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Autore: f_vanessa_arcadipane    21/10/2021    0 recensioni
Londra, età vittoriana, culla della cultura moderna ed epoca delle contraddizioni.
Da una parte il progresso scientifico, economico e industriale che dà il via a un periodo florido e di interesse per l'arcano, dall'altra le malattie, la povertà e l'ignoranza dei ceti bassi, legati ancora alla superstizione e alle credenze che la Chiesa per anni ha loro trasmesso.
In questo contesto Margaret Glanville, orfana ventiseienne, nubile, colta e dotata di poteri soprannaturali, lotta per la sopravvivenza mettendo a disposizione degli altri le sue conoscenze e capacità, ovviamente non sempre apprezzate da tutti. Vista più come una vecchia strega che come una donna indipendente, May sa che la città in cui vive è cosparsa di oscuri pericoli, creature che si nascondono nell'ombra e terrificanti segreti dai quali preferisce sempre tenersi alla larga, più per la paura del giudizio degli altri che per sua volontà.
Riusciranno dei nuovi e pittoreschi incontri a far crollare queste sue incertezze o andrà avanti con la sua solitaria vita?
Genere: Avventura, Dark, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Era un'uggiosa mattina di Ottobre nell'East End di Londra, come ormai se ne vedevano da tempo. La nebbia fitta e asfissiante copriva i deboli raggi autunnali, come un pesante drappo giallo-verdognolo simile a una zuppa di piselli. 
Lo sviluppo industriale degli ultimi anni, lo spostamento della maggior parte della popolazione dalle campagne alla città, la nascita delle prime ferrovie, delle navi a vapore, della massiccia combustione di carbone per combattere il freddo pungente, avevano contribuito a rendere l'aria di Londra a malapena respirabile; un disagio di cui ormai da mesi, o addirittura anni, i giornali parlavano incessantemente, ma che nessuno fino ad allora aveva provato a trovar rimedio.

Margaret, o May come preferiva esser chiamata, estrasse da una tasca della sua lunga e ingombrante gonna scura un fazzoletto per coprirsi il naso. Per raggiungere il posto nel quale si stava dirigendo quel giorno la ventiseienne era costretta a costeggiare il fiume Tamigi, nelle cui acque si riversava tutto l'orrore che una città in pieno sviluppo può produrre: liquami umani e animali, rifiuti domestici e delle fabbriche, scarti di ogni forma e natura; il fetore era così pungente che le costruzioni che si affacciavano sul fiume apparivano sempre con le finestre ben serrate, un po' come succedeva con le dimore a vista cimitero, contribuendo a un notevole calo degli affitti e una conquista sempre più massiccia di quei quartieri da parte dei ceti sociali meno abbienti.
Ogni tanto il fiume restituiva persino qualche cadavere, era semplice cancellare ogni traccia di un delitto tra quei densi liquami, nessuno si sarebbe mai sognato di indagare a fondo, e anche per questo il molo divenne in breve tempo uno dei posti più pericolosi e malfamati della Londra notturna.

May arrivò in breve tempo nei pressi di una vecchia abitazione piuttosto malridotta, sulla cui porta busso tre volte con sicurezza. Ad aprirle fu un'anziana donna dai denti anneriti e l'alito che puzzava di rum, e pensare che erano appena le 11 del mattino. 
Il suo viso era rugoso, pallido a causa della polvere di piombo che chiaramente e volutamente si era cosparsa, sostanza parecchio usata dalle donne dell'epoca nonostante se ne conoscessero gli effetti nocivi sulla pelle, anche le labbra erano truccate, così come le gote e gli occhi pesantemente spennellati da una sostanza marrone. 
Il tutto le conferiva un aspetto piuttosto volgare, per nulla piacevole, pensò May.

«Margaret, finalmente!» la accolse, prima di spostarsi dall'uscio e invitarla a entrare.

«Miss Anna, ho ricevuto la vostra lettera solo un paio di ore fa... che succede?» sorpassò la soglia e sciolse il nastro del suo cappello.

