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Autore: My Pride    14/10/2021    5 recensioni
Jon non aveva capito bene cos'era successo, ma quel giovane tritone l'aveva salvato e non aveva fatto in tempo a ringraziarlo che, così com'era apparso, alla fine era sparito. Rammaricato, il giorno successivo era tornato a quell'insenatura con la speranza di rivederlo, e così aveva fatto il giorno dopo e il giorno dopo ancora, e aveva quasi perso le speranze di rivederlo quando, facendo timidamente capolino dal pelo dell'acqua, la testa mora di quel tritone si era fatta finalmente vedere, e Jon aveva sorriso radioso nel saltare sugli scogli per raggiungerlo.
Genere: Avventura, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Put your lips on me Titolo: Put your lips on me (and I can live underwater)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long Fiction
Capitolo uno: 3593 parole [info]fiumidiparole 

Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Lois Lane, Clark Kent, Tim Drake, Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Fluff, Smut, Light Angst

Avvertimenti: Mermaid!AU, Accenni slash, Hurt/Comfort


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.

    Seduto su uno scoglio poco distante dalla riva, Jon gettò uno sguardo all'orizzonte mentre dondolava i piedi nell'acqua, mordendosi un po' il labbro inferiore nell'attesa.
    Era la prima volta che Damian tardava ai loro appuntamenti, e stava cominciando a diventare nervoso. Si conoscevano ormai da sei anni ed erano praticamente cresciuti assieme, a dispetto della diversità che li divideva.
    Ricordava ancora il giorno in cui si erano incontrati. Aveva dieci anni e stava giocando proprio in quell'insenatura, arrampicandosi sulla scogliera; aveva messo un piede in un punto sbagliato tra le rocce ed era scivolato, sgranando gli occhi nel cadere verso il basso, con il cielo che si allontanava e le mani che cercavano inutilmente di afferrare qualcosa. L'acqua di mare gli aveva riempito la bocca e ne aveva respirata un bel po', agitando inutilmente braccia e gambe per cercare di risalire in superficie, poiché a quel tempo non sapeva nuotare; l'ultima cosa che aveva visto, fra la moltitudine di bolle che scappavano dalle sue labbra, era stato un lampo verde che gli era sfrecciato accanto, poi più nulla... finché non si era risvegliato su uno scoglio e qualcosa di caldo e liscio che gli schiaffeggiava ripetutamente le guance.
    Jon ammetteva di aver gridato per la sorpresa quando, mettendo a fuoco il mondo circostante, si era ritrovato a fissare quello che gli era sembrato in tutto e per tutto un giovane tritone. Ne aveva sentito parlare da suo padre e dalla gente del villaggio, ma nessuno, da quel che ne sapeva, ne aveva mai visto uno; solo suo nonno Jonathan, da quale aveva preso il nome, aveva blaterato di averne conosciuti un paio e uno di loro l'aveva anche descritto come un distinto gentiluomo inglese dalla pelle bianca e dai baffi perfetti, ma nessuno aveva voluto credergli e la cosa era ben presto finita nel dimenticatoio. Almeno finché Jon non si era ritrovato a guardarne uno.
    Quando lo sconcerto iniziale era passato, e quel tritone gli aveva sbottato contro in una strana lingua - Jon non l'aveva capito, ma dal tono gli era sembrato molto simile a qualcuno che si lamentava per le cattive maniere che gli venivano rivolte -, Jon aveva potuto guardarlo meglio e aveva dovuto ammettere a se stesso che era del tutto diverso dai tritoni che erano sempre comparsi nelle storie del suo vecchio nonno. La pelle, per niente pallida come quella che si era aspettato da una creatura che viveva nell'oceano, era di un piacevole colore ambrato tendente al miele, e aveva fatto risaltare come non mai i suoi occhi, di un verde così brillante che per un momento erano sembrati luccicare esattamente come la lunga coda squamosa, la quale non aveva smesso di agitarsi tutto il tempo con un certo nervosismo.
