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Autore: AlsoSprachVelociraptor    22/10/2021    0 recensioni
[WRATH (corto 1997)]
Uno scorcio della mente complicata di Seamus Webb, appena tornato sulle scene indie-punk dopo una lunga pausa. Molto è cambiato nella sua vita, ma nel labirinto che è la sua mente c'è ancora un gran casino, e le pozze di catrame di La Brea.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le unghie entrano nella carne, e cercano di strapparla via, e la sensazione che è rimasta su essa. Un tocco. Come avevano fatto ad avvicinarsi così tanto?

Il concerto degli Spunk era finito, e Seamus, basso sfasciato tra le dita indolenzite, stava tornando nel backstage, dando la schiena al pubblico. Una massa informe di braccia e corde vocali, uno sciame di insetti senza volti.

E va bene che siano così- Seamus non li vuole in nessun altro modo. Quelle non sono persone- dunque può fare quello che vuole. Le persone sono tremende, sono animali pericolosi, ma gli insetti pungono e basta. Delle volte nemmeno quello. Delle volte sono solo puntini neri sotto il suo polpastrello, altre volte sagome scure sbrindellate contro un muro bianco dal suo pugno.

Poi aveva sentito il suo nome, e un paio di quegli insetti lo avevano morso, le loro mani sul suo braccio, schiena, petto, artropodi dalle mille mani che si ancoravano alla sua pelle, scivolavano sotto essa, e Seamus aveva smesso di respirare e reagire e pensare. 

Con una gomitata e un pugno e qualche movimento involontario del suo corpo, in qualche modo, quelle tre fan erano state allontanate, e Seamus era corso nel backstage, inciampato su qualcosa, e caduto per terra.

Altre mani l’hanno aiutato a sollevarsi- ma quelle sono conosciute. Le mani di Hoover sono diverse, familiari, hanno una unica, indistinguibile temperatura, applicano una pressione che Seamus riconosce. L’odore di Hoover- schiuma da barba da poco, deodorante scadente che a malapena copre l’odore di sudore, vestiti usurati, polvere- fa rinsavire Seamus quel poco che basta per farlo rialzare da terra, dove avrebbe voluto sprofondare, come sabbie mobili. Le fosse di catrame di La Brea, pensa Seamus mentre viene adagiato su uno sgabello. La sua mente non vuole tornare alla realtà. Ci era stato l’anno scorso, alle fosse di catrame di La Brea, vicino a Las Vegas. Avevano fatto un concerto fuori Las Vegas- o era Los Angeles? Forse era Los Angeles- e Seamus aveva sentito parlare di quel posto, e aveva voluto andarci, e Gavin come al solito aveva fatto storie e Seamus l’aveva preso a pugni. E ci era andato col suo fidanzato Hoover, e Seamus era così emozionato che Hoover l’aveva preso per mano e condotto per i vari reparti del museo a vedere teschi e animali che non esistono più.

Seamus voleva essere quegli animali ora, che erano sprofondati lentamente in quella melma d’asfalto collosa e mortale, una tomba gommosa senza scrupoli, ma il pavimento del backstage non è fatto di catrame ma solo cemento e in due, Brian e Hoover, sono riusciti a risollevare Seamus, faccia contro il pavimento, e appoggiarlo su uno sgabello vicino al muro.

“Shamy” dice Hoover, con la sua voce nasale e forse un po’ gracchiante ma tanto familiare e vicina. “Shamy, non ti hanno fatto niente.”

Seamus lo sa che non gli fanno niente toccandolo, lo sa che le mani di quelle fan non sono coperte di spine o veleno, ma cosa può farci? La sua pelle punge dove le mani sudate di quella donna l’hanno toccato, sul braccio. Punge e trema e vuole solo strapparsela via di dosso, vuole dimenticare quel tocco che continua a premere sulla pelle del suo braccio, i suoi polpastrelli fantasma ancora lì, sempre lì, sudati e vogliosi e predatori… Nemmeno le unghie nella sua carne aiutano. Sotto le unghie di Seamus, ci sono ancora quelle mani. 