«Seguimi cara, due delle mie ragazze... credo non stiano bene. Quelle sciagurate speravano di tenermelo nascosto...» cominciò ad avanzare sulle assi scricchiolanti del pavimento, dirigendosi verso le scale che portavano al piano superiore.

Il locale era pressoché deserto, piccolo, tetro e con un gran disordine in giro, tanto da far pensare a una festa svoltasi la notte precedente.
May si abbandonò a un sospiro consapevole, contrarre qualche tipo di malattia in una casa di piacere come quella era quasi all'ordine del giorno.

Giunte ormai al piano superiore, dopo aver percorso uno stretto corridoio tappezzato da locandine che ritraevano ragazze spudorate in abiti succinti, Miss Anna si fermò davanti a una porta socchiusa.

«Prego, sono lì dentro» fece cenno di entrare.

May bussò educatamente sulla porta e la aprì totalmente.

«Con permesso...» sussurrò.

Ciò che si trovò davanti fu una piccola stanza dai colori spenti e con pochissimi mobili sparsi qua e là: giusto un comodino, un piccolo armadio e un vecchio tavolo sul quale brillavano un paio di candele. Le finestre erano chiuse così come nel resto dell'edificio, dettaglio importante per un posto come quello. 
Il fortissimo odore di oli essenziali e incenso fece prudere le sue narici, conosceva piuttosto bene quei profumi sensuali e legnosi, così tanto che la mente non poté evitare di ripercorrere oscuri ricordi della sua infanzia, ricordi che preferì scacciare via come si farebbe con uno sciame di mosche.

In fondo alla piccola sala due letti si disponevano uno accanto all'altro, in essi due giovani e attraenti fanciulle apparivano fiacche e chiaramente febbricitanti.
May raccolse i suoi lunghi capelli neri con un nastro vinaccia e indossò i guanti facendo qualche passo verso loro.

«Il mio nome è Margaret Glanville, sono qui per visitarvi e capire l'entità della vostra malattia» si presentò con professionale delicatezza, nonostante l'ostilità delle due fosse palese.

«Di quale malattia state parlando?» arricciò il naso una di loro. «Siamo solo spossate e stanche per il troppo lavoro, niente di cui preoccuparsi».

«Permettetemi che sia io a dirlo» disse con pazienza May, per quanto in realtà per natura ne possedesse ben poco.

Il suo era un animo forte, indipendente, sicuro delle sue idee, anche troppo per quei tempi in cui la donna ideale era incarnata nella figura di un essere delicato, fragile sia nel corpo che nella mente, il cui unico scopo era quello di assecondare un marito, garantirgli una prole e gestire i bisogni della casa. 
Si era sempre sentita ben lontana dall'immagine "dell'angelo del focolare" May, lei era istruita, sapeva leggere e scrivere alla perfezione, conosceva la scienza, la letteratura, la politica, apprezzava le donne che con sacrificio lavoravano in fabbrica per guadagnarsi da vivere nonostante dalla società venissero viste alla stregua di meretrici, sosteneva le ragazze che segretamente si riunivano in club in cui discutere dei propri diritti. Disprezzava così tanto l'ignoranza che la circondava da apparire presuntuosa a volte, dettaglio che fece fuggire ben più di un uomo rimasto fulminato dalla sua oggettiva bellezza, ma intimorito dalla sua intelligenza.

«Da quanto tempo presentate questo tipo di sintomi?» continuò.

«Quali sintomi?».

«La febbre per esempio».

Le due ragazze, coperte esclusivamente da una sottile sottana, si guardarono senza pronunciare una parola.

May si voltò verso la padrona di casa.

«Non chiederlo a me...» rispose questa irritata.
«Basta fare storie, mostratele quello che anch'io ho visto!» si rivolse alle due, che non poterono far altro che assecondare la sua volontà.

