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Autore: Ghost Writer TNCS    16/10/2021    2 recensioni
Da sempre le persone hanno vissuto sotto il controllo degli dei. La teocrazia del Clero è sempre stata l’unica forma di governo possibile, l’unica concepibile, eppure qualcosa sta cambiando. Nel continente meridionale, alcuni eretici hanno cominciato a ribellarsi agli dei e a cercare la verità nascosta tra le incongruenze della dottrina.
Nel frattempo, nel continente settentrionale qualcun altro sta pianificando la sua mossa. Qualcuno mosso dalla vendetta, ma anche dalla volontà di costruire un mondo migliore. Un mondo dove le persone sono libere di costruire il proprio destino, senza bisogno di affidarsi ai capricci degli dei.
E chi meglio di lui per guidare i popoli verso un futuro di prosperità e progresso? Chi meglio di Havard, figlio di Hel, e nuovo dio della morte?
Questo racconto è il seguito di AoE - 1 - Eresia e riprende alcuni eventi principali di HoJ - 1 - La frontiera perduta.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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1. Il figlio di Hel

Data:  3631,2 d.s.[2]

Luogo: pianeta Raémia, sistema Mytho


Il piccolo villaggio sembrava abbandonato da tempo. Delle misere casupole di legno restavano solo i ruderi, gli interni erano stati saccheggiati e la vegetazione ne aveva ripreso possesso.

Non molto distante dal centro abitato c’era un piccolo cimitero. Anche lì le piante si erano diffuse senza timore, segno che non veniva più usato da tempo. Situato al centro del cimitero c’era un piccolo tempio, ma la statua al suo interno non era dedicata a Nergal[3], bensì a Hel[4], la precedente dea della morte, il cui culto era scomparso da più di due decenni.

Inginocchiata davanti alla piccola statua c’era una vecchia orchessa dalla carnagione marrone. I capelli grigio chiaro erano raccolti in lunghi rasta a loro volta legati insieme, e intorno agli occhi aveva della pittura nera, simile a una maschera, che faceva risaltare ancora di più le sue iridi azzurro chiaro. Indossava un lungo mantello un po’ consumato in grado di avvolgerla completamente, utile anche per celare la protesi metallica che rimpiazzava la sua mano sinistra: un artefatto dalle linee rozze, ma che lei riusciva a muovere in maniera relativamente naturale, presumibilmente grazie alla magia.

D’un tratto qualcosa si risvegliò all’interno del modesto tempio. Non era strano che gli dei rispondessero ai loro fedeli più devoti, ma la dea Hel era stata uccisa, e da allora nessuno era stato più in grado di sentire la sua voce o di attingere alla sua benedizione.

La temperatura parve calare di colpo e davanti alla statua della dea si aprì un tetro portale. Una figura lo attraversò, stagliandosi retta e fiera al centro del tempio. Era anche lui un orco, ma era nettamente più giovane, aveva la carnagione molto pallida e sotto gli occhi aveva dei segni neri simili a lacrime cicatrizzate. I suoi abiti erano in condizioni migliori rispetto a quelli dell’orchessa, ma erano comunque di fattura piuttosto umile, che cozzavano con la sua aura fiera e autorevole.

La donna si alzò. Nonostante l’età – probabilmente superiore all’aspettativa di vita media – si muoveva ancora in maniera piuttosto disinvolta.

«Sei riuscito a creare il bastone. Ti soddisfa?»

L’orco pallido osservò l’artefatto magico che gli arrivava quasi alla spalla. Per crearlo aveva fuso insieme le ossa di vari animali dotati di magia, creando una sorta di grande bacchetta in grado di canalizzare e amplificare i suoi poteri.

«Sì, per ora andrà bene. Tu hai trovato quello che ti avevo chiesto?»

Lei annuì. «Un giovane drago ha fatto il suo nido non molto distante da qui. C’è anche un villaggio nascosto nella foresta.» L’orchessa si voltò in direzione dei ruderi. «Credo che gli abitanti prima vivessero qui, ma si saranno spostati per essere al sicuro dai predoni.»

«Ottimo lavoro, Nambera. Fammi strada.»

«Da questa parte.»

