Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Green Star 90    11/10/2021    2 recensioni
Ci sono legami che si formano in maniera del tutto fortuita, altri che nascono per la convergenza di circostanze all’apparenza dettate più dalla volontà di un dio capriccioso che dalla causalità degli eventi, altri ancora che vengono fuori solo dopo il trapasso perché non sarebbe potuto accadere altrimenti. E nel terzo insieme era inclusa la strana amicizia che era venuta a crearsi tra l’anima di uno studente di Tokyo e quella di un capobanda di Napoli morti, a quanto constatato, più o meno alla stessa maniera seppur in circostanze differenti.
[spin-off di «Sotto i cieli di Afrodite»]
***
La bizzarra genesi in tre atti di un'amicizia ultraterrena.
Buona lettura.
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bruno Bucciarati, Noriaki Kakyoin, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Jojo in Heaven'
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3- L'amico (in)esistente

L’amico (in)esistente

 

amico s. m. (f. -a) e agg. [lat. amicus, affine ad amare] (pl. m. -ci). – 1. s. m. Chi è legato ad altri da vincoli di amicizia: averetrovareperderefarsi un a.; aintimoad’infanzial’adel cuore, quello cui si è più intimamente legati (spesso scherz.); un vecchio adi casaadi cappellodi saluto, non intimo; adi tavoladi giococonsiglio da a.; trattare da a., confidenzialmente, alla buona, o, in rapporti d’affari, concedendo particolari agevolazioni; fare l’a., mostrarsi amico, senza essere tale in realtà: costui fa l’adel conventosi spaccia per partigiano de’ cappuccini (Manzoni). […]

 