Si scoprirono entrambe dal lenzuolo e invitarono May ad avvicinarsi.
La guaritrice ispezionò con interesse e attenzione le loro braccia e il loro petto, sui quali purulente vesciche si propagavano a vista d'occhio. Quando ebbe ben chiara la situazione indietreggiò sfilando i guanti con una smorfia.

«Hanno ricevuto clienti recentemente?» chiese a miss Anna.

«Sai che si lavora bene qui» rispose lei.

«Male. 
È sifilide».

Sia la padrona che le giovani fanciulle ebbero un sussulto incontrollabile, colte dalla più sciagurata delle notizie.

«Sifilide?!» sbiancò l'anziana. «Non posso permettermi di pagarle un dottore, hai idea di quanto costi??».

«Non servirebbe a nulla, questo è un male del quale non si conosce ancora una cura efficace, ciò che un medico darebbe loro attenuerebbe soltanto i sintomi, ma non estinguerebbe la malattia. 
Se la trascineranno a vita» chiarì May.
«Posso darvi io ciò che serve, ma non potete più farle lavorare».

«No!» balzò una delle fanciulle, la più pallida ma attraente. 
«Dateci qualcosa che faccia sparire queste orrende piaghe, così potremo continuare a lavorare, nessuno se ne renderà conto».

May sentì un sentimento di rabbia scorrerle nel sangue.

«È assolutamente escluso!» corrugò la sua fronte con disappunto. 
«Avete idea dei danni che un inganno del genere causerebbe? Non è una malattia da prendere alla leggera».

«Conosco ragazze in altre case di piacere che non si creano alcun tipo di problema nel continuare a lavorare. Non siamo noi a costringere gli uomini a entrare nei nostri letti» parlò per la prima volta anche l'altra.

«Certo, ma così facendo mettereste a rischio altra gente innocente: gli uomini con i quali vi intratterrete porterebbero la sifilide tra le mura domestiche, infetterebbero la moglie e chissà quale altra sfortunata donna, e nel caso una di queste rimanesse malauguratamente incinta, darebbe alla luce una creatura altrettanto infetta che continuerebbe a propagare questo male».

«Peggio per loro.
Che ne sarà di noi se non potremo più guadagnarci da vivere? Eh? Nessuno ci darà un tetto o un tozzo di pane da mangiare».

May cercò di trattenere la rabbia con una smorfia che le causò un tremolio al labbro superiore.
«Miss Anna...» si rivolse direttamente alla padrona di casa «che cosa accadrebbe alla reputazione di questo luogo se in giro si sapesse che alcune vostre ragazze sono infette? Non sono pochi gli aristocratici che amano dilettarsi tra queste mura, come pensate la prenderebbero?» cercò di fare affidamento sull'avidità della signora e ci riuscì perfettamente.

«Sarebbe la mia rovina! Lo sarebbe di certo» sussurrò infatti.
«Basta così, la guaritrice ha ragione, non potete più lavorare qui, dovrete trovarvi un altro impiego da oggi in poi».

Le giovani strinsero i denti dalla disperazione.

«Voi...» cominciò colei che maggiormente espresse le sue idee, puntando un dito contro May «non siete altro che una strega! Una maledetta, lurida strega!» alzò la voce, tanto da farla tuonare tra quelle mura. «Che Dio vi maledica! Sciagurata! Che Dio vi maledica!» si sforzò così tanto che la tosse bloccò le sue parole.

May le diede le spalle e accompagnata da miss Anna uscì dalla stanza per limitare il fracasso.

«Non farci caso May, è il difficile periodo in cui viviamo a spingerle ad essere così».

«Ormai qualche moneta è più importante della propria vita e di quella degli altri» sussurrò tra sé la guaritrice.

«È qualche moneta purtroppo a darci qualcosa sotto i denti. 
A nessuno importa della nostra vita o della nostra morte, ci hanno costretti a essere ciò che siamo» continuò miss Anna mentre entrambe si diressero verso l'uscio.
«In ogni caso vi ringrazio per la tua visita» porse qualche moneta verso le mani di May, ormai all'esterno dell'edificio.