    Jon non aveva capito bene cos'era successo, ma quel giovane tritone l'aveva salvato e non aveva fatto in tempo a ringraziarlo che, così com'era apparso, alla fine era sparito. Rammaricato, il giorno successivo era tornato a quell'insenatura con la speranza di rivederlo, e così aveva fatto il giorno dopo e il giorno dopo ancora, e aveva quasi perso le speranze di rivederlo quando, facendo timidamente capolino dal pelo dell'acqua, la testa mora di quel tritone si era fatta finalmente vedere, e Jon aveva sorriso radioso nel saltare sugli scogli per raggiungerlo.
    Per un po' si erano fissati in un imbarazzante silenzio, Jon in piedi sullo scoglio e quel tritone col capo rivolto verso l'alto; poi, dopo aver fatto spuntare parzialmente la pinna caudale al di fuori dell'acqua, aveva anche allungato una mano verso di lui, e Jon per un momento aveva avuto la stupida paura che l'avrebbe trascinato ancora una volta sul fondo dell'oceano. Paura che era sparita come spazzata via dal vento quando, con voce austera e sicura, quel tritone si era rivolto a lui e gli aveva semplicemente detto «Mi chiamo Damian» nella sua lingua, aspettando che gli venisse stretta la mano. E Jon non ci aveva pensato due volte a ricambiare con l'ennesimo sorriso, presentandosi a sua volta e, mentre lo ringraziava per quel salvataggio, non aveva potuto fare a meno di notare il lieve rossore su quelle guance scure.
    Da quel momento erano passati ben sei anni e la loro amicizia, nonostante quei due mondi di distanza, era diventata ben più forte di quanto loro stessi avessero pensato all'inizio, per quanto Jon, nel silenzio della sua camera, ammettesse a se stesso di non provare soltanto quello... ma era un sentimento letteralmente impossibile, quindi si teneva per sé ogni cosa, godendosi almeno il tempo che potevano passare insieme. Ed era proprio per quel motivo che in quel momento era così nervoso, tanto che aveva cominciato a battere ritmicamente un piede sullo scoglio mentre gettava uno sguardo verso il cielo. Era quasi il tramonto. Sarebbe dovuto tornare presto a casa e Damian... Damian non era venuto.
    Un orribile pensiero gli balenò in testa e scattò in piedi così in fretta che quasi rischiò di scivolare da quello stupido scoglio. Gli era forse successo qualcosa? Suo padre, che nonostante avesse accettato quell'amicizia non vedeva di buon occhio gli umani, l'aveva costretto a tagliare del tutto i ponti con lui? Oppure... oppure aveva incontrato quel branco di squali di cui gli aveva parlato, e loro avevano finito per... oh, Dio. Non voleva nemmeno pensarci.
    «Cadi di nuovo in acqua e stavolta ti lascio affogare davvero».
    Jon sussultò alla voce proveniente dalla sua destra, e finì col sedere sullo scoglio quando si mosse troppo in fretta per voltarsi; imprecò a denti stretti e si massaggiò il sedere, fulminando il tritone con lo sguardo nel sentirlo ridere senza tanti complimenti.
    «Mi hai fatto prendere un colpo, D!» si risentì, aggrottando la fronte prima di incrociare le gambe e poggiare una mano sulla caviglia destra. «Stavo cominciando a preoccuparmi», ammise poi, e l'ilarità sulle labbra di Damian sparì, lasciando posto ad un'aria un po' infastidita. 
    «Mio padre». Oh, ecco. Jon l'aveva immaginato. Adesso avrebbero dovuto dirsi addio e... «Ma non è come pensi», si affrettò ad aggiungere Damian, come se gli avesse appena letto nel pensiero. Le sirene - pardon, tritoni - potevano farlo? Nah, forse era semplicemente un libro aperto. «I miei fratelli sono tornati dal loro viaggio dal Mar Nero, e mio padre ha organizzato un evento in loro onore».
    Jon trasse un lungo sospiro di sollievo, sentendo il cuore rallentare un po'. Aveva davvero pensato al peggio, e forse era stato persino un po' stupido. «E non sei felice di averli rivisti? Tu adori i tuoi fratelli», accennò con un sorriso, e Damian si strinse nelle spalle.
    «Mhn. Passabili», affermò lui, ma si vedeva lontano un miglio che lo diceva solo per salvare le apparenze e mantenere la sua solita maschera di compostezza.
