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Autore: _uccia_    17/10/2021    1 recensioni
Lui vive secondo un codice, il codice Vory. Nel mondo malavitoso russo esiste una gerarchia e delle tradizioni. Lei sarà lo strumento che lo farà ascendere al potere.
Lui è un sicario chiamato il Siberiano, lei una principessa della 'Ndrangheta italiana.
Quello che non sanno è che il loro destino è inesorabilmente intrecciato e che non avranno scrupolo a sfruttare la posizione l'un dell'altra per raggiungere la sommità della scalata al potere.
Perché più forte della loro ambizione, può essere solo il desiderio carnale e possessivo che pare bruciarli interamente.
Due personaggi che per quanto diversi si ritroveranno a dover lavorare di squadra, in un ambiente cupo e pericoloso diviso tra Stati Uniti, Honduras e la fredda Russia.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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                                                                                        ---------------VITTORIA-----------------

Il Range Rover con cui gli uomini di suo padre erano venuti a prenderla, era largo e accogliente.
I sedili in pelle nera su cui se ne stava placidamente adagiata, erano ideali per affrontare il viaggio di ore che si preannunciava da New York fino a Boston.
Vittoria appoggiò il gomito sul finestrino, la mano sotto al mento e si perse nello sfrecciare delle luci cittadine all'esterno dell'abitacolo.
Le due guardie davanti a lei erano silenziose e all'erta. Mentre l'autista si manteneva concentrato alla guida, l'altro sembrava avere una sorta di tic nervoso. Guardava a intervalli regolari il riflesso nel specchietto laterale esterno.
Alla autoradio era stata collegata una chiavetta USB con musica per il viaggio e il ritmo incalzante del rapper italiano unito alla voce trasognata di donna nel ritornello, infondevano all'ambiente un'atmosfera quasi ovattata.
"Restiamo svegli fino all'alba
Col mondo che ci guarda
Mordimi il collo finché si taglia
Così il nero del mio corpo viene a galla
Ti sei innamorata di un uomo morto che parla"
 
Vittoria sorrise colpita. "Pleasantville, di Nitro", ne ricordò il titolo. "Davvero?".
Gli uomini le restituirono due sorrisetti sghembi dallo specchietto retrovisore.
"Non è il suo genere, signorina De Stefano?".
Lei accolse la sfida con altrettanto divertimento. "Al contrario, potrei sorprendervi con la mia conoscenza in merito. Ma non ditelo a mio padre, non credo che approverebbe visto i suoi gusti decisamente più classici".
Poi tutto collassò, fu come essere risucchiati in un vortice.
Un enorme mezzo corazzato impattò con brutalità sul fianco destro dell'auto su cui stavano viaggiando.
Vittoria venne sbalzata contro il finestrino del lato opposto, la testa le sbatté violentemente contro il vetro e il Suv fece una nauseante giravolta su sé stesso.
Sulla fronte della ragazza si aprì un taglio profondo, il sangue le colò fino agli occhi e ne fu subito stordita.
All'uomo dal lato passeggero in cui erano stati colpiti, era andata decisamente peggio. Lo sportello era imploso e il corpo dell'uomo era rimasto imprigionato in un groviglio di lamiere.
L'autista scese all'esterno con la rapidità di un gatto e, protetto dal cofano dell'auto, sparò all'impazzata in ogni direzione.
Le fischiavano le orecchie, la testa le girava e lottò con tutta se stessa per non vomitare. Il corpo era sconquassato da tremori. Non riusciva a muovere il collo e aveva difficoltà a mantenersi lucida.
Aveva solo una vaga idea che all'esterno si era scatenato l'inferno.
Le automobili tutt'attorno cominciarono a scontrarsi e a cimentarsi in frettolose accelerate pur di togliersi dai piedi il più velocemente possibile.
C'erano urla, spari, puzza di bruciato e il suo stesso sangue la accecava.
Con un ultimo orribile botto, anche la seconda guardia di sicurezza crollò a terra.
