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Autore: Daniela Arena    18/10/2021    3 recensioni
Due anime possono cercarsi per un'intera vita e non trovarsi mai, possono incontrarsi e non riconoscerci o possono trovarsi ed essere troppo spaventate per fondersi insieme.
Jennifer e Mark sono due perfetti estranei eppure la loro vita per certi aspetti è simile, entrambi hanno molti demoni da nascondere nell'armadio e con estrema fatica cercano di costruirsi una strada da percorrere nel mondo. Il loro primo incontro è del tutto inaspettato ma si capisce subito che nell'aria esplode qualcosa capace di avvicinarli inevitabilmente.
Forse le loro anime non sono fatte per trovarsi, forse devono prima andare all'inferno per poi salvarsi o forse si passeranno accanto senza notarsi affatto.
Solo il Karma sarà in grado di decidere per loro o forse no.
Tutti i diritti sono riservati ©
Ogni riferimento a persone esistenti sia che esse siano vive o morte oppure a fatti realmente accaduti è puramente casuale. Ogni nome o luogo citati, realmente esistenti, sono stati utilizzati come riferimento simbolico per rendere più reale il contesto di narrazione.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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   Mi guardai attorno fremendo di paura all’idea che qualche collega potesse avermi notato in una situazione così estranea al campus nonché rigidamente vietata. Il pensiero che si consumassero effusioni in università non era tollerato, tanto meno se questo avesse coinvolto un docente ed uno studente, sarebbe stato immediatamente scandalo. Per la precisione il regolamento prevedeva: nessun contatto troppo ravvicinato, nessuna relazione personale tra colleghi, niente legami familiari tra insegnanti/studenti o insegnanti/insegnanti, niente che potesse legare umanamente in alcun modo qualcuno a qualcun'altro. 

   Poco importava chi fosse o meno credente nell'ateneo ad orientamento cattolico-gesuita, il regolamento doveva essere accettato e rispettato da tutti indistintamente, soprattutto in un momento tanto delicato come quello che si stava vivendo negli ultimi giorni dopo lo scandalo. Queste ferree restrizioni permettevano all’università il mantenimento di quel rigore professionale che per generazioni aveva permesso la formazione di menti brillanti in molteplici settori anche se questo comportava il totale annullamento di ogni essenza umana. Non c’era spazio per i sogni o per le fantasie tra le mura antiche dell’ateneo, ognuno aveva un obiettivo da perseguire senza lasciarsi distrarre per la strada da inutili tentazioni. 

   Impiegai qualche minuto per sentirmi nuovamente meglio, presi un lungo respiro dando un’ultima occhiata in giro e mi avviai per la struttura universitaria per poter finalmente arrivare agli uffici del rettore Xander Stevens. Cercai di non farmi nuovamente prendere dal panico appellandomi mentalmente con parole poco adatte, ripensai a tutto il discorso che mi ero studiata per accogliere il nuovo docente e cercai di controllare il respiro. Se ero stata scelta significava che qualcuno aveva ritenuto possibile che io riuscissi a ottenere il meglio da tutta quella situazione e, di conseguenza, avrei dovuto crederci anch’io per non deludere nessuno, me compresa.

   Arrivai e bussai piano alla porta dell’ufficio dopo che la segretaria mi assicurò di poter interrompere il colloquio che si stava tenendo al suo intero in quanto persona attesa.

   «Avanti.»

   La voce del signor Stevens arrivò chiara alle mie orecchie, presi un altro respiro e abbassai la maniglia della porta che mi si parava davanti con un radioso sorriso sulle labbra.

   Xander Stevens indossava la sua abituale uniforme elegante nera con al collo un collarino ecclesiastico bianco per rimarcare quotidianamente i valori dell’ateneo, i capelli bianchi erano diradati sulla testa e un poco imperlati di sudore per il clima caldo all’interno dell’ufficio, le luci soffuse per trasudare una certa eleganza in linea con l’arredamento aristocratico tipico degli anni passati e comune ai più altolocati atenei del mondo creavano la giusta atmosfera.

   Avanzai di qualche passo lisciando invisibili pieghe sulla gonna del mio tailleur grigio e tesi la mano verso il rettore in saluto.

   «Ben arrivata signorina Sanders.» Allungò una mano verso l’uomo in piedi poco distante da lui. «Le presento il signor Edward Malcom, il nostro nuovo docente di Sociologia della Comunicazione.»

   Accanto alla finestra che dava sul cortile interno una figura maschile dalle spalle larghe strette in un’elegante giacca di pelle dal taglio italiano e gli occhi verdi si era voltata a osservarmi, la sua mise lo faceva apparire come se fosse appena uscito da un club privato. Il viso ben curato e la barba definita in un elegante pizzetto conferiva lui un aspetto piacevole alla vista. Il suo sguardo penetrante fisso nel mio mi fece però rabbrividire impercettibilmente, provai una certa soggezione nell'essere rimirata così da un uomo tanto bello.

