Anime & Manga > Tokyo Revengers
Ricorda la storia  |       
Autore: Stella Dark Star    21/10/2021    1 recensioni
+MULTISHIP che troverete man mano che leggete! ;)
Cambiare il passato può avere ripercussioni inaspettate sul futuro, questo Takemichi lo sa bene. Ma nemmeno lui poteva immaginare di ritrovarsi in una linea temporale in cui Chifuyu è un ragazzo intersessuale... Quel dannato 31 ottobre 2005, Baji era morto fra le braccia di Chifuyu, senza sapere che lui portava in grembo suo figlio.
Ottobre 2021. Unmei è un adolescente ribelle, Comandante di una gang, ha un pessimo carattere, è segretamente innamorato di Kazutora pur avendo una relazione di letto col migliore amico Blitz (figlio di Smiley) e ha il cuore a pezzi nel vedere sua madre Chifuyu soffrire ogni anno. Quando scopre per caso che Takemichi può viaggiare nel tempo, gli ordina di andare a salvare suo padre Baji per creare un nuovo futuro ma...con la stretta di mano si ritrova anche lui nel passato! Interagire con i suoi giovanissimi genitori, col suo amore Kazutora, con zio Taka, con Draken e perfino con un Mikey indemoniato sarà un'esperienza decisamente fuori dalle righe, dove non mancheranno drammi, delusioni ma anche momenti bizzarri e felici (e triangoli amorosi di varia natura)!
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chifuyu Matsuno, Kazutora Hanemiya, Keisuke Baji, Nuovo personaggio, Takemichi Hanagaki
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nota dell'autrice: in questo capitolo ci sono alcune scene collegate alla mia precedente FF "Akkun x Takuya -La grazia del ragazzo".
Vi invito a leggerla per capire meglio alcune situazioni, o anche solo se volete soddisfare la vostra curiosità su quella ship! ;)
Link: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3988605&i=1

Baji x Chifuyu
-Another Bloody Halloween-
 
Prima Fase:
[For Father and Mother]
 
Ottobre 2021.
Nella tranquillità della sera, fra le deserte strade di quartiere, la moto sfrecciava abile e indisturbata emettendo il suo rombo regolare come il suono prodotto da un diapason. Un gioiellino dalla carrozzeria ancora vergine, ossia priva di adesivi, disegni o incisioni, solamente il nero pulito e brillante come una pietra onice. Il suo proprietario ne andava molto fiero e l’aveva sempre definita ‘la sua ragazza’, non avendo effettivamente una ragazza in carne ed ossa a rivendicare tale titolo. Non che lui fosse interessato ad averne una, sia inteso. Matsuno Unmei, a quindici anni compiuti, aveva già fatto battere il cuore a decine di persone di entrambi i sessi, ma più che all’amore sembrava interessato per l’appunto alla sua moto e alla sua fama. Il vento agitava i suoi lunghi capelli neri come la notte, leggermente ondulati e con la riga di lato che dava volume alla chioma sul lato sinistro del capo, senz’altro un motivo di vanto per lui, ma nulla a confronto degli occhi sottili e lunghi, dalle iridi azzurro cangiante che sembravano appartenere ad un feroce predatore pronto ad attaccare la preda. Al lobo destro pendeva un orecchino dalla montatura in argento e una piccola pietra onice che faceva pendant con la carrozzeria della moto. Durante la corsa ad alta velocità, la lunga giacca che volava all’indietro fungeva quasi da mantello di colore grigio, il quale presentava sulla schiena un logo le cui linee nere disegnavano i contorni di una spada medioevale che infrangeva una lastra di ghiaccio. Sulla parte inferiore di questa, ad incorniciarla a semicerchio, era scritto a caratteri eleganti il nome “Excalibur Gang”.
Arrivato ad un certo punto, Unmei portò rapidamente la mano ad una tasca e premette il tasto del piccolo telecomando a distanza, così che al suo arrivo trovò il cancello già aperto e la basculante anch’essa aperta. Smontò, il tacchetto degli stivaletti da motociclista batté contro il pavimento. Un altro click del telecomando e cancello e basculante cominciarono a richiudersi. Nel mentre, incurante di ritrovarsi nel buio del garage, Unmei si tolse la giacca e ne rigirò le maniche e i risvolti verso il lato privo di logo e solo allora si diresse verso la porta.
Kaa-san, sono tornato!” Gridò, togliendosi gli stivaletti.
“Alla buonora.”
Il tono di voce già non lasciava presagire nulla di buono.
Unmei sbuffò. “Sono in tempo per la cena, no?” Mentre parlava camminò verso la cucina che faceva anche da sala da pranzo.
Ai fornelli, Chifuyu, con addosso una comoda tuta grigio fumo e un grembiule nero, stava mescolando quello che doveva essere il curry per la cena, mentre un’altra pentola fumante conteneva il riso già cotto. Nel voltarsi, la frangia dei capelli neri che teneva sempre tagliati allo stesso modo da quando era ragazzo, si agitò per il movimento repentino. Come prima la voce, anche il suo sguardo non fu rassicurante.
“Sei stato in giro coi tuoi amici fino adesso?”
“Sì. Ma non ho fatto tardi, quindi perché sei arrabbiato?”
“Capisco che studiare non rientri nei tuoi interessi, nonostante tu sia all’ultimo anno di scuola media, ma invece di perdere tempo potresti degnarti di venire al negozio ad aiutare visto che un giorno ne diventerai il proprietario.”
Di nuovo. Ultimamente sembrava un disco rotto, non faceva che ripetere la stessa cosa. E lui come sempre non fu in grado di tacere.
“Ecco, l’hai detto. Se hai già deciso che per il resto della mia vita dovrò stare rinchiuso là dentro con quelle bestiacce, non credi che abbia il diritto di divertirmi fin che posso?”
Chifuyu si fece ancora più serio, nonostante avesse abbandonato la vita da teppista da molti anni, in certi momenti aveva ancora un’aura minacciosa tutta intorno. “Quelle ‘bestiacce’, come le chiami tu, sono ciò che ci permette di guadagnare i soldi per mangiare e avere un tetto sulla testa, nel caso lo avessi dimenticato.”
Unmei fece una smorfia strafottente. “Tsk. Un tetto eh? Se non ci fossi io, sono sicuro che a te non dispiacerebbe vivere là al XJ Land!”
Chifuyu batté il pugno contro l’anta della credenza. “Quel negozio era il sogno di tuo padre, non ti permetto di parlare così!” Lo sguardo gli tremava, come anche il pugno che ora teneva rigido al fianco. Se al posto di suo figlio ci fosse stato qualcun altro, probabilmente gli sarebbe già saltato addosso per dargliele di santa ragione.
Unmei si morse la lingua, accidenti, aveva esagerato senza volerlo. Abbassò lo sguardo. “Vado a fare il bagno… Scusami, kaa-san…”
Odiava se stesso quando si comportava così, ma per quanto si sforzasse non riusciva a trattenere la lingua e finiva inevitabilmente col ferire sua madre. Già, l’uomo che gli aveva dato la vita a soli quattordici anni e che aveva dovuto nascondersi per non creare scandalo. Essere intersessuale, ossia in possesso di genitali sia maschili che femminili, era un peso che aveva dovuto portare fin dalla nascita, ma partorire un figlio quando ancora era un ragazzino….be’, quello era anche peggio per la morale comune! Unmei lo sapeva, era cresciuto in quella realtà e aveva imparato a conviverci. Dalle elementari era stato costretto a spiegare ai suoi compagni come mai sua madre era un maschio. A lungo andare era quasi diventata una cantilena senza sentimento e il fatto che fra meno di un anno avrebbe dovuto ripeterla alla scuola superiore, non era nemmeno più da considerarsi un problema.