Vittoria lo vide cadere sull'asfalto a braccia aperte e gli occhi spalancati senza vita, con un'espressione di sorpresa.
Come se non riuscisse a crederci nemmeno lui che fosse finita così.
Urlò con tutto il fiato che aveva, sentendosi la gola raschiare e i polmoni rimpicciolirsi nel petto.
I tremori le tolsero capacità di coordinazione e a parte dimenarsi sul sedile, non riusciva a concentrarsi per fare null'altro.
Lo sportello accanto a lei si spalancò improvvisamente e una folata di gelido vento la schiaffeggiò portandola a voltarsi sgomenta verso chi era venuto a prenderla.
Uno sconosciuto si stagliava a un palmo da lei, un uomo vestito in tenuta d'assalto nera. Pettorina anti proiettile, guanti in pelle, lunga pistola lucida d'argento in pugno e passamontagna a coprirgli il volto.
La dove doveva esserci la bocca, c'era l'orribile stampa di un sorriso aperto da teschio. Solo gli occhi leggermente a mandorla restavano scoperti.
Con la prontezza di riflessi che solo l'adrenalina poteva infonderle, Vittoria ebbe un improvviso colpo di reni e si fiondò verso lo sportello opposto.
Il suo aggressore fu altrettanto lesto, le agguantò una caviglia e le fece perdere una scarpa.
Con la gamba libera, la ragazza provò ad assestargli pedate a raffica mirando prima alla testa e poi in ogni dove riuscisse a colpire.
L'uomo grugnì di disapprovazione e le puntò proprio in mezzo gli occhi l'arma.
Ebbe un effetto paralizzante sulla ragazza che si bloccò immediatamente, alzò le mani in segno di resa e scongiurò mentalmente se stessa di non farsela nei pantaloni.
"Ubiraysya!", ordinò con veemenza il suo assalitore. In quella cavernosa e scattosa lingua che tanto la terrorizzava fin dal primo giorno che era giunta a New York.
I russi. Erano venuti ad ucciderla.
Questa consapevolezza la gettò nel più profondo dei baratri. Era disperata, senza speranza.
Si ritrovò tetramente a pensare se non fosse meglio che la uccidessero subito invece di portarla via. Sapeva che se i russi l'avessero rapita, la sorte sarebbe stata ben peggiore dell'incontro fra una pallottola e il suo cranio.
"UBIRAYSYA!"
Urlò ancora il russo, questa volta indicando con un gesto della pistola lo sportello spalancato dietro di lui.
Vittoria non conosceva la sua lingua ma dai gesti era chiaro. "Esci!", le stava ordinando.
Lei sussultò e le lacrime presero a scendere senza controllo.
"Ok!", singhiozzò facendosi largo accanto al russo che si fece in dietro e la lasciò uscire dall'abitacolo continuando a tenerle l'arma puntata.
"C-cazzo!", imprecò senza fiato tenendo sempre le mani alte sopra le spalle.
Vittoria si guardò attorno.
La piazzola al casello della superstrada era sgombra di testimoni civili ma altri quattro uomini in tenuta d'assalto militare nera si aggiravano fra i Suv italiani e le loro Denali crivellate di colpi.
Tutti con passamontagna, tutti irriconoscibili.
Tutti assassini.
I corpi inanimati del resto della sua scorta giacevano flosci come sacche di carne a terra.
Un'ultima guardia di sicurezza era sopravissuta.
Fecero inginocchiare l'uomo proprio di fronte a Vittoria, uno del squadrone della morte gli puntò la pistola alla nuca e fece fuoco.
La testa dell'uomo di aprì in due, come un cocomero caduto dal terrazzo.
Vittoria non era stata abbastanza rapida a chiudere gli occhi. Urlò ancora, con l'anima che si spezzava per il senso di colpa.
Fece un balzo in dietro e finì contro il muro di granito che altro non era che il petto del suo rapitore.
Il russo la tenne ferma per la vita finché la ragazza cercava di dare battaglia dimenandosi furiosamente.