Seamus si sporge verso Hoover, in piedi davanti a lui, appoggia la fronte sulla sua spalla, il naso contro il colletto della sua camicia. Puzza di vecchio, di sporco, di sudore, di polvere. Sposta il naso, tira il ragazzo a sé con una mano sui suoi fianchi ossuti- così magro, così basso, così fragile, così interessante e divertente da trattenere, spintonare, spostare come una bambolina, una barbie, il suo giocattolino personale!- appoggia il naso dietro il suo orecchio e contro i suoi capelli, sporchi e bagnati. L’odore dei suoi capelli e del suo sudore è pungente come spezie che Seamus non conosce, non sa i loro nomi, ma è un buon odore che sa di calma e di pace e di non-paura. 

“Tutto bene, cucciolo?” chiede Hoover, e la sua mano si appoggia sulla sua spalla. Sta controllando che Seamus voglia farsi toccare, i muscoli della spalla di Seamus reagiscono- un po’. Non tanto. Non troppo. È ancora troppo scosso.

Le dita affilate di Hoover non sono artigli, sono delicate e grattano teneramente la nuca di Seamus. I nervi tremano; Seamus trema, una scarica lungo la sua spina dorsale toccata, e Seamus si sente più calmo.

Hoover riesce sempre a renderlo meno arrabbiato e meno spaventato. Hoover è tutto ciò a cui Seamus mancava. Ma non è sicuro che sia amore, cos’è l’amore, del resto? Seamus sente Hoover vicino a sé stesso, lo sente sotto la sua pelle- non come quelle mani, quelle fan e i loro artigli che sbrindellano la sua pelle- Hoover è una brezza o acqua di una doccia calda. Hoover è un cerotto su un taglio e una coperta calda in inverno, quando fa tanto freddo e le ossa fanno male, e il naso sembra volersi staccare dal resto della sua faccia- Hoover si stende sempre al suo fianco, il suo alito caldo sul suo naso freddo e intirizzito. 

Hoover è qualcuno da cui non vorrebbe mai separarsi, a cui vuole dire un sacco di cose. Tutte quelle in cui passa nella confusa mente di Seamus, sempre vuota e pienissima allo stesso tempo. Spesso Seamus sta solo zitto, i pensieri che si rincorrono nella sua mente. Alcune volte non pensa affatto, non ce n’è davvero nessun bisogno.

Chissà se quello è l’amore?

In quel momento, ora, si sta perdendo nei suoi pensieri. Tanti. Troppi. Non ci stanno nella sua testa, non ci stanno nel backstage del concerto. Non c'è modo perché Seamus riesca a tenerli, come palloncini pieni di elio vogliono volare via e lui deve seguirli. La sua testa è piena d'elio, deve sbrigarsi a seguirla se non vuole rimanerne decapitato.

Seamus si alza in piedi, spostando Hoover da sé- con gentilezza, spostandolo tenendolo dai fianchi, la sua bella bambolina che lui può spostare e muovere come vuole. 

"Dove vai?" chiede Hoover e i suoi occhiali sono così spessi che Seamus a malapena riesce a guardarlo negli occhi. Alza un braccio e tocca il telaio degli occhiali, lo percorre con un dito. Devono anche essere tanto pesanti. Il naso di Hoover ha una piccola rientranza, sul ponte del naso, lì dove gli occhiali si appoggiano. È carino. Hoover è tanto interessante da guardare, lo guarderebbe per ore. Ma non ora.

Seamus deve andare- da qualche parte, fuori. Lo dice. "Da qualche parte, fuori."

Ogni tanto quello che dice coincide con quello che pensa.

Seamus percorre le navate del backstage- non sa davvero se sono navate, a dire il vero, non sa se si chiamano così- prende la sua giacca dallo sgabuzzino in cui si trova il loro camerino ed esce nella notte. 

Il freddo lo schiaffeggia, e Seamus gli ringhia contro in affronto.

La giacca è nuova, l'ha presa l'anno scorso con sua mamma e Hoover, perché quella vecchia non gli stava più. Seamus è cresciuto tanto, in quegli anni, e ancora non se ne rende conto. Seamus è un uomo ora, grande e grosso, e la barba cresce ispida sul suo viso spigoloso come un'ombra fatta d'oro sulle sue guance- Hoover l'ha chiamata così un giorno e a Seamus è piaciuto molto, e ripete spesso questa frase nella sua mente.