Salì le scale e svoltò per imboccare il corridoio che conduceva sia alle camere da letto, sia alla stanza da bagno, mentre al lato opposto vi erano solo i servizi e uno sgabuzzino. Era ancora perso in pensieri quando una voce lo riportò al presente.
“Hai appena messo piede in casa e avete già litigato? Wow che record!”
Unmei allungò lo sguardo. Dalla porta aperta della stanza da bagno, avvolto dal vapore biancastro, Kazutora lo stava guardando con un sorrisino provocante sulle labbra. Indossava una comoda tuta color arancio e aveva un asciugamano attorno al collo che gli ricadeva sul petto, mentre i lunghi capelli dalle strisce nere e gialle gli ricadevano sulle spalle come un regale mantello.
A piedi scalzi, Kazutora attraversò la moquette del corridoio per raggiungerlo. Lo sguardo gli ricadde sulla giacca che lui portava sottobraccio. “Se Chifuyu sapesse che sei a capo di una gang gli prenderebbe un colpo.”
“Allora vedi di tenere la bocca chiusa.” E fece un’aggiunta un po’ tardiva. “Per il suo bene.”
Kazutora ridacchiò, i grandi occhi dalle iridi dorate si socchiusero. “Hai sempre avuto un carattere pungente, ma so che nel profondo hai un animo da bravo bambino!” Sollevò la mano con l’intenzione di fargli una carezza sulla testa, ma Unmei lo bloccò afferrandolo per il polso. Il sorriso di Kazutora si spense quando si accorse dello sguardo di ghiaccio di lui.
“Non sono più un bambino, Kazutora. Vedi di mettertelo in testa.”
“Disse il mocciosetto.” Lo provocò intenzionalmente lui. Di conseguenza, Unmei lo spinse fino alla parete, il polso arpionato contro di essa e il corpo serrato contro il suo, gli sguardi alla stessa altezza.
Unmei era perfettamente in grado di tenergli testa  e non era intenzionato a vacillare nonostante lo stretto contatto, il profumo del bagnoschiuma alla frutta esotica che proveniva dalla sua pelle e il calore dell’acqua che percepiva attraverso la stoffa. Tutti dettagli che lo stavano mettendo a dura prova. Inoltre sapeva che Kazutora non indossava mai la biancheria intima di notte, per una questione di libertà o qualsiasi altra cavolata avesse tentato di spiegargli quella volta che lo aveva scoperto per caso…e che da allora era stata una grande fonte di fantasie erotiche di cui non si sarebbe mai più liberato.
“Non hai idea di cosa sono capace, Kazutora.” Bisbigliò contro le sue labbra.
Gli occhi di Kazutora lo guardarono quasi con tristezza. “Anche se hai gli occhi di Chifuyu, per tutto il resto sei identico a tuo padre Baji…”
Una frase che si era sentito dire troppe volte, soprattutto negli ultimi anni. E che ormai gli pesava sul cuore come un macigno. Lasciò la presa e gli diede di spalle per andare a chiudersi in camera.
Richiuse la porta senza sbatterla, ma si concesse il capriccio di gettare la giacca contro l’armadio. Si lasciò scivolare a terra, la schiena contro la porta, sospirando. “Cazzo.” Imprecò fra i denti. Quella sera non ne faceva una giusta.
*
 
La cena tutto sommato era stata tranquilla, più che altro perché Chifuyu cercava di non andare in escandescenze in presenza di Kazutora. Il che era piuttosto insensato. Dopo che Kazutora si era fatto dieci anni in prigione, lui l’aveva preso con sé e gli aveva proposto di lavorare insieme al negozio di animali che nel frattempo aveva aperto. Unmei sapeva cosa aveva passato, conosceva il motivo per cui era stato dietro le sbarre e sapeva anche che per molti anni si era fatto seguire da uno psicologo per guarire dai disturbi che si era portato dietro fin dalla tenera età… Quando sua madre gli aveva detto che voleva accoglierlo in casa lui si era mostrato diffidente, in fondo era un bambino di dieci anni allora, ma poi una volta che se lo era ritrovato di fronte era rimasto abbagliato dalla sua bellezza, dal tatuaggio di tigre sul collo, dal piccolo neo sotto l’occhio e da quei buffi ma sensuali capelli bicolore. Quello stesso giorno aveva capito di essere gay, giusto per mettere la ciliegina sulla torta. Non che avesse speranze con lui, questo lo sapeva, non solo per via della grande differenza di età, anche le sue inclinazioni sessuali erano un enorme ostacolo, purtroppo. Non aveva capito perché sua madre gli avesse vietato di entrare nella stanza di Kazutora fino a quando la curiosità non aveva avuto il sopravvento, spingendolo a sbirciare in un momento in cui era solo in casa…e allora aveva scoperto che quella stanza sembrava il set di un film porno da quanto era pieno di poster di donne nude e giocattoli sessuali. Non aveva una ragazza, a sua detta, e di fatto non aveva mai portato donne a casa, però era quasi scontato che andasse a divertirsi da qualche parte. E il pensiero gli dava un gran fastidio. Comunque, tornando al discorso di origine, nonostante quell’uomo fosse diventato parte della famiglia, Chifuyu continuava a mantenere un certo riserbo nelle questioni che riguardavano madre e figlio. In conclusione, il suo malumore finì col trovare sfogo nella preparazione della cena e a pagarne le conseguenze fu lo stomaco di Unmei.
Sotto alle coperte di un nero funereo che lui stesso si era scelto, stava scambiando messaggi nella chat privata che aveva creato per i membri della sua gang, una dozzina di ragazzi in tutto. Faceva i salti mortali per tenere nascosta la sua doppia vita a sua madre, proprio per evitare di andare ad intaccare maggiormente il trauma che lo aveva segnato in gioventù. Era complicato. Lo schermo illuminato di azzurro gli stava stancando gli occhi, perciò inviò un ultimo messaggio per chiudere il discorso e posò lo smartphone sul comodino. L’idea era quella di mettersi a dormire, visto che era quasi mezzanotte, però ci pensò una fitta allo stomaco a rovinargli i piani.
“Gh… Dannazione. Quando è incazzato aggiunge sempre troppi ingredienti piccanti. Fanculo.” Scostò le coperte a malo modo e scese dal letto senza averne voglia. Trottò per le scale e raggiunse velocemente la cucina per chiedere aiuto a quello che era diventato il suo migliore amico: il digestivo. Non attese che la polvere si fosse sciolta, si portò il bicchiere alle labbra e bevve l’acqua tutta d’un fiato. “Fuaaaaah!” Il tempo di posare il bicchiere e l’arrivo di un sonoro rutto lo fece sentire subito meglio.
Stava per tornare in camera sua, aggrappato al corrimano e col piede sul primo gradino, quando un lamento proveniente dal salotto lo fermò.
“Oh no, di nuovo…”
Corse nel buio e si gettò in ginocchio accanto al divano dove Chifuyu, ancora addormentato, si agitava nel sonno. Sul chabudai vi erano quattro lattine di birra vuote.