Seguirono una sequenza di frasi in russo da parte di tutto lo squadrone, incomprensibili e totalmente insignificanti per Vittoria.
Se l'era forse meritato? Meritava di morire in quel modo?
Era l'universo che le diceva di andarsene all'inferno insieme a tutto quello schifo della malavita?
Le ficcarono un sacco scuro in testa e l'attrito del ruvido tessuto sul taglio della fronte le provocò un'emicrania.
Le gambe le cedettero e cadde in ginocchio.
Qualcuno dietro di lei, le prese i polsi dietro la schiena e li legò insieme con una fascetta. La legò così stretta che le mani presero a formicolare.
Non si azzardò a dire nulla, non una supplica le uscì dalle labbra. Sarebbe stato inutile oltre che avvilente, era sicura che avrebbero riso e ne avrebbero goduto ancora di più.
Altri ordini in russo, questa volta a parlare fu 'Faccia da teschio' dietro di lei che la sollevò con un strattone e la fece salire sui sedili posteriori di una delle loro auto.
Vittoria si fece in disparte mentre un bestione la seguiva subito dopo, accomodandosi accanto.
Partirono in un rombo di motore e lei fece del suo meglio per cercare di carpire quanti più particolari possibile.
Non poteva vedere con certezza al di là del sacco che la bendava ma riusciva a riconoscere delle sagome  e poteva dedurre che oltre all'uomo accanto aveva altri due uomini davanti.
Analizzò la sensazione di torpore alle mani legate e come doveva tenersi leggermente curvata in avanti per non schiacciarsele contro lo schienale.
Facendo leva con il piede scalzo, si tolse anche la seconda scarpa. L'unica che le rimaneva.
Doveva essere pronta a correre.
Ma per andare dove?
Era pienamente consapevole che una volta lasciatasi portare via dai rapitori le probabilità di scappare precipitavano verso lo zero.
Prima che le oscurassero la vista aveva individuato un secondo Suv Denali corazzato, oltre a quello in cui stavano viaggiando.
Gli altri due uomini armati li stavano seguendo?
Una mano le scivolò nell'interno coscia, per poi farsi largo a forza verso la sua vagina.
"Non toccarmi!". Avvertì lei, ritirandosi immediatamente.
L'uomo sul sedile anteriore del passeggero, lanciò qualche ammonizione distrattamente.
Con grande sollievo della ragazza, il maiale accanto a lei rispose con una risatina ma non provò più a sfiorarla.
Rimasero in silenzio per minuti che si protrassero verso l'eternità. Nessuna sirena della Polizia avvertì che fossero rincorsi e a un certo punto Vittoria percepì che stavano abbandonando le ampie strade per immettersi in una serie di vie più piccole e interrotte da molte svolte.
Oramai fuori dal finestrino era notte e nell'abitacolo brillavano solo le spie segnaletiche.
Faceva sempre più freddo e i tremori non avevano ancora finito di scuoterla.
A quel punto prese il via una discussione tra i tre uomini davvero strana.
Sembravano in disaccordo sul da farsi.
L'uomo che l'aveva fiaccamente difesa qualche minuto o ore prima, stava interrogando gli altri.
Quest'ultimi rispondevano alle domande con sbuffi e schiocchi di lingua stizziti. Vittoria si convinse che forse in quell'auto non era la sola a non sapere dove stavano andando.
Inchiodarono di colpo, proprio quando la discussione stava salendo di tono.
Vittoria sbatté la spalla contro il sedile davanti e poi ricadde all'indietro.
"Ubiraysya!".
Ancora quell'ordine: "Esci!". Ma questa volta non era rivolto a lei.
Nonostante ciò, gli sportelli si aprirono e Vittoria fu agguantata per la collottola, trascinata fuori e con uno slancio fatta scivolare di faccia sull'asfalto.
La caduta fu volutamente orribile, con le mani legate non aveva potuto pararsi il volto.
