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Autore: Giuliacardiff    19/10/2021    1 recensioni
Era passata ormai una settimana da quello spiacevole “inconveniente”. Era martedì mattina e stavo andando a scuola. Arrivata ad un isolato di distanza dalla scuola un’auto nera come la pece, con vetri scuri e targa “HTEAD” iniziò a correre all’impazzata.
Non so perché ma iniziai a correre verso la scuola. Come se una forza più grande di me mi dicesse di correre per sopravvivere. L’auto distrusse un cassonetto e si mise a correre. Puntava me.
Arrivai a scuola, nella piazzetta. Era piena di ragazzi. Ci sarebbe stata una strage, ma ormai non potevo fare niente.
scritta nel 2010
Genere: Angst, Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti
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COME SCOPRIRE DI AVERE POTERI SOVRANNATURALI IN PUNTO DI MORTE O QUASI …
 
Erano le 11.00 di mattina di una domenica. Mi stavo dirigendo tranquillamente a svolgere delle commissioni per mia madre quando un ragazzo si avvicinò con sguardo truce. Sembrava un bravo ragazzo, da come era vestito tuttavia la sua espressione era tutt’altro che serena.
Pensai che non ce l’avesse con me e continuai a camminare.
Tra tanta gente, non poteva farmi del male. Lui rimase lì, fermo, immobile. Guarda fisso me e non mi lascia.
Appena ci incrociamo lui sussurrò divertito “presto … morirai!”. Rimasi a bocca aperta mentre il ragazzo si allontanava da me.  Mi sentivo confusa, agitata, impaurito.
Non riuscivo a credere che qualcuno mi avrebbe minacciata. Sentivo dentro di me crescere l’adrenalina. Volevo urlare ma non lo feci. Non potevo urlare come una pazza in mezzo ad una strada così affollata.
Mi feci forza e continuai a camminare: non riuscivo a capacitarmene. Un pensiero mi balenò in testa: e se avessi fatto un torto a qualcuno? Se avessi fatto soffrire quella persona, lui avrebbe tutti i motivi di pensare di uccidermi. Ma cosa potevo aver fatto di tanto grave da farmi odiare? Non mi veniva in mente niente! Cosa potevo aver fatto? Poi pensai che potesse pure trattarsi di uno scherzo.
Qualcuno poteva avermi tirato un brutto tiro e potevo anche cascarci. Tuttavia, chi poteva avere la certezza che fosse una vera minaccia o solo uno scherzo? Non sapevo proprio cosa pensare! Intanto, ero arrivata a destinazione senza neanche accorgersene. Finì tutte le commissioni e tornai a casa. Dovevo avere una faccia orrenda perché appena tornai a casa, la mamma mi interrogò chiedendomi “cosa ti hanno fatto?”. Decisi di mentirle.
Non era molto brava a farlo ma lei si rassegnò e tornò in cucina. Erano le 13.30: ora di pranzo.
Mi misi a tavola ma ero troppo turbata quindi mi rinchiusi in camera mia dicendo che non mi sentivo bene.
Rimasi in camera mia tutto il giorno. Il giorno dopo non riuscivo a calmarmi e quindi non rimanevo un attimo ferma. Continuavo a girare e rigirare la penna fra la mia mano, tanto che divenni velocissima e tutti mi fecero i complimenti.
Ritornai a casa. La settimana procedeva pacata e tranquilla come sempre e io ero stanca. Non riuscivo a dormire, a mangiare e addirittura a parlare. Venerdì ritornando a casa da scuola, per strada, vidi uno specchio rotto e all’improvviso una scheggia si infilò nel mio braccio, un’altra nella gamba e una terza nello stomaco.
Scorsi in lontananza dei capelli biondi e svenni. Quando mi risvegliai ero in ospedale.
  • Cos’è successo? - biascicai.
  • Ha, ti sei svegliata! Ti hanno trovato a terra svenuta e ti hanno portato qui. Non hai niente, probabilmente eri solo stanca. Su, andiamo a casa” - disse mia madre.