Ci sono legami che si formano in maniera del tutto fortuita, altri che nascono per la convergenza di circostanze all’apparenza dettate più dalla volontà di un dio capriccioso che dalla causalità degli eventi, altri ancora che vengono fuori solo dopo il trapasso perché non sarebbe potuto accadere altrimenti. E nel terzo insieme era inclusa la strana amicizia che era venuta a crearsi tra l’anima di uno studente di Tokyo e quella di un capobanda di Napoli morti, a quanto constatato, più o meno alla stessa maniera seppur in circostanze differenti. Avevano anche scoperto di avere in comune, oltre al fatto di essere stati portatori stand, l’attitudine a preoccuparsi per l’incolumità altrui anche a costo di rimetterci la pelle – «Quindi soffriamo della sindrome della crocerossina? È così che dite in Italia?»; «Sì, più o meno è così» – e uno o più disagi infantili che si erano trascinati nella tomba e oltre – «Sarà, ma io devo ancora conoscerlo un portatore stand che non abbia subito un trauma o non si sia sentito escluso»; «I miei genitori ne sapevano qualcosa» –, ma tutto sommato condividevano anche la propensione alla tranquillità, quando non erano provocati dal Caesar di turno, s’intende.
Dopo che Bucciarati e Abbacchio si erano fatti conoscere formalmente da una tavolata composta da persone che avevano aiutato i Jojo delle epoche passate – «Non sapevo esistesse più di un Jojo»; «Certamente, ma è fuor di dubbio che il migliore resti quello di casa Kujo» – e che aveva scommesso sulla buona riuscita della dichiarazione di Abbacchio – «È tutto merito mio! Dovete ringraziare me e me soltanto!» aveva esclamato il Marcantonio trionfante – si era creata questa simpatia reciproca sfociata in affetto disinteressato. Qualche tempo dopo l’arrivo in paradiso del tanto citato Jojo che faceva Kujo di cognome con al seguito la figlia più uno stand e tre avanzi di galera, avevano perduto una scommessa ed erano stati costretti a scambiarsi i vestiti per pagare il pegno, suscitando quante più reazioni disparate tra il loro cerchio di conoscenze: se avevano ottenuto l’approvazione plenaria delle ragazze lo stesso non si poteva dire per l’altro genere; «Sembri un pistacchio» era stato il giudizio meno esilarante, che era venuto, a sorpresa, da Narancia nei confronti di Bucciarati, mentre gli altri erano scoppiati a ridere o erano arrossiti come Abbacchio che, fosse cascato l’aldilà ma col cavolo che lo avrebbe ammesso, per tutto il tempo che erano rimasti nei panni dell’altro non aveva smesso di fissare il pizzo sopra i pettorali di Kakyoin guadagnandosi le prese in giro di Ermes.
A ogni modo, il fato, quel luogo ameno o, perché no, il motore immobile tanto discusso dai filosofi sui loro trattati, aveva fatto sì che quelle due anime si incontrassero, si scoprissero e intrecciassero un legame strano, anche se sicuramente meno strano di quello formatosi tra un prete e una mammana, che in quel momento, alla biblioteca, stavano discettando accanto al tavolo sul quale Bucciarati sfogliava un manuale sul simbolismo delle rose.
Glielo aveva dato proprio Kakyoin in persona perché, ok che il paradiso non ha un libretto di istruzioni, ma né lui né Abbacchio sapevano alcunché sul linguaggio dei fiori e quindi almeno l’ex capo della squadra guardie del corpo voleva sapere perché gli fossero capitate le rose pesca.
Mentre la mammana raccontava al prete di quella volta che aveva tirato per i piedi «Un piede soltanto aveva, povera creatura» – un neonato con un occhio solo, Bucciarati scopriva che le rose pesca indicavano gli amori segreti e le tresche.
«Ha senso» quella considerazione, appena mormorata, gli fuoriuscì dalle labbra come per automatismo. Magari avrebbe informato Abbacchio della scoperta, ma sicuramente gli avrebbe risposto che non c’era di che stupirsi. D’altronde, le anime che gli gravitavano attorno avevano già percepito il sentimento che li legava sin da quando erano diventati spiriti, per cui il libro gli comunicava l’ennesima conferma che erano stati entrambi degli stupidi, e sicuramente glielo avrebbe detto anche la statua in oro della dea Amaterasu¹ all’ingresso della sala studio se solo avesse potuto parlare.
Chiuse il libro e si alzò dalla poltrona in punta di piedi: il prete e la mammana stavano ancora dibattendo sulla sacralità delle vite dei neonati e andò alla ricerca di colui che gli aveva suggerito quella lettura, non avendo idea di dove ricollocare il libro in quell’edificio immenso, grande quanto un aeroporto e talmente alto da avere l’impressione di essere all’interno di un grattacielo senza piani, con gli scaffali immensamente lunghi percorsi da scale altrettanto lunghe e spiriti che vi trascorrevano giornate intere, o forse anni, o forse secoli – «Una volta ho cercato di tirare un sasso a uno che sembrava un santo appeso alla scala, ma non sono riuscito a colpirlo. Da quando vengo qui a studiare con Tenmei non l’ho mai visto scendere da là sopra, sembra una specie di decorazione decrepita» aveva detto Narancia prima di essere rimproverato per aver tentato di disturbare la quiete degli studiosi.