I due lasciarono il cimitero abbandonato e si addentrarono nella foresta circostante, muovendosi in salita. I draghi erano animali volanti, quindi era normale che prediligessero luoghi elevati per costruire il loro nido.

Dopo una ventina di minuti di marcia fra i tronchi, avvertirono dei rumori. Non era un rumore di ali: qualcosa stava correndo per la foresta. Avvistarono una specie di grosso cinghiale, poi una lancia che per poco lo mancò.

L’animale corse via e poco dopo arrivò un manipolo di orchi. Uno di loro recuperò la lancia. Erano sicuramente dei cacciatori, ma il loro attacco non aveva avuto successo.

Uno di loro notò i due orchi, e segnalò la loro presenza agli altri. Subito i cacciatori li raggiunsero con le lance in pugno.

«Questa è la nostra foresta, cosa ci fate qui?!» imprecò il più alto, un robusto orco verde. «Andatevene!»

«Perdonateci, siamo solo di passaggio» affermò il pallido.

Il cacciatore lo guardò con superiorità prima di voltarsi verso Nambera. «Ehi, vecchia, perché lasci parlare il tuo schiavo al posto tuo?»

«Havard non è il mio schiavo» ribatté l’orchessa.

Il verde parve stupito. «Beh, non mi interessa se è il tuo schiavo, il tuo amante, o quello che ti pare! Andatevene dalla nostra foresta! Questo è il nostro territorio di caccia, e non vogliamo stranieri!»

«Come ho già detto, non abbiamo intenzione di fermarci più del necessario» ribadì Havard, che al contrario del suo interlocutore, si stava sforzando di mantenere un tono misurato. «Andiamo, Nambera.»

Lei annuì e si unì a lui nel riprendere la marcia.

«Se vi vediamo di nuovo, vi infilzeremo come cani!» gridò il cacciatore.

I due orchi rimasero in silenzio e continuarono a camminare, diretti verso il nido del drago.

«So quello che pensi, ma non sono arrabbiato» affermò Havard dopo qualche minuto. «Beh, non troppo. Ormai ci sono abituato.»

Nambera non ebbe bisogno di dire nulla.

Ci vollero all’incirca altri dieci minuti di marcia, poi finalmente avvistarono il nido. Non c’era traccia dei cacciatori nelle vicinanze – di sicuro stavano ben attenti a mantenersi alla larga dal grosso rettile –, quindi questa volta nessuno li avrebbe disturbati.

I due orchi si misero al riparo di un grosso tronco e osservarono l’animale. Il giovane drago stava dormendo e non sembrava essersi accorto di loro. Era lungo meno di dieci metri, ma sicuramente sarebbe stato in grado di portare almeno una persona senza troppi problemi. Aveva le scaglie verde scuro e ancora relativamente lisce, le corna sul capo non erano particolarmente pronunciate e le membrane alari davano l’idea di essere piuttosto spesse: un drago di foresta.

«Nambera, aspetta qui.»

Lei annuì. «So che riuscirai a domarlo, Havard.»

L’orco pallido uscì allo scoperto e lasciò il relativo riparo della foresta per entrare nella piccola radura incenerita che faceva da nido. Sicuramente era stato il giovane drago ad abbattere gli alberi e bruciare il terreno, a dimostrazione di quanto già fosse forte e temibile.

Havard non aveva intenzione di agire di soppiatto, anzi avanzò con determinazione, incurante del rumore prodotto dai suoi piedi sui ramoscelli caduti.

Il drago di foresta, allertato dal rumore, aprì gli occhi gialli, incrociando quelli verdi di Havard. Si sollevò in tutta la sua statura, già molto minacciosa nonostante la giovane età, eppure l’orco pallido non batté ciglio.

Il rettile scoprì le zanne, pronto ad attaccare. Un bagliore si accese nel profondo della sua gola.

Havard sollevò il suo bastone d’ossa. «Tu sarai mio.»

Il drago scatenò un soffio di fuoco, ma le fiamme impattarono contro una barriera diafana e vennero deviate tutto intorno, limitandosi a bruciare il terreno già annerito.

L’orco sentiva il calore intenso, ma un attacco del genere non sarebbe riuscito a superare la sua difesa.