   Se avessi creduto all’oroscopo sicuramente per questa giornata avrebbe predetto che avrei fatto bellissimi incontri del tutto imprevisti nella mia innocua quotidianità.

   «Piacere di conoscerla.» Sorrisi cercando di placare il brivido che mi percorse la schiena e tesi una mano verso il mio nuovo collega. Sperai anche di superare l'imbarazzo che stavo provando per iniziare a gettare le basi di un buon rapporto collaborativo con l'uomo.

   Lui allungò una mano a sua volta per stringere la mia e ghignò mantenendo il silenzio per qualche istante.

   «Posso assicurarle che il piacere è mio.» Disse infine avvicinando platealmente la nostra stretta alle sue labbra senza però toccarle. 

   Il suo respiro mi solleticò la pelle.

   Cercai di non mutare il sorriso stampato sulla mia faccia per il gesto del tutto inaspettato e volsi la mia attenzione al rettore per nascondere l'evidente imbarazzo. Una volta recuperata la mia mano la nascosi dietro la schiena insieme all’altra. Attesi che lui ultimasse il suo discorso introduttivo in cui delucidava il nuovo arrivato del rigore dell’ateneo, delle sue regole e di tutte le informazioni che gli avrebbero permesso di tutelare il rapporto lavorativo a lungo termine senza spiacevoli inconvenienti. Rimasi con la mente proiettata ai documenti che mi attendevano nell’ufficio, alle parole che avrei dovuto rivolgere all’uomo che mi stava accanto e, per qualche istante, dimenticai di tutte le altre incombenze. 

   "Jennifer sei una brava bambina.

  Un frammento di ricordo di quanto era accaduto poco prima invase la mia mente con prepotenza, annaspai una boccata d'aria al pensiero che qualcuno potesse aver notato gli occhi azzurri che avevano da poco osservato le mie labbra con desiderio tenendomi stretta in una morsa di muscoli, ossa e pelle incandescente.

   Chiusi gli occhi e scossi leggermente la testa per cercare di liberare la mente da tutti quei pensieri ad alto contenuto di testosterone.

  «La signorina Sanders è una nostra brillante dottoranda, aspira alla cattedra di Comunicazione Mediale per le Aziende presso il nostro ateneo ma si occupa anche di Web Storytelling da ormai un anno, abbiamo molta stima in lei e siamo certi che potrà esserle un’ottima spalla per poter comprendere meglio il funzionamento della nostra struttura e per affiancarla alla cattedra fintanto che non sarà terminato il suo percorso di studio.»

   Fui piacevolmente colpita dalle parole del rettore e annuii con convinzione pensando che lui e tutto il comitato docenti non si sarebbero certamente pentiti della loro scelta.

   «Sarà lei a occuparsi del tour presso la nostra struttura e a rispondere a qualsiasi domanda lei abbia necessità di porre.»

  Annuii ancora e guardai prima il signor Stevens e poi il mio nuovo collega, il signor Malcom, che scoprii ancora intento ad osservarmi sorridente. Quello sguardo indagatore mi solleticava di desiderio e di imbarazzo allo stesso tempo. 

   Presi un lungo respiro e mi feci finalmente coraggio a parlare.

  «Per quanto bizzarro possa sembrare in una grande città come Seattle, in questo ateneo siamo tutti in ottimi rapporti e ci sta molto a cuore il benessere reciproco dei nostri colleghi.» Iniziai cercando di non divagare. «Abbiamo tutti imparato che non esiste cura migliore dell’interesse reciproco e del comune obiettivo di educare i nostri studenti a vedere il mondo da un punto di vista differente. Spero che anche lei faccia presto parte della nostra grande famiglia sentendosi pienamente accettato e libero di fare il suo percorso senza ostacoli.» Sorrisi a quel viso incuriosito che non aveva ancora smesso un secondo di studiarmi da quando avevo fatto il mio ingresso nella stanza. «Il regolamento può sembrare molto duro agli occhi di chi ha lavorato in altre università ma, sono certa che saprà far presto i conti con se stesso e con le sue priorità. Se è stato scelto sono certa saprà essere all'altezza delle aspettative che il rettore, gli studenti e tutti noi riponiamo in lei dopo quanto accaduto; solo lei sa cosa l’ha spinta ad unirsi al nostro Team ma noi tutti siamo lieti di darle il benvenuto a braccia aperte come nostro fratello in questa grande famiglia.»