Rimase a terra senza fiato e con tanti lampi luminosi che le passavano davanti agli occhi.
Qualcuno le tolse via il sacco dalla testa, lo chignon si sciolse e alcune ciocche le ricaddero arruffate ai lati del viso gonfio.
Si trovavano in una isolata zona industriale. Al centro di un enorme parcheggio per camion, illuminato da un unico alto lampione da stadio posizionato proprio al centro.
C'erano solo loro quattro e il silenzio in quel posto dimenticato da Dio la impressionò come se si fosse ritrovata in un cimitero.
La seconda auto dei rapitori non c'era.
L'uomo con il passamontagna con il sorriso da teschio era tenuto sotto tiro di Kalashnikov dal suo compagno, anch'esso ancora bardato e coperto da passamontagna.
'Faccia da teschio' sembrava tranquillo, si manteneva stoicamente in piedi con una mano alla pistola infoderata sotto l'ascella ma che non osava estrarre.
A quanto sembrava, Vittoria era involontariamente incappata in una esecuzione in pieno stile Vory V Zakone.
L'omone che l'aveva buttata a terra si piazzò proprio davanti alla scena e si curvò su di lei, sovrastandola.
Le afferrò il mento col la mano guantata e gli occhietti, stranamente posizionati lontani dal naso, gli brillarono maligni da sotto la bardatura.
"Pizda", la apostrofò, per poi continuare in uno stentato inglese. "C'é l'ho duro... vuoi giocare con me?".
Raddrizzò poi la schiena e prese ad armeggiare con la cintura dei pantaloni. Dietro di lui, il compagno con la mitraglietta stava dicendo qualcosa.
"Mi lascerai andare in cambio di un pompino?", lo sfidò maliziosamente Vittoria.
Era consapevole di avere un aspetto orribile. Fronte gonfia, sporca di sangue, sudata e con il trucco colato sulle guance.
Ma cercò di darsi un'aria da puttana esperta mentre lascivamente si leccava le labbra e si metteva in ginocchio... in posizione favorevole.
Ancora il compagno con il Kalashnikov si intromise con dure parole ma il coglione ce l'aveva veramente toppo duro per avere anche solo vagamente idea di concentrarsi a cose ben più urgenti.
Gran bel problema per gli uomini, quando il sangue defluisce dal cervello e si raccoglie tutto in mezzo alle gambe.
Abbassano la guardia.
In più, lei era una donna legata. Del tutto inoffensiva e terrorizzata.
Tirò fuori il membro turgido, già bello che umido.
Quando venne richiamato per l'ennesima volta, stupidamente si voltò per urlare qualcosa in rimando.
Vittoria aveva già in mente che cosa fare ma non si sarebbe potuta aspettare occasione migliore. Voleva provocargli dolore, voleva indurlo a farla finita con lei in fretta.
Avrebbe fatto di tutto per evitare di essere violentata, avrebbe preferito decisamente la morte.
Forse... con un colpo ben assestato, non sarebbe riuscito a farselo venire duro per un bel po'.
Approfittando della momentanea distrazione, la ragazza cautamente ma velocemente, alzò un ginocchio da terra e caricò come un ariete. Con la sommità del capo andò a incornare l'uccello del bastardo che non aveva pensato a una così improvvisa aggressione.
Grugnì più di sorpresa che per vero dolore ma perse l'equilibrio e fece qualche passo in dietro.
Perfetto, ora l'aveva fatto incazzare e Vittoria non aveva un piano B.
Qualcun'altro, invece, aveva saputo cogliere meglio l'occasione al volo.
'Faccia da teschio' agguantò con una manata l'arma dell'avversario, da cui partirono colpi a raffica.
Venne puntata verso l'alto e il rimbombo degli spari continuò a perdersi fra gli alti muri in cemento dei fabbricati, anche quando 'Faccia da teschio' tirò una poderosa testata al naso dell'avversario.
Vittoria si sentì imbarazzata dal suo goffo tentativo intentato poco prima.