Seamus salta il gradino del marciapiede, si avventura nella notte, guarda per terra. In strada non c’è nessuno, quasi nessuno, no in realtà c’è della gente, ma non sono interessanti, e valgono come zero. Non c’è nessuno, effettivamente, se la si mette su questo punto di vista. E Seamus è nessuno per loro, dunque non c’è nessuno per strada. C’è un uomo che guarda l’orologio impaziente alla fermata dell’autobus, ha un ombrello appoggiato al gomito e parla al cellulare tutto arrabbiato. Il suo sguardo a malapena sfiora Seamus, e riprende a guardare il cellulare. Seamus è qualcuno, ma per quell’uomo non lo è.

Seamus ripensa ai teschi che aveva visto a Los Angeles- o era Las Vegas?- di animali caduti nel catrame. Anche loro erano niente e qualcuno allo stesso tempo?

Un mattoncino sul terreno è divelto, e Seamus ci cammina sopra. Rientra nel pavimento stradale, un po’ storto. Seamus si ferma e con qualche calcio lo rimette dritto.

Il braccio gli fa male, e sotto il dolore della pelle divelta come quel mattone di pavimento stradale sente ancora quei polpastrelli e Seamus si arrabbia, perchè non vuole quella sensazione. Non la vuole. La pelle continua a sentirla, la pelle continua a ricordarglielo. Non vuole ricordare. Seamus non vuole ricordare, vuole dimenticare, vuole far finta che anche quelle tre pazze fossero niente, vuole che non fossero mai nate, e sente i polmoni stringersi nel petto, il pomo d’adamo premersi tanto forte contro la laringe fino a chiuderla, e gli occhi si riempiono di lacrime e la testa si fa pesante e il cuore fa TUM TUM TUM TUM!!!

Seamus si appoggia con la schiena contro qualcosa- un muro, un lampione, una vetrina, non ha nessuna cazzo di importanza- e si ricorda che deve stare calmo. Fruga nelle tasche, le dita fredde non trovano niente mentre i polmoni sono ancora chiusi- quanto può rimanere senza ossigeno? Venti, trenta secondi?

Prende l’inalatore dalla tasca, se lo infila in bocca, respira, e respira davvero.

Quell’aria puzzolente scorre nei suoi bronchi di nuovo aperti, che sembrano una spugna asciutta strizzata dentro l’acqua.

Seamus si lascia cadere a terra, si siede sui suoi talloni, una mano tra i capelli sudati. Ricoperto di sudore freddo, di brividi alla schiena, quante volte gli è successo, quante volte si spaventa, per quante volte succederà, per quanti anni continuerà a spaventarsi? Il suo corpo, la sua mente reagiranno sempre così? Un giorno imparerà a reagire in un modo diverso, come quei monaci o guerrieri ninja fighissimi alla televisione, quelli vestiti di arancione che ricevono calci nelle palle e non reagiscono.

“Ragazzo, tutto bene?”

Alla sua destra un anziano signore lo stava chiamando. Seamus aveva la schiena premuta alla vetrina di un negozio, e quel tipo era uscito dal negozio, l’aveva visto da dentro avere una delle sue solite crisi respiratorie.

Seamus non risponde perchè le sue corde vocali ancora non glielo permettono. Quando tenta di articolare anche solo un verso, l’aria sembra bloccarsi ancora, e Seamus si piega in due, cade in ginocchio.

Le mani dell’uomo si appoggiano proprio giusto, esattamente, proprio dove gli insetti l’avevano punto.

Lavano un po’ via quella sporcizia. La pelle dimentica, anche solo un pochino.

“Vieni dentro, attacco d’asma? Sai, anche mia figlia era tanto malata.” continua l’uomo. Seamus lo lascia fare.

Oltre la porta l’aria è calda e c’è puzzo di chiuso, di pulito, di legno e di carta vecchia. Gli ricorda un po’ l’odore di Hoover, ma più buono. Hoover non profuma di buono, quel posto nemmeno, ma Hoover puzza molto di più, ma a Seamus piace come odore. Cosa è puzza, cosa è profumo?

Non sono un po’ la stessa cosa?

Il vecchietto lo fa sedere su una vecchia panca di legno e Seamus ci si siede sopra, e sotto al suo peso fa CRIK CRIK e Seamus si muove un po’, avanti e indietro coi fianchi, per riprodurre quel suono. Anche la panca sembra vecchia.