La donna osservò il dorso rugoso della signora prima di ritornare sui suoi spenti occhi neri.

«Datele a quelle ragazze» indietreggiò May «ne avranno sicuramente più bisogno di me».

Miss Anna la guardò sorpresa.
«Ne sei sicura May?».

«Sì» annuì questa.
«Potreste inoltre trovarle un incarico diverso e tenerle comunque con voi in questa casa».

«Non preoccuparti per questo, penserò a qualcosa. Ho visto crescere quelle ragazzine, esattamente come te».

May la guardò con severità.

«Ah sì giusto, scusami, non dovrei dire queste cose con facilità» si guardò intorno in un sussurro.

«Statemi bene miss, e prendetevi cura di quelle giovani» May si allontanò con un cenno, indossò il suo cappello e imboccò la strada che l'avrebbe riportata a casa.

Miss Anna stette un po' ad osservarla avanzare tra le povere strade di quel quartiere, fissandosi sulla sua camminata lenta ed elegante, quasi come quella di una nobile. Infine rientrò un casa, si diresse verso le scale, attraversò il corridoio e aprì la porta della stanza in cui riposavano le ragazze.

«Che sia chiaro, prendete tutte le vostre cose, entro domani mattina vi voglio fuori da qui!» urlò con durezza.

Le giovani sbiancarono ancora più di quanto già lo fossero.

«Mia signora!» si alzò dal letto una di loro, scivolando sul pavimento, mentre l'altra iniziò a singhiozzare.
«Vi supplico...» si trascinò fino alle gambe della matrona attaccandosi alla sua gonna «tenetemi con voi, non ho altri posti in cui andare. Ve ne prego».

Miss Anna strinse le monete che teneva ancora in mano e in tutta risposta la allontanò con un calcio, strappandole la gonna sulla quale la fanciulla disperata lasciò qualche sua lacrima.
«Non me ne faccio nulla di merce difettosa come voi! Ringraziate il mio buon cuore per non buttarvi in mezzo alla strada già adesso, mi toccherà persino far pulire questa stanza.
Se entro domani mattina non ve ne sarete andate manderò i miei uomini a massacrarvi di botte» furono le ultime sue parole, prima di sbattere la porta e ripercorrere il corridoio verso la scala. 
Si fermò improvvisamente proprio in prossimità di un quadro un po' storto che raddrizzò con attenzione, aprì il palmo della sua mano nel quale brillavano le monete che May aveva rifiutato e con un sorriso soddisfatto se le infilò in tasca, canticchiando una canzone a labbra serrate.

Nel frattempo May ripercorreva la via del ritorno. Pensò a quelle povere ragazze, al fatto che fosse stata fin troppo dura con loro, che in fondo agivano esclusivamente per disperazione, si sentì tremendamente in colpa nonostante avesse rifiutato persino alla sua paga per aiutarle. Quelle monete le avrebbero sicuramente aiutate per qualche giorno se ne avessero fatto buon uso.

Si guardò intorno con amarezza circondata dal malessere di quel tempo: dai senzatetto ubriachi riversi per strada, dalle donne di malaffare appoggiate agli angoli, dai bambini spazzacamino senza scarpe e ricoperti di fuliggine, da quelle case traballanti stracolme di inquilini e prive di ogni minima forma igienica. 
Come si era arrivato a tanto? Si domandò. Come può il mondo non accorgersi di tutto questo? Come possono i curati gentiluomini e le loro affascinanti signore starsene nelle loro confortanti dimore senza battere ciglio? Come può la regina Vittoria permettere questo?
Non che si vedesse mai qualcuno del loro rango percorrere quelle strade, e non era nemmeno il peggior quartiere di Londra... era come se chi avesse avuto la fortuna di nascere in una famiglia benestante non appartenesse al mondo, o forse era corretto dire il contrario.