Nel tempo di un istante eternamente breve riuscì a trovarlo alcuni scaffali più in avanti, seduto faccia a faccia con il giovane Ghirga e un ammonticchiarsi di libri aperti a frapporsi tra loro. Dalla scioltezza con cui parlavano intuiva che avevano appena terminato la loro sessione di studio e, fatto curioso, in cima al piccolo disordine di pagine con esercizi ed errori cancellati di fretta troneggiava un manuale di anatomia aperto sulla riproduzione della sezione del bulbo oculare. Kakyoin teneva le dita di una mano arcuate ad artiglio a pochi centimetri dal volto e stava raccontando qualcosa che, a giudicare dall’espressione ansiosa di Narancia, doveva avere a che fare con gli occhi. Bucciarati si sedette all’estremità del tavolo in attesa che i due terminassero la loro chiacchierata – se tale poteva definirsi – post ripetizioni e quando Narancia si fu alzato per raccogliere i libri e caricarli sulle braccia, riservandogli una linguaccia di affettuosa monelleria nel momento in cui lo incrociò, decise di avvicinarsi.
Kakyoin stava risistemando il tomo di anatomia al suo posto e senza salutare il nuovo arrivato gli sfilò il libro di mano e sparì silenziosamente dietro lo scaffale dedicato alla medicina. Al suo ritorno Bucciarati cercò di salutarlo ma quello gli premette entrambi i palmi sulla bocca.
«Bruno! Ho dimenticato di darti una cosa! Spero che tu non te la prenda!» sussurrò entusiasta a un Bucciarati più confuso che altro.
«Prima di tutto, ciao» disse quest’ultimo non appena venne liberato dall’impedimento «secondo, non vedo perché dovrei prendermela per qualcosa di cui solo tu saprai qualcosa, gioco di parole perdonando, e terzo» incrociò le braccia al petto «te l’ho già detto che a volte non capisco cosa mi vuoi dire veramente?»
«Sì, questa è centocinquantaquattresima volta che me lo dici» senza badare al cipiglio di Bucciarati, Kakyoin si era messo a frugarsi le tasche alla ricerca di qualcosa con la lingua tra i denti.
«Eccola!» esclamò, estraendo da un taschino interno una piccola chiave di bronzo con l’occhiello riccamente decorato a forma di freccia «Ne ho già data una a Leone e un’altra a Narancia, mancavi solo tu. Devi perdonarmi, ma mi sono messo a raccontare di quando avevo rischiato di perdere la vista laggiù e mi è uscito di mente! Comunque sia devi sapere che queste chiavi le abbiamo progettate io e Mohammed esclusivamente per…».
Stavolta fu il turno di Bucciarati di tappare la bocca a Kakyoin che, per almeno alcuni secondi aveva continuato a parlare prima di accorgersi che farlo con una mano sulle labbra non era proprio confortevole.
«Io davvero, a volte non ti capisco. Mi piaci come persona ma non ti capisco»
«Centocinquantacinque».
Bucciarati sospirò.
«Che devo farci con questa?» domandò rassegnato, liberando Kakyoin e sollevando la chiave per vederla meglio.
«Aprirci una porta»
«Grazie mille don ciuffetto, fin qui ci ero arrivato»
«Allora vieni con me» Kakyoin sollevò le spalle e si allargò in un sorriso «hai visto la forma che gli abbiamo dato?».
Bucciarati la osservò meglio: sì, l’estremità imitava in piccolo proprio quella freccia.
«Vedo… avete creato una specie di club per gli ex possessori di stand?»
«Una specie» Kakyoin gli fece un cenno per invitarlo a seguirlo nella sezione della biblioteca dedicata al soprannaturale «all’inizio non sapevamo dove collocarlo, ma poi abbiamo deciso che tra metafisica ed esoterismo andava bene. Guarda qua, possiamo vederla solo noi e i maestri delle onde concentriche».
In mezzo al corridoio confinato tra i due scaffali era stata piazzata una botola, appena distinguibile dal resto del pavimento in legno dalla minuscola toppa contornata dallo stesso bronzo col quale era stata fabbricata la chiave.
«A te l’onore» Kakyoin indicò il buco della serratura e si posizionò alle spalle di Bucciarati per permettergli di inaugurare la chiave.
Di rimando, il più grande inarcò un sopracciglio carico di sospetto e poi eseguì con un «Grazie» monocorde: appena fatto scattare il cilindro ed estratta la chiave la botola si aprì da sola rivelando dei gradini illuminati da lucerne a olio che sprigionavano una vaga fragranza agli agrumi.
«Apperò, anche il profumo per ambienti avete messo!»
