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Autore: Soul of Paper    17/10/2021    3 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 64 - Amore e Psiche


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


“Dobbiamo parlare con il maresciallo, vista l’ipotesi che sia stato amante della Russo. E così verifichiamo anche per gli indumenti e gli effetti personali. Se è libera ora, ci andiamo insieme.”

 

Notò gli occhi azzurri e tondi di lei spalancarsi ancora di più.

 

“Andiamo… ma quindi… non lo vuole convocare qua?”

 

“No. Tra i giornalisti e tutto il resto… meglio evitare.”

 

“D’accordo, dottore, allora vado a preparare l’auto e-”

 

“Ma no, Mariani, non serve, andiamo con la mia auto.”

 

Di nuovo gli parve sorpresa ma anche… c’era un velo nei suoi occhi, quasi come di delusione.

 

Gli ci volle qualche attimo ma capì: Mariani, come tutte le altre agenti di PG donne, doveva aver sempre subito parecchi pregiudizi sia dai colleghi, che pure probabilmente da qualche magistrato, sulle sue abilità alla guida.

 

Non ci aveva pensato e si sentì in imbarazzo.

 

D’istinto, prese le chiavi dalla tasca interna della giacca e gliele porse, tirando un sospiro di sollievo quando la vide sorridere.

 

*********************************************************************************************************

 

“E dai, Calogiù, così però mi fai il solletico, mannaggia a te!”

 

Quell’impunito la stava facendo morire dal ridere e di pelle d’oca, con quei baci sulla guancia, tra il fiato caldo e quella lingua così… così…

 

Ruvida?

 

Aprì gli occhi di scatto e le ci volle un attimo per mettere a fuoco la macchia scura che aveva davanti agli occhi.

 

E no, non erano i capelli di Calogiuri, ma il manto tigrato di un’altra impunita.

 

Alla delusione cocente, nel realizzare che era stato tutto solo un sogno e che lei e Calogiuri erano ancora in crisi nera, si unì un poco di commozione per l’affetto con il quale quella peste di Ottà le aveva fatto da sveglia - pure se la notte, per intanto, se l’era passata da papà suo.

 

“Ottà!” esclamò, dandole una grattatina dietro alle orecchie, in modo che la smettesse di lavarle la guancia e la guardasse,  “dove sta papà? Già sveglio?”

 

Ottavia, ovviamente, non rispose perché non poteva farlo, ma guardò verso la porta.

 

Gli altri sensi, che piano piano si riattivarono, le fecero udire dei rumori di ceramica e metallo.

 

E poi un odore di caffè.

 

Qualcuno si stava preparando la colazione - buon segno, se almeno mangiava!

 

Prese in braccio Ottavia, si infilò giusto giusto le pantofole e, nonostante l’uscita dal calduccio delle coperte fosse stata traumatica, evitò di proposito di indossare la vestaglia.

 

Che non lo aveva visto come l’aveva guardata qualcuno quando era andata a bere?

 

Almeno sapeva di fargli ancora effetto, e pure parecchio.

 

“Che bisogna fare per farsi perdonare da quel testone di papà tuo, eh, Ottà?” le chiese con un sospiro, e la micia si limitò ad alzare regalmente un ciglio, mentre uscivano insieme dalla stanza e si avviavano verso il salotto.

 

Non appena girò l’angolo lo vide: intento a spadellare le uova, come gli aveva prescritto il medico.

 

E poi aveva già fatto il pane tostato e preparato marmellata, frutta, succo e quant’altro sul bancone.

 

Fu un lieve sollievo notare che era stato apparecchiato per due, e la dose di cibo del resto era troppa solo per lui.

 

“Come sapevi che mi sarei svegliata mo?” gli domandò e se ne pentì subito, perché Calogiuri fece un salto e la padella con le uova gli cascò dalle mani, per fortuna sui fornelli e non a terra, anche se un po’ di uova rapprese si sparsero sul piano cottura.

 

Si guardarono per un attimo. Lo vide chiaramente prendere fiato, deglutire una volta e riprendere fiato, mentre la squadrava da capo a piedi.

 

Sì, gli faceva ancora decisamente effetto.

 

Ma poi lui emise uno di quei sospiri che tanto odiava fin dai tempi post Lolita, perché significavano solo guai, scosse il capo e, riprendendo a mescolare le uova, le spiegò, senza più voltarsi, “non lo sapevo, ma tanto le uova a te non piacciono e il resto non si raffredda. Cappuccino?”

 

Stava per rispondergli che era così meccanico che le pareva un barista, le pareva, quando una scampanellata fece saltare pure lei.

 

CLANG! SPLAT!

 

Stavolta le uova non si erano salvate: erano finite spalmate sul pavimento e sui piedi di Calogiuri, che per fortuna c’aveva su le ciabatte e non stava a piedi nudi.

 

“Ti sei bruciato?” gli chiese comunque, facendo qualche passo verso di lui, rassicurandosi quando lui scosse il capo, uscendo da quella specie di palude melmosa.

 

Il sollievo durò il tempo della seconda scampanellata, ed era sicura che il terrore sul volto di Calogiuri fosse specchio del suo.

 

Non potevano portarglielo via di nuovo! Stavolta no!

 

E invece possono, Imma, lo sai che possono! - le ricordò, chissà perché, la vocetta fastidiosa della Moliterni.

 

“Vado ad aprire,” pronunciò infine, ma lui subito la bloccò con un’occhiata che valeva più di qualsiasi gesto, e che le ricordò quanto poco fosse vestita.

 

“Vado io. E… e converrebbe che ti vestissi un po’ di più quando ti alzi dal letto, no?”

 

Si bloccò, perché Calogiuri, per quanto fosse geloso di tutto, non le aveva mai consigliato o imposto nulla su come e quanto vestirsi o meno.

 

Anche perché, in caso contrario, sarebbero durati poco, pochissimo.

 

“Converrebbe a chi?” gli chiese quindi, sfidandolo con lo sguardo per fargli capire che aveva capito benissimo, ma che non gli avrebbe reso le cose più semplici, anzi.

 

Lo vide deglutire, beccato in pieno, ma poi ci fu pure la terza scampanellata.


“E un attimo!” urlò, più forte che poteva, per poi puntare un dito al petto di Calogiuri ed ordinare, col tono che era da parecchio che non usava con lui, “vatti a cambiare ciabatte e pantaloni, io mi infilo la vestaglia ed apro.”