Seamus alza lo sguardo e appeso al soffitto c’è un grosso aereo di legno! 

È fatto come quei vecchi aerei che si vedono nei film sulla prima guerra mondiale, o forse anche prima, quelli con le quattro ali che in realtà sono due ma una sopra l’altra, e l’elica davanti, è appeso al soffitto e si muove e sballonzola un po’ mosso dall’aria fredda che entra dalla porta aperta, e vicino all’areoplano ci sono delle altre eliche colorate, e altri modellini di altri aerei appesi ma più piccoli e Seamus rimane a guardarli.

Sono proprio belli.

“Ti senti meglio?” chiede il vecchio seduto dietro al bancone della cassa, tutto magrolino coi capelli grigi e gli occhiali sul naso e a malapena Seamus riesce a vederlo in mezzo ai libri in cui è sepolto.

Seamus gli annuisce, e lo guarda negli occhi, e la sua espressione non muta ma nella sua mente mille domande lo assalgono, mille quesiti a cui non può dare risposta perchè sono quesiti sulla mente del vecchietto, e lui non ci può entrare nella sua mente. Cosa ha spinto il vecchio a farlo entrare nel suo negozio, ad aiutare uno sconosciuto, un nessuno? Forse voleva solo toglierlo dalla sua vetrina, forse è solo un buon samaritano che aiuta tutti i nessuno che si appoggiano alla sua vetrina?

E se non fosse stato Seamus, ma un drogato, un ladro, un assassino?

Come faceva, quella canzone? Quella che parlava del pescatore che dava da mangiare a un assassino, e pure il vino? All’ombra dell’ultimo sole si era assopito un pescatore…

Seamus si mise a canticchiarla, fischiettarla, ma non sapeva le parole e non sapeva pronunciarle e non sapeva quella lingua. Era Hoover l’appassionato di ste robe, ste canzoni vecchie straniere che Seamus non aveva mai sentito e Hoover e i suoi amici strambi di teatro si divertivano a sentirle, tradurle, e poi spiegavano il testo e Seamus spesso era lì ad ascoltare, quasi sempre per caso, e alcune erano interessanti come questa qui che si era appena ricordato ed era appena successa! Qualche volta queste canzoni lo facevano diventare mogio, per nessun motivo, e non gli piaceva quella sensazione di magone improvviso.

“Il Pescatore!” disse il vecchio con un sorriso. “Come la conosci?”

Seamus alzò le spalle. Non importava che il vecchio sapesse di Hoover e dei suoi amici di teatro.

“Ti interessano le canzoni straniere?” e Seamus negò perchè davvero non gliene fregava niente di quelle ballate noiose. Seamus era un punk. A lui piaceva gridare e sfasciare cose e picchiare qualcuno col suo basso e gridare parolacce e mandare affanculo la gente. Non gliene fregava niente di fare dei testi difficili e noiosi, non gliene fregava niente di dare un messaggio- a chi avrebbe dovuto dare un messaggio? A quegli stronzi che lo seguivano ovunque, picchiavano i pugni contro la porta della sua casa alle tre di notte, quelli che lo prendevano, tiravano, toccavano, lo sbranavano vivo, ripulivano le sue ossa come gli spazzini che erano, maledette iene e avvoltoi e sciacalli affamati dai denti e becchi aguzzi…

Seamus si accorse di essere in una libreria. Anche giocattoleria. E robe di legno e poster e ci sono anche dei vinili e c’è un sacco di roba e tutta sembra vecchia.

Il vecchio nota lo sguardo di Seamus vagare, parla ancora. “Ti interessa qualcosa? Ho tantissimi libri che parlano di tantissime cose.”

Seamus fa il giro completo della libreria con lo sguardo, non si alza in piedi, è stanco e non ne ha voglia e la gola gli fa ancora un po’ male e anche qualche pezzo di cervello fa male dallo sforzo di respirare e calmarsi prima dunque rimane seduto e pensa che in effetti aveva pensato a qualcosa di cui vorrebbe saperne di più, ma non ha trovato nessuna serie o film o documentario che ne parlasse…

“La Brea?” chiede Seamus e la sua voce è ancora rauca e fa male parlare e le sue corde vocali sono ancora tutte intirizzite da quell’attacco prima.

“Scusa?”

