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Autore: GReina    13/10/2021    2 recensioni
Questa raccolta di OS partecipa alla sfida WRITOBER lanciata da Fanwriter.it
Per tutto il mese di ottobre pubblicherò una OS al giorno! Trame e personaggi varieranno di volta in volta. Consultate l'indice e la premessa (primo capitolo) per maggiori informazioni e curiosità su prompt scelti e personaggi!
[coppie: kuroken | ushiten | iwaoi | semishira | osasuna | daisuga | sakuatsu | tsukkiyama | tanakyo | shoumika | arankita | yakulev | bokuaka | matsuhana]
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Aoba Johsai, Karasuno Volleyball Club, Nekoma, Shiratorizawa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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n.a.
Non so in quanti di voi conoscano questo genere di fanfic (5+1), io stessa l’ho scoperto solo di recente. Lo schema è semplice: sono cinque volte in cui il protagonista fa qualcosa e una in un ne fa un’altra (di solito il contrario). Il Writober vuole solo che si segua il prompt, quindi dal momento che volevo provare a scrivere una 5+1 ho unito le due cose. Spero vi piaccia!!

ATTENZIONE: QUESTA ONE-SHOT CONTIENE FORTI SPOILER DEL MANGA. Ho cercato di essere quanto più vaga possibile, ma lo spoiler (enorme) rimane dal punto 5 in poi.
Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it
» Prompt: Hurt/Comfort
» N° parole: 1602

13. Hurt/Comfort – Suga

Cinque volte in cui Suga ha confortato qualcuno e una volta in cui è stato confortato lui.

Sugawara Koshi era da tutti stato definito “la mamma della squadra Karasuno”, e probabilmente avevano ragione. Bastava che l’alzatore vedesse un viso triste, d’altronde, che il suo unico obiettivo diventava quello di trasformarlo in un sorriso.

1.
La prima volta che si ritrovò in una situazione del genere fu durante il suo secondo anno. Gli allenamenti del coach Ukai erano sempre stati tremendi e talmente faticosi da spingere quasi alle lacrime, fino quando – tutt’a un tratto – l’uomo non andò in pensione. In quell’occasione Suga ed il resto della squadra – per quanto felici di poter respirare un po’ – non poterono che sentirsi tristi di perdere un maestro tanto in gamba, eppure non fu a nessuno di quelli che erano rimasti a cui servirono le parole di conforto dell’alzatore. La sua prima volta fu per Ennoshita.
Il ragazzo aveva sentito del pensionamento di Ukai e tempo una settimana era tornato in squadra. A quella notizia, tutti i membri del Karasuno si erano detti contenti, il suo ritorno visto come un’occasione di gioia, ma non per Chikara. Suga ne scoprì il motivo la sera stessa del suo rientro.
«Come posso guardare in faccia tutti voi?» si confidò il ragazzo del primo anno non appena Koshi gli chiese di farlo «Io ho mollato! Sono solo un perdente.» Suga gli aveva messo una mano sulla schiena e lì aveva iniziato ad accarezzarlo.
«Non sei un perdente, e lo dimostrerai!» era seguito un discorso lungo e delicato che comprendeva ciò che secondo lui era più importante, ma soprattutto l’importanza di poter concedere e soprattutto di potersi concedere una seconda occasione. Quando Ennoshita aveva sorriso, Suga l’aveva fatto con lui.

2.
Anche la seconda volta in cui Koshi si era ritrovato a confortare un compagno era avvenuta al suo secondo anno, ma questa volta verso la fine della scuola. La squadra aveva da poco giocato contro l’istituto Dateko perdendo clamorosamente. Suga aveva creduto che il proprio discorso collettivo di consolazione avesse funzionato, ma così non era stato per Asahi. Il loro asso aveva percepito troppa tensione addosso e a nulla erano valsi i tentativi dell’alzatore che insisteva per parlargli: lo schiacciatore era andato via senza nemmeno ascoltarlo. Fu su Nishinoya, dunque, che il ragazzo dai capelli d’argento concentrò le proprie cure.
«Hai fatto tutto ciò che potevi per tenerlo con noi, Noya.» provò a convincerlo «Asahi ha solo bisogno di tempo. Se gli parlerai ancora dopo le vacanze, sono sicuro che riuscirai a convincerlo.» il libero aveva sorriso rallegrando ancora una volta la mamma della squadra.