    Jon non li aveva conosciuti bene, ma ogni tanto aveva potuto vedere anche i fratelli di Damian. Le prime volte che avevano cominciato ad incontrarsi, Damian era stato seguito proprio da uno di loro e, quando era stato visto, Jon per poco non era stato colpito da un bastone lanciato a tutta velocità, simile ad un giavellotto; era letteralmente sbiancato dalla paura nel sentirlo conficcarsi alle sue spalle, e Damian aveva urlato contro quello che Jon aveva scoperto essere suo fratello Tim, il quale aveva pensato che lui - Jon - fosse un umano che stava cercando di fare del male al suo fratellino. Chiarito il disguido, alla fine Tim si era scusato, ma una scena simile si era verificata anche con Jason, il fratello di mezzo. E il fatto che gli avesse sparato contro una vera e propria bolla d'aria, che aveva fatto saltare le rocce dietro di lui, aveva quasi fatto svenire Jon.
    Il suo preferito, però, era Richard, per gli amici Dick. Anche se persino lui non si era risparmiato dal proteggere il fratello minore a modo suo - Jon non aveva mai pensato in vita sua di vedere dei bastoni da escrima alimentati da anguille elettriche -, Dick era il classico tipo solare che riusciva ad andare d'accordo con tutti, ma al tempo stesso incuteva abbastanza timore da calmare i battibecchi dei suoi fratelli; Damian aveva anche una sorella, Cassandra, ma quest'ultima si limitava ad assistere con divertimento alle liti che davano vita e alle quali Jon stesso non riusciva a resistere, ridendo a più non posso. Era strano dirlo, ma si era affezionato a quella famiglia di tritoni e sirene come non avrebbe mai pensato prima. Peccato che non poteva dirlo a nessuno.
    Il padre di Damian era stato un altro paio di maniche. Insospettito dal continuo via vai del figlio, e del modo in cui anche i restanti figli sembravano sparire, alla fine aveva seguito silenziosamente Damian ed era emerso dalle acque in uno spumeggiare di onde e schiuma, spaventandoli entrambi. E per un bambino di undici anni, per quanto piuttosto alto per la sua età, era sembrato davvero mastodontico con la sua espressione austera e il cipiglio nervoso che aveva solcato le folte sopracciglia scure. Per fortuna, per quanto si fosse mostrato poco disposto a sopportare quegli incontri, aveva lasciato che lui e Damian continuassero ad essere amici, imponendo come unica regola dei giorni stabiliti e soprattutto degli orari in cui non avrebbero rischiato di essere visti. Né da soli, né insieme. Avevano accettato a malincuore quelle condizioni, ma con gli anni avevano capito che era per il loro bene... ma soprattutto per quello di Damian.
    «Jon?»
    Damian lo richiamò e lui dovette sbattere più volte le palpebre, essendosi perso nei suoi pensieri. Non si era nemmeno accorto che Damian si era sporto un po' sullo scoglio verso di lui, le mani sul bordo umido e il viso quasi ad una spanna dal suo, e gli occhi di Jon si ingigantirono un po'. Era la prima volta che si trovavano così vicini l'uno all'altro, e Jon poté vedere che le iridi di Damian tendevano al dorato proprio intorno alla pupilla, e piccole squame gli coloravano le guance di verde come una spruzzata di lentiggini; sulla gola, proprio al di sotto delle orecchie a punta, aveva dei piccoli tagli che Jon capì essere delle branchie, e a dire il vero non credeva che Damian le possedesse; le labbra erano stranamente rosee e carnose, e Jon si ritrovò a deglutire senza nemmeno rendersene conto.
    Rimasero immobili per attimi interminabili, poi si resero conto della situazione e si allontanarono così in fretta che Jon quasi cadde con la schiena all'indietro e Damian sparì sotto il pelo dell'acqua, salvo poi ricomparire dall'altra parte dello scoglio con un'espressione vagamente corrucciata mentre le prime luci del tramonto coloravano il cielo d'arancione.
