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Autore: Dorabella27    16/10/2021    12 recensioni
Per chi ha apprezzato "Viaggio nel passato", un piccolissimo spin-off, se così si può dire, da immaginare, e da leggere, subito prima del finale, prima della conclusione dell'ultimo capitolo. Perché? Perché non amo lasciare questioni in sospeso, e per riabilitare, forse, un pochino, un personaggio, che potrebbe apparire altrimenti troppo sciocchino e leggero.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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PRIMA DI MEZZANOTTE
21 marzo 1807
 
 
Era quasi mezzanotte. Palazzo Jarjayes era immerso nel silenzio.
 
Quel giorno era iniziata la primavera; ma quella, come tante altre primavere, il conte di Fersen l’avrebbe passata lontano dalla Francia, lontano da tutto quello che aveva contato nella sua gioventù, e che ancora, in fondo, contava veramente per lui.  E sarebbe stata un'arida e sterile primavera, da trascorrere ricordando stagioni passate, quando fra i roseti di Versailles fioriva la sola vera rosa, che lui non aveva saputo proteggere come avrebbe voluto.
 
Così rifletteva, e non sapeva decidersi ad andare a letto; e poi, pensava, prima di partire, doveva ancora fare una cosa; una cosa che aveva chiesto ad André, e per cui contava, impaziente, le ore, come per un appuntamento cui tanto a lungo si era ripromesso di tener fede, e che tanto a lungo aveva rimandato.
 
Era da molto tempo così, assorto nella poltrona, ai piedi del letto, la mano a sostenere la testa, che, pur essendo il piano nobile un’oasi di pace, quasi non sentì il bussare leggero alla sua porta.
 
Si alzò, incuriosito, e aprì la porta. Nella penombra, la figura femminie in piedi di fronte a lui, appena rischiarata da una candela che ella reggeva con la mano sinistra, la destra a tormentare nervosamente un ricciolo che le ricadeva sulle spalle, per la seconda volta durante quel soggiorno in Francia, gli diede i brividi: i capelli biondi, i lineamenti delicati, la vecchia vestaglia rossa damascata, che era quella vista tante volte addosso a lei, quando sedevano tutti e tre al tavolo della colazione all'alba, prima di uscire a cavallo, lui e André già in camicia bianca e pantaloni, Oscar  ancora avvolta nel damasco rosso, sopra la sua tenuta per il tempo libero; tutto lo riportava indietro di oltre vent’anni.
 
“Françoise! Ma che ci fate qui?! Io non...”
 
“Conte di Fersen, mi fate entrare sì o no? Non è molto appropriato fare aspettare una signorina sulla soglia della camera da letto, in piena notte”. Batteva nervosamente un piede a terra e lanciava continui sguardi allarmati verso il fondo del lungo corridoio; vedendola mordersi il labbro come qualche volta aveva visto fare a Oscar, Fersen rimase per un attimo in sospeso, e Françoise, appena spazientita, dovette ripetere la domanda: "Allora, Conte, mi fate entrare o dobbiamo restare qui in piedi?".
Basito, Fersen le fece strada, e Françoise, una volta tirati gli spessi tendaggi che ancora erano raccolti ai lati dell'ampia vetrata della chambre verte - orgoglio un tempo della contessa Marguerite - , e  che lasciavano lo sguardo vagare sul parco addormentato nel buio notturno, si accomodò sulla poltrona da cui Fersen si era appena levato, facendo segno all’ospite,  - e con quale sicurezza padronale!  -, di sedersi su quella poco distante, davanti alla finestra.
 
“Grazie per avermi messo al riparo dal sergente maggiore Clothilde”, esordì lei, con un sorriso timido.
 
“Françoise, se anche la marchesa vostra madre non dovesse sapere nulla di questa vostra scappata notturna, non è affatto decoroso che una damigella come voi venga a bussare alla porta della camera da letto di un gentiluomo maturo, in piena notte...”.
 
“Sì, sì, lo so, lo so: l’etichetta, la convenienza, e se qualcuno dovesse vederci ...”. La ragazza fece un gesto vago, nell’aria, come a dire: tutto prevedibile, tutto risaputo.
 
“Ma io, Françoise, non posso ...”