«Questa è stata un’idea di Mohammed» ammise Kakyoin «Le chiavi invece sono farina del mio sacco»
«Ho capito» Bucciarati allungò il collo per capire quanto fosse ripida la scalinata «mi fido eh»
«Fidati, abbiamo le ciambelle» lo rassicurò Kakyoin, beccandosi per questo un’occhiata carica di perplessità.
«Le ciambelle»
«Le ciambelle» ripeté Kakyoin.
«E cosa c’entrerebbero coi portatori stand?»
«Niente, solo col modo col quale sono morto, ma anche con quello col quale è morto Leone e con quello col quale…»
«Ok, ok, è un’altra battuta sulla tua morte, che novità» tagliò corto Bucciarati «mi concedi l’onore di scendere adesso?»
«Se la voglia di contenere sempre il mio incredibile umorismo non ti assalisse saresti già arrivato» fu la replica di Kakyoin.
Bucciarati decise che era saggio non controbattere. Sospirando ancora iniziò a scendere i gradini, seguito dal co-creatore di quel luogo misterioso che nel frattempo aveva chiuso la botola sopra le loro teste.
«Fammi capire, come vi è venuta l’idea di creare un club esclusivo per i portatori?» chiese Bucciarati sfiorando una delle lampade e trovandola piacevolmente tiepida.
«Ci abbiamo pensato quasi per caso, se non ricordo male dopo che avevamo fatto conoscenza con un monaco buddista portatore sin dalla nascita… ci aveva raccontato che alle volte sentiva la mancanza del suo stand e così le nostre menti hanno iniziato a rimuginarci sopra… la metafisica del luogo ha fatto il resto. Ovviamente Caesar ha origliato le nostre conversazioni e ha insistito perché anche i maestri delle onde concentriche fossero ammessi, così lo abbiamo accontentato… Col senno di poi ci siamo detti che aveva senso perché stand e onde rappresentano due facce della stessa medaglia»² spiegò Kakyoin «ovviamente tieni conto del fatto che i nostri corpi non esistono più, quindi quello che si riesce a evocare con la mente è e sarà solo una proiezione».
Bucciarati abbozzò un piccolo sorriso.
«Bello, bello e nostalgico. Come l’ha presa il monaco?»
«Molto bene, era contentissimo!» Kakyoin batté le mani per la soddisfazione «Stava quasi per mettersi a piangere dalla gioia, non l’avevamo mai visto così lieto prima di allora».
La scalinata, che come tutte le cose dell’Oltrevita non aveva una lunghezza fisica definita, giunse al termine con un uscio di legno privo di maniglia e apribile solo con la stessa chiave utilizzata per la botola. Senza attendere istruzioni Bucciarati infilò per la seconda volta la chiave nella toppa e, sempre con uno scatto del cilindro, la porticina si aprì per consentire l’accesso all’unica stanzetta di una baita senza finestre e rischiarata al centro da una lampada da terra che diffondeva un chiarore simile a quello delle lucerne; al posto del camino e dell’arredamento tipico di una casetta di montagna era stato allestito un elegante espositore ricolmo di ciambelle di ogni tipo, che occupava tre delle quattro pareti.
«Serviti pure!» disse Kakyoin indicando delle ciambelle glassate di bianco e cosparse di gocce al cioccolato «Queste le abbiamo fatte ispirandoci a te».
Bucciarati non poté non scoppiare a ridere guardando i dolcetti i bella vista che effettivamente ricordavano il suo abbigliamento. Ne prese una e, senza smettere di tenersi la pancia per la scoperta, riuscì così a esclamare:
«Sei proprio uno scemo! Però apprezzo tantissimo il pensiero»
«Grazie, le ho farcite coi fagioli»³
«Non dici sul serio»
«Ovvio che no»
«Ho ragione a dirti che sei scemo»
«Ma resto comunque lo scemo più intelligente che tu abbia mai incontrato» Kakyoin prese due ciambelle, una ai mirtilli e una allo zabaione, e aprì la seconda porta, quella che conduceva all’esterno.
«Benvenuto nel nostro paradiso segreto, spero sia di tuo gradimento» una lama di luce solare tagliò la stanza e illuminò il volto dello studente «ti avviso che al momento è incompleto, ma ci stiamo lavorando».
Con una mano occupata a tenere il dolce e con l’altra a schermirsi dal sole, a Bucciarati si parò dinnanzi un’arena di forma ellittica di terra battuta rossa circondata parzialmente da una cavea di marmo bianco. Dalla porzione non ancora coperta dalle gradinate era possibile scorgere una distesa infinita fatta di prato e crisantemi bianchi. Il cielo terso, del tutto simile a quello di una bella giornata primaverile, scaldava con gentilezza gli spalti conferendo all’ambiente un’atmosfera da fiaba.
«Quante cose riesce a fare la mente di uno spirito» fu la prima cosa che disse Bucciarati alla vista del marmo in via di costruzione «chissà come deve essere pensare una cosa e vederla realizzarsi sotto i tuoi occhi… Prima o poi dovete insegnarmi questo trucchetto»