“Le pozze di catrame di La Brea.” ripete Seamus, più innervosito. “L’era glaciale.”

“Oooooh!” fa il vecchio, che si alza e cammina dall’altra parte della stanza e Seamus lo segue solo con la coda dell’occhio, e poi ritorna con un paio di libri.

Seamus non è mai stato interessato a leggere. Leggere è difficile, le parole sono difficili da mettere una dopo l’altra, perchè sembrano fuggire sotto il suo sguardo, le lettere si mischiano, le parole sono miraggi che a ogni movimento del suo occhio cambiano forma, delle volte spariscono, delle volte si moltiplicano e delle volte non hanno senso e vanno riguardate più volte, tante volte, perchè formino qualcosa che ha senso.

Spesso sono vento che vola dentro i suoi occhi e poi esce dalle orecchie, e finita la frase Seamus si ritrova il cervello vuoto, quelle parole scappate via come animali con una gabbia aperta, e si arrabbia, butta via il libro, strilla e si promette di non riprovarci mai più, tanta fatica per nulla.

Ma sulla copertina del libro ci sono un mammuth e una tigre dai denti a sciabola, sommersi fino alle ginocchia e gomiti nel catrame…

Seamus allunga le mani, afferra i libri e li tira a sé.

“Dimmi, c’è qualcuno che posso chiamare per te?” chiede ancora il vecchio, e probabilmente pensa che Seamus sia uno di quei poveri bimbi incastrati nel corpo di adulti, dalla mente lenta e vacante, dal bisogno costante di aiuto- Seamus non è così. Il suo sguardo si fa torvo, le nocche bianche, il viso rosso e le sopracciglia arruffate e aggrottate sulla fronte come la faccia sempre più calda.

Seamus non è un... uno di quelli. Ha passato una vita intera a farsi additare come il bambino speciale, indicato, messo in un angolo, trattato come meno- lo vedeva, l’ha sempre visto negli occhi delle maestre stanche e piene di pietà e dei bambini che gli ridevano addosso- e poi piangevano, quando lui li picchiava. Bambini del cazzo. Maledetti bambocci pidocchiosi, lui odia i bambini. Aveva anche provato a picchiare una maestra, aveva osato trattarlo come un bambino piccolo, diverso dai suoi compagni di classe, inferiore- 

Beh, Seamus ha bisogno di qualcuno al fianco, in effetti. Spesso si dimentica quello che deve dire, fare o dove deve andare, non ha ancora ben capito come usare una lavatrice (e non ha alcuna intenzione di imparare, troppo complesso, inutile) o lavare i piatti (fa schifo, e poi tanto vanno sporcati di nuovo! Stessa cosa con il letto, perchè rifarlo? Perchè allacciare le scarpe? Quel nodo è stupidamente complesso, inutilmente complesso, non c’è nessun bisogno di allacciare una scarpa in quel modo. Un nodo normale basta e avanza, chi l’ha detto che una scarpa va allacciata con quel stupido schifoso fiocchetto?). Seamus… 

Rilascia i pugni.

Sospira.

Ha dei bisogni diversi, ma non ha quelle mancanze che gli attribuiscono. Ma non sa come dimostrarlo. Non sa esprimere le emozioni sul suo viso e non sa quello che gli altri cercano di dirgli. Non riconosce il pensiero sul viso del vecchio- preoccupazione? Pietà? Paura? Curiosità? E non ha nessun modo per saperlo. 

“So tornare da solo. Sono venuto qua da solo.” ringhia, troppo veloce, forse il vecchio non ha capito, si è mangiato qualche lettera. 

Ma poi sbuffa, ringhia, lascia perdere. Che pensino quello che vogliono. La rabbia ribolle dentro di lui, come bolle calde in una pozza di catrame.

La Brea, quel libro che quel vecchio che sta continuando a fissarlo gli ha portato.

Seamus si lascia piegare a quel momento, accetta il suo destino. Da il numero di cellulare di Hoover, l’ha imparato a memoria perchè Hoover ha voluto che Seamus fosse sempre al sicuro, sa che lo sta cercando, sa che è preoccupato per lui.

Anche il suo Hoover lo considera un inferiore, qualcosa da proteggere fatto di porcellana e vetro e cartapesta, qualcuno di incapace di badare a sé stesso?

