella. Non riuscivo a trovare l’ispirazione per un’altra mia storia, mi stavo annoiando ed eccola qua! 

La coppia mi è sempre piaciuta molto e secondo me è ampiamente sottovalutata. Meriterebbe un vero e proprio approfondimento da parte del Maestro e una parte di me non ha mai smesso di sperarci. 

Ho letto da qualche parte - in un’intervista, credo - che sarebbe stata proprio Jodie a dichiararsi. Considerato quanto strambi sono questi due, ci voleva una situazione altrettanto stramba per portarli insieme. 

L’ho scritta di getto, revisionata di getto e pubblicata di getto, perché con le romanticherie è meglio così. Meno ci penso, meno mi vergogno di averle scritte. Quindi, perdonatemi se la grammatica e la punteggiatura non sono proprio perfette. 

Leggo sempre ed apprezzo le vostre recensioni, se vi sentite di lasciarne una è ben gradita!

 

Grazie e saluti a tutti,

Molly.

  
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