«Devi solo voler costruire qualcosa che abbia uno scopo, il resto viene da sé» Kakyoin lo superò e chiuse la porta della baita «Andiamo a sederci? Abbiamo già compagnia».
In fondo, presso la fila più bassa di sedili, sei spiriti ciarlavano a voce alta mentre un settimo stava sdraiato un po’ in disparte e teneva il volto nascosto dal cappellino e le braccia dietro la nuca, all’apparenza per niente disturbato dal vociare insistente dei più giovani. Senza destare l’addormentato Kakyoin gli si avvicinò a passo felpato e posò la ciambella allo zabaione sull’addome del dormiente. Mentre stava allontanandosi per raggiungere Bucciarati che si era già seduto il più rumoroso dei sei lo richiamò agitando le braccia:
«Mangiariso! Vai a prendermi una ciambella!»
«Prenditela da solo!» rispose Kakyoin senza nemmeno voltarsi e ignorando la controrisposta non verbale del dito medio.
«Vedo davvero quello che sto vedendo?» Con le gambe incrociate sul sedile e la ciambella in grembo, Bucciarati assottigliò lo sguardo per assicurarsi di aver identificato coloro che si trovavano in basso «Caesar che ci prova con Jolyne? Sul serio?»
«Lo fa apposta, sa di non avere speranze, ma quando lei gli spezzerà le falangi la smetterà all’istante» Kakyoin gli si sedette accanto e prese a sbocconcellare il suo dolce «più che altro mi domando se a fracassarlo di botte sarà prima Jolyne, Narciso o Leone, ma vedo bene anche tutti e tre assieme visto che ha preso la bandana del tuo ragazzo»
«Ecco cos’è l’affare che ha in testa!» Bucciarati si picchiò una mano in fronte e guardò la porta della baita non senza un velo di apprensione «Leone era convinto che a rubargliela fosse stato Iggy e invece l’ha presa lui! Ma è imbecille o cosa?»
«Si diverte così, almeno da quando ha preso confidenza con voi non mi tormenta più come prima» gongolò Kakyoin «non dirgli che non l’ho insultato, potrebbe prendermi di mira di nuovo» aggiunse subito dopo infilando un altro pezzo di ciambella in bocca, mentre proprio in quel momento vedevano Caesar abbracciare vigorosamente Jolyne facendo scattare in piedi Anasui.
«Visto? Lo fa apposta».
«Temerario… ma lasciamo perdere Caesar per un attimo» disse Bucciarati «mi fai vedere quella cosa dello stand? E perché avete scelto di costruire proprio un anfiteatro?»
«Ah, vero» Kakyoin mandò giù l’ultimo boccone, chiuse gli occhi e incrociò le braccia: trascorsero alcuni secondi e dietro la sua schiena apparve la luminescenza verdastra di un umanoide con le labbra sigillate e lo sguardo vacuo che, staccandosi dallo spirito che lo aveva evocato, percorse alcuni passi e si dissolse come pulviscolo appena qualche istante dopo.
«Dobbiamo ancora perfezionare questa capacità, ma prima non erano nemmeno in grado di camminare» Kakyoin aprì gli occhi e tese la mano per raccogliere un po’ di quella polvere verde che scomparve una volta a contatto con la pelle «presto potranno correre, volare e sparire a comando… come uno stand ma senza poteri».
Lo disse con una certa rassegnazione. Si perse a osservare il vuoto, o forse qualcosa che fosse visibile solo a lui, e per un attimo venne crudele, come il bagliore di un fulmine, la malinconica consapevolezza di non essere più un corpo fisico, di non essere più una vita ma solo il concetto astratto di un essere vivente posto all’interno di un concetto astratto più grande, movimentato e immobile, e per questo infinito. Perché di sicuro sarebbero rinati, ma i ricordi delle loro esistenze precedenti si sarebbero sciolti come l’imitazione dello Ierofante.
«Ti manca?» chiede a un tratto Bucciarati.
Kakyoin si riscosse. Strinse il ponte nasale e piegò le labbra in un mezzo sorriso, un sorriso con un che di amaro nelle pieghe tipico di chi ha sperimentato lo struggimento per qualcosa di bello non più recuperabile.
«Era un pezzo di me» Kakyoin si stiracchiò sul sedile come per scrollarsi di dosso quella nube di mestizia «Non so se rinascerò con uno stand o se sarò un essere umano normale, ma quel che so è che Hierophant Green non tornerà più. È diventato una statuetta di cristallo con una targa che gli altri spiriti ammirano per un po’ prima di pensare agli affari loro. Certe volte mi domando che vite conducano adesso i portatori reincarnati in altri corpi, ma posso solo supporre. L’arena, beh… avevo visto su un libro la foto dell’anfiteatro di Capua e mi era piaciuto… E poi molti portatori erano anche dei combattenti, quindi l’idea di un posto in cui si potesse dare sfogo alla propria competitività mi allettava. Mohammed era d’accordissimo a riguardo. Più che altro… a mancarmi è il breve momento di utilità che ho sperimentato quando sono scappato di casa, quando… prima di morire. Per la prima volta sentivo di far parte di un gruppo».