'Faccia da teschio' non aveva finito. Con ancora la mano sinistra a tener ferma l'arma verso il cielo, mosse rapidamente la destra in un lampo argenteo.  Piantò il pugnale con abilità e precisione nella trachea dell'altro uomo. Una,due e tre volte.
Quest'ultimo cominciò gorgogliare parole sanguinolente e lunghi zampilli gli volarono dai tagli ad ogni pulsazione del cuore.
Cercò di tamponarli con una mano mentre barcollava.
Dal canto suo, il compagno con ancora il pene esposto, armeggiò solo per qualche secondo con la fondina della pistola.
La impugnò con destrezza e fece fuoco proprio mentre Vittoria, del tutto mossa dall'istinto di sopravvivenza, gli si fiondava contro con uno spintone.
Fu come sbattere contro un cartello stradale. Rimbalzi in dietro stordita e il palo vibra solo leggermente, quasi indifferente al tuo affanno.
Ma quell'ennesimo goffo tentativo da parte di una ragazza troppo leggera per un placcaggio, riuscì comunque a far perdere la mira all'uomo che per un soffio mancò la testa dell'altro per colpirlo invece alla spalla destra.
La spalla di 'Faccia da teschio' scattò dal contraccolpo all'indietro, ma mentre cadeva puntò con la sinistra il Kalashnikov davanti a sé. Fece partire tre colpi e tutti andarono a segno centrando gambe, petto e testa.
Anche il secondo uomo cadde per mano di chi evidentemente ne sapeva abbastanza del mestiere e con tutto il coraggio necessario da riuscire a far fuori due persone nel giro di pochi secondi.
Vittoria si ritrovò ad essere l'unica in piedi e circondata di nuovo dall'agghiacciante silenzio.
Il suo aggressore giaceva a pancia in sù, con ancora le braghe calate sul davanti e l'uccello rattrappito fra i testicoli.
Gli sputò in faccia e gli assestò un calcio alle costole con quanta più forza potesse raccogliere. Giusto per stare tranquilla.
Il corpo si scosse ma non reagì, sotto di lui si stava pian piano allargando una pozzanghera scura e densa.
Era finita? Si erano eliminati a vicenda?
Quello accoltellato alla gola, spirò con un ultimo orribile risucchio e il suo corpo smise di gonfiarsi sù e giù.
Vittoria non osò avvicinarsi a 'Faccia da teschio', rimase immobile con gli occhi sgranati e con il cuore che le palpitava nelle orecchie da quanto era all'erta.
"Oh, no! Decisamente, no!". Esclamò, non appena 'Faccia da teschio' con uno borbottio si tirò a sedere.
Con la mano sana andò a sincerarsi della ferita.
Vittoria era già partita a tutta velocità a nascondersi dietro la Denali.
Si sentì il BIP di una radio accesa e la profonda voce del russo suonò incrinata dal dolore mentre evocava il nome "Ivan" alla trasmittente.
Seguirono brevi frasi incomprensibili dove a Vittoria fu chiaro che il russo stava via via per perdere le forze.
Si azzardò a spiare da sotto il Suv.
L'uomo era ancora seduto a terra, la mano premuta sul foro sgrondante alla spalla destra. Il respiro gli si stava facendo sempre più corto e rapido.
Perdeva troppo sangue. I suoi compagni sarebbero arrivati in tempo per salvarlo?
L'uomo sospirò e buttò la testa all'indietro piegano il collo, forse arrendendosi al proprio destino.
"Io vedo te", disse improvvisamente con un orribile accento marcato. "Io non fare male a te. Vieni quì".
Vittoria si rizzò subito in piedi ma non abbandonò il nascondiglio.
Non la stava nemmeno guardando, quando l'aveva vista correre a nascondersi?
"Per favore", stava riprovando lui. "Tu vieni qui".
"No!", rispose prontamente lei.
"Io liberare te".
Vittoria rise istericamente contro lo sportello della macchina. "Ovviamente, certo! Dovrei crederti?".
