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Autore: Giughi10    22/10/2021    0 recensioni
Quattordicesimo prompt del Writober 2021 indetto da fanwriter.it (Lista PumpINK)
L'apprendistato di un Cavaliere è faticoso, talvolta brutale. Desiderio lo sa molto bene, ma non può tirarsi indietro né tantomeno abbandonare chi fa affidamento su di lui.
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Nuovo Personaggio, OC (Original Character)
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'De Bello Sancto'
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Le dita avevano iniziato a perdere sensibilità, le sentiva gonfie e goffe. Provò a muoverle dentro il secchio di ghiaccio e stilettate di dolore gli pervasero le mani. Guardò con occhi lucidi il suo maestro, che sedeva immobile davanti a lui. "D'accordo, per oggi basta così." Ritirò le mani e se le strinse in grembo, cercando di scaldarle strofinandole tra loro. L'uomo portò via il ghiaccio, prima di risistemarsi davanti a lui. Gli prese con fermezza le mani e le tenne tra le proprie. "Se al tuo cuore arrivassero flussi di sangue freddo e caldo troppo in fretta rischieresti anche la morte." La sua voce monocorde lo mandava ai matti: come se non si stesse parlando della propria vita. Pian piano le dita si scaldarono, mentre comparivano bolle e vesciche. Lo osservò mentre applicava miele e bende sterili, trattenendo i piccoli spasmi. Si era alzato e si stava dirigendo verso la sua stanza. "Aspettate! Ditemi che è uno scherzo. Come mangerò? Come mi cambierò?" "Tranquillo, passeranno presto." "Non avete nemmeno la decenza di guardarmi in faccia mentre lo dite?!" I suoi occhi gelidi lo tramortirono: "Passeranno presto. E meglio che ti abitui: non saranno di certo le ultime."

"Santo cielo, che hai fatto alle mani?" Violenti colpi di tosse gli ruppero la voce. "Ti pare il momento, Antares?" Posò delicatamente le mani fasciate sul suo petto, per poi risalire lentamente, massaggiandogli il collo e la mandibola. La tosse si placò dopo qualche minuto, la gola che bruciava e raschiava in cerca di aria. Premette il viso contro le sue dita mentre riprendeva fiato. "Non posso nemmeno più lasciarti dormire in pace." sbottò improvvisamente, in una risata nervosa. Gli carezzò appena la guancia. "Stupido, ho promesso che ti avrei aiutato tutte le volte che sarebbero servite. Che Cavaliere sarei se non mantenessi le promesse?" Gli posò un bacio sul polso, le labbra calde sulla vena pulsante.

"Come credi di poterti abituare così?" Improvvisamente il Cosmo del suo maestro gli si rovesciò addosso come una cascata gelida. Sentiva il cuore battere all'impazzata, il respiro spezzato e i muscoli che vibravano come impazziti. Serrò una mano contro i denti, per evitare che battessero gli uni contro gli altri. "Questo non è nemmeno lontanamente come il freddo assoluto, il livello che dovrai raggiungere." Lo lasciò senza preavviso nella morsa del caldo estivo. Il proprio Cosmo lo avvolse istintivamente, ricreando quella temperatura folle che l'uomo gli aveva scagliato contro. L'energia si scaldò gradualmente, e così il corpo. Era spossato, ma una nuova secchiata siderale gli fece sfuggire un gemito di dolore. Si ritrovò inginocchiato, rannicchiato su se stesso, la fronte contro il pavimento di marmo, che ora gli sembrava piacevolmente tiepido. Il terrore lo invase quando distinse la temperatura abbassarsi ancora e ancora. Un istante prima camminava sul mare ghiacciato, quello dopo era sprofondato nell'acqua e le lastre si erano sigillate sopra di lui in una trappola letale. I piedi e le mani diventavano rapidamente insensibili. Bevve quell'oceano salato nel tentativo di rimanere a galla: il freddo iniziò ad avvinghiargli le viscere, come un polipo che allungava i tentacoli. La sua coscienza stava venendo trascinata giù, nonostante urlasse e implorasse e piangesse.