3.
La terza volta Koshi per poco non la cedette ad Ennoshita. D’altronde era stato perfetto nel difendere Yamaguchi dalla sfuriata di Ukai jr. e la cosa sembrava tanto essersi sistemata lì, ma quella sera l’alzatore non poté fare a meno di ricredersi nel vedere Tadashi con il muso lungo.
«È normale sentire un po’ di agitazione quando si scende in campo.»
«Ma io posso scendere in campo solo per battere! Se non so fare neanche quello a cosa servo?» anche in quel caso Suga gli aveva posato una mano sulla schiena iniziando a muoverla su e giù.
«Tu non sei solo le tue battute, Yamaguchi. Credi che Tsukishima giocherebbe così bene se non fosse stato per te?» gli disse riferendosi al discorso che Yamaguchi aveva fatto al biondo durante il ritiro estivo a Tokyo.
«Sei umano, come tutti noi. L’ansia ha vinto, stamattina, ma l’importante è capirlo e sapere che non risuccederà. Tu sei forte, lo sappiamo tutti. Adesso devi solo capirlo tu.» Tadashi sorrise, e Suga seppe di aver fatto bene il proprio lavoro.

4.
La quarta volta fu più delicata: Tanaka – sempre così pieno di spirito e autostima – aveva iniziato a perdere fiducia in se stesso, troppo in balia delle chiacchiere altrui per rendersi conto che lui era perfetto così.
«Perché nessuno capisce quanto io faccia sul serio?» quella domanda era sicuramente lecita. Era tutto il giorno, infatti, che chiunque lo incontrasse non faceva altro che chiedergli perché avesse deciso di non cogliere l’opportunità e mettersi con l’amica d’infanzia che gli si era dichiarata. Per quanto risoluto Ryunosuke fosse stato a dirle di no – seppur con tatto – adesso ciò che gli si leggeva in viso altro non era che sconforto.
«È così difficile credere che io possa tenere davvero tanto a Kiyoko?» nel suo sguardo Suga lesse solo paura, così sorrise nel tentativo di tranquillizzarlo.
«Non lo è affatto. Io ti credo, e sono sicuro che lo faccia anche lei.» Tanaka era scettico, così l’alzatore dovette insistere ancora fin quando il sorriso dello schiacciatore non fiorì finalmente confermandogli il successo del suo intervento.

5.
La quinta volta fu più difficile, perché Sugawara stesso era straziato. Come sempre, comunque, mise se stesso in secondo piano e si dedicò alla sua squadra, e più in particolare ad Hinata.
«Ora devi solo pensare a riprenderti.» gli disse mentre lo accarezzava sulla schiena in quel gesto di conforto ormai familiare «Sei stato bravo, vedrai che l’anno prossimo porterai la squadra ancora più avanti ai Nazionali.» Shoyo gli rispose piangendo disperato.
«Ma tu e il resto dei senpai non ci sarete!!» un groppo in gola rischiò di bloccare le successive parole di Suga. D’altronde Hinata aveva ragione. Ingoiò il rospo e disse:
«Hai ragione, ma ci siamo divertiti fino ad adesso, no? Prima di voi non eravamo mai arrivati ai Nazionali. Ora possiamo dire di averlo fatto. L’importante è aver potuto fare questa esperienza insieme.» il più piccolo annuì, ma senza ancora riuscire a sorridere, quindi Koshi sospirò e sfoderò tutto il proprio repertorio, trattenendo le lacrime ogni volta che le parole di Hinata gli ricordavano che lui non avrebbe più potuto giocare con il Karasuno e minimizzando ogni volta quella chiusura per lui definitiva.