Caesar aveva lasciato andare Jolyne e stava indietreggiando da Anasui che sembrava non desiderare altro che usarlo come sacco da boxe, e lo avrebbe certamente preso a pugni se Weather Report non lo avesse afferrato per la vita e caricato sulla spalla per condurlo lontano dalla catastrofe.
«Non pensi di far parte di un gruppo anche adesso?» Bucciarati staccò un altro pezzo di ciambella e se lo mise in bocca «Non dai l’impressione di essere uno che si pente delle azioni che ha commesso»
«Non mi pento di niente infatti» mentre lo diceva, Kakyoin posò il mento su una mano e contemplò la figura addormentata sugli spalti «mi dispiace solo di aver lasciato da soli i miei genitori, se proprio devo essere onesto. Saperli distrutti non è stata esattamente la notizia più bella che potessi venire a sentire, ma dopo che c’è stato il casino del reset mi sono rivisto per un attimo ed è stato strano… in alcuni universi ho messo su famiglia, in altri sono una donna e in altri ancora continuo a morire allo stesso modo, ma in nessuno di questi provo rimorso per le mie azioni»
«In una manciata di universi faccio l’infermiere, porca vacca che salto di qualità» disse Bucciarati «quando ci penso mi sento strano, ma Narancia non fa che ripetermi che è il mestiere che più mi si addice»
«Per me ha ragione… cioè, se ti sposti la frangetta lo hai scritto in fronte che ti piace salvare la gente»
«Ma…» A Bucciarati si colorarono le gote «guardati allo specchio prima di parlare!»
«Il sottoscritto ha salvato il mondo, so bene di averlo scritto in fronte a differenza di qualcun altro» Kakyoin drizzò fiero la schiena e si batté il petto «finché non ti renderai davvero conto di essere stato una brava persona gli ellebori te li puoi scordare, tienilo in mente»
«Facile quando non sei tu a doverti autoassolvere» rintuzzò Bucciarati puntandogli contro il penultimo pezzo di ciambella.
«Non ho detto che sia facile, e poi chi ti ha detto che non debba autoassolvermi dai crucci che sento di avere?» gli domandò retoricamente quello «Tutti qui, chi più o meno, hanno un peso col quale devono imparare a convivere, e io non faccio eccezione»
«Onestamente non saprei di quale cruccio dovresti farti carico, la gente ti adora»
«Soprattutto Leone quando indosso la tua lingerie per una scommessa perduta»
«Sei un imbecille»
«Grazie, anche io penso che tu sia dotato di grande acume»
«Ah, non sviare il discorso!» sbuffò Bucciarati alzando la voce di un tono «Sul serio, cosa spinge uno come te ad avere dei sensi di colpa così grandi?».
Kakyoin parve rabbuiarsi di nuovo. Prese a giocherellare col ciuffo e al tempo stesso guardava con insistenza l’addormentato al quale aveva donato la ciambella allo zabaione.
«Ti è mai capitato di amare più di una persona contemporaneamente? Non intendo solo in senso romantico, intendo in senso totalizzante. Come… non so, una centrifuga di sentimenti dentro cui non sai quale tra questi prevalga».
Bucciarati rimase per un attimo in silenzio, anche se la risposta la conosceva già.
«Ciò che dici accomuna molte persone… Se poi queste persone ti hanno cambiato la vita è normale provare per loro sensazioni forti».
«Il fatto è che… sai, no? Alla maggior parte degli spiriti piace vedere cosa fanno i cari rimasti laggiù, mentre io non ne ho voluto sapere niente. Sono venuto a conoscenza di tutto il casino con Pucci e Jotaro solo dai diretti interessati quando tutto era già finito, ma né Jotaro né gli altri sembrano far caso a questo dettaglio»
«Non vedo perché dovrebbero» Bucciarati prese l’ultimo boccone e si preparò a mandarlo giù «non sta scritto da nessuna parte che sei obbligato a guardare quel che fanno i viventi»
«Lo so, ma quelli che ho avuto non sono stati solo degli amici… Sento di non aver compiuto il mio dovere di custode! Persino Leone sbircia quello che fa Giorno per assicurarsi che stia bene» Kakyoin si grattò la testa con energia «Uffa! A chi viene in mente di baciare un amico?!» sbottò una volta per tutte come se avesse vomitato un rospo molto grosso.
Bucciarati era rimasto con l’ultimo pezzo di ciambella a mezz’aria. Rimase bloccato con il pan di spagna tra le dita e i denti pronti a masticare, ma si concentrò a guardare il compagno di aldilà con le sopracciglia aggrottate.
«C’è del discorso nella tua confusione» fece ironico «molto poco, ma c’è»
«Non so se il mio sia semplice affetto, ecco tutto» Kakyoin gonfiò le guance, un po’ scocciato e un po’ imbarazzato «e sì, Mohammed lo sa, Cherry lo ha saputo da Caesar, Caesar l’ha visto, quindi lo sapeva già, e adesso lo sai anche tu, e no, non è un problema per nessuno tranne che per me»