   Il rettore annuì sorridente per il mio piccolo discorso studiato con cura per non deludere le sue aspettative e poter escludere le mie preoccupazioni al riguardo. Ero la prima a non sentirmi parte di quel nucleo famigliare universitario e a faticare a farmi andare bene le richieste del comitato insegnanti/studenti. Per quanto amassi follemente il mio lavoro e il mio posto di lavoro sentivo che non era esattamente come l'avevo immaginato, il cambiamento era complicato da applicare alle regole secolari dell'università e questo mi frustrava al punto da sentirmi soffocare giorno dopo giorno senza che io avessi la possibilità di far nulla. Essendo ancora dottoranda la paga per la gestione del corso online era minima, questo mi aveva portato a fare alcuni lavoretti del tutto proibiti al regolamento per le aziende della città, se lo avessero scoperto come avrei potuto spiegare la mia necessità di denaro a chi navigava in mari benestanti? 

   Sorrisi con forza per far smettere ai miei pensieri di vagare liberamente godendomi quel momento di calma apparente e soddisfazione professionale alternando lo sguardo verso i miei interlocutori.

  «Se non le spiace inizierei subito con il tour della struttura così che lei possa poi ambientarsi nel suo nuovo ufficio, visionare tutto il materiale che la Signorina Sanders le ha preparato ed essere pronto a conoscere i suoi nuovi studenti nel tardo pomeriggio.» Terminò il rettore indicando con una mano la porta dell’ufficio.

   Con un flebile “certo” ci congedammo da Xander Stevens incamminandoci per i tortuosi corridoi dell’ateneo. Come un robot automatico mi calai nel mio ruolo di guida e mostrai ogni piccolo dettaglio al mio accompagnatore. Mostrai lui le aule adibite ad attività collettive o settoriali, dove avrebbe tenuto le sue lezioni, il luogo dove avrebbe potuto fare pausa, la mensa e tutti gli altri luoghi utili al suo futuro lavoro e alla sua permanenza. Lo presentai a qualche collega che incontrammo nel nostro cammino come l'essenziale professor Keller, docente di Filosofia prossimo alla pensione ma essenziale al funzionamento di tutto l'ateneo e infine lo condussi nella zona degli uffici personali mostrandogli il mio piccolo ufficio da dove raccolsi il materiale che avevo preparato per lui. In ultimo lo condussi in quello che sarebbe stato il suo personale rifugio non molto distante da dove era ubicato il mio.

   «Questo è stato l’ufficio della professoressa Simons e ora sarà suo.»

   Aprii piano la porta scura con la finestrella di vetro patinato e invitai Edward Malcom a entrare nel piccolo spazio della stanza arredata come tutte le altre da una scrivania, una libreria, due sedie e poco più a riempire lo spazio angusto.

  «Se dovesse decidere di restare verrà realizzata la targhetta col suo nome da mettere all’ingresso e qui potrà portare tutti gli oggetti che ritiene utili per svolgere il suo lavoro e che non violino parte del regolamento.»

   Sorrisi avendo ufficialmente finito tutte le parole a mia disposizione.

   Edward si guardò attorno con aria incuriosita e continuò a studiare silenziosamente tutto quello che lo circondava. Si avvicinò alla piccola finestra posta alla parete opposta e guardò il parcheggio riservato dell’ateneo illuminato dai lampioni accesi su cui si affacciava l’ufficio. Attesi pazientemente una sua reazione sentendo crearsi un certo imbarazzo da parte mia e mi strinsi le mani dietro la schiena come ero solita fare per il nervosismo.

  «Questo dovrebbe essere il momento delle domande immagino.» Esordì finalmente voltandosi a guardarmi. «È stata così professionale, dettagliata e preparata che purtroppo non ho alcun dubbio da sottoporle. Sono stato estremamente soddisfatto del suo lavoro accurato e sono certo farò tesoro di tutto il materiale che mi ha fornito.»

   Chinai il viso in segno di gratitudine ma prima che potessi parlare per congedarmi, Edward Malcom parlò di nuovo. «Forse una domanda l’avrei.» Sorrise avvicinandosi di qualche passo. «Mi ha parlato tanto della struttura, dei colleghi e di tutto quello che potrebbe eventualmente essermi utile in questo mio nuovo percorso lavorativo e con la preparazione degli esami ma si è scordata di una cosa importante che dovrei sapere.»

   La mia mente prese a correre nella memoria scavando a lungo su quello che potessi aver tralasciato. Guardando il mio nuovo collega farsi avanti verso di me e sfilarsi la giacca ripercorsi le mie parole.

   «Io, ecco..» Balbettai conscia della posizione ormai troppo ravvicinata dei nostri corpi.

  «Signorina Sanders, posso chiamarla Jennifer? Non mi ha affatto parlato di lei e credo sia la cosa che m’interessi sapere più di tutte le altre soprattutto se dovremo collaborare alle lezioni. Dopotutto è la mia assistente e sono certo che avrò estremamente necessità della sua presenza tanto che passeremo molto tempo insieme.»