Preoccupato per sua madre, Unmei gli prese una mano con gesto premuroso e parlò a bassa voce mentre con l’altra cercava di destarlo battendogli piano la spalla. “Kaa-sanKaa-san, svegliati…
Chifuyu riaprì gli occhi a fatica, la pelle umida di sudore e il respiro affannato.
“Va tutto bene… Hai solo avuto un incubo…” Continuò a bisbigliare Unmei.
“Un…incubo…” Le parole strascicate a causa della lingua gonfia per il troppo alcol. Chifuyu mosse il capo guardandosi attorno come spaesato, fino a quando lo sguardo non si posò sul volto di lui. La pochissima luce artificiale che filtrava attraverso le tende bianche contribuì ad aumentare la sua confusione mentale. Con mano leggermente tremante andò a sfiorare i capelli ondulati di Unmei, le dita giocose fra le nere ciocche a lui così care. Una lacrima gli attraversò il viso. “Baji-san…”
Unmei gli prese la mano per scostarla dai capelli e la strinse nella propria. “Scusa… Sono solo io, kaa-san…”
Chifuyu strabuzzò gli occhi, rendendosi conto dell’errore gli venne voglia di piangere ancor di più. “Unmei…” Si passò una mano sul viso, soffermandosi sulle palpebre chiuse per fermare le lacrime. Tirò su col naso. “Scusami. Stavo sognando tuo padre.”
“Lo so… Vieni, ti accompagno a letto.” Si rimise in piedi e aiutò sua madre ad alzarsi dal divano. Tenendolo stretto attorno al girovita e col suo braccio attorno al collo, riuscì a risalire le scale barcollando ma senza mai cadere e un po’ alla volta raggiunsero insieme la stanza di Chifuyu. Una volta messo a letto e assicuratosi che stesse bene, Unmei fece per andarsene, ma lui accese la lampada sul comodino e lo trattenne. “Unmei, aspetta.”
Si voltò lentamente. “Hai bisogno di qualcosa?”
“Vieni qui, per favore.” Gli fece segno con la mano. A lui non restò che obbedire e andare a sedersi accanto a lui sul bordo del letto.
Chifuyu gli avvolse le spalle con un braccio, per avvicinarlo a sé, e posò la fronte contro la sua nuca. “Mi dispiace… Lo sai che in questo periodo dell’anno tendo a perdere la testa…”
Unmei non rispose.
“E’ che…ottobre è il mese in cui ho perso l’amore della mia vita… Non potrò mai superarlo.”
“Mh.” Un mugolio spento fu tutto ciò che gli uscì.
Lo definiva sempre l’amore della sua vita, raccontava aneddoti di come si erano conosciuti, di come erano diventati amici, di quando combattevano fianco a fianco come Capitano e Vicecapitano della 1a divisione della mitica Tokyo Manji Gang. E di come tutto era finito nel giorno che era stato ribattezzato come ‘Bloody Halloween’.
“Se solo… Se solo avessi scoperto in tempo di essere in attesa di te e glielo avessi detto…ora Baji-san sarebbe ancora vivo.” La voce gli tremava, dovette stringere le labbra per non scoppiare a piangere.
Baji…quella figura che per Unmei era quasi mistica. Un ragazzo di cui sapeva praticamente tutto, perché gli era stato raccontato dalla madre, dai suoi amici, dalle due nonne e il cui spirito riviveva all’interno di quella stanza che era tappezzata di sue foto. Si era fatto un’idea abbastanza chiara di che tipo era suo padre. Cazzuto, testardo e arrogante…ma dotato di un cuore enorme. Una persona che bruciava auto nel cuore della notte per puro divertimento e che poi lasciava la finestra aperta della propria camera per far entrare un gattino a cui si era affezionato. Gli erano state raccontate le storie più pazzesche su di lui. Un cazzone e un eroe. Ecco chi era stato Baji Keisuke. Per quanto lo ammirasse, per quanto avesse desiderato conoscerlo, c’era una cosa che proprio non riusciva a perdonargli. Di essersi ucciso. La sua morte aveva fatto sì che Kazutora potesse imparare dai propri errori e diventare una persona migliore, ma allo stesso tempo aveva condannato Chifuyu ad una vita di rimpianti e con un figlio da crescere da solo.
Chifuyu risollevò il capo e sciolse suo figlio dall’abbraccio, lo guidò con la mano affinché si voltasse per poterlo guardare negli occhi. “Lo so che ultimamente non andiamo d’accordo e ti giuro che mi dispiace… Stai crescendo, hai bisogno dei tuoi spazi e dei tuoi amici… Questo lo capisco.  Ma ricorda sempre… Sei TU la cosa più importante della mia vita.”
Adesso era Unmei quello sul punto di piangere. Si mordicchiò un labbro e distolse lo sguardo. “Sì… Buonanotte, kaa-san…” Senza aggiungere altro lasciò il letto e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. “Quanto vorrei che fosse vero…” La voce stanca e un tono amaro. Entrò nella sua stanza, quella subito di fianco a destra, e chiuse anche la propria porta.
Dallo spiraglio della porta della terza camera da letto, a sinistra di quella di Chifuyu, un triste luccichio negli occhi di Kazutora infranse il buio.
*
 
Per la maggiore, i ragazzi che avevano abbracciato la vita da teppisti erano soliti indossare ampi pantaloni caratteristici e andare a scuola in tarda mattinata, giusto per fare presenza. Poi c’erano quelli che nonostante lo svago di menare le mani, erano anche buoni studenti che non trascuravano lo studio. E poi c’era Unmei, costretto per forza di cose ad alzarsi presto al mattino, indossare la normale divisa scolastica, fare colazione in famiglia e salutare per poi recarsi a scuola a piedi e in orario. Ma come detto in precedenza, da un annetto studiare non era nelle sue corde e, a dirla tutta, andare a scuola in orario non significava necessariamente seguire le lezioni fino alla fine. Eh eh! Come Comandante, era più propenso a radunare i membri della propria gang al quartier generale che avevano scelto, un vecchio parcheggio in disuso imbucato da qualche parte a Shibuya, e lì passare il tempo a parlare e scherzare tra loro oppure ad organizzare eventuali scontri con altre piccole gang del quartiere. Niente di speciale, la loro intenzione non era quella di espandersi, tutto ciò che volevano era vivere l’adolescenza sentendosi liberi e fighi. Un concetto semplice. Però non tutti i giorni s’incontravano, ovviamente, ognuno di loro aveva altri interessi oltre alle moto e alle risse e, visto che Unmei ultimamente odiava tornare a casa presto e dover affrontare sua madre che di giorno in giorno aveva le palle sempre più girate, aveva trovato un comodo rifugio a casa del suo Vicecomandante dove riempire bene il tempo! C’era un momento per i videogiochi, un momento per la musica a palla, un momento per i manga e…molti più momenti per del soddisfacente sesso.