Seamus guarda i mammuth disegnati e non li vede. Seamus è davvero capace di badare a sé stesso, d’altronde? Ha mai fatto qualcosa da solo, nella sua vita?

Aggrotta di nuovo le sopracciglia. No, non davvero.

“Chiamo, tu puoi rimanere qui quanto vuoi, tranquillo.” gli spiega il vecchio gentile, prende un vecchio cordless e digita i tasti che producono un rumore. ding dong dong ding dong deng ding ding deng, riconosce i numeri che digita e sa che è il telefono di Hoover.

“Ah, qual è il tuo nome?” chiede il vecchio libraio, il telefono già all’orecchio.

“Seamus” risponde Seamus, senza guardarlo in faccia.

L’uomo scompare in una camera sul retro, Seamus tocca le copertine dei libri. Uno è nuovo e le pagine sono bianche e rigide sotto i suoi polpastrelli, l’altro è più vecchio, un po’ ingiallito e profuma di buono. Seamus si piega, annusa la copertina, annusa i fogli che formano lo spessore del libro, ha sentito un profumo del genere sulle mani di Hoover una volta o due. Questo quasi porta un sorriso sulle sue labbra tese.

Apre quello con la copertina del mammuth e dello smilodonte, e sfoglia le pagine. Le parole sono piccole, fitte, tantissime, una folla riunita sotto al suo palco ma le persone- gli insetti sono lettere, e lui è lui, ma non ha un basso in mano ma solo un libro.

Strizza gli occhi. Legge la scritta sotto una foto in bianco e nero, davvero brutta e poco comprensibile che lui capisce solo perchè c’è stato in persona e l’ha vista a colori e non stampata da una stampante da poco, di La Brea. 

Gli scavi di recupero delle ossa.. no, ha letto male. Torna indietro. Gli scavi per il recupero delle ossa fossili iniziarono nel… tante X e I che Seamus non sa leggere. Seamus si perde, salta righe intere, si trova frasi smangiucchiate a metà che non hanno senso. Sbatte un pugno sul tavolino su cui è appoggiato, ringhia, sbuffa, strizza gli occhi che già iniziano a intrecciarsi.

Preme un dito sul foglio, forte, e se fosse stata una persona avrebbe gridato dal dolore ma non era fatto di carne ma solo di carta. 

Originariamente, che parolona, molto lunga, ma abbastanza particolare perchè Seamus possa capire che parola sia senza leggerla tutta, originariamente si pensava che risalissero all’ultimo periodo glaciale… circa… 3mila.. no, 30.. cento? Mila? Quanti zeri!

Quando il vecchio trova ritrova Seamus chino sul tavolino e sul libro, un dito a scorrere sulla pagina, la faccia vicinissima al foglio, a tentare di analizzarne i segreti, qualche parola che sfuggiva dalle sue labbra mentre leggeva faticosamente.

Leggere era sempre stato difficile, da quando Seamus ricordava, e non gli era mai particolarmente importato- ma aveva un punto da stravolgere, quello che lui era capace di fare qualcosa, anche solo leggere da solo quel libro.

Ma non ce la faceva.

“Vuoi che te lo legga io?” fece il vecchio, prendendo gli occhiali che aveva appesi al collo con un cordino e mettendoseli sul naso. “Io so leggere bene, ho letto a tante persone. Non vergognartene.”

Seamus scrolla le spalle, sbuffa, si siede a gambe aperte e riverso sulla panca e non gliene importa più niente. Vuole solo che Hoover si sbrighi a venirlo a prendere, vuole andare a casa e buttarsi sul letto e dormire, vuole prendere un braccio di Hoover e morderlo anche se Hoover gli dice che gli fa male (e che gli piace e vuole che continui) coi suoi denti appuntiti un po' rotti dalle risse, un po' mai nati per conto loro.

Seamus si infila un dito in bocca e ha il sapore di sporcizia perché è caduto per terra e suonato il basso e picchiato gente e altre robe, e passa il polpastrello sui bordi seghettati dei suoi denti; appuntiti. Come quelli di una tigre dai denti a sciabola.

L'uomo si siede al suo fianco e inizia a leggere, lentamente come se sapesse quanto tempo ci vuole a Seamus per elaborare qualcosa. E Seamus sta zitto e lo ascolta, sì e no, ogni tanto si confonde e pensa ad altro ma quello è un libro per bambini e non è così difficile da seguire, e poi parla di roba che lui ha visto coi suoi stessi occhi.