"Tu..." parve esitare cercando la traduzione corretta. "Tu con mani dietro, io presto morto. Tu non puoi scappare".
Aveva ragione.
Poteva prendere la macchina e correre finché non fosse arrivata abbastanza lontano per fermarsi, chiedere aiuto e chiamare suo padre. Ma con le mani legate dietro la schiena come intendeva farlo?
Vittoria valutò rapidamente l'eventualità di guidare mordendo il volante.
Silenzio.
La ragazza si sporse a spiare da sopra il cofano.
Il russo se ne stava ancora seduto a gambe larghe e con lo sguardo rivolto al cielo, troppo inquinato dalle luci artificiali per riuscire a distinguere le stelle.
La maschera gli copriva il volto, non riusciva a capire che espressione dovesse avere.
A cosa poteva pensare un uomo nei suoi ultimi istanti di vita?
"Perché vuoi liberarmi?".
Non le rispose.
Vittoria esitò ancora. Quanto ci avrebbero messo i suoi compagni ad arrivare?
"Ok, va bene", si arrese. "Non fare scherzi cazzo o ti prendo a calci!".
Furtivamente, sgattaiolò fuori dal suo nascondiglio e gli si avvicinò.
"Allora?", domandò burbera quando lo sovrastò.
Il russo raddrizzò il capo e la congelò con solo l'intensità dello sguardo.
"Tu gira", ordinò.
"Dovrei pure darti la schiena?".
L'uomo lasciò la presa alla spalla ferita. Ora si poteva notare come l'articolazione fosse uscita fuori sede dal contraccolpo e come il braccio gli pendesse floscio.
Con la mano sinistra si sfilò goffamente il guanto da quella destra, appoggiata delicatamente sulla coscia.
Fletté leggermente le grosse dita tatuate... e stette a guardarle. Forse valutando quanto la mano si fosse sbiancata e intorpidita a causa del dissanguamento.
Quando la ruotò, Vittoria notò il grosso tatuaggio di una pistola disegnata sul dorso.
Una Tokarev TT-33.
Poteva ancora sentirne la descrizione in un angolo della mente.
Una volta, al poligono di tiro, il suo insegnante le diede in mano una di quelle.
Il suo insegnante di allora aveva combattuto in Afghanistan ed era stato scelto da suo padre perché aveva abbastanza esperienza sul campo da potergli affidare l'istruzione della figlia.
L'arma era ergonomicamente ben progettata, facile da impugnare e confortevole allo sparo. Con poco rinculo e una precisione più che sufficiente per le distanze d'impiego. Caricatore a carrello e assenza di una sicura manuale, questo ne rivelava l'impostazione tipicamente militare.
Era una pistola originariamente ideata all'epoca dell'Unione Sovietica.
L'uomo parve finalmente riscuotersi dai suoi pensieri e con la sinistra afferrò il pugnale caduto poco lontano da lui.
"Tu gira", ordinò nuovamente.
Vittoria dovette fare un enorme atto di fede nel voltarsi e abbassarsi al suo livello.
Tenne però la testa voltata, non perdendolo di vista.
Lui non fece una piega, con due scrollate tagliò la fascetta che impediva i polsi della ragazza.
Non appena si sentì libera, lei si rizzò subito in piedi e si massaggiò la pelle arrossata.
Non sapeva cosa dire. Certamente non un grazie, visto che stava decisamente meglio prima che la rapissero.
"Chi ha le chiavi della macchina?", chiese invece.
Il russo alzò il mento in direzione del tizio accoltellato alla gola, riverso a qualche metro più in là.
Vittoria procedette a una rapida perquisizione del corpo, trovò le chiavi e si appropriò di una pistola troppo grande per lei ma che poteva andare benissimo come ultima difesa.
Si voltò ancora verso l'uomo seduto e fece per dire qualcosa ma... preferì correre alla macchina.
Quando mise in moto e partì premendo l'acceleratore a tavoletta, non riuscì a trattenersi dal guardarsi in dietro.