Blitz, soprannome che si era dato da solo e che era diventato ufficiale sia fra gli amici che fra le altre gang, era un tipetto fuori dalle righe con cui era facile divertirsi. In tutti i sensi. In quel momento sia lui che Unmei se la stavano spassando sul letto, mentre fuori la pioggia continuava a scrosciare da un paio di ore e il cielo grigio scuro sembrava voler cadere sulla città da un momento all’altro. Ad Unmei non fregava niente del cielo o della pioggia, il suo sguardo era indubbiamente perso in ben altri dettagli. Ad esempio i fianchi che stava stringendo fra le mani, o le piccole e tonde natiche in cui entrava e usciva a ritmo sempre più incalzante. Blitz era bassino, però il suo corpo sottile era ben fatto e gli arti lunghi davano l’impressione che fosse ben più alto. Possedeva una chioma riccia color pesca, in genere ben curata e mai troppo folta, e da quando era entrato nella gang gli piaceva indossare un paio di semplici orecchini in metallo di forma sferica. Una cosa che lo caratterizzava era il volto sorridente, come anche gli occhi azzurri limpidi e buoni come quelli di un bambino. Per la cronaca, Blitz aveva quasi due anni in meno di Unmei ed erano amici fin da piccoli.
“Ah… Ah! Unmei…mi piace quando spingi in quel punto… Aaah! Sbattimi più forte!” Strinse il lenzuolo nei pugni e sollevò un po’ di più il bacino per favorire la penetrazione. Anche se era il passivo ed era messo a pecorina, era lui quello che aveva il comando del rapporto! Cosa che ad Unmei non faceva particolarmente piacere…
Aggrottò le sopracciglia e lo rimproverò. “Devi dire porcate ogni volta che lo facciamo? Cazzo, datti un contegno.” E affondò ulteriormente in lui, in una sorta di punizione o manifestazione di potere che comunque su di lui non aveva l’effetto sperato.
“Ah! Sì… Mmh! Sto per venire!” Disse beatamente, col sorriso disegnato sulle labbra e gli occhi lucidi puntati verso il soffitto. Peccato che proprio in quel momento la suoneria del telefono di Unmei spezzò l’atmosfera e i gemiti di Blitz vennero coperti dalle note pesanti di un pezzo hardrock vecchio di almeno vent’anni. Si portò le mani ai capelli e si mise a frignare: “Perché proprio adeeeessoooooo!!!”
Unmei scivolò fuori da lui e si allungò verso il comodino per recuperare lo smartphone. Vedendo chi lo stava chiamando, la sua erezione scemò alla velocità della luce. Sbuffò e poi rispose alla chiamata con ben poco entusiasmo. “Pronto…”
Pronto un cavolo, idiota! Non sei a lezione, vero? No, altrimenti non mi avresti risposto! Perché stai saltando le lezioni del pomeriggio?
Unmei, che aveva allontanato il telefono dall’orecchio, diede una sbirciata per controllare di non aver avviato l’altoparlante per sbaglio. No. Era proprio il tono di voce incazzato di sua madre.
“Felice di sentirti, kaa-chan!”
Con me quel nomignolo non attacca! Porca miseria, è così difficile per te mettere un minimo di impegno in ciò che fai?
Allora Blitz bisbigliò divertito: “Veramente si stava impegnando parecchio fino ad un attimo fa!”
“Taci, scemo.” Lo zittì Unmei.
Chi era? Dove ti trovi?
Di nuovo lui sbuffò, ma questa volta facendosi sentire. “Kaa-san, sono a casa di Blitz. Stavamo studiando matematica insieme. Lo sai che lui è molto più bravo di me, anche se è al secondo anno. Visto che a breve avrò un test si è offerto di aiutarmi.”
Blitz scoppiò a ridere, ma almeno ebbe il buongusto di affondare il viso nel materasso, prima che l’amico gli ci ficcasse la testa a forza.
Oh… Scusa… Credevo fossi chissà dove a perdere tempo…
Silenzio.
Allora… Ti lascio studiare. Io devo tornare alla cassa, ho una cliente in attesa. Ci vediamo questa sera a casa.
“Mh, ciao.” E riattaccò. Gettò il telefono con noncuranza a terra, sulla moquette vaporosa, e si lasciò ricadere sul materasso come se improvvisamente fosse sfinito.
Blitz si stese su di lui con quella sfacciataggine da puttanella che nessuno avrebbe potuto eguagliare. “Povero Chifuyu, gli hai detto un sacco di cazzate!”
“Non che avessi scelta, mi pare…” Con la mano si lisciò i capelli all’indietro, mentre l’amico prese ad accarezzargli il viso. Il suo tocco delicato era rilassante. “Non vedo l’ora che questo dannato ottobre finisca. Il 31 andremo alla tomba di mio padre e dopo le cose torneranno alla normalità, spero.”
“Anche mio padre era là quando Baji… Insomma…quando è successo.” Abbozzò Blitz, ora al posto del sorriso sul suo volto c’era tristezza.
“Tsk! Almeno tuo padre non da di matto! Anzi, è un uomo simpatico come non ne ho mai conosciuti e affronta ogni situazione col sorriso sulle labbra! Non per niente tutti lo chiamano Smiley!”
Blitz lasciò un leggero sospiro e si chinò per posare il capo sulla spalla di lui. “Quando la Toman venne sciolta, per volere del Comandante Mikey…mio padre non la prese affatto bene. Non fare più parte di qualcosa che per lui era molto importante, lo indusse a condurre una vita sregolata. Cominciò ad attaccar briga con tutti, ad ubriacarsi ogni volta che gli girava e…a cercare compagnia femminile nella speranza di riuscire a distrarsi. Per un po’ ebbe una storiella con una ragazza più grande di lui, una studentessa universitaria. Mia madre. Quando lei scoprì di aspettare un bambino, tra loro era già finita, così decise di affrontare tutto da sola.”
Unmei intervenne. “Conosco la storia della tua famiglia.”
Blitz non gli prestò attenzione e riprese il racconto. “Io ero già alla scuola materna quando decise di provare a rintracciare mio padre… Lo trovò, gli disse tutto e lui si assunse la responsabilità di ciò che aveva fatto. E da allora siamo una famiglia felice. Mio padre e mio zio hanno aperto il ristorante di ramen e io sono contento di sapere che un giorno passerà a me.”
“Mh! Quindi…adesso devo battere le mani o cosa?”
Blitz risollevò il capo e, faccia a faccia con lui, gli lanciò un’occhiataccia. “Quello che voglio dire è che devi trovare il coraggio di affrontare tua madre e trovare una soluzione insieme. Non potete continuare così. Lui soffre sempre di più e tu diventi sempre più stronzo!”
Unmei rimase a bocca aperta dalla sorpresa! “Se questa fosse una riunione della gang, adesso dovrei prenderti a calci in culo, lo sai sì?”
Blitz sbuffò. “E dai, ci conosciamo da sempre, non usare la carta della gang.”
In ogni caso, non che lui avesse voglia di litigare. Quindi lasciò correre. “Forse hai ragione tu… Questa sera proverò a parlargli.”
“Andrà bene!” Lo rassicurò Blitz, ritrovando il sorriso.
*
 
Le premesse c’erano tutte. Una volta rincasato, Unmei si era mostrato particolarmente premuroso con sua madre, l’aveva aiutato a preparare la cena, aveva apparecchiato la tavola, aveva conversato del più e del meno e al termine si era offerto di lavare le stoviglie, suggerendo a Chifuyu di approfittarne per fare un bel bagno caldo e ristoratore. Insomma, tutto ciò che avrebbe fatto un bravo figlio.