«Bella signora...» i suoi pensieri vennero interrotti da una piccola vocina infantile.
Abbassò lo sguardo e vide un bambino stringere qualche copia del giornale di quel giorno.

«Vuole comprare un giornale per una moneta?».

Il bambino portava un berretto riparato più volte da toppe di altri colori e molto più grande di quanto dovesse essere. Era magro, molto magro, i calzoncini scoprivano delle gambette ossute, e la cintura era così stretta che buona parte gli penzolava quasi oltre le ginocchia.
May infilò le mani in tasca, trovò un'unica moneta e le si raggelò il sangue.
«Ecco, tieni» gliela porse con un sorriso dolce.

Il ragazzino la ringraziò fiero e le dette una copia del giornale prima di fiondarsi su un altro passante.
May pose quella carta inchiostrata sotto il braccio e decise che non sarebbe tornata a casa, ma avrebbe proseguito oltre.

Dopo parecchi minuti di cammino giunse in un luogo semideserto, vi era pochissima gente in giro e pochissimi edifici diroccati. Quello era un quartiere molto antico, abbandonato e ancora in via di sviluppo. Si mormorava che da lì  a poco avrebbero raso al suolo tutto ciò che già vi era presente per far spazio alla costruzione di nuove ville e abitazioni lontane dal centro in cui persone facoltose avrebbero potuto rilassarsi lontane dal frastuono e il cattivo odore della città.
May si guardò bene intorno prima di dirigersi verso l'edificio più imponente ma tetro: una mastodontica villa nascosta da rinsecchiti rampicanti color carbone.
Aprì il cancelletto arrugginito del giardino, ormai un covo di rovi, spine ed erba incolta, svoltò l'angolo e scese una scala che la portò di fronte a una porta.
Si guardò intorno ancora una volta e a quel punto estrasse dai folti capelli una forcina che con maestria infilò nella serratura. Quando riuscì a farla scattare girò la maniglia e con una spallata apri la porta che cigolò rumorosamente.
Si pulì le mani intrise di polvere sulla gonna e si apprestò a richiudersi la porta alle spalle.  

Accese una lampada ad olio posta su un impolverato mobiletto vicino, e quando l'ambiente fu illuminato da essa sciolse il suo cappello e lo appese sull'attaccapanni posto accanto alla porta. Afferrò la lampada con ancora sottobraccio il giornale che aveva comprato poco prima e salì pochi scalini che la portarono nella sala principale della villa.
Era una stanza spaziosa, poca luce penetrava dalle finestre esternamente ricoperte dai rovi. Vi era un salotto composto da un divano e due comode poltrone che circondavano un delizioso tavolinetto adagiato su un enorme tappeto color bronzo, il pavimento era scurissimo, di noce, che scricchiolava lievemente sotto i suoi passi, l'intera stanza era poi circondata da enormi librerie anch'esse di noce stracolme di libri di ogni genere. Più in fondo un grande tavolo da pranzo rettangolare, sul quale May poggiò il giornale e la lampada.
Avvicinò a sé un grande libro dalla copertina scura, violacea, chiaramente decorato a mano con ghirigori color argento e piume di corvo. Quello era il suo grimorio, il suo libro delle ombre, il diario in cui erano custodite gelosamente tutti quegli appunti, quelle formule che negli anni le erano state utili, e tante altre che non aveva mai avuto il modo o il coraggio di sperimentare.
Aprì la pagina segnata, trovandosi di fronte a quella immagine raffigurante un serpente che si mordeva la coda in un ciclo infinito e continuo, in alto la scritta "Pietra Filosofale" spiccava tra tutte le altre. May si abbandonò a un sospiro quando lesse per l'ennesima volta una delle tre finalità dell'oggetto: "capace di tramutare in oro i metalli vili".
Osservò il piccolo borsello che qualche sera prima aveva lasciato su quel tavolo, inquadrando giusto poche monete.
May sì era bella, colta, più sveglia di molti altri, ma di certo non era dotata anche della ricchezza e il suo occasionale lavoro di guaritrice non la aiutava granché, per questo da un po' si era convinta di provare la creazione della Pietra Filosofale.
Nel suo grimorio esistevano formule semplici, formule complesse e formule impossibili o addirittura altamente sconsigliate... la creazione della Pietra Filosofale era una di quest'ultime: nessuno prima di allora era riuscito nell'impresa e nessuno conosceva i veri effetti di un probabile fallimento, i rischi erano altissimi, l'alchimia era una pratica molto pericolosa e delicata, la ricetta difficile e confusa, quasi come una leggenda o un mito.