 

“E se è quel maiale di Carminati? Non me ne frega niente dei pantaloni! Col cavolo che ti lascio da sola!”

 

Non fece nemmeno in tempo a ribattere - evidentemente gli ordini non funzionavano proprio più! - che Calogiuri, dopo essersi levato le ciabatte, si avviò bello bello verso la porta, a piedi nudi, sebbene le dita delle mani gli tremassero ancora come rami secchi al vento, chiedendo “chi è?”

 

“Mancini!”

 

La risposta e la voce del procuratore capo furono inizialmente sorpresa e sollievo.

 

Ma poi Calogiuri si voltò verso di lei e l’espressione ferita e rabbiosa di lui fu un pugno allo stomaco.

 

Lo sguardo gli si abbassò di nuovo verso la sua vestaglia e stavolta fu il suo turno di sospirare, cedere le armi ed avviarsi verso la camera da letto a cambiarsi. Che ci mancava solo di peggiorare ancora le cose tra loro.

 

Per fortuna, mentre si stava infilando in tutta fretta il primo maglione che le capitò tra le mani e la gonna leopardata del giorno prima, udì anche il saluto di Mariani.

 

Menomale che ci sta lei!

 

Ritornò di corsa in salone, giusto in tempo per trovarci Calogiuri che, rigido come un palo e con in braccio Ottavia che fischiava e soffiava come una matta, faceva accomodare Mancini e Mariani sul divano.

 

E poi lo sguardo di Mancini incrociò il suo e ci lesse un notevole imbarazzo e pure un velo di rimpianto - e menomale che non gli aveva aperto in camicia da notte! - così come notò la tensione nelle spalle di Calogiuri.

 

Mancini parve ancora più a disagio, ma non stava più guardando lei, ma i piedi ed i pantaloni di Calogiuri.

 

Avevano notato le uova rovesciate.

 

“Sì, scusate, ma è suonato il campanello all’improvviso e ho fatto un po’ un macello con le uova: sono finite ovunque,” si inserì, d’istinto, senza quasi pensarci, e Calogiuri si voltò verso di lei, incredulo, “io ho fatto in tempo a cambiarmi ma Calogiuri no. Se vuoi andarci mo, così chiudi pure Ottavia, immagino non abbiate nulla in contrario, no?”

 

Era una domanda retorica ed ovviamente Mancini e Mariani scossero il capo.

 

Sapeva che molto probabilmente avevano capito benissimo com’erano andate in realtà le cose, ma non voleva che Calogiuri subisse altre umiliazioni, se glielo poteva evitare.

 

“Intanto posso offrirvi qualcosa. Un caffè pure se state in servizio lo potete bere, sì?”

 

“Dottoressa, la ringrazio ma… proseguite pure con la colazione, possiamo farvi le domande dopo. E per me va bene il caffè. Mariani, lei lo gradisce?”

 

L’offerta di Mancini la sorprese molto, Calogiuri invece parve ancora più offeso.

 

Era troppo orgoglioso, troppo, anche se pure lei… mo era il bue che stava dando del cornuto all’asino, lo sapeva.

 

Non appena Calogiuri, dopo l’ennesimo sospiro, si avviò verso la loro stanza da letto, lei si mise a fare il caffè, ringraziando il cielo che Calogiuri avesse già richiuso il divano letto prima di prepararsi la colazione e che quindi almeno quelle domande se le sarebbero risparmiate.

 

*********************************************************************************************************

 

Non sapeva più che pensare: di Imma, di se stesso, di tutto.

 

Ed il peggio era trovarsi nuovamente quel beccamorto in casa: il solo vederlo gli faceva una rabbia che non sarebbe mai stato in grado di descrivere del tutto.

 

Almeno c’era pure Mariani, che alla fine per lui - a parte la disapprovazione dopo quello che era emerso al processo - c’era sempre stata quando le aveva chiesto aiuto.

 

Imma… Imma invece non c’era stata sempre e forse era quello che gli bruciava di più, oltre all’ennesima umiliazione che lei aveva pure provato ad evitargli, in un modo che non sapeva se gli avesse fatto piacere o se fosse stata solo l’ennesima volta in cui si sentiva trattato come un bimbo fragile e bisognoso del soccorso della mammina.

 

Maledetto Rosati, maledetto Carminati, maledetti tutti!

 

Mancini in testa, lui e la sua commiserazione, dopo tutto quello che gli aveva fatto, che aveva cercato di togliergli.

 

Ma il peggio era sapere che Imma… che Imma glielo aveva quasi permesso.

 

Ed era quello che bruciava più di tutto, sapere quanto fosse arrivato vicino a perderla, quanto tempo ci fosse voluto perché lei si fidasse di lui, nonostante lui si sarebbe fatto letteralmente ammazzare per lei, nonostante lei fosse tutta la sua vita da così tanto tempo che non si ricordava nemmeno più come fosse non avere la sua felicità, il suo sorriso, come primo pensiero.

 

Invece, di colpo, si era trovato completamente solo e non aveva retto.

 

Forse, alla fine, era quello che lo tormentava veramente: il non essere riuscito a rimanere a galla, l’essere stato così debole, rispetto a lei che era sempre così forte, che non mollava mai.

 

Lui invece aveva quasi mollato ed era per quello che lei e tutti gli altri mo lo trattavano con commiserazione.

 

Non era stato all’altezza.

 

Ma nemmeno lei lo era stata e nel modo peggiore. Aveva quasi ceduto pure lei, ma con il beccamorto.

 

Se lui non era stato all’altezza di lei, lei non era stata all’altezza di loro due, di quel legame che li aveva sempre uniti, o che aveva sempre creduto che li unisse.

 

Lui non ci riusciva nemmeno a pensare di spogliare qualcuna che non fosse lei, di lasciarsi spogliare da mani che non fossero quelle piccole e forti di cui conosceva ormai ogni dettaglio, meglio che delle sue.

 

Mentre lei… lei ci era riuscita, pure se aiutata dall’alcol, dalla ripicca, dalla disperazione. Ma c’era riuscita.

 

E, anche se poi si era fermata, e anche se poi lo aveva cercato, e anche se poi gli aveva creduto, tutto quello che c’era stato in mezzo… gli dava il tormento.