    «Sarà meglio che torni a casa», sentenziò, indicandogli la scogliera con la punta della coda. «I tuoi potrebbero cominciare a chiedersi che fine hai fatto, se resti ancora qui».
    Jon sospirò pesantemente. Odiava ammetterlo ma, anche se non erano riusciti a passare del tempo insieme, Damian aveva ragione. «Vorrei poter rimanere di più».
    «Lo so. Ma non possiamo. Ci vediamo domani».
    «Domani?» lo guardò con un cipiglio curioso quando sentì quelle parole, e Damian si strinse un po' nelle spalle.
    «Ho fatto tardi per colpa di mio padre, mi deve un giorno in più».
    Il sorriso di Jon divenne sfavillante e, per quanto Damian avesse pronunciato quelle parole con disinteresse, notò che le labbra gli si erano incurvate in un po'. Si salutarono mentre il sole cominciava a calare verso l'orizzonte, e Jon sentì lo sguardo di Damian sulla schiena come ogni volta in cui tornava verso la costa e a casa, regalandogli un ultimo saluto con una mano prima di cominciare ad arrampicarsi sulla scogliera per lasciare quell'insenatura con un po' di imbarazzo ancora dipinto in volto.
    Oh, accidenti. Era stato quasi sul punto di abbassare il viso e baciare Damian, che diavolo stava pensando? Per quanto avesse cominciato a vedere Damian sotto una luce diversa da un paio d'anni a quella parte, non poteva continuare a fantasticare inutilmente in quel modo. Che razza di futuro avrebbero potuto avere? Non sapeva nemmeno se quel sentimento era ricambiato, quindi sarebbe stato meglio mettersi il cuore in pace fin da subito.
    Jon allontanò quei pensieri dalla propria testa e afferrò la sporgenza per salire di qualche altro centimetro, rabbrividendo per il venticello freddo che aveva cominciato a sferzare l'insenatura; ma fu quando allungò la mano ancora una volta, per quel sentiero su cui si arrampicava praticamente da sei anni, che la roccia sotto il suo piede destro franò, e lui sgranò gli occhi nel cercare di stringere inutilmente la presa mentre precipitava esattamente com'era successo sei anni addietro, con la sola differenza che non ci sarebbe stato l'oceano ad attutire la sua caduta, ma solo un ammasso di rocce e spuntoni.
    Gridò, e al suo grido parve fare eco la voce di Damian, e quasi pianse mentre vedeva la sua vita scorrergli veloce davanti agli occhi. No. No. No. Non davanti a Damian. Si sarebbe sfracellato sulle rocce e il suo corpo senza vita sarebber rimasto lì a sanguinare sotto lo sguardo terrorizzato del tritone che aveva cominciato a... i suoi terrificanti pensieri furono interrotti quando si rese conto di essere stato afferrato letteralmente al volo, lasciandosi scappare un piccolo suono soffocato mentre sbatteva contro qualcosa di massiccio, sì, ma al contempo caldo e rassicurante.
    Jon, che aveva stretto furentemente le palpebre col cuore che batteva all'impazzata e il fiato mozzato nel petto, ci mise un secondo di troppo a rendersi conto di cosa fosse successo, esattamente come quel suo salvatore. Aprì piano un occhio, poi un altro; forti braccia muscolose dalla pelle ambrata e umida sorreggevano il suo corpo, e quando voltò di poco la testa incontrò gli occhi verdi e dilatati di Damian, che sembrava stupito esattamente come lui.
    «D-Damian?» domandò con voce stridula, tossicchiando per schiarirsi la gola. Non fece in tempo a chiedere altro che entrambi caddero con un tonfo sordo sulla sabbia sottostante, imprecando a denti stretti. E fu a quel punto che Jon, proprio come Damian, si rese conto che qualcosa non andava. Era seduto su Damian e... e quello che premeva contro le sue natiche non era di certo una coda.
Il sangue gli salì al viso fino alle orecchie e si allontanò di scatto per gattonare sulla sabbia il più lontano possibile, levandosi la giacca tra borbottii imbarazzati mentre Damian, incredulo, si osservava le gambe che avevano sostituito la sua coda e l'organo umano che aveva preso il posto dell'apparato genitale a cui era abituato. Era... impossibile. Com'era successo?