“Non potete ascoltarmi? Nemmeno per qualche minuto? Vi prometto che sarò velocissima e dopo aver detto quello che devo vi lascerò dormire tranquillo  e...”
Lo sbigottimento che Françoise vide dipingersi  sul volto di Fersen le fece divinare l’equivoco in cui era caduto. Sul volto le si dipinse un franco sorriso, che divenne una risata a stento soffocata: “Conte! Ma davvero credevate che fossi venuta per quello? Oh no! Ma che avete pensato!”.
 Scosse la testa, divertita. "Ma vi pare?! Non potrei mai! Non crederete che io...insomma, voi siete un uomo affascinante, e attraente, e molto ... e sì, insomma, anche se la vostra età ... cioè ...”,  - agitò una mano davanti a sé, confusa, poi si ravviò un ciuffo che le ricadeva sulla fronte, come se quel gesto la potesse aiutare a uscire dalla penosa impasse in cui era caduta. “Badate, non so dicendo certo che siate vecchio, no, anche se forse, per la vostra età, magari sarebbe naturale che mia madre... non che io ... voglio dire ... che forse lei provi ... sia attratta ... insomma, capitemi:  non intendo che ... e, del resto, nessuno ha mai potuto dire nulla sul contegno della Marchesa madre, dal 1792”- e sorrise su quest’ultimo punto.  Adesso era imbarazzata, si vedeva. Al netto di tutte le pose da giovane donna moderna e spregiudicata, sul suo volto si era dipinto un rossore che ne dichiarava la timidezza.
“Infine, non credo che un comportamento simile sarebbe molto apprezzato da vostro zio”, disse Fersen, andandole incontro, per consentirle di vincere la confusione in cui sembrava ormai irrimediabilmente impantanata.
 
“Certo!", convenne calorosamente Françoise, cogliendo con prontezza la mano tesa che le veniva offerta: “Certamente: quantunque io sia soggiogata, veramente soggiogata dal Vostro fascino, conte, non potrei mai compiere una scorrettezza tale da rischiare di deludere lo zio André, mettendo a repentaglio il mio onore e quello della famiglia, e dimostrando di tenere assai poco in conto l'educazione e i principi impartitimi”. Adesso era palesemente sollevata. “Tanto più che, se lo conosco bene quanto credo, penso che sotto il tetto di nonno Réynier , lo zio André stesso non si sia mai azzardato a toccare la zia Oscar prima di averla regolarmente sposata, se pure in articulo mortis”, sorrise dolente.
 
“E voi come...?”.
 
“Come faccio a saperlo? Beh, Conte, non crederete certo che mi sia accontentata delle grandi imprese cavalleresche della zia, raccontate dal nonno Réynier, a uso e consumo della mitologia familiare Jarjayes, vero? Credo di essere una buona osservatrice, anche se sembro molto svampita”. Si protese verso Fersen. “Ma non volete proprio sapere perché sono qui, Conte?”
 
“Certo, Mademoiselle, certo. Volete bere qualcosa?”, e fece l’atto di alzarsi per andare a prendere due bicchieri e la bottiglia di cognac nello stipo poco lontano.
 
“Oh, no, Conte, vi prego, no: non prendetevi tutto questo disturbo; tanto più che sarò molto breve”.
Fece un lungo respiro.
.
“Vedete, a tavola non vi ho detto nulla, perché non voglio che lo zio André sappia che io so, perché non voglio mortificarlo, e, soprattutto perchè la zia Oscar mi ha chiesto di mantenere il segreto, ma...”
 
“Vostra zia... che segreto vi ha chiesto di mantenere?”, chiese Fersen, attentissimo.
 
“Vedete, un giorno, dopo avere evidentemente ascoltato da dietro la porta nonno Réynier che, per l'ennesima volta, mi raccontava di come lei vi avesse salvato, Conte, da una folla inferocita in Faubourg Saint-Antoine, la zia venne nella nursery dove stavo giocando con le mie bambole. All'epoca avevo poco più di sei anni, e se lo zio André era per me già un compagno di giochi meraviglioso, la zia Oscar mi incuteva un sacrosanto terrore: così alta, taciturna, sempre vestita con abiti simili a quelli dello zio André, bellissima e sorridente, ma sempre assorta in chi sa che pensieri. E poi, il nonno e la mamma non facevano che ripetermi che la zia Oscar era malata, e quindi, anche nelle giornate in cui sembrava stare bene, e muoversi abbastanza speditamente per casa, non dovevo importunarla. Immaginate dunque il mio stupore quando la vidi entrare nella mia stanza dei giochi, e chinarsi, con un po' di fatica, e una smorfia, sul tappeto persiano dove avevo disposto i miei giocattoli.
 