 

Forse era da immaturo, ma così si sentiva e mo stava lì, in camera loro, con il maglione ancora in mano, a farsi torturare, mentre là fuori si stava giocando la sua vita, il suo futuro e la sua libertà.

 

Scosse il capo e si infilò il dolcevita, controllandosi allo specchio di essere impeccabile, pur se tutto era almeno di due taglie di troppo.

 

Avrebbe dimostrato a tutti chi era e quanto valeva, a lei e ancora prima a se stesso.

 

E poi forse ce l’avrebbe fatta, a trovare un senso a ciò che provava e ad uscire da quella specie di labirinto nel quale si sentiva intrappolato.

 

Evitare che Ottavia lo seguisse, con quei suoi occhioni teneri ed incazzosi al tempo stesso, fu assai complicato, ma alla fine gli riuscì di chiudere la porta a chiave.

 

La scena che gli si parò di fronte, una volta tornato in cucina, fu surreale: Imma, il beccamorto e Mariani, con la tazzina di caffè in mano, Imma che si voltava verso di lui e gli offriva la tazza caffelatte decaffeinato, triste ma dell’esatto colore che piaceva a lui.

 

Quella cortesia apparente, quella familiarità, stridevano e gli provocavano ancora più fastidio.

 

Gli ricordavano per l’ennesima volta che solo per un soffio il beccamorto non stava lì al posto suo, a fare gli onori di casa, con un pigiama che costava come tutto il suo guardaroba messo insieme.

 

L’unica consolazione fu il pensiero che Ottavia glielo avrebbe già ridotto in brandelli.

 

Imma ovviamente lo notò e lo guardò come a chiedergli che ci fosse di divertente in tutta quella situazione.

 

E, almeno in quello, stavano ancora sulla stessa lunghezza d’onda.


Si costrinse a mangiare, nonostante lo stomaco chiuso, perché non voleva dare la soddisfazione a Mancini di vederlo stare male, Imma che addentava svogliamentamente il pane con la marmellata, il beccamorto che la guardava con un rimpianto che era per lui soddisfazione e rabbia insieme.

 

Si scambiarono uno sguardo lui e il procuratore capo, uno solo, e Mancini prese a fissare la tazza del caffè come se ne dovesse leggere i fondi, come faceva la buonanima di sua nonna.

 

Mariani pareva non vedere l’ora di levarsi da lì e la capiva benissimo.

 

Finì di mangiare in un silenzio quasi surreale, Imma che ancora sbocconcellava la stessa fetta di pane, guardando fissa il piatto, quando non la beccava a lanciargli un’occhiata di sbieco.

 

“Sentite, perché siete qua?” chiese, tagliando corto, perché non ne poteva più di tutta quella pantomima.

 

Mancini si pulì la bocca con un tovagliolino di carta, in un modo elegantissimo che gli diede ancora più sui nervi, poi si alzò e fece cenno verso il divano.

 

Si guardò con Imma, che aveva la fronte corrugata come quando era concentratissima, pronta alla battaglia, e si accomodarono tutti nella zona salotto, Mariani accanto a Mancini che estraeva il tablet per prendere nota.

 

Di nuovo un momento di silenzio imbarazzante e poi Mancini recuperò tutta la melina fatta fino a quel momento, sganciando un, “Melita ha segni di una gravidanza recente. O portata a termine o finita con un aborto in fase avanzata di gestazione. Lei ne sa qualcosa maresciallo?”

 

Fu come se una bomba fosse esplosa nella stanza.

 

Udì chiaramente Imma prendere un respiro forte, quasi un rantolo. Cercò i suoi occhi, ma erano piantati al pavimento.

 

Lo sapeva che quello era un argomento sensibile per lei, sensibilissimo.

 

Ragiona, cretino, ragiona, non andare in panico!

 

“No. Sicuramente non era incinta - in uno stato avanzato, poi! - negli ultimi mesi, da quando l’abbiamo rivista. Ce ne saremmo accorti, no?” si affrettò a dire, prima che potesse esserci anche solo il minimo dubbio che-

 

“Ma quando l’abbiamo incontrata per la prima volta, al locale, effettivamente era un poco più… morbida del solito. Non grassa, assolutamente, ma con meno muscoli, più curve.”

 

L’intervento di Imma lo spiazzò ma lo rassicurò anche, così come il suo sguardo, sul fatto che almeno di quello non avesse proprio il minimo dubbio.

 

“Credevo che fosse perché era da un po’ che non lavorava e non ballava tutti i giorni ma se-”

 

“Se avesse smesso di lavorare perché non poteva lavorare nelle sue condizioni?” concluse per lei, perché ora che ci pensava aveva senso.

 

“Dottoressa, apprezzo il suo intervento ma la prego di lasciare rispondere il maresciallo il più possibile,” intervenne il beccamorto - e te pareva! - mentre Mariani prendeva nota di tutto.

 

“In ogni caso… io non c’entro con la gravidanza di Melita, dottore, se è questo che vuole sapere: nemmeno ci frequentavamo all’epoca, e spero che almeno su questo non ci siano dubbi,” affermò, deciso, guardando Imma, chiedendosi come la facesse sentire il pensiero di un bambino suo con un’altra, dopo tutte le fatiche fatte, le visite mediche, le medicine prese e-

 

“Gli integratori!”

 

Mancini e Mariani lo guardarono interrogativi e fu solo per quello che si rese conto di aver pronunciato l’ultima parte ad alta voce.

 

Ma si sentiva con quell’adrenalina addosso, quella di quando tanti pezzi del puzzle si incastravano, tutti insieme.

 

È per momenti come questi che lavoriamo, è vero?

 

Gli tornò in mente quella frase, pochi istanti prima del suo primo, indimenticabile e miracoloso bacio con Imma.

 

Ed era ancora così.

 

Come una droga.

 

Improvvisamente la sua mente era chiarissima, sgombra da tutti i pensieri, i dubbi, le paure, concentrata solo su una cosa, su quell’intuizione che prendeva sempre più forma concreta nella sua mente.

 

“Che vuoi dire?”