   La sua mano si posò sopra il mio avambraccio. 

   Inalai una lunga boccata d’aria e cercai di non farmi incantare dagli occhi verdi di Edward mentre le mie gote si erano già tinte di porpora, posai il mio sguardo nel suo e deglutii. Provai ad essere razionale e mi autoconvinsi che le sue fossero solo parole benevoli e non provocatorie eppure nel suo sguardo brillava quella luce che non aveva fatto altro che farmi tremare le viscere per tutto il tempo.

   «Se non le ho raccontato di me è perché non c’è nulla da dire.» Sussurrai minimizzando incapace di utilizzare più ossigeno per parlare.

  Lui rise piano e si avvicinò ancora per agganciare la sua giacca sull'appendiabiti nell’angolo tra la porta ed il muro poco dietro le mie spalle.

   Non riuscii a trattenermi dal inspirare il suo profumo e chiusi gli occhi: sapeva di mare e di bagnoschiuma costoso. Quando li riaprii il suo viso era a pochi centimetri dal mio e stava sorridendo ancora studiandomi da vicino.

   «Lei dev’essere una donna piena di misteri davvero curiosi da scoprire.» Avvicinò la sua mano al mio viso senza però toccarlo. «Un puro e candido fiore da macchiare di vernice rossa un petalo alla volta.»

   Osservai le sue labbra piene muoversi piano prima di essere bagnate dalla lingua.

   Mi schiarii la voce cercando di riprendere il controllo della situazione che stava lentamente sfuggendomi dai polpastrelli e supplicai la mia mente di lavorare con lucidità invece che lasciarsi offuscare dagli ormoni in subbuglio per colpa dell’esplosione di testosterone nelle vicinanze.

  «Sono certa che avremo modo di parlare di tutto quello che riterrà pertinente alla sua didattica, nel frattempo trovi il tempo di studiare in maniera approfondita il regolamento d’ateneo.» Affermai con l'ultimo coraggio che mi restava in corpo allontanandomi di qualche passo da quella situazione. «Se non ha altro da chiedere penso che sia meglio che io vada via per prepararmi all'incontro con i miei studenti del pomeriggio e lasciare che lei si ambienti qui.»

   Mi dileguai dal suo ufficio ancor prima che potesse aggiungere altro e mi rintanai dentro al mio posando la testa sulla porta chiusa alle mie spalle. Mi maledissi perché non potevo permettermi ulteriori distrazioni in un momento tanto critico della mia vita oppure sarei finita io sotto l'occhio del ciclone e non me lo sarei potuta permettere. Il senso di colpa che appesantiva il mio stomaco era già un carico elevato da sopportare ogni volta che varcavo nuovamente i cancelli principali dell'università, il mio cuore corrotto non avrebbe retto ad altre trasgressioni che avrebbero potuto facilitare la scoperta dei miei segreti. Non potevo assolutamente permettermi passi falsi, forse, avrei dovuto aggiungere ancora più prudenza e attenzione alla mia vita affinché nulla andasse diversamente da quanto progettato.

  Mi avvicinai alla scrivania per mettere ordine nei miei pensieri e concentrarmi esclusivamente sul lavoro che mi stava attendendo da tutta la giornata per la mia ultima "lezione" serale online, riguardai il materiale per l’esposizione e attesi paziente il momento giusto per avviare il seminario e uscire dal mio confortante studio. Il mio cuore ritrovò presto la giusta pulsazione e la mente si svuotò da tutti i futili pensieri che avevano minato il mio personale equilibrio nelle ultime ore per riempirsi unicamente di nozioni utili. Ogni cosa tornò alla normalità mentre ripresi il totale controllo di quello che mi stava succedendo attorno. Mantenni attiva la rete universitaria per una buona oretta ripercorrendo con la mia classe gran parte del lavoro svolto nel corso del semestre ponendo la mia attenzione sull’utilizzo della tecnica di costruzione di una storia funzionale seguendo la teoria dell’escalation dell’eroe. Quando finalmente ebbi finito, raccolsi i miei effetti personali e sgattaiolai via dall’edificio per avviarmi alla fermata dell’autobus che mi avrebbe riportato nei pressi di casa. Inspirando l’umidità autunnale mi strinsi nel mio cappottino e osservai la valigetta pendermi dalla mano prima di soffermarmi su un volantino posato a terra dallo slogan “La tua vita sta per cambiare”. Curiosa mi chinai per afferrarlo e capii si trattasse dell’invito ad una serata musicale in un locale poco distante dal mio appartamento che si sarebbe tenuto qualche settimana più avanti e sbuffai per la consapevolezza che non mi sarei addentrata in un locale del genere.

  Quello di cui non mi stavo assolutamente rendendo conto era che l’universo si stava realmente organizzando per stravolgermi la vita senza che io fossi pronta al trambusto.

 
   
 
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