May sapeva benissimo che voler creare la leggendaria Pietra Filosofale solo per potersi arricchire era il gesto meno nobile che avrebbe mai potuto compiere, essa era ben altro che questo, era la fonte della conoscenza assoluta.
Gli ingredienti erano pochi: il mercurio, lo zolfo e l'argento, da sciogliere e risciogliere in quantità, tempi, temperature e modi giusti tanto da ottenere un nuovo elemento, la rossiccia Pietra Filosofale appunto.

Erano giorni che May si organizzava per compiere quell'impresa, una delle maggiori accortezze e tra gli appunti scritti sul libro vi era un ben chiaro "così sopra così sotto", principio base dell'alchimia, quindi la donna attese che persino gli astri, i pianeti e l'intera volta celeste fosse adatta a quella pratica. 

Si adoperò subito senza perdere troppo tempo, sapeva che ogni procedimento avrebbe richiesto pazienza e calma. 
Armeggiò con quei metalli, li sciolse, li unì tra loro, li raffreddò, attese e poi ricominciò da capo, per più e più volte, per tutto il pomeriggio.
Esausta ma carica di aspettative e speranze si sedette in attesa di compiere l'ultimo passaggio.

L'occhio le cadde sulla prima pagina del giornale che qualche ora prima aveva poggiato sul tavolo. Allungò il braccio e stese il foglio così da leggere il primo titolo: "Restate a casa, questa  sera ci sarà la luna piena". L'articolo parlava di un fantomatico serial killer, o psicopatico che si divertiva a sfregiare e uccidere la povera gente nei pressi del molo durante le notti di luna piena, ne aveva già uccisi sette in due mesi e tutti furono ritrovati con profonde ferite, arti mancanti o persino teste mozzate.

May scosse la testa sbuffando... che razza di gente viveva ormai a Londra?

Dimenticando presto la faccenda ritornò sul suo lavoro, che con un respiro profondo si decise a ultimare. Quello era il passaggio finale, il più pericoloso, se ne fosse uscita una sostanza dura e rossastra allora l'impresa era compiuta.
L'emozione riempì il suo cuore.

Mescolò per l'ultima volta quegli ingredienti già a lungo lavorati e attese... attese con ansia e attenzione.
La sostanza ottenuta cominciò a bollire, a cambiare colore colorandosi di un violetto spento all'inizio e di un color borgogna dopo, sul viso di May si aprì un sorriso radioso perché adesso stava virando su un rosso acceso.
L'intruglio cominciò a emanare una strana luminescenza, sempre più intensa, così tanto da illuminare l'intera stanza. Sembrava una stella, la nascita di una stella rossa che stava per solidificarsi... fu allora che iniziò a creparsi.

«No!» esclamò la donna vedendo il suo esperimento sgretolarsi davanti ai suoi occhi in un millesimo di secondo.
Ebbe solo il tempo di coprirsi il viso con le braccia prima che un'esplosione di luce la facesse balzare dalla parte opposta della stanza con violenza, distruggendo tutto ciò che fino ad allora aveva creato.

Confusa, senza fiato, con il braccio e il fianco destro doloranti per la caduta e una ferita alla fronte, May si alzò più in fretta che poté, afferrò una coperta dal divano e zoppicò fino a ciò che restava del suo tavolo da lavoro, sui cui resti in fiamme sbatté più volte la coperta.
Ciò che restava del suo lavoro era solo una ciotola di metallo malmessa con all'interno una sostanza nera come la pece.