'Faccia da teschio' era finalmente passato a miglior vita, riverso a pancia in sù mentre guardava il triste cielo notturno.
 
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La sua folle corsa durò per tre ore, non aveva un navigatore satellitare perciò dovette gestirsi consultando i vari cartelloni stradali.
A un certo punto, con la vescica che le scoppiava e una tremenda sensazione di sonnolenza che la sopraffaceva, dovette fermarsi in un minimarket.
Pretese dal cassiere che le fosse consegnato un telefono e con quello provvide ad avvisare il padre raccontando brevemente la sequenza di eventi che l'avevano portata a farsela sotto tra la corsia sei e sette di un supermercato aperto H24.
"Vi aspetto quì", concluse riagganciando.
Volò al bagno sul retro, si liberò la vescica e si diede una sistemata al lavello.
Era pallida, con le labbra cianotiche e spaccate da vari tagli.
Il senso di allarme non accennava a diminuire in lei. Ciò che le era accaduto continuava a passarle davanti come immagini di diapositive: il suo Suv che faceva testa coda, gli spari, le voci incomprensibili. Poi il parcheggio, la paura, il sangue... la pistola tatuata sul dorso di una mano.
Si lanciò dell'acqua addosso cercando di lavare via la sensazione di essere ancora braccata.
Cominciò a iperventilare con il bagno che le vorticava attorno.
Istintivamente portò una mano alla tasca del cappotto ma già sapeva che non avrebbe trovato le gocce di Lexotan che tanto le servivano.
Aveva già provato a rovistarsi finché guidava, ma la tasca dove teneva il suo ansiolitico doveva aver ricevuto una botta di troppo perché la boccetta era andata in frantumi e il liquido era andato irrimediabilmente perso.
"Cazzo, merda, 'fanculo!", imprecò contro il suo disastrato riflesso allo specchio.
Quando uscì dal gabinetto quasi le venne un infarto nel sentire le porte automatiche dell'ingesso al supermercato che si aprivano e richiudevano.
Ma erano solo un trio di diciottenni decisamente in vena di fare casino. Ridevano e si spintonavano mentre vagavano fra le corsie in chiaro atteggiamento da rapinatori d'alcol.
Vittoria si fece avanti e lanciò la chiave elettronica della Denali a quello che doveva essere il capo della gang.
Il ragazzino la prese al volo stampandosi un'espressione da beota in volto.
"Te la regalo", gli sorrise per poi indicare fuori dalla vetrata trasparente l'enorme bestione nero parcheggiato su due posti auto contemporaneamente.
"A patto che tu e i tuoi compari ve la portiate via subito, il più lontano possibile".
 
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Castello Famiglia De Stefano.
Non poteva esserci definizione migliore. Tetra muratura che si innalzava per metri, colorati mosaici alle finestre ad arco e persino statue raffiguranti santi e vergini a sorreggere il tetto spiovente ricoperto di tegole.
Per i ricchi esponenti della 'Onorata Società' italiana, il concetto di opulenza raggiungeva livelli da favola 'Mille e Una Notte'.
Andava bene così, considerando il giro di affari da 73 miliardi di dollari a livello globale che gli italiani gestivano.
Vittoria aveva raggiunto la casa di suo padre poco fuori Boston, accompagnata da un corteo di agenti di morte e quando il sole era ormai sorto all'orizzonte.
Scese dal mezzo saltando direttamente sui gradini in marmo d'ingresso alla magione. Essendo ancora scalza, il suo autista non volle farla scendere sul ghiaino del vialetto col rischio di ferire i suoi delicati piedi.
Il portone di accesso all'atrio si aprì prima ancora che lei potesse bussare.
La servitù si piegò in profonde riverenze e inchini, tutta schierata in riga mentre lei li oltrepassava a passo di carica senza dar loro particolare attenzione.