“Sono fiero di me!” Si disse, con le mani immerse nell’acqua calda fino ai polsi, in una nuvola di schiuma bianca e soffice che non si trattenne dal soffiare con fare giocoso. E improvvisamente sentì qualcosa tirarlo per la coda di cavallo che si era fatto per non avere i capelli d’intralcio. Neanche il tempo di chiedersi cosa stesse succedendo, che Kazutora gli sussurrò all’orecchio. “A questo bambino piace giocare con la schiuma eh!”
Unmei arrossì fino alla radice del capelli. “F-fatti i cazzi tuoi!!!”
Kazutora ridacchiò, ma subito lasciò la presa e tornò a comportarsi normalmente. Era vestito di tutto punto, con una maglia aderente che gli sottolineava il fisico sottile, capelli sciolti e ben pettinati e jeans neri a vita bassissima che stavano su solo grazie ad una cinghia che Unmei avrebbe tanto voluto slacciare con i denti…
“Io vado da Akkun!”
Unmei si volse di scatto, fingendo di volersi concentrare sulle stoviglie, quando in realtà il suo cervello stava continuando ad elaborare una fantasia erotica su quella dannata cinghia. “Da-da Akkun? Non andate a bere al solito locale?”
“Sì! Ma prima vuole farmi un trattamento ai capelli, fuori dall’orario di lavoro!” Con le dita sollevò una ciocca bionda e la esaminò con fare sospettoso. “Dice che non li curo abbastanza…” Fece spallucce e lasciò perdere. “Be’, ora vado! A domani!”
“A domani…” Rimase ad ascoltare i rumori, quali gli scarponcini neri che battevano all’ingresso, la zip della giacca nera in pelle che colpiva per sbaglio il mobile d’entrata e poi la porta che veniva chiusa. Poi il silenzio. “Uff…” Assieme a Kazutora se n’era andato anche il suo entusiasmo e adesso cominciava a sentire il peso di ciò che doveva fare.
Finì di lavare le varie cose e sistemare la cucina e poi si trascinò al piano di sopra. Era pronto a farlo? Per un momento valutò l’opzione di rimandare un po’ con la scusa di fare il bagno, però aveva già fatto la doccia a casa di Blitz e si era cambiato indumenti e intimo una volta tornato a casa. Quindi come scusa non reggeva. Prese respiro e attraversò il corridoio fino ad arrivare davanti alla porta di sua madre. Fece per bussare e si accorse che la porta era rimasta leggermente socchiusa. Udendo delle voci, si mise ad origliare e a sbirciare dalla fessura.
Chifuyu era ancora in accappatoio e aveva messo il telefono in modalità altoparlante, per non doverlo tenere in mano mentre si strofinava i capelli con l’asciugamano. Al telefono era la voce di Takemichi.
Chifuyu… Sei sicuro di stare bene?
Lui ridacchiò. “Che? Ti sto raccontando un buffo aneddoto su quella cliente che mi fa il filo e tu interrompi per farmi una domanda così?”
Chifuyu…
Si lasciò ricadere sul bordo del letto, la sua espressione divertita mutò rapidamente, un velo di tristezza si posò sul suo volto. “…è così evidente?”
Ti conosco… So quanto è difficile per te in questo periodo…
Chifuyu lasciò cadere l’asciugamano a terra con noncuranza, aveva gli occhi lucidi. Sorrise a stento. “Io…credo che impazzirò del tutto, Takemichi… Non ce la faccio più…” La voce stanca e incrinata dal pianto imminente.
Se hai bisogno di qualunque cosa, io…
“No!” Scosse il capo, anche se ovviamente Takemichi non poteva vederlo dall’altro capo del ricevitore, e si passò velocemente una manica sugli occhi. “Hai già fatto tutto ciò che potevi, Takemichi… Tu… Nessuno può aiutarmi… Solo che…” Strinse i denti e deglutì, gli occhi pieni di lacrime. “Ogni anno diventa sempre più difficile. Non so, forse… I primi anni è stato un gran casino, tra la nascita di Unmei, i miei studi e l’apertura del negozio… Ma adesso…” Tirò su col naso e di nuovo si passò la manica sugli occhi. “Adesso col negozio è diventata la solita routine e Unmei è cresciuto… E sento…che non ha più bisogno di me…”
Non dirlo, Chifuyu. Sai che non è vero. Lui ha bisogno di te più di chiunque altro. Ha solo quindici anni.
“Però se… Se ci fosse stato Baji-san, le cose sarebbero state mille volte meglio. Lui…” Le lacrime presero a scorrere copiose dai suoi occhi arrossati. “Lui mi manca da morire.”
Nel vederlo piangere in quel modo, Unmei ebbe una fitta al cuore. In genere di fronte a lui si tratteneva o al massimo versava qualche lacrima, però mai aveva pensato che in privato si lasciasse andare così alla disperazione.
Chifuyu, dammi dieci minuti e vengo da te.
“No, non farlo. Non…sniff, non serve, davvero.”
Non posso fare finta di niente.
Chifuyu deglutì pesantemente un nodo alla gola e riprese fiato, la bocca impastata dal pianto. “Posso farcela… Non preoccuparti. Ho…ho appena fatto il bagno, ora mi vesto e vado a dormire.”
Un profondo sospiro giunse dal telefono. “Se solo quella volta io fossi stato più attento… Avevo il compito di salvare Baji e invece… Pur sapendo cosa sarebbe successo, non sono riuscito ad impedire che lui…
“Basta, Takemichi.” Ora il tono di voce di Chifuyu era tornato fermo e serio, come anche il suo sguardo. “Tu hai provato a cambiare il passato. Se non ci sei riuscito significa che doveva andare così. Non potrei mai fartene una colpa.”
Un lungo momento di silenzio e poi la voce incerta di lui. “Eppure avrei potuto fare di più, se non mi fossi distratto…”
“Ora chiudo, Takemichi. Non preoccuparti, ci risentiamo per accordarci sull’anniversario della morte di Baji-san. Buonanotte.”
La voce di Takemichi non fece in tempo a ricambiare il saluto che lui aveva già chiuso la chiamata.
A capo basso sospirò, i pugni stretti contro il materasso. Pochi istanti e prese nella mano la foto di Baji che teneva sopra il comodino, accanto alla lampada che emanava una luce gialla soffusa e rassicurante. Col dito indice sfiorò i lineamenti della foto. Il sorriso di Baji sembrava voler sfidare il mondo, anche se in quel momento stava tenendo tra le braccia il piccolo Peke J, il gatto nero di cui si prendevano cura insieme all’epoca.
“Perché hai voluto lasciarmi? …e perché io continuo ad amarti così tanto?”
Per Unmei fu davvero troppo. Non sarebbe riuscito ad entrare in quella stanza e parlargli nemmeno se gli avessero puntato una pistola alla testa. Abbandonò l’idea di un dialogo, anche il solo pensiero di far finta di niente e stare nella stanza accanto era impensabile dopo quanto aveva visto e sentito. E allora scelse la fuga, si vestì in fretta e uscì di casa.