    Sbattendo le palpebre, Damian allungò una mano per pizzicare quella strana carne di cui aveva letto solo nei libri che i suoi fratelli portavano dai loro lunghi viaggi - aveva imparato a creare una bolla d'aria in cui poterli conservare, così che non si rovinassero a causa dell'acqua dell'oceano e potesse leggerli in santa pace -, e che, se ben ricordava, si chiamava coscia; anche le ginocchia erano strane, per non parlare di quell'affare floscio fra le sue gambe, niente a che vedere con l'emipene biforcato munito di spine che aveva sempre posseduto. Ciononostante il suo sguardo era curioso, e stava quasi per toccarlo - aveva letto molte storie in cui gli umani lo usavano anche per il piacere, e non solo per la riproduzione - quando venne coperto da quella che capì essere una felpa. La felpa di Jon.
    Damian sollevò lo sguardo verso Jon, che aveva accuratamente evitato tutto il tempo di guardarlo. «Che dovrei farci con questa?» domandò e, per la prima volta in vita sua, sentì Jon dar vita ad un suono frustrato.
    «S-Smettila di guardarti e copriti». Jon non si girò per accertarsi che l'avesse fatto, borbottando un ringraziamento per essere stato salvato - di nuovo - prima di trarre un lungo sospiro e fare la domanda ovvia che aveva cominciato a farsi largo nella sua testa. «Mi spieghi che significa?» chiese, forse persino con un pizzico di risentimento.
    Damian, però, abbassò nuovamente lo sguardo, rigirandosi un po' quella felpa fra le mani prima di abbandonarla sulle cosce. «Ne so quanto te».
    «Come puoi non saperlo? Non sai sempre tutto?»
    «Se lo avessi saputo, non--» Damian si interruppe, sbottando qualcosa in quella lingua che Jon non riusciva tuttora a capire prima di gettare via la felpa, che affondò un po' nella sabbia. «Lascia perdere. Torno a casa».
    Jon avrebbe voluto dire qualcosa, ma non sapeva cosa. Si era solo ficcato le mani in tasca e aveva guardato Damian di sottecchi, vedendo il modo in cui cercava di rimettersi in piedi; arrancò un po', con le gambe che tremavano sotto il suo peso, e mosse qualche passo incerto verso il mare, barcollando come un ubriaco mentre cercava di mantenere inutilmente l'equilibrio. Cadde in ginocchio non appena raggiunse la riva, ma l'espressione sul suo volto passò dallo stranito al terrorizzato mentre affondava le mani in acqua e afferrava la sabbia colma di conchiglie e sassolini.
    «Jon».
    Jon dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà di giovane adolescente per non guardare Damian, correndo verso la felpa per prenderla e avvicinarsi a lui. «Cosa c'è che non va?» chiese preoccupato, abbandonando ogni forma precedente di risentimento di qualunque tipo. La voce di Damian sembrava davvero spaventata.
    «La mia coda». Scavò nella sabbia come se ciò potesse servire a qualcosa, i grandi occhi verdi fissavano l'acqua che stava diventando un pozzo nero a causa del sole che tramontava. «Non so come far tornare la mia coda».
    Massaggiandosi il ponte del naso, Jon gli lanciò una rapida occhiata. «Okay... ragiona. Come hai fatto a farti spuntare le gambe?»
    «Ti ho detto che non lo so, idiota», sbottò Damian. «Ti ho visto cadere e non ho pensato razionalmente, mi sono solo gettato verso la riva».
    Jon guardò la scogliera e poi di nuovo Damian, volgendo lo sguardo verso il mare e l'orizzonte prima di tornare a fissare la scogliera. Nessuno dei due sapeva cosa fosse successo e, se Damian non riusciva a farsi spuntare di nuovo la coda, allora avevano davvero un bel problema. Un'altra folata di vento lo fece rabbrividire, e notò che anche Damian l'aveva fatto, massaggiandosi le braccia su cui era spuntata la pelle d'oca. Oh, dananzione. Quanto era idiota?