 

Sentì la mano di Imma sull’avambraccio e non gli venne l’istinto di ritrarsi, anzi, la guardò dritto negli occhi e le disse, sapendo che avrebbe capito, anche se sarebbe pure stato come riaprire vecchie ferite, “Melita… quando si è sentita male, in spiaggia, e l’ho riportata a casa, ho aperto il suo armadietto delle medicine e… ci stavano delle boccette di integratori. All’epoca non ci ho fatto caso… non… non sapevo a cosa servissero ma… ripensandoci mo, erano fluoro e vitamina K.”

 

Si sentì stringere ancora più forte, mentre lei spalancava gli occhi.

 

“Scusate, fate capire pure a noi?”

 

Gli toccò girarsi verso Mancini che non era solo confuso ma… c’era pure qualcos’altro nel suo sguardo, che non capì.

 

“La vitamina K ed il fluoro sono integratori che si prendono durante la gravidanza e l’allattamento,” chiarì Imma per lui e, in quel momento, come un altro flash gli passò davanti agli occhi e si sentì avvampare.

 

Dire quello che aveva appena ricordato avrebbe forse peggiorato ancora di più la sua posizione, non tanto di fronte alla legge ma di fronte ad Imma sicuramente, ma doveva farlo.

 

“Sempre… sempre quella sera, quando Melita stava malissimo, ad un certo punto è praticamente svenuta e... nel metterla sul divano… il vestito che aveva… insomma è sceso leggermente e… le è uscito il seno.”

 

“Calogiuri!”

 

Lo sguardo di Imma era puro tradimento, perché sì, questo non gliel’aveva riferito, ma se n’era sinceramente dimenticato in tutto il casino. Trattenne un soffio di dolore, perché ormai quella al braccio era praticamente una morsa.

 

“Con tutto quello che è successo dopo quella sera, me ne sono scordato, anche perché non ho visto praticamente nulla, o quasi-”

 

“Immagino!” sibilò Imma, per niente convinta, mentre, pure di lato, notò l’imbarazzo di Mariani e lo sguardo omicida del beccamorto.

 

“No, veramente, cioè… aveva su dei cosi di plastica a coprirle… insomma… i capezzoli e si è subito tirata su il vestito, immediatamente.”

 

“Ma già da lì dovevi capire che ti voleva sedurre, avresti dovuto dirmelo e magari ci saremmo risparmiati tutto il resto!”

 

“Lo so che ho sbagliato a non dirtelo ma… ma…” si fermò, perché era come se gli ultimi frammenti del ragionamento avessero fatto clic in quell’istante, “ma secondo me non voleva sedurmi, anzi, non in quel momento almeno, si è coperta subito e… pareva quasi spaventata. E… e mo che ci penso… io credevo che quelli fossero quelle cose che usava per lavoro, quando ballava, ma… mo che ci penso… somigliavano tantissimo a quelli che usava mia sorella quando allattava Noemi.”

 

La presa dal braccio svanì del tutto: Imma aveva capito dove voleva andare a parare.

 

Prese il telefono, cercò e trovò delle foto di quelli che, a quanto pare, venivano chiamati tecnicamente, paracapezzoli per allattamento e li mostrò ad Imma e poi a Mariani e Mancini.

 

“Non so voi, ma, pur non essendo una grande esperta dei copricapezzoli per ragazze immagine e spogliarelliste, non sono di certo fatti così. Questi a una cosa servono: a parare il latte. Cosa che quelli normali non fanno.”

 

Mariani annuì, mentre Mancini parve ancora più in imbarazzo e Calogiuri si chiese se il procuratore capo invece a riguardo avesse più esperienza, pure se si divertiva tanto a fare il lord.

 

“Lo so che è soltanto la mia parola, mo, ma vi garantisco che è vero.”

 

Si trovò con la mano stretta in quella di Imma, mentre lei annuiva, anche se, conoscendola bene, notava ancora un fondo di irritazione per l’omissione.

 

E su quello non poteva darle proprio torto: era stato scemo, troppo fiducioso, troppo leggero. Ma da quel momento in poi non avrebbe mai più ripetuto errori simili, né nelle indagini, né in privato.

 

“Allora… se Melita stava allattando, vuol dire che il bambino o la bimba… insomma è nato vivo.”

 

Era stata Mariani a parlare e si guardarono tutti, perché questo portava alla domanda successiva.

 

“Vi garantisco però anche che quella sera a casa di Melita non ci stava alcun bambino e manco dopo, quando l’abbiamo messa sotto protezione, ovviamente.”

 

“Mariani, anche se lo ritengo improbabile, soltanto per scrupolo, può sentire i dottori che hanno in cura la Russo, se ha segni di allattamento ancora visibili?”

 

Mariani annuì, prese il telefono e si allontanò leggermente per fare la chiamata.

 

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“No, se Melita ha allattato, ha smesso da parecchi mesi ed è impossibile risalire a se lo abbia fatto o meno.”

 

Il responso di Mariani non la stupiva affatto, anzi.

 

Per il resto… non avrebbe saputo dire come si sentiva… per lei l’argomento gravidanza era ancora tosto, tostissimo da affrontare. C’era come una dolenza, una specie di magone, un’amarezza latente che le riempiva la gola.

 

Ma mo doveva pensare a tirare fuori Calogiuri dai guai, sebbene la sua estrema ingenuità e fiducia nel genere umano, così dure a morire, oltre al suo bello fossero state anche la sua rovina.

 

“Va beh… questo però era già ovvio, mi pare,” intervenne, alternando lo sguardo tra Calogiuri e Mancini, “Melita non avrebbe potuto tenere un bambino nascosto mentre stava sotto protezione e l’allattamento va fatto spesso o il latte se ne va.”

 

“Ma… quindi.... se subito prima di finire sotto protezione aveva ancora quelle cose in casa e addosso… voleva dire che fino a poco prima questo bimbo ci doveva essere. Quindi-”

 

“Quindi dov’è finita quella creatura?” finì lei per Calogiuri, in quella specie di ping pong di intuizioni che le era mancato più di quanto avrebbe mai potuto immaginare, così come il lavorare con lui.

 

E poi il viso gli si illuminò e lo sentì esclamare, “i referti del pronto soccorso!”

 

“Maresciallo, come ha già sentito da Mariani, dai referti non è possibile risalire a-”

 

“Non i referti di mo, quelli di quella sera, quando Melita è stata male.”

 

Calogiuri aveva osato interrompere Mancini e non sapeva se essere più orgogliosa di quello o dell’intuizione che aveva appena avuto.