*
 
Pur adorando la vibrazione della moto invaderlo completamente durante la corsa, come anche il vento fra i capelli che gli dava un sapore di libertà, Unmei ancora non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione pesante. Blitz era sempre stato un tipo ottimista e vedeva la luce alla fine di ogni tunnel, ma in quel caso la situazione era irreparabile. Altro che parlare e affrontare insieme il dolore, sua madre era un caso clinico! E non era lui ciò di cui aveva bisogno… Nella mente gli tornò un flash di poco prima, quando Chifuyu, col volto ancora bagnato di lacrime e occhi gonfi, aveva sfiorato una foto di Baji. Come a voler scacciare quel pensiero, la sua mano strinse la manopola dell’acceleratore e la moto sfrecciò a gran velocità emettendo un rumore quasi assordante. Rallentò solo quando si inoltrò nella strada per arrivare alla meta, le ruote rotearono sempre più piano fino a fermarsi proprio di fronte alla vetrina di un salone da parrucchiere. Le enormi scritte color lampone dicevano ‘Akkun Hair Style’ e sovrastavano la figura del medesimo colore e molto stilizzata di una chioma di capelli lavorata col gel a formare un Pompadour. A quell’ora le luci erano spente e la saracinesca abbassata lasciava a malapena intravedere l’interno ordinato e dall’arredamento fresco e giovanile. Parcheggiò la moto lì di fronte e poi prese la rampa di scale che era di fianco e che portava all’appartamento che era al piano di sopra. Di fronte alla porta illuminata da un’elegante lampada in ferro battuto, si diede una rapida sistemata alla giacca in pelle e si ricompose i bei capelli neri come la notte. Poi suonò il campanello.
Quando la porta si aprì, rimase spiazzato nel vedere la persona che gli aveva aperto. Aveva sentito dire che Akkun era sposato con un ragazzo dalla fulgida bellezza, ma non si aspettava un livello così alto! Takuya dimostrava almeno dieci anni in meno di quelli che aveva, i suoi occhi grandi color grigio chiaro sembravano brillare, come anche la pelle chiarissima e perfetta come porcellana, i capelli di un bel biondo cenere erano qualcosa di meraviglioso con un effetto di onde che davano l’impressione di muoversi da sole, la sua intera figura era aggraziata nonostante avesse addosso un pigiama invernale color bosco che non aveva nulla di speciale.  Il respiro gli si fermò in gola per l’emozione. E così era lui la moglie di Akkun… Nessuna sorpresa che lavorasse come modello dal vivo in una scuola di arte! A guardarlo bene, forse assomigliava ad…un dipinto?
“Sì?”
La voce di Takuya e il suo sguardo interrogativo, lo riportarono alla realtà. Si abbassò in un inchino tutt’altro che naturale e parlò con voce un po’ troppo alta e frettolosa. “Buonasera, mi scusi per l’ora tarda! Mi chiamo Matsuno Unmei! Suo marito Ak-ehm…Sendo, è in casa? Kazutora ha detto che si sarebbero visti qui!”
“Mh? Matsuno?” Takuya si tamburellò la guancia con fare pensieroso, fino a quando non gli venne in mente di chi si trattava. “Oh certo, tu sei il figlio di Chifuyu, il migliore amico di Takemichi e proprietario di quel famoso negozio di animali! Atsushi mi ha parlato di te, dice che sei un suo affezionato cliente! Come Kazutora!”
Unmei rialzò il capo, si sentiva le gote in fiamme a sentir pronunciare quelle parole da una persona con una voce così dolce. “S-sì! Tutto vero!”
“Hai detto che li stai cercando… Scusami, li hai mancati per un pelo. Atsushi gli ha fatto un trattamento ai capelli e poi sono andati via per andare a bere al loro locale preferito.”
Maaaaaamaaaaaa!!!
Quel lamento interruppe la conversazione e con un gran battere di piedini arrivò un bambino che praticamente si fiondò in braccio a Takuya. Era il piccolo che i coniugi avevano adottato ancora in fasce e a cui stavano dando un mondo d’amore come se fosse davvero figlio loro.
“Natsuo, non gridare così! Tesoro, sto parlando con una persona!” Forse voleva essere un rimprovero, ma fatto con quel tono dolce e con quel sorriso gentile sembrava tutt’altro. Takuya era uno zuccherino, al contrario del piccoletto di circa quattro anni che teneva fra le braccia.
Mama!!! Dobbiamo leggere la favola della buonanotte!” Insistette il piccolo.
“Ah ah, va bene! Solo un momento!” Con un cenno del capo gli indicò l’ospite. “Lui è Unmei, è un cliente di papà!”
Il piccolo Natsuo si voltò e sgranò gli occhioni verde chiaro su di lui.
“Ciao, Natsuo!” Gli si rivolse gentile Unmei, peccato che il piccolo non sembrava in vena di fare amicizia, infatti aggrottò le sopracciglia e gettò le braccia al collo della madre in un gesto possessivo, prima di sputare un: “Cia’.”
Che caratterino!
Takuya intervenne, sempre col sorriso sulle labbra. “Devi perdonarlo, è molto geloso! Temo sia colpa mia, lo sto viziando troppo!”
Nessuna colpa, perfino Unmei in persona, se avesse avuto una madre così bella, avrebbe ammazzato con lo sguardo chiunque le si avvicinasse. Meglio non dirlo a voce alta.
“Oh, non si preoccupi! Tolgo subito il disturbo!”
“Sai dov’è il locale o hai bisogno che ti indichi la strada?” Chiese premurosamente Takuya.
“Lo conosco, a volte ci sono andato anche io assieme a loro!” Di nuovo fece un inchino rispettoso. “La ringrazio della gentilezza, signora Sendo!”
Takuya ridacchiò, un suono così cristallino che nemmeno delle campanelle di vetro lo avrebbero eguagliato. “Io e Atsushi ci siamo sposati all’estero, qui in Giappone non posso usare il suo cognome!”
“EEEH?” Urlò Unmei, rialzando il capo di scatto. Allorché Takuya gli indicò la targhetta in ottone che era sopra il campanello. In effetti diceva ‘Sendo-Yamamoto’.
“Oh, mi scusi! Che figuraccia!”
“Ah ah, va bene va bene! Era da anni che nessuno mi chiamava così! E’ stato bello!”
Unmei si lasciò travolgere dal suo sorriso angelico, ma subito ci pensò lo sguardo assassino del piccolo a rimetterlo in riga. “Ehm…ora vado! Grazie ancora! Buonanotte!” E si fiondò giù per le scale.
Takuya richiuse la porta e scosse il capo divertito. “Che ragazzo simpatico!”
“Però sono io il tuo preferito, verooo?” Chiese Natsuo, sfoggiando un’espressione supplichevole che non avrebbe lasciato via di scampo nemmeno ad un cuore di pietra.
“Certo, tesoro mio!” E gli stampò un bacio sulla fronte, in uno spazietto lasciato dalla frangia composta di riccioli biondi.
*
 
Il locale preferito di Kazutora e Akkun, non era uno di quei locali per adulti in cui entra solo gente di un certo livello e dove ogni cosa è controllata e in ordine. Anzi! Lì poteva entrare chiunque avesse voglia di stare in compagnia e divertirsi, non c’erano limiti di età, la musica dal ritmo vivace si amalgamava alle risate e alle chiacchiere dei clienti e l’ambiente era illuminato da un vortice di neon colorati che mettevano allegria. Esattamente ciò di cui necessitava Unmei quella sera… Appena entrato dalla porta a doppia vetrata, si ritrovò immerso in quel mondo di colori e di musica. S’inoltrò tra la folla mentre con lo guardo scrutava i volti, alla ricerca di Kazutora. Poi lo vide. Lui e Akkun avevano preso posto ad uno dei tavolini tondi e alti e fatalità vi era una sedia vuota che sembrava messa lì apposta per lui! Ci si fiondò. “Ehilà!”