Quando il rettile si fermò per riprendere fiato, il pallido passò al contrattacco. Scagliò un incantesimo di ghiaccio che colpì in pieno muso il drago. L’animale emise una specie di guaito gutturale e arretrò di un passo. L’orco colpì ancora, e di nuovo il rettile tentennò.

Se avesse voluto, Havard avrebbe potuto scatenare incantesimi ben più letali, ma non aveva nessuna intenzione di ferire la sua futura cavalcatura.

Il drago, irritato da quei continui attacchi, spalancò le fauci in un ruggito minaccioso. Inspirò, pronto a scatenare un’altra vampata. L’orco evocò un soffio d’aria gelida e lo inviò nella gola del rettile. L’animale si bloccò e cominciò a tossire, disorientato: era il momento di colpire.

Havard estese la sua mente e si insinuò in quella del drago. La creatura, colta di sorpresa, scosse il muso con forza. Voleva scacciarlo, ma la magia del pallido – ulteriormente potenziata dal suo bastone d’ossa – era troppo forte.

Il rettile si dibatté, fece un salto sul posto e si contorse, ma alla fine dovette capitolare. Abbassò il capo, riconoscendo il suo nuovo padrone.

L’orco avanzò, lento ma sicuro, e gli poggiò una mano sul muso. Lo accarezzò con rispetto.

«Insieme faremo grandi cose, mio prezioso alleato.»

«Complimenti, ora possiedi un drago» gli disse Nambera con una punta d’orgoglio nella voce.

Il rettile era ancora giovane, ma era abbastanza forte da portare sia lui che l’orchessa, inoltre la sua sola presenza avrebbe incrementato notevolmente il suo prestigio.

«Come sta?» volle sapere il pallido. «Ho esagerato?»

L’anziana si avvicinò con calma. Non aveva paura del drago – non ora che era sotto il controllo di Havard – tuttavia non voleva intimorirlo avvicinandosi in maniera troppo precipitosa. Gli poggiò una mano alla base del collo.

«Ha subito un po’ il tuo ultimo attacco, ma si riprenderà subito.»

«Bene.»

«Vuoi andare al villaggio nella foresta?» gli chiese Nambera. «Di sicuro gli abitanti saranno molto colpiti vedendo che li hai liberati dal drago.»

«No, sarebbe tempo sprecato. Le loro minacce non mi spaventano, ma un villaggio così sperduto non ha nessun valore strategico. E poi perché dovrebbero rinunciare alla relativa sicurezza dell’isolamento per seguire il primo che passa? Di sicuro si sono rifugiati nella foresta proprio perché non vogliono avere nulla a che fare con il mondo esterno.»

«Quindi andiamo subito a Bakhmiŝ?»

Il pallido annuì. «Quelli come me sono di sicuro i più facili da convincere. Basterà dimostrargli che posso davvero proteggerli dagli schiavisti, e non avranno motivo di rifiutare. O almeno lo spero.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

È finalmente giunto il momento di riprendere la saga di Age of Epic, e con un nuovo protagonista: Havard, il figlio di Hel. Insieme a lui c’è l’anziana orchessa Nambera, ma avremo modo di conoscerli meglio entrambi nei prossimi capitoli ^.^

Ovviamente non mi sono dimenticato di Tenko, Zabar (il nuovo nome di Balthazar) e tutti gli altri, infatti anche a loro avranno tutto lo spazio del caso nel corso della storia ;D

Come per gli altri miei racconti, pubblicherò due capitoli al mese (uno a inizio mese e uno a metà). E più avanti potrebbero arrivare anche i disegni chibi dei personaggi principali XD

Ringrazio la mia beta Hesper che mi sta aiutando anche in questo racconto ^.^

Grazie per essere passati e appuntamento a inizio novembre per il secondo capitolo ;D


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[2] La sigla d.s. indica la datazione standard. Le cifre decimali indicano il periodo dell’anno, quindi inserire una sola cifra decimale è come indicare un mese senza specificare il giorno.
L’anno standard ha una durata di circa 1,12 anni terrestri. Le età vengono comunque indicate secondo la durata dell’anno terrestre.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/terminologia/#Datazione standard (d.s.)

[3] Dio mesopotamico della morte, marito di Ereškigal.

[4] Dea norrena della morte.

   
 
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