Smise di tremare. Ma il gelo era lì, che gli bruciava nelle vene. Il Cosmo ardeva di paura, mentre sentiva che il corpo si sarebbe potuto sgretolare al minimo errore. L'uomo torreggiava su di lui, in placida attesa. "Desiderio!" Antares li fissava, sulla porta del Tempio. Ansimava pesantemente, i capelli rossi scarmigliati. Si avvicinò ma un braccio del Cavaliere gli bloccò il passaggio: "Non puoi fare nulla per aiutarlo." "E lo dici proprio tu che gli hai fatto questo?! Desiderio, Desiderio, mi senti?" Venne spinto indietro poco cerimoniosamente: cadde a terra, le gambe deboli. "Facendo così rischi solo di ucciderlo. Se perde la concentrazione morirà." Lo fissò sgomento: "Che gli hai fatto?" "Deve ricevere lo zero assoluto e riuscire a sopravvivervi. Ma questa battaglia è solo sua: una distrazione, un errore e potrebbe addirittura cessare di esistere." "Come puoi essere così calmo? È il tuo allievo, non hai a cuore la sua vita?" Si voltò verso di lui e lo guardò. Le lacrime si erano ghiacciate sulle ciglia e sulle guance in piccole perle. Si avvicinò e si inginocchiò davanti a lui, le dita a sfiorargli il petto dolorante. "E tu? Sei corso fin qui dall'Ottava Casa, solo per lui." L'uomo lasciava scivolare il Cosmo una goccia alla volta, come un miele fresco che si spandesse sui suoi polmoni. Quel liquore, un sottile rivolo sciolto lungo una montagna di ghiaccio, aveva un sapore dolceamaro che lo stordì. Si ritrovò a singhiozzare: "Anche Desiderio finirà così?" Gli porse un fazzoletto: "Al contrario di me, ha qualcosa che lo scalderà." Si volse verso il suo allievo, ancora immobile: gli occhi chiusi, il corpo irrigidito. "Ascoltami, Antares: ho bisogno di te."

L'aria era quasi dolorosa mentre entrava umida nei polmoni. Non riusciva a percepire nient'altro. Si aggrappò a quel filo: ne seguì il percorso ritmico e lento, avanti e indietro. Dai polmoni irradiava un leggero calore palpitante, che pian piano tentava di spandersi in tutto il corpo. Il Cosmo stava cercando di arginare quel gelo, raccogliendone man mano le lastre e inglobandole. Il lavoro era esasperante, il tempo tirato fino agli estremi, come una pelle di montone. Da quanto era lì, a scavare e a sciogliere, grammo dopo grammo, quella neve indurita? Il sonno lo stava vincendo. Non voleva addormentarsi, no! Doveva rimanere sveglio e sconfiggere quella terribile valanga che lo aveva sepolto, ormai una tomba di diamante. Una voce lontana, ovattata, gli sfiorò l'orecchio. Un ago gli punse il cuore, dandogli una piacevole scossa di tepore. Un veleno che spingeva il corpo a pulsare, a vivere più ardentemente per morire nel minor tempo possibile. Un fuoco che lo invitava a consumarsi, a farsi divorare. Avvolse quella violenta scintilla incandescente nell'acqua fresca che si raccoglieva dentro di sé e la fiamma divenne metallo temprato: uno scalpello che si sarebbe aperto la strada nel ghiaccio. Riprese a scavare, un passo dopo l'altro. L'ultima scheggia la prese tra le dita, strappandola dal cuore. Il suo Cosmo, ormai un otre, custodì quel gelo puro, come il mare che cela nei suoi meandri più profondi bestie senza nome. 