Gli sguardi dei due si posarono su di lui sorpresi. Fu Akkun il primo a sorridergli e salutarlo.
“Guarda chi è arrivato! Era da un po’ che non ti facevi vedere qui!” Da lì a un paio di mesi avrebbe computo trent’anni, esattamente come Chifuyu, però il suo carattere cordiale e il suo volto sorridente lo rendevano più giovane. Per non parlare del suo stile che lo faceva sembrare un personaggio di Grease! Da sempre portava i capelli acconciati perfettamente in un Pompadour, cosa che gli donava particolarmente con la chioma riccia color lampone che si ritrovava, mentre riguardo l’abbigliamento indossava una camicia bianca mezza sbottonata sovrastata da una giacca in pelle marrone scuro. Una bottiglia di birra in mano completava l’opera. Nessuna sorpresa che il suo salone fosse frequentato principalmente da giovani, soprattutto signorine che avevano una cotta per lui pur sapendo che era sposato con un ragazzo e che stavano crescendo insieme un bimbo.
“Hai ragione, scusa…” Disse Unmei, per poi aggrottare le sopracciglia e contrattaccare. “Però al salone ci vengo quasi tutte le settimane, di che ti lamenti?!”
Visto che sul tavolino c’erano due bottiglie in più, oltre a quelle che i due avevano in mano, si impossessò di una di queste e bevve un lungo sorso.
“Non esagerare, ragazzino, sei ancora minorenne.” Lo riprese Kazutora.
“Puah, non rompere! Ho bisogno di tirarmi su.” Lo liquidò lui, con un gesto della mano.
“Per caso hai litigato di nuovo con tua mad-”
“Akkun, sono passato da casa tua, prima, e ho conosciuto tua moglie! Cazzo, è uno schianto! Se non lo sapessi non avrei mai detto che è un maschio!”
Akkun ammiccò sorridendo. “Vero? Il mio Takuya è divino! Non te l’ho mai raccontato, ma la prima volta che l’ho visto l’ho scambiato per una delle Grazie della Primavera di Botticelli!”
Il volto di Unmei si illuminò. “Ecco a chi assomiglia! Me lo stavo giusto chiedendo!”
Kazutora, che prima era stato brutalmente interrotto, si inserì nel discorso sfoggiando un sorriso malizioso. “E mentre voi lo adorate come una divinità, io allungherei volentieri le mani per fargli cose tutt’altro che innocenti!”
Akkun gli diede una doverosa gomitata sul braccio. “Ti ricordo che sei etero, bastardo!”
“Lo sei anche tu, amico mio, ma vedo che questo non ti ha impedito di sposare Takuya!”
Eccoli lì, due amiconi che si divertivano a dire cretinate e a stuzzicarsi come bambini! E pensare che si erano conosciuti in riformatorio, quando entrambi stavano scontando una pena per omicidio. Un’esperienza che aveva tirato fuori il meglio di loro, permettendogli di rinascere una volta riavuta la libertà.
La panoramica di Unmei si strinse, focalizzandosi su Kazutora.
Era stato lui ad infliggere una ferita mortale a Baji… Tu-tum… E poi Baji si era inferto un secondo colpo nel vano tentativo di non far ricadere la colpa su di lui… Tu-tum… Ed era morto fra le braccia di Chifuyu senza sapere che lui era in attesa di suo figlio… Tu-tum… Si rese conto di avere lo sguardo di Kazutora addosso, vide le sue labbra muoversi senza sentirne le parole. In effetti non sentiva rumore alcuno all’infuori dei battiti del proprio cuore. Chiuse gli occhi e prese respiro.
“Meglio se ti prendi un succo d’arancia.” Disse Kazutora, togliendogli la bottiglia di mano.
Unmei aprì gli occhi. “Mia madre sta da schifo anche questa sera… Ho sentito mentre parlava al telefono con Takemichi e…” Ridacchiò amaramente. “Non ce l’ho fatta a stare a casa!” Chinò il capo e si portò una mano alla fronte. “Scusate, non volevo rovinare la serata.”
Akkun e Kazutora si scambiarono un’occhiata di preoccupazione.
Unmei proseguì. “E’ che…sentirli rivangare il passato, soprattutto Takemichi che insisteva a dire che avrebbe potuto cambiare le cose… Per un momento mi ha stupidamente dato la speranza che potesse farlo davvero! Poi mi sono reso conto di quanto fosse una cazzata…il passato è passato, nessuno può cambiarlo…e allora mi sono sentito un coglione per averci sperato!”
“Io credevo che Takemichi potesse viaggiare nel tempo…” Saltò fuori Akkun.
Unmei lo guardò in tralice. “Che intendi dire?”
“Be’, in realtà è una sciocchezza!”
Kazutora lo incalzò. “Adesso sono curioso anche io. Racconta!”
“E’ successo quando sono uscito dal riformatorio… Prima devo fare una precisione. Mentre ero dietro le sbarre, mi era stato concesso di ricevere visite dal mio ragazzo e dai miei amici, con una certa frequenza, perciò in quegli anni in qualche modo abbiamo continuato a crescere insieme. Eppure, il giorno in cui venni liberato, Takemichi mi parve diverso. Sembrava molto più maturo per la sua età.” Fece una pausa e si grattò distrattamente la tempia, mentre cercava le parole. “Ricordo che si mise a dire qualcosa riguardo al fatto che se fossi rimasto un teppista sarei morto e cose così…ma lo disse con una tale serietà e convinzione che…come dire…era come se lo sapesse per certo! Come se lo avesse visto coi propri occhi! Come se l’avesse vissuto e poi fosse tornato indietro per cambiare le cose!” Ridacchiò, scuotendo il capo. “Come dicevo, sciocchezze! E’ impossibile una cosa del genere!”
Kazutora abbozzò un sorriso triste. “Sarebbe bello se Takemichi fosse in grado di farlo davvero… Se io potessi chiedergli di tornare indietro, vorrei che…” Non terminò la frase, ma a quel tavolo tutti sapevano bene cosa voleva dire.
Unmei si rimpossessò della bottiglia che gli era stata sottratta e si attaccò a collo come se invece di birra all’interno ci fosse stata una miracolosa anestesia contro il dolore dell’anima. Ottobre era un mese di merda. Per lui. Per Kazutora. Per sua madre Chifuyu.
Il mattino dopo, Unmei si svegliò di soprassalto. Era sudato, i capelli incollati alla faccia e una gran confusione nella testa. Era certo di aver bevuto solo metà bottiglia, ma a quanto pare era bastato per ridurlo uno straccio. Dannazione, era proprio un ragazzino. Si scostò i capelli bruscamente e gettò la testa all’indietro perché gli davano fastidio. Sarà stato il movimento repentino oppure gli effetti della birra che stava ancora smaltendo, fatto sta che venne colto da un tremendo giramento di testa che lo fece cadere dal letto. Per fortuna la moquette attutì in parte la caduta. Nella mente intorpidita presero a viaggiare immagini distorte, foto di suo padre, foto di sua madre, e a riecheggiare frasi sentite la sera prima… Una sensazione insopportabile che lo fece gridare. In breve il peggio passò e lui si ritrovò a fissare il soffitto tenendosi la testa tra le mani.