Com’era possibile! Ero stata trafitta da tre schegge di vetro. Dovevo essere morta. Perché non c’erano ferite. Eppure, il mio corpo era dolorante. Possibile che mi fossi inventata tutto? No!
Era passata ormai una settimana da quello spiacevole “inconveniente”. Era martedì mattina e stavo andando a scuola. Arrivata ad un isolato di distanza dalla scuola un’auto nera come la pece, con vetri scuri e targa “HTEAD” iniziò a correre all’impazzata. Non so perché ma iniziai a correre verso la scuola. Come se una forza più grande di me mi dicesse di correre per sopravvivere. L’auto distrusse un cassonetto e si mise a correre. Puntava me.
Arrivai a scuola, nella piazzetta. Era piena di ragazzi. Ci sarebbe stata una strage, ma ormai non potevo fare niente.
L’auto mi rincorse e non si preoccupò di quanta gente metteva sotto. Non riuscivo a smettere di piangere, ma correvo. Entrai nel portone ma la macchina non si tirò indietro e sfondò l’entrata. Salii le scale ma l’auto riuscì a salire. Arrivai al primo piano ma l’auto non riuscì a salire e a metà si fermò esplodendo. L’esplosione mi travolse ma non morì.
Ero a terra. Sanguinante e davanti a me un ragazzo, lo stesso che aveva previsto la mia morte ma questa volta sussurrò con un ghigno:” Prima prova superata” e scomparve. Intanto le sirene delle ambulanze si facevano sempre più acute ed io svenni.
  • Dove sono- odiavo svegliarmi in ospedale ma non potevo fare altro.
Mio fratello maggiore mi si avvicinò e mi abbracciò. Incredibile!
Mio fratello non abbraccia mai nessuno. Perché lo sta facendo. In quel preciso istante mi tornarono alla mente le immagini della strage. Lui mi porse un giornale ed io lessi il primo articolo: “strage in una scuola media. Morti 47 studenti, 20 rimasti feriti, 3 docenti in gravi condizioni. Nessun colpevole” e come sottotitolo c’era scritto “auto fantasma compie strage di studenti”.
Era colpa mia. Avevo condotto io l’auto nella scuola. Pensavo solo a me stessa e non a ciò che potevo provocare. Perché pensavo tanto a sopravvivere.
In quel momento mi accorsi che avevo un braccio fratturato e una gamba ingessata, oltre a numerosi tagli su tutto il corpo. Ma la cosa più strana era che sul mio occhio sinistro, ancora bendato, c’era una cicatrice. Era una linea curva che iniziava dalla fronte fino alla guancia. Era molto dettagliata e quasi delicata.
Era di un bel rosso acceso e con il passare del tempo sarebbe diventata di un rosso più cupo. Ero in qualche modo delusa ma non sapevo perché. Dopo un mese, le mie capacità rigenerative avevano fatto sì che la maggior parte delle ferite si rimarginasse. Sarei potuta tornare a scuola.
Avevo ancora la gamba fratturata quindi dovevo usare le stampelle e la benda sull’occhio sinistro.
La cicatrice era meno sanguinante e, purtroppo, troppo visibile. Arrivai in classe. C’erano tutti e mi guardavano con sguardo assassino. Feci per sedermi, ma Roberta mi urlò: “tu non sei benvenuta qui!! Vattene”.
La prof entrò ma guardando la situazione scappò via: “di questa classe … chi è morto?” chiesi.
  • Linda, Francesca, Ylenia, Vincenzo e la prof- mi rispose.
Abbassai la testa.
  • Scusatemi. È stata tutta colpa mia-
La prof rientrò e disse che mi sarei messa in fondo da sola e che non dovevo parlare con nessuno e neanche fare domande. Insomma, doveva essere come se non ci fossi. Rispettai queste condizioni e non aprì bocca. Durante la merenda si avvicinò a me Mauro.
  • Tu sei maledetta e quella cicatrice ne è la prova, se rimarrai con noi, saranno uccise altre persone a te care. Ti consiglio di accettare la tua posizione e di allontanarti. Comunque, non smettere di sognare. Yume!”.
 