 

Diventava sempre più bravo nelle indagini, ogni giorno che passava, mannaggia a lui!

 

“L’ho portata al pronto soccorso e, se stava ancora allattando, magari i medici lo avevano notato e ne è rimasta traccia nei referti di allora.”

 

“Ti ricordi come si chiamava il medico?” gli chiese, senza sforzarsi nemmeno di trattenere l’orgoglio ed il sorriso che le veniva sempre spontaneo, quando lui era così.

 

“No, no, purtroppo no, ma lo avevo scritto nel mio rapporto e sicuramente non è difficile risalire a chi fosse.”

 

“E, arrivati a questo punto, abbiamo tutti i motivi per chiedere di visionare le cartelle cliniche,” si inserì Mancini, voltandosi verso Mariani e chiedendole, “se ne occupa lei?”

 

“Certamente, dottore. Se vuole chiamo subito.”

 

“Lo possiamo fare una volta tornati in procura, Mariani, non si preoccupi.”

 

“Ora che ci penso meglio… pure sui social Melita era quasi sparita nei mesi prima che la rivedessimo, quando mi avevi fatto fare il controllo, ti ricordi?”

 

Era stato di nuovo Calogiuri a parlare ed annuì, anche se le toccò ammettere, “su cosa c’era o non c’era sui social hai più memoria tu, che lo sai che ci capisco poco.”

 

“Quindi tutto tornerebbe con il tentativo di mantenere nascosta la gravidanza. Ma perché tenerla così nascosta?” chiese Mariani, pronunciando quello che era anche il suo pensiero, “magari lo si fa se si pensa di voler dare il bimbo in adozione ma… se poi ha allattato….”

 

“Credo che sia inutile fare altre ipotesi ora, Mariani. Non appena torniamo in caserma, procediamo con le verifiche ed avremo maggiori informazioni sulle quali basarci. Per intanto… maresciallo, dobbiamo visionare tutti gli indumenti di pelle in suo possesso.”

 

Sentì la mano di Calogiuri irrigidirsi nella sua: Mancini era tornato nella parte da PM, in tutti i sensi.

 

“Presumo che quindi… abbiate ritrovato sotto le unghie di Melita tracce di pelle animale?” chiese subito, affrettandosi a chiarire, prima che Calogiuri potesse anche solo dire qualcosa, “se l’avete confusa con pelle umana… doveva essere color carne, ma Calogiuri è amante del nero, a differenza mia, e le cose che tiene di pelle sono praticamente tutte nere.”

 

“Sì, è vero, almeno quelle che ho visto io,” confermò Mariani ed Imma le rivolse uno sguardo carico di gratitudine.

 

“In ogni caso non c’è problema che controlliate: non ho niente da nascondere,” affermò Calogiuri, deciso, lasciandole la mano, dopo un’ultima stretta, “ma… potrebbe accompagnarmi Mariani? Visto che… la stanza non è solo mia.”

 

Sentì calore alle guance e notò che anche Mancini era nuovamente in imbarazzo. E poi il procuratore capo guardò fisso Mariani per un attimo e pronunciò un, “mi fido di lei, mi raccomando!” che la sollevò immensamente.

 

Almeno prima che aggiungesse, una volta che Calogiuri e Mariani ebbero richiuso la porta della camera da letto dietro di loro, lasciandoli soli, “dottoressa, se vuole andare anche a lei a verificare, visto che per l’appunto è anche camera sua. Io posso attendere qua.”

 

L’istinto la portò sulla difensiva: non le piaceva l’idea di lasciarlo lì da solo, in casa sua. Per niente.

 

Mancini ovviamente lo notò e parve ancora più ferito di quanto già non fosse da quando si era presentato lì.

 

“Dottoressa, la sua sfiducia nei miei confronti mi fa male, molto male.”

 

“Se non mi fossi fidata di lei, dottore, non avrei mai consigliato a Calogiuri di non dire della presenza sua e di Irene qua l’altro giorno. Lo sa benissimo.”

 

“E così l’indagine è passata a me invece che rimanere a Santoro. Mi sembra che sto mantenendo la mia parte, o no?”

 

Lo guardò ancora negli occhi, in quegli occhi che la guardavano sempre in quel modo che la faceva sentire in colpa, ma che ora le stavano chiedendo fiducia, senza spostarsi dai suoi.

 

Sospirò e si voltò per raggiungere la camera da letto, sperando di non pentirsene.

 

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“E quindi mo se ne staranno chiusi a casa per un po’.”

 

Era con Rosa, sul divano di casa di lei, approfittando di quelle ore nelle quali Valentina stava in università e Noemi all’asilo. Aveva appena finito di aggiornarla meglio sui dettagli sensibili di ciò che si erano detti il giorno prima con Imma e suo fratello.

 

“Allora mo ci penso io ad andare dal fratellino, appena posso. Tu stasera dove dormi?”

 

Sospirò, perché avrebbe voluto tanto poter stare con lei, ma Valentina veniva prima di tutto e la notte precedente gli aveva chiaramente fatto capire quanto le mancasse.

 

“Tranquillo, lo capisco,” lo rassicurò subito, avendo compreso, senza bisogno di parole, e gli strinse la mano.


“Però, se tu hai bisogno, lo sai che-”

 

“Lo so. E poi io ti ho già qui mo. Anzi… a proposito…”

 

Le labbra sulle sue zittirono ogni risposta possibile, che non fosse lasciare che fossero i baci, le mani ed il corpo a parlare per lui, godendosi ogni istante passato con lei.

 

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“Dottore!”

 

“Mariani, ci sono novità?”

 

“Sì, sì. Ho avuto le cartelle cliniche di Melita e anche il dottore che l’ha assistita mi ha confermato che aveva un segno recente di cesareo e che Melita era in allattamento. Non le aveva chiesto la data precisa del parto, anche perché non sembrava pienamente cosciente, ma, da com’era messa la cicatrice, si era segnato sul referto che il parto doveva risalire al massimo a tre mesi prima. E tutto torna anche con i social, come diceva Calogiuri e-”

 

Si bloccò un attimo, temendo di avere fatto una gaffe, visti i rapporti tra Ippazio e il dottore, ma lui le fece segno di proseguire.