Corse verso uno specchio per controllare che tutto fosse al giusto posto, non sapeva cosa avrebbe potuto causare il suo errore. Un sospiro di sollievo le abbandonò il petto quando vide che l'unica differenza era il taglio sulla fronte e il fortissimo dolore al braccio, probabilmente doveva esserselo slogato.

Era indolenzita ma sana e salva, tuttavia aveva fallito, aveva miseramente fallito, e questo per lei fu più doloroso di qualsiasi altra conseguenza.

Ritornò nella sala principale, si assicurò che ogni piccola fiammella fosse spenta e mise il suo grimorio in un posto sicuro. Fortunatamente aveva deciso di tenerlo lontano dai suoi esperimenti.
Dopo di che si diresse verso l'uscita secondaria dalla quale era entrata, spense la lampada ad olio, indossò il suo cappello e con la sconfitta nel cuore decise di tornare a casa.

Si era fatta già sera e la luna piena splendeva nel cielo luminosa e fiera illuminando le isolate viuzze che stava per imboccare.
May non riusciva a non pensare a quella giornata persa, a tutta la sua fatica che non era servita a nulla, del resto però era giusto così... la Pietra Filosofale è un qualcosa quasi di sacro, di intoccabile, usarla per un fine tanto egoistico forse avrebbe portato a conseguenze ben peggiori.

Un improvviso rumore interruppe i pensieri della donna e bloccò i suoi passi. Si voltò di scatto alle sue spalle convinta che qualcuno la stesse seguendo, ma non vide nulla se non il vicolo completamente vuoto e buio. Stette un po' ad ascoltare e pensò che fosse tutto piuttosto strano, c'era molto più silenzio del solito.
A quel punto le tornò in mente quell'articolo di giornale, probabilmente la gente si era barricata a casa per paura e lei fece spallucce, forse inconsciamente anche lei ne era rimasta in qualche modo impressionata.

Proseguì senza timore, convincendosi che fosse stata solo la sua immaginazione.
Ripensò alle poche foto delle vittime, le ferite che mostrarono senza troppe censure e non poté fare a meno di alzare il viso verso la fredda luna.
"Solo nelle notti di luna piena" ripeté tra sé.

Nello stesso istante un'ombra nera svoltò l'angolo qualche metro avanti a lei.
Dalla folta coda si muoveva lentamente sulle sue quattro zampe. Troppo grande per essere un cane, troppo grande per essere un qualsiasi altro animale esistente. Le sue orecchie a punta erano abbassate in posizione di attacco, il suo folto manto scuro brillava sotto i raggi lunari, e dal suo muso affusolato un ringhio tuonava tra le affilate fauci, le zampe forti e possenti avanzavano lentamente dalla sua direzione.

«Dannazione!» esclamò May prima di iniziare a correre dalla parte opposta, di nuovo diretta verso la villa che aveva appena abbandonato.

Il grande animale la inseguì senza esitazione, raggiungendola in men che non si dica. Le balzò addosso con uno slancio atterrandola, ma la fortuna volle che proprio agli angoli del marciapiede si trovasse un grosso pezzo di ferro, rimasuglio di una delle fabbriche lì vicino, la donna lo afferrò e lo usò per difendersi, colpendolo con tutta la forza che aveva in corpo proprio sul muso così da garantirsi un buon vantaggio per la fuga.
Attraversò di nuovo il giardino, e sfilò con panico quella forcina dai capelli guardandosi alle spalle. La creatura si era già rialzata e si stava dirigendo velocemente verso lei.