  • Driin!!” – la campanella segnò la fine delle lezioni.
Ritornai a casa e mi misi a piangere. Perché? Non mi ero pentita né provavo rimorso. Allora perché? Perché ero scoppiata in lacrime?
Il giorno dopo divenni il fantasma della scuola. non era solo la mia classe a trattarmi come una canaglia. Tutta la scuola aveva capito cosa fosse successo e per individuare la causa bastava stare lontana da “colei che aveva i segni della morte in viso”.
Solo allora capì le parole di Mauro. Ero maledetta e la cicatrice ne era una prova. Tutti i giorni camminavo per la scuola e nessuno mi notava né mi sgridava per le mie assenze.
Ovviamente i miei genitori non sapevano nulla e anche loro, senza volerlo, mi trattavano come una maledetta. Con il passare dei giorni mi abituai a quella sensazione.
Non mi importava. Infondo non ero mai stata capita da nessuno e nessuno mi aveva mai trattato con gentilezza. Mi rifugiavo sempre sul tetto e, con il pc dell’aula di inglese, ovviamente rubato davanti agli occhi della prof che non aveva fatto una piega, mi divertivo guardando film o giocando a videogames.
Dopo un altro mese guarì completamente e un pomeriggio uno strano messaggio sul computer mi fece rizzare i capelli. Veniva da Linda, la ragazza che era morta per mano mia, in cui diceva “vieni a mezzanotte a scuola. Non dire niente. Vieni così faremo i conti”.
A mezzanotte uscii di casa ed andai a scuola. sentivo dentro di me una voce che diceva di non andare e un’altra che mi invogliava a farlo. Il portone secondario era aperto e io mi intrufolai; attraversai il primo piano e scesi al piano terra.
In una penombra c’era Roberta che appena mi vide camminò lentamente verso di me. Arrivammo a tre metri di distanza l’una dall’altra.
“tu l’hai uccisa. L’unica persona che amavo veramente, tu l’hai uccisa” disse lei.
  • Allora era come pensavo! - pensai
  • Le avrei dichiarato il mio amore quella mattina e invece tu … l’hai uccisa- continuò.
  • Non darti tante pene. Linda era innamorata di Marco. Non avrebbe mai accettato il tuo amore. Povera ingenua, non sai neanche riconoscere i sentimenti di chi ti sta accanto. Mi fai pena. Non rimpiango di averla uccisa, anzi non rimpiango di aver ucciso metà scuola. non mi interessano gli umani. Per me potrebbero morire tutti- dissi io con gli occhi fissi su di lei e un ghigno malefico.
Perché avevo detto quelle cattiverie? Di solito questo mio lato non emerge in pubblico e quando lo fa è solo quando qualcuno non ricorderà questa parte di me.
Roberta estrasse un pugnale e mi trafisse.
  • Bella mira! Non avrei saputo fare di meglio” sussurrai al suo orecchio sporcandole di sangue i capelli.
Lei si vide le mani insanguinate e fece cadere il pugnale a terra scappando via. Mi accasciai. Era l’una di notte. Il colpo mi aveva trapassato da parte a parte e mi aveva colpito cuore e polmone. Faticavo a non perdere i sensi. Poi quel ragazzo comparve.
  • Ancora tu!” - dissi con fil di voce.
  • Hai superato anche la seconda prova e come premio ti svelerò un segreto: tu sei immortale. Ricordati di pulire tutto o qualcuno si accorgerà di quello che è successo. Ci rincontreremo presto. Preparati!” – concluse lui e se ne andò.
Io svenni e persi i sensi.
Quando rinvenni erano le 4 del mattino. La ferita si era rimarginata e al suo posto c’era una cicatrice che presto sarebbe scomparsa. A terra c’era un lago di sangue. Presi uno strofinaccio e pulii tutto poi bruciai gli attrezzi e i miei vestiti e li rimpiazzai con altri che trovai a scuola. il pugnale. Mancava solo quello.
Lo distrussi e lo lanciai a terra dal tetto. Erano le 6 e andai a casa. Arrivai a casa appena in tempo, tutti si svegliarono e non si accorsero di nulla. Dopo un’ora tornai a scuola. Roberta era assente. Mi sarei goduta quella giornata di pace.
La prof fece l’appello e io corsi subito sul tetto, non mi andava di ascoltare una sola parola. Nessuno mi disse niente come al solito. Arrivata sul tetto, un raggio di luce mi illuminò, non era una bella sensazione. Era come se anche il sole mi stesse trafiggendo. Mi tolsi dalla luce a andai all’ombra. La cicatrice pulsava e la benda sull’occhio ferito prese fuoco. Lentamente la aprì e mentre apriva l’occhio una strana sensazione la pervase.
Appena lo aprì iniziò a vedere la vita. Mentre l’occhio destro era umano, quello sinistro era demoniaco. Ricordò il ragazzo che alla seconda prova gli aveva fatto un regalo. Probabilmente al primo gli aveva regalato quell’occhio. Di sicuro quel ragazzo non era umano e Giulia lo sapeva.
Quello era un dono. Era come se vedesse il mondo rosso e appena guardava una creatura vivente, vedeva l’energia vitale che scorreva. Decise che non avrebbe fatto vedere a nessuno quell’occhio e lo coprì.
La giornata passò in fretta come le tre settimane seguenti. Sabato.
  • Giulia vedi che oggi per tutta la giornata saremo fuori, bada tu alla casa, domani pomeriggio ritorneremo. Stai attenta – disse la mamma.
  • Si lo farò – risposi.
Poi l’intera famiglia uscì e lei rimase sola.
  • Oggi non ho scuola quindi rimarrò a casa – disse.
Per l’intera mattinata ripensai alle vicende accadute durante gli ultimi mesi e soprattutto riguardo il suo occhio. Ora era di un rosso scarlatto e riusciva a cogliere non solo la vita ma anche la morte.
Alle 9.30 del mattino decisi di fare una passeggiata. Scesi per strada e cominciai a camminare. Come per magia quel ragazzo comparve davanti a me, mi prese per un braccio e mi portò via. Io non pronunciai una sola parola. Mi portò in un edificio abbandonato e lì iniziò a parlarmi.
  • Tu chi sei? – chiesi.
  • - sono Sasaki Hiromina e sono un messaggero. Sono qui per farti tornare la memoria – disse.
  • Perché? - chiesi. Lui si avvicinò e si tagliò poi con il suo sangue disegnò un simbolo sulla mia fronte. Poi pronunciò “VITAE-REALIZZARE” e la mia memoria ritornò.
 