 

“Insomma… nei mesi precedenti sui social Melita ha postato pochissime foto e quelle che c’erano erano tutte o primi piani o foto dal seno in su. Chiaramente per non mostrare la pancia ma… il viso effettivamente era diventato mano a mano più… morbido nei lineamenti. E ho cercato nel periodo risalente a circa tre mesi prima dalla visita al pronto soccorso e Melita è stata del tutto assente dai social, proprio come attività, per circa una settimana. Credo la data del parto debba essere stata in quei giorni.”

 

Mancini le sorrise, “ottimo lavoro, Mariani! Dobbiamo scoprire dove possa aver partorito. Sicuramente in una clinica privata, visto che non hanno registrato il bambino o la bambina, in un ospedale pubblico non credo sia possibile. Dobbiamo capire se il giro dei Romaniello, dei Mazzocca e degli altri coinvolti in questo caso si rivolga abitualmente a qualche clinica compiacente.”

 

“Va bene. Ma… se lei è d’accordo, dottore, vorrei consultarmi sia con la dottoressa Ferrari, che… con la dottoressa Tataranni e con Calogiuri, ovviamente con discrezione, visto che hanno una visione sul maxiprocesso e sui giri di Melita e di… tutti quei gentiluomini, migliore della mia.”

 

Temette per un attimo un secco no e magari pure un rimprovero ma Mancini di nuovo annuì.

 

“Va bene, Mariani, mi fido di lei, come le ho già detto, quindi, mi raccomando, non solo discrezione, ma massima cautela, va bene? Non possiamo permetterci altri errori.”

 

“Certo, dottore.”

 

“Sta facendo veramente un lavoro eccezionale, Mariani, continui così, d’accordo? Non mi deluda anche lei.”

 

L’ultima frase era stata pronunciata con un’amarezza che le fece un poco di tenerezza. Sapeva benissimo che la situazione tra Mancini, Calogiuri e la dottoressa era molto complicata, ma alla fine il procuratore capo si stava dimostrando una persona corretta e professionale, al di là delle antipatie personali.

 

“E neanche lei, dottore, con tutto il rispetto,” gli rispose però, perché, con tutto quello che stava succedendo in procura, la mano sul fuoco non ce l’avrebbe più messa per nessuno o quasi.

 

Lui parve sorpreso e, di nuovo, temette una sfuriata, ma si limitò a sorriderle e ad annuire, con un “è giusto!” che la fece sorridere di rimando.

 

*********************************************************************************************************

 

“Dottoressa… dottoressa… Imma.”

 

Aprì gli occhi: le sembrava di aver dormito per secoli, e si trovò a pochi centimetri da due occhi azzurri e da due labbra che le fecero saltare un battito.

 

Non sapeva come fosse possibile che, dopo tutto quel tempo, le facesse ancora quell’effetto.


“Calogiù?” chiese, incredula ma felice di trovarlo lì, soprattutto quando si sentì accarezzare il viso con delicatezza, e poi un bacio, e poi un altro, e poi le dita che picchiettavano sulla sua guancia, e poi-

 

“Ahia!” esclamò, aprendo gli occhi di scatto, di nuovo.

 

E di Calogiuri non c’era più traccia, solo di una certa micia che, oltre a menare zampate come un’ossessa, stava iniziando a metterci una punta di artiglio, quello che basta per grattare senza graffiare.

 

Tutto intorno era buio.

 

La afferrò per la collottola per levarsela dal viso e guardò l’ora: erano le quattro del mattino.

 

“Ottà, ma che c’hai? Sei impazzita?” le chiese, mettendosela in grembo e lasciandola andare ed Ottavia prese a miagolare tantissimo e poi le pigliò coi denti la parte finale della camicia da notte e cominciò a tirare.

 

“Ma che sei impazzita veramente?” le chiese, risollevandola prima che gliela rompesse, anche perché era una delle sue preferite - e forse la preferita in assoluto di Calogiuri.

 

E fu a quel punto che fece il collegamento.

 

“Ma che è successo qualcosa a papà?” le chiese e, per tutta risposta, Ottavia balzò giù dal letto e corse fino alla porta, miagolando.

 

La seguì e, arrivata al corridoio, udì, oltre al miagolio furibondo, anche come dei lamenti.

 

Si avvicinò, prima piano e poi sempre più veloce, e si trovò davanti a una specie di groviglio bianco in movimento.

 

“Calogiù!” lo chiamò, preoccupata, sia per come si muoveva, scalciava e si divincolava, sia per come si lamentava.

 

“No! … No! … Basta, non potete, non potete!”

 

Era quello che biascicava, tra un lamento e l’altro, e si rese conto che stava sognando di essere ancora sotto arresto, forse di star venendo portato via in manette.

 

“Calogiù, Calogiuri!” esclamò, toccandogli una spalla, per cercare di farlo svegliare, “Calogiù, svegliati non-”

 

E fu il suo turno di mugolare dal dolore, perché si ritrovò col polso stritolato, mentre Calogiuri si strappava la sua mano da dosso, urlando un altro “no!” disperato, che però, per fortuna, gli fece aprire gli occhi.

 

Il terrore che ci lesse le fece assai più male del polso, perché se lo immaginò, spaventato e solo, nella sala interrogatori e poi in una cella, con quei bastardi intorno che ci godevano ad umiliarlo.

 

“Calogiù, stai tranquillo, sei a casa mo,” provò a calmarlo, e lui sembrò finalmente riconoscerla e poi guardò la mano che ancora la stava afferrando e la lasciò immediatamente, con un “scusami, Imma, scusami, ti ho fatto male?”

 

“Non ti preoccupare per me, tu stai meglio mo?” gli chiese, sedendosi accanto a lui e provando un poco di sollievo quando lui non si allontanò e si limitò ad annuire, riprendendole il polso per controllare di non aver fatto troppi danni.

 

“Scusami… ti verrà un livido e… forse dobbiamo metterci un po’ di ghiaccio, scusami e-”

 

“Shh!” lo bloccò, mettendogli un dito sulla bocca, perché quando si impanicava così era l’unico modo, “non mi hai fatto niente e… è normale che… che con tutto quello che ti è successo, tu c’abbia gli incubi.”

 

Lui abbassò il viso, sfuggendole dalle dita, letteralmente.