Le coperte di morbida lana lavorata avevano creato un bozzolo di calore. L'odore pastoso della cera che si scioglieva gli riempiva le narici e la luce calda della candela premeva delicatamente contro le palpebre. Qualcosa di caldo era avvinghiato al proprio corpo, il respiro regolare che gli solleticava l'orecchio. Si girò lentamente su un fianco e abbracciò Antares, la fronte contro la sua. "Sei sveglio?" Annuì in risposta al bisbiglio, mentre le unghie dell'altro gli graffiavano la schiena. Aprì gli occhi: i suoi erano segnati dalle occhiaie e grosse lacrime copiose inumidivano il cuscino. Quando si accorse che lo stava guardando, nascose il viso nei suoi capelli, una mano a tenergli fermo il capo. Gli carezzò la pelle tiepida. "Santa Athena, io... Non ti svegliavi e non riuscivo a scaldarti." Le parole erano rotte dal pianto: "Ti ho avvolto nel mio Cosmo per un giorno intero, ma rimanevi freddo. Non sapevo più che fare e quello stronzo di certo non mi avrebbe aiutato. Sapevo solo che non potevo fermarmi, capisci? Dovevo salvarti. Ti ho instillato un po' del mio fuoco..." Strofinò il viso contro il suo collo, tirando su col naso. "Credo che rimarrò abbastanza freddo, da ora in poi. Ma non morirò: ho una promessa da mantenere, no?"

Il ragazzo era caduto in ginocchio, i colpi di tosse violenti e tinti di sangue. Allontanò con uno schiaffo la mano di Desiderio, il Cosmo che bruciava. "Ce la faccio." aveva ringhiato in un rantolo. "Dai, Antares, non fare stupidaggini per colpa dell'orgoglio. Siamo tuoi amici e sappiamo che ce la metti tutta. Non serve a nessuno se ti fai male." "Credi che mi interessi?! Questa malattia mi ucciderà comunque! Lasciami libero almeno di combattere. O dovrei crepare steso a letto?" "Non è questo che intendevo, Antares." "Forse non ti è chiara una cosa, a nessuno di voi lo è! Soffrirò comunque! Starò comunque male, che io mi alleni o meno! A questo punto tanto vale dare la mia vita ad Athena, ogni singolo istante, e bruciare fino a consumarmi, senza riserve! Che io mi spenga oggi, domani o tra un anno non mi importa." Si sollevò, il petto che si abbassava e alzava rapidamente. Fissò Desiderio negli occhi, sputando le parole come veleno: "Hai un bel coraggio a dirmi di non esagerare, con quel gelo assurdo che a momenti ti disintegrava. Almeno io ho scelto di distruggermi, tu eri in balia di quel folle." Si allontanò a passi veloci, il Cosmo ardente pronto a pungere a morte.

La tosse non lo aveva abbandonato per il resto del giorno. Il sapore del sangue gli si era aggrappato alla lingua e pure respirare faceva male. Le lacrime gli annebbiarono la vista, mentre si rannicchiava tra le lenzuola. Si morse il labbro, i singhiozzi che premevano per uscire. Quelle stanze non gli erano mai sembrate così vuote, avvolte com'erano in un silenzio opprimente. Si vide su quel letto, i polmoni immobili e il corpo che si faceva freddo. Un piccolo gemito gli sfuggì dalla gola, prima di rompersi in pianto: sarebbe stata una dipartita solitaria e dolorosa, le ultime convulsioni alla ricerca d'aria. La solitudine disperata e la paura scolpite sul volto.
Si sollevò in preda al terrore e iniziò a camminare avanti e indietro. Non voleva dormire: se doveva morire preferiva crollare a terra che non rantolare fuori dal letto. "Non riesci a dormire?" Si voltò verso di lui: "Che ci fai qui?" "Volevo assicurarmi che stessi bene. E volevo scusarmi." I suoi occhi vennero attratti dall'otre che stringeva tra le dita. Lo prese, lo aprì e bevve: l'acqua era dolcemente fresca. Si passò il dorso della mano sulle labbra: "Non devi scusarti." "Invece sì. Sei il più coraggioso di tutti noi, o il più testardo." Gli si avvicinò, posando una mano sulla sua nuca per non farlo allontanare: "Ma ti prego, non comportarti da stupido o orgoglioso: malattia o meno, non vogliamo vederti così presto nell'Ade. Io non voglio. Permettimi di aiutarti." "E allora perché sei venuto solo ora?" Un sorriso dispiaciuto: "Avevo paura della tua reazione." Lo abbracciò: "Fa' una cosa simile un'altra volta e poi vediamo chi è il vero stupido." brontolò con poca convinzione contro il suo collo. La risatina di Desiderio gli vibrò lungo la gola come le fusa di un gatto. "Quando starai male, basterà che mi chiami. E ora dormiamo un po'."

   
 
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