Calpestò e passò oltre anche al magnifico esemplare di decorazione antico romana al centro del candido pavimento e si diresse subito verso la cima della scalinata dove suo padre la stava aspettando.
Parve più solo e vecchio che mai, lì in alto contro la luce del gigantesco lampadario ornato da cristalli che illuminava il corridoio del primo piano dietro di lui.
"Nel mio ufficio", si limitò a dire non appena la ragazza fu a un gradino da lui.
Salvatore De Stefano era un facoltoso 'padrino' di settantacinque anni, gestiva gli affari proprio come gestiva il suo invecchiamento: con cocciutaggine e con nessuna intenzione di farsi da parte.
Anche da scalza, il padre le arrivava all'altezza del mento. Non era mai stato un uomo molto alto ma da qualche tempo cominciava a curvarsi, causa acciacchi da osteoporosi.
Guai a definirlo un debole, era pienamente capace di muoversi senza il sostegno di un bastone e di schiaffeggiare Vittoria con una velocità che ancora la spiazzava.
Nonostante il viso rugoso e i capelli ingrigiti, lo sguardo era ancora vigile e la mente lucida. Come se non fosse passato che un solo giorno dai gloriosi tempi in cui da guaglione sparava in sella al suo motorino, per le vie della provincia di Reggio Calabria.
"Comincia a parlare" la esortò finché raggiungeva la sua consueta postazione dietro la pesante scrivania.
Vittoria si servì dal carrello degli alcolici. Si versò in un bicchiere di cristallo una generosa quantità di Scotch whisky e lo trangugiò tutto, prima i andarsi a sedere di fronte al padre in attesa.
Raccontò ogni cosa con dovizia di particolari non lesinando su come quei russi di merda l'avevano umiliata e ferita.
Raccontò il tentativo di stupro e di come valorosamente avesse tentato di reagire.
Raccontò come uno degli uomini avesse fatto fuori gli altri e di come alla fine fosse morto anch'esso.
Quando smise di parlare le mancava l'aria, l'ufficio si era fatto troppo caldo e tutta la stanchezza di ventiquattro ore di veglia le arrivò addosso minacciando di farle chiudere le palpebre per un bel po'.
"E ti ha lasciata andare, così... semplicemente?".
"Lo ha fatto", confermò lei.
"Perché?".
"Non lo so', non ha importanza. Sono viva e tutta intera, no?".
Salvatore De Stefano rimase per un minuto in silenzio, chiaramente stava scandagliando come quegli ultimi eventi potessero danneggiare la sua posizione all'interno della 'Onorata Società'.
"Puoi andare a riposare", la congedò in fine annuendo.
Vittoria non si mosse dalla sedia.
"Hai qualcos'altro da dirmi?", si accigliò il padre.
"E' il momento di farti aiutare, papa!". Fece un respiro profondo e proseguì: "Stai invecchiando e quando non ci sari più chi baderà a me?".
Salvatore non fece nessun cenno per esortarla a continuare, ma già il fatto che non l'avesse mandata via era da considerarsi come un buon segno.
"Ieri notte ero esposta e vulnerabile. Non ho ancora capito perché volevano rapirmi, posso solo fare congetture ma non ho certezze e non so' come proteggermi".
E continuò ancora, come un fiume in piena.
" Ci sono solo io, papà! Per favore fattene una ragione e dammi fiducia, coinvolgimi nei tuoi affari. Ti dimostrerò che ne sono all'altezza, dammi una possibilità!".
Salvatore tamburellò con le dita sul bordo della scrivania, come faceva sempre quando una discussione richiedeva qualche riflessione.
Un gesto che Vittoria riconobbe come anche proprio.
Lei e suo padre erano così simili, perché non riusciva a vederlo anche lui?
"Una donna", disse in fine il vecchio tradizionalista. "In affari della 'Ndrangheta".
"Tua figlia", precisò lei.
Altre tamburellate contro il legno e poi... la speranza.
"Vai a riposare, è stata una lunga nottata. Domani parleremo del futuro della Famiglia".
 
  
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