"Io ci sono stato al museo. Con Hoover." Spiega Seamus, indicando e picchiando il dito forte su una stampa, stavolta a colori, di una foto del museo di La Brea e il vecchio fa oohh e Seamus si dimentica di spiegare perché e chi sia Hoover e non gli interessa nemmeno spiegarlo e il vecchio annuisce lo stesso come se avesse spiegato qualche formula matematica stramba.

Il vecchio legge per un numero illimitato di minuti e Seamus picchietta le dita sul tavolo e gioca con le insenature del legno sotto le sue dita e stacca un pezzetto di legno e poi guarda in alto e rimane ad osservare l'aereo di legno.

È davvero grosso. Ed è piccolo allo stesso tempo.

Dalla porta che da sulla strada vuota e nera appare una figura proprio piccola e striminzita ed è Hoover- Seamus lo fissa, senza espressione. È felice di vederlo, ma era abbastanza felice anche prima d'altronde.

"Shamy!" fa lui e si avvicina, gli tira indietro i capelli dal viso, lo esamina come un dottore e Seamus odia i dottori dunque si tira indietro con uno scatto rabbioso e Hoovy lascia perdere. 

"Hai rotto qualcosa? Dobbiamo pagare i danni?" gli chiede Hoover e Seamus non risponde. Perché dovrebbe? Non ha fatto niente di male. Ogni tanto fa qualcosa di male ma il giorno non è quello.

"No, abbiamo solo letto un libro." Spiega il vecchio e Hoover sorride tutto sghembo. "Sei diventato un nerd anche tu?" gli chiede direttamente Hoover e Seamus non si interessa né a guardarlo né a rispondere perché non è vero, la domanda non è interessante, non è degna nemmeno di un pensiero, e Seamus allora non ci pensa e continua a guardare dove stava guardando prima.

Seamus strappa il libro di mano al vecchio, perché lo vuole prendere, e prende anche l'altro e lo sbatte sul petto magro e sottile di Hoover che fa un verso strozzato.

L'auto è parcheggiata fuori. Seamus si alza in piedi, barcolla un po', e cammina verso l'uscita.

"Lo prendiamo?" gli chiede Hoover e Seamus risponde con un eh che vuol dire sì mentre se ne va.

"Ehi, non si saluta?" fa ancora Hoover e allora Seamus si ferma sulla soglia, i sedili morbidi dell'auto sono così vicini e invece deve rispondere a domande stupide come quelle.

Si volta a guardare Hoover alla cassa e il vecchio e continua a sorridere come un idiota. "Tanto torno."

Esce, sale in macchina e nota l'autista, il suo solito autista, quello che Hoover ha ingaggiato per scarrozzarli in giro perché nessuno dei due sa guidare, apre la portiera e si abbandona sui sedili posteriori, dislocato e disordinato come un mucchio di ossa in un sacco. 

Deve rimanere un po' piegato perché i sedili posteriori sono un po' corti per lui, è lui grosso o è la macchina piccola?

Si apre ancora la portella e Hoover sale a bordo, alza la testa di Seamus, e se la mette sulle gambe come è solito fare. Le sue cosce sono magre e dure, il ventre contro il retro della testa di Seamus è piatto e una sua mano è tra i suoi capelli ed è molto rilassante.

Non comodo ma confortevole. 

Seamus allunga un braccio, tocca con il dito il soffitto dell'abitacolo, e poi lascia cadere il dito un po' giù, indica qualcosa di appeso che non c'è- non ancora. Dondola il dito come dondolava appeso al negozio, all'aria della notte.

"L'aereo, lo voglio."

E poi si mette più comodo possibile e Hoover gli passa i due libri che ha preso. Se li stringe al petto, dove può sentirli meglio.

"Domani te ne leggo uno, che ne dici?"

Seamus risponde con un grugnito di affermazione; ci sta, ma è troppo stanco per sapere se il giorno dopo avrà voglia di ascoltare Hoover decantare un libro per bambini, e ora non ha voglia di pensare e rispondere ed ha sonno.

"C'è un'oretta di strada al nostro hotel."

Il tempo perfetto per un sonnellino.

   
 
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