    «Metti questa», lo invitò immediatamente, poggiandogli lui stesso la felpa sulle spalle; ricevette da Damian uno sguardo confuso ma, nonostante il borbottio che si lasciò scappare, parve accettare di buon grado quella gentilezza, lo sguardo perso all'orizzonte con una strana nota nostalgica.
    «...e adesso?» sussurrò mentre si stringeva in quella stoffa calda, e Jon, puntellandosi al suo fianco, scosse brevemente la testa.
    «Non... non lo so», ammise. «Ma non puoi restare qui».
    «La mia famiglia si preoccuperà».
    Era vero, l'avrebbero fatto di certo. Conoscendo i fratelli e la sorella di Damian, nonché suo padre - oh, Dio, suo padre l'avrebbe infilzato con il suo tridente e l'avrebbe trasformato in cibo per i suoi pescecani -, probabilmente stavano già nuotando verso l'insenatura nel rendersi conto che aveva superato l'ora del coprifuoco. Jon sapeva che anche suo padre e sua madre si sarebbero preoccupati a morte, ma non poteva abbandonare Damian e non sarebbe comunque potuto risalire insieme a lui. A malapena si reggeva in piedi su quelle sue nuove gambe, come avrebbe potuto arrampicarsi?
    Jon sospirò, raschiando i denti sul labbro inferiore prima di scivolare vicino all'amico e avvolgergli un braccio intorno alle spalle; Damian si irrigidì, ma Jon si giustificò dicendo che in quel modo sarebbero stati più al caldo e la fece passare per una semplice cosa umana, guadagnandoci un grugnito un po' scettico mentre se ne stavano lì, col sole che veniva inghiottito dal mare e la notte che cominciava ad avvolgerli.
    «Non credo di sentirmi molto bene», disse d'un tratto Damian. Aveva la voce roca e faticava a tenere gli occhi aperti, e Jon lo sentì tremare contro di lui solo per vederlo con le palpebre socchiuse.
    «Cos'hai?» chiese preoccupato.
    Damian si portò debolmente una mano al ginocchio. «Le... le gambe. Mi fanno male». Si umettò le labbra, deglutendo più e più volte mentre brividi freddi gli correvano dietro la spina dorsale. «E... non respiro».
    «O-Okay, aspetta, io...» Cosa poteva fare? Non aveva mai visto Damian in quelle condizioni e non aveva idea di come comportarsi, il respiro dell'amico era sempre più rotto e Jon sgranò gli occhi nel rendersi conto, quando gli poggiò una mano sulla fronte, che scottava. «Damian, ehi, D, guardami», lo richiamò, avendo notato il modo in cui stava poco a poco abbassando le palpebre, e proprio in quel momento reclinò la testa all'indietro, lasciando Jon ancor più sconvolto.
    Dovette farlo sdraiare sulla sabbia e cercare di tenerlo al caldo il più possibile con la felpa che gli aveva dato - era una fortuna che gli stesse grande, perché almeno lo copriva fino a metà coscia -, impanicato. Cosa avrebbe dovuto fare? Cosa poteva fare?
    Jon si guardò intorno, gli occhi che guizzavano da una parte all'altra dell'insenatura senza aver idea di come aiutare il suo amico, finché la parte razionale del suo cervello, alla vista delle condizioni di Damian che peggioravano praticamente sotto il suo sguardo, gli diede l'unica soluzione possibile. Per la prima volta dopo sei anni, Jon fece una cosa che non aveva mai fatto: condivise il suo luogo segreto... e chiamò suo padre.






_Note inconcludenti dell'autrice
Allora. Questa storia in realtà è nata un po' per caso (soprattutto grazie all'immagine che apre la storia), ma sono stata spronata a scriverla davvero solo grazie 
a Shun di Andromeda, alla quale dedico l'intera storia (di cui mi ha anche aiutato a scegliere il titolo)
Negli ultimi mesi mi è stata vicino un sacco e mi ha fatta tornare la voglia di scrivere e sclerare, quindi la scrittura è tornata ad essere un vero e proprio divertimento... e avevo dimenticato come ci si sentiva a lasciarsi andare in mondi immaginari o scenari del tutto inventati, quindi non posso non dirmi contenta di essere tornata a pubblicare qualcosa
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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