“Cazzo… O sto impazzendo o mi è venuta un’idea geniale…”
A fatica si mise in ginocchio e strisciò fino al comodino per artigliare il telefono. Erano le sette di mattina ed era sabato. Senza esitare aprì la rubrica e selezionò il numero di Takemichi.
*
 
Erano seduti uno di fronte all’altro, al tavolo in cucina, avvolti da un silenzio innaturale rotto solamente dai rumori di deglutizione. Takemichi aveva l’aspetto di un lenzuolo stropicciato ed in parte Unmei sapeva che era colpa sua. Quando lo aveva chiamato per telefono, Takemichi aveva risposto dopo molti squilli e con voce giustamente assonnata. Lui gli aveva fatto prendere un colpo dicendogli che voleva vederlo immediatamente per aiutare sua madre. Sulle prime, ancora mezzo addormentato, il poveretto aveva creduto che l’amico si fosse sentito male o quant’altro ed era balzato giù dal letto svegliando anche sua moglie Hinata. Erano bastate poche frasi per chiarire il malinteso, però Unmei era stato irremovibile nel dire che dovevano vedersi subito. E così era arrivato lì e aveva trovato la colazione pronta e fumante nel piatto. Qualcosa di semplice, verdure saltate in padella con salsa di soia e una fetta di pane tostato. Aveva salutato, si era scusato e poi si erano seduti insieme per mangiare. Ma ad ogni boccone, Unmei sentiva la rabbia salirgli alla testa. Comunque, si obbligò a pazientare fino a quando Takemichi non deglutì l’ultimo boccone di pane e poi…
“Quindi come fai a tornare indietro nel tempo?”
Takemichi non si strozzò per un pelo. I suoi occhi azzurri si spalancarono su di lui. “Ehm…di cosa stai parlando?”
Unmei batté il pugno sul tavolo e si sporse un po’ in avanti. “Non trattarmi da deficiente, vecchio sfigato. Voglio sapere i dettagli.”
Tra loro due, l’adulto era Takemichi ma…di fronte ad uno con un’aura così minacciosa e che poteva ammazzarlo di botte da un momento all’altro, i ruoli si erano drasticamente invertiti.
Ignorando il tremolio alla spina dorsale, cercò di fingersi calmo. Anche se gli uscì una vocina non esattamente virile.  “…Unmei…che idea ti sei fatto di me?”
“Senti, evitiamo le cazzate e passiamo subito al punto della questione. Voglio che torni nel passato e salvi mio padre.”
Takemichi sbiancò. “Tu-tuo padre…? Ma che…?”
“Sono stanco di vedere mia madre soffrire ogni fottuto ottobre di ogni fottuto anno!” La determinazione non gli mancava, c’era da dirlo.
Vedendolo così, Takemichi non tentò nemmeno di inventare scuse. Non sapeva come lui fosse arrivato alla verità, l’unica cosa che sapeva per certa era che rischiava di non uscirne vivo. Prese respiro e mise da parte il piatto della colazione ora vuoto. “Ascolta… E’ più complesso di quanto tu possa immaginare. Ho già tentato di salvare Baji e…” Si fermò, lo sguardo triste nell’inseguire quel ricordo. “Non è andata bene.”
“Allora riprovaci! Che ti costa!”
“Non è una cosa determinata dalla mia volontà! C’è un meccanismo con delle regole.”
Unmei rimase in silenzio, ma ci pensò il suo sguardo omicida a parlare per lui. La situazione era fin troppo seria.
Takemichi si prese qualche altro istante, prima di cercare di dargli una spiegazione. “Questi…viaggi…avvengono solo in casi straordinari, quando io stringo la mano della persona coinvolta.” Si morse le labbra. “No, non è nemmeno così. La prima volta mi è successo quando stavo per essere investito da un treno… Uff…”
Vennero interrotti da Hinata, entrata in cucina per salutare l’ospite. Lei era a conoscenza dell’abilità di Takemichi, però per il momento lui non volle coinvolgerla, perciò lo invitò a proseguire la conversazione in salotto.
Fu un’impresa mettere insieme i pezzi delle sue avventure passate. Alcune regole erano state uguali per ogni viaggio, altre invece sembravano dettate dal caso, senza contare che c’erano state delle ripercussioni sul futuro per niente gradite, in certi casi. Aveva salvato Hinata dalla morte dopo numerosi tentativi, aveva salvato Akkun, aveva salvato l’Invincibile Mikey che era stato il comandante della Tokyo Manji Gang…ma non era riuscito a salvare altre persone, tra cui appunto Baji.
“Allora…per tornare indietro basta che tu stringa la mia mano. Giusto?” Tentò Unmei, deciso ad arrivare fino in fondo.
“Forse… Ma non posso sapere in quale punto del tempo finirò. E in ogni caso, non è detto che riesca a salvare Baji.”
Unmei si ritrovò a stringere i pugni e a gridare. “Fallo per mia madre! Non vorresti dargli la possibilità di avere accanto la persona che ama?”
Gli occhi gli divennero lucidi e le iridi parvero infuocarsi. Uno di quei momenti in cui era come se Baji stesse rivivendo in lui. La cosa turbò Takemichi. Dovette scuotere il capo per riprendersi. Diede un’occhiata alla foto del matrimonio suo e di Hinata, che era bene in mostra su una parete. Se quel futuro si era compiuto, era stato perché non aveva smesso di lottare.
Tornò a rivolgersi ad Unmei. “Hai ragione, posso fare un altro tentativo. Ma se è davvero questo ciò che vuoi, devo prima renderti noto un fatto molto importante.”
“Sarebbe?”
“Delle numerose linee temporali in cui sono stato, questa che stiamo vivendo adesso è l’unica in cui tu esisti. Nelle altre, Chifuyu era un normale ragazzo, non era intersessuale. Non so il perché, è stata una sorpresa anche per me scoprirlo. Ad ogni modo, voglio avvertirti… Se io torno nel passato e cerco di cambiarlo, indipendentemente dal risultato c’è la possibilità che tu non nasca. E in questo modo cesseresti di esistere anche in questo futuro.” Ora fu lui a sporgersi in avanti e a guardarlo con sguardo fermo. “Sei pronto a correre il rischio?”
Ad Unmei non era passata neanche lontanamente per il cervello questa opzione. Dunque le cose stavano così? Quella confessione l’aveva spiazzato. Sbuffò per scacciare la tensione e prese a intrecciare le dita, mentre rifletteva. “Cessare di esistere, eh…? Però mia madre potrebbe essere felice anche senza di me… Insomma, non penserebbe a qualcosa che non ha mai avuto, no?”
Takemichi sbarrò gli occhi su di lui con ammirazione. “Gli vuoi così bene da accettare una simile eventualità?”
Unmei sollevò un sopracciglio. “E’ ovvio. E’ mia madre.”
Tale franchezza lasciò a bocca aperta Takemichi. Nonostante il caratteraccio, quel ragazzo aveva un cuore enorme. Come suo padre.
Takemichi non poté che acconsentire. “Unmei, se è ciò che vuoi, io ti aiuterò. Però prima prenditi del tempo per pensarci bene.”
Unmei si mise a ridere, così di punto in bianco, e quando si calmò sfoggiò un sorriso quasi strafottente. “Facciamolo  e basta, vecchio!”



Continua nel prossimo capitolo.... Seconda Fase: [Only you know]
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Tokyo Revengers / Vai alla pagina dell'autore: Stella Dark Star