 

“Magari… magari quando tutto questo casino sarà finito, potresti andare da un professionista, che almeno ti dà una mano ad affrontare quello che ti è successo e-”

 

“E non sono matto!” esclamò lui, di nuovo incazzosissimo ed indignato, peggio di Ottavia.

 

“Ma mica si va dallo psicologo perché si è matti, Calogiù. E quello che hai passato metterebbe a dura prova chiunque. Per chi fa il nostro mestiere è previsto poter avere un supporto in certi momenti, è importante.”

 

“Come se tu ci fossi mai stata dallo psicologo!” le fece notare, con un sopracciglio alzato, e a lei venne in mente la disastrosa terapia di coppia con Pietro, ma lì oggettivamente non è che ci si fosse impegnata, dovendo mentire dal principio.

 

“Ma non mi è mai capitato tutto quello che è capitato a te nelle ultime settimane. E lo so che sono una capatosta ma… se servisse a me, a te, a noi due, sarei più che disposta ad andarci. Pensaci, va bene?”

 

Calogiuri le sembrò sbigottito. Lo era pure lei, in un certo senso, perché le era uscito senza nemmeno rifletterci, dal cuore, come le succedeva sempre con Calogiuri. E, come le succedeva sempre con Calogiuri, si rese conto che lo pensava veramente.

 

Per Calogiuri aveva fatto e avrebbe continuato a fare così tante cose che non aveva mai fatto per nessuno, mai. E non le sarebbe pesato, anzi.

 

“Lo sai che… che ora comunque è impossibile. Mi ci manca solo quello e che lo scoprano i giornalisti o l’Arma, per perdere ogni possibilità di salvarmi e di salvare il lavoro. Lo sai come lo dipingerebbero.”

 

“Lo so, ma non sarà per sempre così, Calogiuri, farò di tutto perché non sia sempre così,” cercò di rassicurarlo, tentando di cingergli le spalle per abbracciarlo, ma i muscoli sotto le sue dita si contrassero.

 

I loro sguardi si incrociarono di nuovo e poi lo vide, fissarle la camicia da notte, prima di chiudere gli occhi, scuotere il capo e dirle, “è meglio se torni a dormire mo.”

 

“Meglio per chi?” gli chiese, con tono di sfida, come aveva già fatto quel pomeriggio.


“Per tutti,” rispose lui, laconico e di nuovo distante, rimettendosi disteso e voltandosi per darle le spalle.

 

Fu l’ennesimo schiaffo di quella giornata, da un lato le veniva da piangere, dall’altro le montò un’incazzatura incontenibile, perché mo stava proprio esagerando.

 

“Fai come vuoi!” sibilò quindi, alzandosi dal letto e risistemandosi la camicia da notte, “sto solo cercando di aiutarti e continuerò ad aiutarti. Ma non ti devi proprio preoccupare su cosa è meglio per me, perché, se ti comporti così, certe voglie me le levi proprio tu per primo, che mi sembri Valentina quando teneva quindici anni. E mo me ne vado a dormire pure io!”

 

Non aspettò nemmeno di vedere se lui avrebbe reagito o meno, perché non se lo meritava proprio, si avviò a passo marziale verso la camera da letto, i piedi nudi che picchiavano sulle piastrelle fino a farle male, gli occhi pieni di lacrime, e richiuse la camera da letto con un boato che forse avrebbe risvegliato tutto il condominio.

 

Peggio per loro!

 

*********************************************************************************************************

 

Spalancò gli occhi con un sospiro: era inutile, per quanto ci provasse non gli riusciva proprio di tornare a dormire.

 

Allungò un dito per dare una carezza ad Ottavia, che gli stava appollaiata sul petto, ma, per tutta risposta, lei lo guardò malissimo, tutta corrucciata in un modo che gli ricordava tantissimo Imma.

 

Ed il pensiero di lei si accompagnò ad una fitta di senso di colpa.

 

“Forse ho esagerato davvero con mamma, eh, Ottavia?” le chiese, grattandole il mento e la micia si esibì in quello che era un chiarissimo vedi un po’ te non verbale.

 

Sì, aveva preso quasi tutto da Imma, veramente.

 

Con un altro sospiro, si tirò prima a sedere e poi in piedi, proclamando con Ottavia, che era ormai il ritratto di una gatta sorniona, “vado solo in bagno, Ottà, è inutile che mi guardi così.”

 

Seguito dai miagolii di protesta, si incamminò verso il corridoio ma, non appena superata la statua del leopardo in ceramica, si fermò.

 

C’era un rumore, lievissimo ma costante.

 

Imma

 

Andò verso la porta della stanza da letto e la trovò socchiusa, l’aprì il più silenziosamente possibile, quanto bastava per intravedere la figura sottile che tremava sotto le lenzuola.

 

Un colpo al cuore ed un’altra fitta.

 

Stava piangendo, era evidentissimo, anche se aveva la testa sotto al cuscino ed era tutta coperta.

 

Dire che si sentisse una merda sarebbe stato come dire che Mancini gli stava lievemente antipatico.

 

Spalancò la porta e lei, ovviamente, lo sentì, perché si bloccò improvvisamente. O almeno ci provò: un poco di tremolio si distingueva ancora, tra un respiro e l’altro che sollevavano il copriletto.

 

“Imma…” sussurrò, avvicinandosi piano piano, avendo paura di spaventarla e forse di farle ancora più male.

 

Ma lei rimase sepolta dal cuscino, senza fare il minimo cenno di volerne uscire.

 

“Mo sei tu che fai la testona, dottoressa,” sospirò, sedendosi piano sul bordo del letto e poi afferrando il cuscino, costringendola a scoprirsi e a guardarlo, anche solo per cercare di riprenderselo.

 

Le guance e le ciglia bagnate e quegli occhi grandi, talmente lucidi da essere nerissimi, furono l’ultimo colpo: si sentì nudo, senza difese, senza quella corazza che aveva cercato disperatamente di mantenere con lei.

 

La mano si mosse prima che potesse fermarla e si trovò a cercare di asciugarle le lacrime con dita tremanti.

 

“Scu- scusami,” gli uscì, anche se la lingua gli sembrava incollata al palato, “ho esagerato, scusami. Ma… ma è che… mi sento… mi sento sempre così arrabbiato… forse perché… sento di non riuscire a fare mai abbastanza, che tutto mi è sfuggito di mano e-”

 

Le dita di lei afferrarono le sue, bloccandogliele sul viso ancora bagnato, le parole che gli si persero in bocca, solo per il modo in cui lo guardava, rabbioso e disperato.