«Avanti apriti!» gridò, proprio un attimo prima che le porta si spalancasse e l'animale la raggiungesse.
Provò a chiudere la porta, ma la creatura era riuscita a infilare il muso continuando a ringhiare e spingere, era incredibilmente forte, non sarebbe riuscita a resistere ancora a lungo, così afferrò la lampada ad olio proprio vicina e gliela ruppe ancora una volta sul muso già insanguinato.
L'animale indietreggiò dolorante, così da permetterle finalmente di chiudere l'uscio. 

Si diresse di corsa verso la sala principale, controllando con attenzione tutte le finestre.
Era ancora lì intorno alle casa e stava chiaramente studiando il modo per entrare.
Fu allora che senti un vetro infrangersi, era lui che cercava di entrare e ci sarebbe anche riuscito tra breve... si sentì praticamente in trappola.

Indietreggiò di qualche passo in cerca di una soluzione ma scivolò sul pavimento senza neanche accorgersene. Inizialmente non capì il motivo, ma poi si accorge di avere le scarpe imbrattate dall'olio della lampada che aveva rotto poco prima.

Un'idea le frullò per la mente.
Si sfilò le scarpe e si alzò di scatto, afferrò tutte le lampade ad olio presenti in casa e si diresse velocemente verso i sotterranei. Accese tutte le torce per illuminarli e su buona parte del pavimento davanti a una porta di ferro e sull'ultima scala  di liscia pietra bianca riversò tutto l'olio che aveva a disposizione, stando ben attenta a non scivolare lei stessa.

Ritornò al piano superiore e si accorse che il grosso animale era già riuscito ad entrare.

«Ehi! Sono qui!» lo chiamò per invogliarlo a seguirla, cosa che fece immediatamente.

May corse ancora una volta lungo le scale che portavano ai piani inferiori inseguita questa volta da quella bestia assetata di sangue. Nell'ultima rampa però, invece di continuare a percorrere gli scalini May si lanciò dal corrimano. La bestia ebbe un attimo di esitazione, ma spinto dalla foga del momento poggiò le zampe sul primo scalino cosparso di olio, che lo fece scivolare e rotolare fino in fondo, fino al pavimento, sul quale scivolo ancora, superò la porta di ferro e sbatté nella parete opposta. La donna si apprestò a chiudere la porta così da sigillarlo in una delle celle di ferro presenti. La creatura si ritrovò a ringhiare con ferocia oltre quelle spesse sbarre, contro le quali continuava a ribellarsi.

May si appoggiò alla parete, con il cuore in gola e il braccio stretto in una mano. Tirò un sospiro di sollievo mentre osservava con attenzione quella creatura. 
Era sicuramente un lupo, grande più di un orso e nero come la notte, doveva essere lui la causa di tutti quei morti.
May ritrovò la calma e afferrò la torcia appesa al muro. La bestia era ricoperta di olio infiammabile, sarebbe bastata una scintilla per ucciderlo e liberare il mondo da quell'essere.

Si avvicinò alla gabbia e lo guardò per un istante nei suoi occhi gialli, che brillavano come pepite d'oro. Nonostante la stazza sapeva che quella cella avrebbe resistito senza problema a qualsiasi suo tentativo di fuga... ma dopotutto era solo di un mostro, di un assassino che si stava parlando, no?

La donna avvicinò la torcia alla gabbia... il lupo cominciò ad andare avanti e indietro come se non riuscisse a trovare pace.

May non ci riuscì, non ne ebbe il coraggio, così dopo un sospiro ripose la torcia al suo posto, decidendo che ne avrebbero discusso la mattina seguente, quando anche lui sarebbe stato in grado di farlo.

Ritornò indietro decidendo che quella notte sarebbe rimasta a dormire in quel luogo, cosa che solitamente non amava fare, e durante il tragitto notò qualcosa brillare sul pavimento.
La raccolse, era una targhetta, su di essa vi era inciso il nome "Oliver". 

Dedicò un ultimo sguardo al lupo trovandolo sconfitto a leccarsi le ferite, infilò la targhetta in tasca e dopo ciò decise finalmente di porre fine a quella interminabile giornata.
   
 
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