  • All’alba dei tempi, quando vi era il nulla, un essere di bianco composto creò l’universo e il sistema solare; divise ciò in vari universi e governò tutto con gentilezza e pugno d’acciaio. Dopo millenni decise di creare qualcosa simile ad essa: l’uomo. Però l’uomo si ribellò e la uccise. Ciò che non sapeva era che però lei non poteva essere uccisa e allora decise di morire volontariamente ma prima diede alla luce una figlia uguale ad essa.
Però ibernò questa bambina e finché non fosse giunto il momento lei non si sarebbe svegliata dopodiché morì e solo nel 2000 arrivò il momento e questa bambina si svegliasse. Però quando nacque in un piccolo villaggio giapponese, quella notte viene detta “notte del bianco fuoco” perché nell’istante in cui nacque delle fiamme bianche sterminarono l’intero paese uccidendo tutti.
 
  • Quando nacqui e le fiamme bianche uccisero tutti, io mi salvai con una tecnica di sopravvivenza e sigillai i tuoi poteri. Poi ti affidai ad una famiglia e scomparì- disse Sasaki. Non ci credevo. Non ero umana e avevo poteri che … non capivo per niente.
 
  • Sono un mostro! Dovresti starmi lontano o ucciderò anche te. Non ti conosco e non voglio conoscerti quindi sarebbe meglio se – non finì la frase e Sasaki la strinse in un forte e caloroso abbraccio.
 
 
  • Non sei un mostro. Sei un essere speciale e sono sicuro che la tua nascita non sia avvenuta per caso. Io ti ho fatto vedere ciò che sapevo perché quando nacqui e io sopravvissi, tu imprimesti queste immagini nel mio cuore e io ora te le ho restituite. Ti ho messo alla prova e ora so che non farai niente di avventato. – iniziò. Io sospirai. Era come se mi comprendesse.
 
  •  Non dire che non vuoi conoscermi perché senza di te io sarei perduto. Non voglio lasciarti. Non ti allontanare da me – concluse.
Io non dissi niente e ricambiai il suo abbraccio. Finalmente avevo trovato qualcuno che conoscesse la vera me stessa e che mi amasse. Mi sentivo … felice?!
Ci staccammo da quel caloroso abbraccio. Mi assalirono numerose domande e iniziai:
  • Perché quella volta mi hai fatto quel ghigno? -
  • Perché ti volevo avvisare delle prove – rispose pacato.
  • Perché hai ucciso così tante persone? - chiesi.
  • Era necessario per metterti alla prova –
  • Esiste altro che non conosco di me stessa-
  • Non ne ho idea. Quello che conoscevo te l’ho fatto vedere-
  • Ho capito-
Abbassai lo sguardo. Scoprì l’occhio e guardai Sasaki. Era strano: di solito la vita che vedevo nelle piante era blu, quella negli animali verde e quella degli esseri umani era gialla, la morte rossa.
Invece quel ragazzo aveva una vita arancione.
  • Non sei umano! Che cosa sei? – chiesi.
Lui decise di non mentire, dato che aveva visto l’occhio e la cicatrice.
  • Sono per metà lupo e per metà demone. La vita dei demoni è rossa come la morte, quella dei lupi bianca –
Feci un’ultima domanda.
  • Chi sono le persone che mi conoscono? –
Fece una smorfia e con fare seccato mi rispose.
  • Tutti i non umani ti conoscono, i ninja, gli animali, le piante e tutti gli esseri viventi e no, tranne … gli uomini. Sono stato mandato da te per aiutarti. Vieni con me e ti farò conoscere qualcuno che ti spiegherà cosa devi fare! – rispose.
Mi prese per un braccio e mi teletrasportò in quel mondo … il mondo che gli umani non conoscevano. Quello parallelo alla terra e l’unico negli universi ad essere un centro di rilassamento per tutti … un po' come le terme.
E lì visse la sua eterna esistenza.

 
  
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