+1.
Quando infine era riuscito a far sorridere Shoyo, Suga si sentì realizzato. La sua squadra stava bene, adesso, ed era tutto ciò che per lui importava. Ignorò la morsa che aveva in petto, quindi, ma decise anche di allontanarsi il più possibile dal ragazzo appena consolato. Non voleva rischiare che scoppiando in lacrime il suo lavoro venisse vanificato.
Era finita. Per tre anni aveva fatto parte di quel club e adesso doveva lasciarlo. Sapeva che prima o poi sarebbe dovuto succedere, ma i Nazionali l’avevano distratto e adesso non sapeva che fare.
Si impose di non piangere, comunque, così dal momento che si sentiva in bilico decise di allontanarsi per recuperare la compostezza e la forza che gli serviva per reprimere tutto dentro. Svoltò l’angolo e percorse il corridoio deserto con il labbro sempre più tremante. Gli sarebbe bastato qualche altro metro e sarebbe stato al sicuro, ma poi la voce di Daichi lo raggiunse.
Prima di voltarsi, Koshi sospirò piano e tremulo, sbatté le palpebre e ricacciò indietro le lacrime. Sorrise, poi si voltò verso il capitano con quell’espressione.
«Peccato, eh?» gli disse con quanta più leggerezza possibile. «Sei stato un capitano eccezionale e hai fatto tutto benissimo, Daichi.» partì in quarta pronto a consolare anche il ragazzo che aveva davanti. Questi gli sorrise intenerito prima di avvicinarglisi. Aveva gli occhi rossi, ma sembrava stare bene.
«Non devi occuparti sempre tu di tutto questo, sai?» Suga non capì, così inclinando la testa chiese:
«Che intendi?» Daichi lo guardò ancora con fare dolce.
«Intendo che puoi permetterti di essere triste, Suga. Va bene così.» quelle parole lo spiazzarono; il groppo in gola che si intensificava.
«L-Lo so!» balbettò «Sono triste, ma va tutto bene. Ci siamo divertiti, no?» ripeté la frase che aveva usato con Hinata. Sawamura annuì.
«Sicuramente.» gli disse avvicinandosi «Ma ora è finita.» sussurrò più piano. L’alzatore deglutì con difficoltà e con difficoltà mantenne la maschera che aveva indossato. Daichi se ne accorse.
«Sei stato fantastico con la squadra. Lo sei sempre stato. Ma non devi arrivare a stare male per noi. Anche tu puoi permetterti di essere triste.» erano anni che Koshi si metteva in secondo piano per far stare bene gli altri, cosicché gli fu impossibile fare quanto detto da Daichi. Come poteva piangere dopo il discorso che aveva fatto ad Hinata? E se vedendolo in lacrime i ragazzi di primo e secondo anno si fossero dispiaciuti? Così negò ancora ed il suo groppo s’intensificò. Respirare, ora, gli risultava fastidioso. Piangere era l’unica cura, ma non voleva usarla.
Sawamura lo abbracciò. Fu talmente improvviso da far paralizzare Suga. Sentì una mano posarsi sulla sua schiena e lì iniziare a muoversi su e giù: era il gesto che faceva lui per confortare gli altri. Deglutì ed impose alle lacrime di non andare oltre il bordo degli occhi sul quale erano arrivate.
«Questa non sarà l’ultima volta che giocheremo insieme, te lo posso assicurare. Continueremo a vederci come sempre anche dopo il diploma, manderemo un messaggio ai nostri kohai ed useremo un campo pubblico fino a notte fonda.» l’alzatore resistette ancora qualche secondo, infine il capitano aggiunse:
«Va tutto bene, Koshi.» e le fontane vennero aperte. Suga non sapeva se fosse stata la frase, il modo in cui era stata detta o il suo nome di battesimo. Forse era merito dell’abbraccio o ancora la consapevolezza di avere anche lui qualcuno a cui potersi appoggiare. Afferrò con forza la giacca del suo eterno capitano, seppellì il volto sulla sua spalla e lì soffocò i propri gemiti a cui però diede libero sfogo.
«Va tutto bene. Va tutto bene.» continuava la cantilena di Daichi, e Koshi sapeva essere così. Quella non sarebbe stata l’ultima volta che giocavano insieme, né per lui e Daichi sarebbe stato l’ultimo abbraccio.
Sarebbe andato tutto bene.
   
 
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