 

“Non è vero: io qua sto e non vado più da nessuna parte, hai capito? E non è vero nemmeno che non fai mai abbastanza, anzi! Ma non ti rendi conto delle intuizioni che hai avuto oggi?! Potresti avere svoltato il caso, mannaggia a te! Perfino… perfino Mancini è rimasto impressionato da te!”

 

E, anche se gli fece male sentirglielo nominare, allo stesso tempo quell’orgoglio che le lesse negli occhi, così sincero, pure nell’incazzatura, lo fece sentire… come solo lei lo faceva sentire.

 

“Non c’è niente che non puoi fare, Calogiuri, niente! E non so più come fartelo capire!”

 

Rimase per un attimo in silenzio, cercando di deglutire il groppo enorme che c’aveva in gola.

 

Mannaggia a lei, che riusciva sempre a ridurlo così!

 

“Quella sei tu, dottoressa…” riuscì infine a mormorare, sfiorandola con l’unico dito rimasto libero, il pollice.

 

“No, non è vero! Non è vero! Perché non riesco più ad aiutarti, a supportarti e… e... a farti capire quanto ti amo, maledizione e… e non ce la faccio più a vederti stare così male e-”

 

Ci mise qualche secondo a realizzare che la stava abbracciando, più forte che poteva, ma neanche lui ce la faceva più a vederla così e…  e mo non vedeva proprio più niente. E non solo perché aveva il viso sepolto nei suoi ricci, il calore del fiato di lei che sembrava penetrargli dritto nell’anima, attraverso la maglietta bagnata di lacrime, fino al cuore che gli batteva all’impazzata.

 

Per poco non ci si soffocò pure lui nelle sue stesse lacrime, mentre cercava di ritrovare il respiro, avvolto nel profumo di lei, che piano piano lo tranquillizzava e lo faceva sentire stranamente in pace, come solo lei sapeva fare.

 

Siamo proprio due scemi! - pensò, rimanendo aggrappato a lei e lei a lui come fosse l’ultima cosa che avrebbero mai fatto in vita loro.

 

Alla fine si staccò leggermente, i muscoli che gli bruciavano come i polmoni, e quelle ciglia e quegli occhi furono nei suoi.

 

E la baciò, o forse fu lei che baciò lui: non ci capiva più niente, stordito dal bisogno di sentirla vicina, sempre più vicina, di ritrovare quella parte di sé che aveva perso con lei.

 

Il mondo finì sottosopra, mentre rotolava insieme a lei, drogato dal sapore delle sue labbra e dalla morbidezza della pelle che gli scivolava sotto le dita. Rabbrividì nel sentire le mani di lei sotto la maglietta, che salivano sempre più su e, d’istinto, afferrò i lembi di quella camicia da notte che era illegale, era, sollevandola per levargliela in un solo gesto, accecato dal bianco della sua stessa maglia che gli veniva sfilata da sopra la testa.

 

Un brivido, il seno di Imma sul suo petto e-

 

Davanti ai suoi occhi, chiaro e nitidissimo, gli si parò Imma con quello stronzo, in quella stessa identica posizione, lei che gemeva proprio come faceva con lui e-

 

Una secchiata di ghiaccio.

 

Si staccò bruscamente da lei, il gelo che gli era arrivato al cuore, stringendoglielo fino a piegarlo in due.

 

“Calogiù, che hai, ti senti male?”

 

La preoccupazione nella voce di lei peggiorò solamente le cose e si divincolò dalle mani che gli avevano preso le spalle con un “lasciami!” talmente forte che si spaventò da solo.

 

Rimasero per un secondo come paralizzati, a guardarsi, lei con le mani ancora sollevate in aria, gli occhi di nuovo pieni di lacrime.

 

“Scu- scusami, ma… non ce la faccio… continuo a pensare… a te e a lui e… non ce la faccio!”

 

Il singhiozzo di Imma fu l’ultima cosa che udì prima di lanciarsi quasi giù dal letto e correre in bagno, gettandosi sotto la doccia gelata ma mai quanto il suo cuore, sfregandosi il viso fino a farsi male, pur di scacciare quelle immagini che erano peggio di qualsiasi tortura.




 

Nota dell’autrice: Ed eccoci arrivati alla fine di questo capitolo, un po’ più breve del solito. Ma è stato un parto da scrivere, per via di quello che è successo nelle ultime scene, e ho ritenuto che questo fosse il punto più giusto dove terminarlo.

Calogiuri ed Imma si amano moltissimo e lui razionalmente l’ha anche perdonata, ma c’è una parte irrazionale che non ce la fa proprio, almeno per ora. Nel prossimo capitolo vedremo la reazione di Imma a quanto appena successo e le indagini proseguiranno a pieno ritmo, mentre Imma e Calogiuri cercano di capire se è possibile non solo salvare lui, ma anche il loro rapporto.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che la storia, anche dopo la lunga pausa, stia continuando ad intrattenervi. In ogni caso, le vostre recensioni mi sono utilissime per capire cosa ne pensate e se quello che scrivo vi piace o meno e cosa può essere migliorato. Quindi vi ringrazio tantissimo se vorrete farmi sapere come sta andando.

Un grazie particolare anche a chi ha messo questa storia nelle preferite o nelle seguite.

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare tra due settimane, domenica 31 ottobre, giusto in tempo per Halloween, sperando non faccia orrore :D anche perché di santi in questa storia non ce ne stanno proprio ;).

E nel frattempo dovrebbe anche essere iniziata la seconda stagione di Imma, finalmente! Spero che continuerete comunque a seguire questa storia anche se sarà in una realtà “parallela” a quella della fiction, ma penso che ormai i personaggi siano così avanti come fase del loro rapporto, rispetto a quanto realisticamente potremo vedere in una seconda stagione, che credo le due cose possano continuare passo passo senza generare troppa confusione.

Se invece preferiste una pausa da questa storia fino alla fine delle prime quattro puntate di Imma, per poi riprendere in attesa della seconda e ultima parte della stagione, fatemelo sapere pure nelle recensioni.

Grazie mille ancora!

 
   
 
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