"Che belle bambole hai, Françoise", mi disse. Aveva preso in mano Margot, la mia preferita, una bambola di pezza dai capelli rossi grande quanto la sua mano, avvolta in abito da sera di tafféta che era una nuvola bianca. "Io non ho mai avuto bambole, lo sai?", sussurrò; e gli occhi le si erano fatti più scuri, quasi blu, mentre pronunciava quelle parole.

"Come mai, zia Oscar?", trovai il coraggio di chiedere. Sentivo oscuramente che, dietro quella risposta, forse, avrei scoperto anche la motivazione per cui la zia vestiva con pantaloni e camicia bianca come lo zio André, calzava sempre gli stivali da cavallerizza e mai gli scarpini di seta come mia madre per andare ai balli, non si raccoglieva mai i capelli e nemmeno si metteva mai il rosso alle guance come faceva maman e come facevano le mie altre zie.
 
"Il nonno Réynier preferiva che avessi altri giocattoli....Tu... tu vuoi molto bene al nonno Réynier, vero?".
 
"Sì, zia, molto: mi racconta sempre bellissime storie; e tu sei sempre la protagonista. Anche oggi..."

"Ho sentito, ho sentito", mi interruppe lei.
La dovetti guardare con un'aria interrogativa e stranita: ma come, la zia Oscar si abbassava a origliare dietro le porte?
 
"Vuoi conoscere un segreto?", mi chiese. Un segreto! E chi non ne vorrebbe conoscere, specialmente se ha sei anni e a proporle una simile confidenza è la sua misteriosa e bellissima zia?".
 
Françoise sorrise, e Fersen non poté esimersi dal rispondere al sorriso.
"Misteriosa e bellissima: un ottimo modo di descrivere Oscar. Ma continuate, Mademoiselle".
 
"Certo, Conte. La zia allora mi fece accomodare seduta con la schiena contro il suo petto, mi passò un  braccio attorno alle spalle, e, mentre mi accarezzava con l'altra mano i capelli, chinandosi ogni tanto su di me e incontrando i miei occhi, mi raccontò che cosa davvero fosse accaduto in Saint-Antoine: che per colpa sua e della sua ostinazione nel voler andare a ringraziare personalmente il generale Bouillet per aver salvato dalla corte marziale un suo soldato, lei e lo zio erano saliti su un carrozza con il nostro stemma nobiliare, avventurandosi per una Parigi piena di rivoltosi; e poi mi raccontò di come fossero stati aggrediti dalla folla inferocita, tirati giù dalla carrozza, e che se non foste arrivato voi, Conte, lo zio André sarebbe morto".
 
"Davvero ve lo raccontò così, in questi termini?".
 
La ragazza annuì. "E poi mi fece giurare che non avrei mai detto ad anima viva che conoscevo come davvero erano andate le cose. Che, quand'anche il nonno mi avesse raccontato per l'ennesima volta questa storia, non avrei mai dovuto contraddirlo e correggerlo -poverino, è molto orgoglioso, aveva aggiunto la zia -, e nemmeno lo zio André doveva sapere nulla di quelle confidenze che mi aveva appena fatto. Ma, se avessi mai incontrato il Conte Hans Axel di Fersen avrei dovuto ringraziarlo, perché se ho avuto lo zio André accanto lo devo a lui... insomma, a voi".
 
"Veramente?".
 
"Certo. Per molto tempo ho disperato di potervi mai incontrare, e mi sono sempre attenuta a recitare la parte della nipote entusiasta per le imprese eroiche della zia, recepite, senza troppe domande, dalla voce del nonno. Ma adesso che ho potuto, inaspettatamente, incontrarvi, non potevo non dirvi nulla; anche perché credo di avere capito che domani mattina partirete molto presto, e con ogni probabilità non ci sarà più modo di incontrarci, e men che meno di parlarvi in privato".
 
Fersen era allibito."Io...:", riuscì a mormorare.
 
"Non dite nulla", disse Françoise, alzandosi, e posando un bacio sulla guancia, vicino alle labbra, a Fersen che era ancora seduto. "Non dite nulla: abbiate soltanto i miei ringraziamenti. Grazie per quello che avete fatto per lo zio André, per la zia....e quindi, anche per me, in tutti questi anni".
 
Fersen fece il gesto di alzarsi, ma Françoise lo bloccò: "Non preoccupatevi, Conte: conosco la strada. Buonanotte. E buon viaggio di ritorno verso Stoccolma. Addio".
 
Poi, fu solo un fruscio di seta rossa che si allontanava nel buio di una notte di inizio primavera.
 
(fan art Elektra Betty Tempest)
 
   
 
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