«Va bene, adesso credo di aver compreso» Bucciarati infilò in bocca l’ultimo boccone «vi siete baciati mentre eravate in viaggio e non hai ancora idea di cosa significasse perché sei morto troppo presto per capirlo, mentre Jotaro è andato avanti con la sua vita e pensi ci abbia messo una pietra sopra… Se è così potete sempre chiarirvi»
«E cosa ci diciamo? Troppo semplice parlare adesso quando sia io che lui volevamo montare».
Quell’affermazione giunse talmente inaspettata che Bucciarati rischiò di strozzarsi nell’atto di deglutire, tossendo più rumorosamente del dovuto e per questo attirando l’attenzione delle anime in arena.
«Tutto a posto?» sentirono gridare da Foo Fighters «Guarda che ti basta morire una volta sola!».
Bucciarati sollevò una mano per rassicurare che non c’era nessun problema, riprese un po’ del suo contegno e guardò Kakyoin con tanto d’occhi, che nel frattempo ricambiava stranito come se dal suo canto non avesse detto chissà cosa di sconvolgente.
«Scusa, cosa vuol dire che volevate montare? Siete entrambi attivi?»
«Lo abbiamo capito solo nel momento in cui… insomma hai inteso» Kakyoin sorrise imbarazzatissimo come se lo avessero spogliato degli abiti che indossava «Cioè… io lo sapevo da tempo, ma non sapevo che Jotaro avesse i miei stessi gusti… come i poli uguali di due batterie che si respingono, non so se mi spiego… ce ne siamo tirati fuori con una risata e non ne abbiamo più fatto parola… Però il dubbio su quello che potrei provare è rimasto visto che io sarò per sempre un ragazzino mentre lui è diventato un uomo».
Bucciarati alzò gli occhi al cielo.
«Chi per primo mi ha spiegato perché vedessi il carro di Afrodite sei stato tu, tanto per ricordatelo, e poi qualsiasi cosa sia quello che prova per te ti vuole un bene dell’anima, si vede che gli mancavi… L’ho notato persino io che nemmeno sapevo chi foste»
«Mh» Kakyoin arricciò il naso per dissimulare – male – il senso di vergogna che provava «Ci proverò… Forse»
«Lo farai e basta» quello di Bucciarati somigliava più a un ordine che a un’esortazione.
Kakyoin stava per replicare: stava, perché l’uscio della baita si spalancò con la furia di un calcio e Abbacchio apparve più furente che mai, con la gamba ancora sollevata e le braccia cariche di ciambelle, facendo sobbalzare i due seduti in alto e l’uomo col cappellino sulla faccia che, dopo aver bofonchiato un’imprecazione in giapponese, raccolse in tempo la sua ciambella prima che cadesse a terra e guardò da dove provenisse il chiasso.
«Caesar!» urlò Abbacchio «Ridammi la bandana o te le spalmo addosso!».
Senza nemmeno aspettare la replica dell’altro discese i gradoni e si gettò al suo inseguimento lanciandogli contro i dolcetti e puntando con particolare sadismo ai capelli.
«Gli sta cospargendo la testa di zucchero e crema, che bastardo» commentò Kakyoin «non vuoi fermalo?»
«Nah, e perché» Bucciarati si sistemò meglio sullo schienale per godersi lo spettacolo «non vedo l’ora che finisca le munizioni, lo picchierà di santa ragione e poi gli farà lavare a mano la bandana».
Col caos che stava accadendo lì sotto era diventato impossibile riaddormentarsi, quindi l’anima di Jotaro stirò le braccia, sistemò il cappello in testa e si avviò a passi lenti verso l’uscio aperto con la ciambella che gli aveva portato Kakyoin. Gli sorrise brevemente quando gli passò accanto e, passando in rassegna la scena decise di porre a Bucciarati la stessa domanda che aveva fatto prima l’amico:
«Non vuoi fermarlo?»
«No, è divertente»
«Come volete…» Jotaro sbatté le palpebre e mise a fuoco l’aggressione perpetrata ai danni di Caesar «in effetti è divertente».
Senza dire altro voltò loro le spalle e lasciò l’arena avendo cura di chiudere l’uscio prima di andarsene. Solo a quel punto Bucciarati staccò gli occhi da Abbacchio che cercava di strozzare il ladro di bandane e guardò di nuovo il suo interlocutore:
«Forza, chiediglielo»
«Di entrare nel giardino di Mitra?»
«Esattamente. Alzati e vai ad acciuffarlo».
Kakyoin esalò un lungo sospiro per infondersi coraggio.
«Agli ordini» disse infine.
Non era necessario minacciarlo per fargli eseguire quel comando. Bucciarati lo avrebbe verificato poco dopo, mentre camminava tutto da solo nei pressi del labirinto; avrebbe visto i roseti sbocciare rivelando rose candide come la neve sul Vesuvio nei giorni della merla. L’eccezione sarebbe stata un unico bocciolo che custodiva una goccia di sangue, una piccola e quasi invisibile rosa rossa, che così come era nata sarebbe regredita allo stato di germoglio prima delle sue sorelle più vistose, sancendo la dipartita di qualunque velleità passionale.
Un altro piccolo, grande passo verso un’altra notte degli ellebori era stato compiuto.

 

I know I hurt you and I made you cry
Did everything but murder you and I
But love left a window in the skies
And to love I rhapsodize

U2, Window in the Skies

 

Locus amoenus

 

FINE

*** 

¹Amaterasu è la dea nipponica del sole ed è inoltre ritenuta la diretta antenata della famiglia imperiale giapponese. Link a Wikipedia per saperne di più.
²Nel capitolo Jotaro Kujo (terza parte) Joseph afferma che lo stand «è una presenza fissa [...] uno spirito delle onde concentriche». Anche se in seguito si è aggiunta la sottotrama inerente alla freccia ho voluto integrare queste due informazioni che, di fatto, non vanno in contraddizione.
³È canon che a Bucciarati non piacciano i fagioli, quindi ho voluto giocarci sopra.

E anche questa storia è giunta al termine. Da un lato ho chiarito alcune sottotrame illustrate in precedenza, dall'altro ho dato la mia personale opinione su certe dinamiche di certi personaggi verso le quali provo sensazioni contrastanti. Alla fine dei conti ho reso la Jotakak un legame forte ma al tempo stesso delicato, fornendo, come avevo fatto con la Bruabba, una versione leggermente differente rispetto a quella presentata solitamente dal fandom.
Grazie a chi segue, preferisce e soprattutto recensice le mie storie, siete meravigliosi/e. Prometto che tornerò (è una minaccia, includete la risata malvagia preregistrata) e quando accadrà tirerò fuori il meglio del peggio di me con un rating rosso. :V

Grazie mille e a presto, vi si vuole bene,

Green Star 90.
   
 
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