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Autore: Ai_Sellie    22/10/2021    1 recensioni
Solo una semplice raccolta di frammenti di vita, ambientata in un universo in cui nessuno sa fare i miracoli e Archibald e Vittoria sono solo due persone come tante. Nulla di più, nulla di meno.
(Perché sono bellissimi e meritano tutto l'amore del mondo. ♥)
[Modern!AU]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Archibald, Berenilde, Vittoria
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Il mio piccolo contributo alla challenge L'Attraversalibri indetta da SkiMari sul forum Ferisce più la penna. ♥


ATTENZIONE! Spoiler enormi su Archibald.



There are pieces I usually hide
But when you collect me with your steady hand
With a language that I understand
I feel put back together inside
("Ease my mind" - Ben Platt)




La prima volta che una delle mille anonime camicie bianche che sei solito indossare si strappa, invece che gettarla e sostituirla con una nuova cucita su misura, come avrebbe fatto un qualsiasi altro membro della tua famiglia, decidi di provare ad aggiustarla.
Armato di un ago dalla punta storta e una vecchia spoletta di filo rosso trovati per caso in fondo a un cassetto, ti siedi a gambe incrociate sul pavimento e passi l’intera serata a cercare di rammendare quel piccolo strappo, ottenendo come unico risultato quello di creare una vistosa macchia rossa in mezzo a quella che, fino a poche ore prima, non era altro che una distesa perfetta di bianco puro e immacolato.
Pazientina storce il naso e corruga la fronte, quando ti presenti a colazione la mattina dopo, il colletto sbottonato ed il groviglio di filo rosso ben visibile sulla spalla, poi scoppia a ridere, arricciando le labbra in una piccola smorfia disgustata.
« Piantala di fare il buffone, scordatelo che ti lascio accompagnarmi a scuola conciato così! E già che ci sei smettila anche di provarci con i genitori delle mie compagne, è imbarazzante ».
Tu ti limiti a sorridere.
Sistemi una tazzina sotto l’erogatore della macchinetta e ti spalmi una dose più che abbondante di marmellata sulla fetta di pane tostato, mentre aspetti che il caffè sia pronto.
La camicia non te la cambi e probabilmente è solo il pretesto che aspettava da tempo, perché dalla settimana successiva lei comincia sempre più spesso a scegliere l’autobus, preferendo sacrificare un’ora di sonno piuttosto che farsi vedere dalle sue amiche in tua compagnia.
Ancora una volta ti limiti a sorridere, lanciandole ogni tanto qualche battuta sull’importanza delle ore di riposo per la bellezza della pelle, e un po’ per noia, un po’ per dispetto, continui comunque a cercare di aggiustare invece che gettare, anche se cucire non è mai stata la tua vocazione e la camicia comincia gradualmente ad assomigliare sempre di più ad un campo di battaglia disseminato di mille segni rossi, che sembrano farsi più storti e spezzati mano a mano che sempre più membri della tua famiglia scelgono deliberatamente di proseguire la loro vita lasciandoti indietro.
Quando infine anche Pazientina vola a studiare lontano, senza quasi salutarti e portandosi dietro anche tutte le altre sorelle, per un lungo momento ti senti immensamente sollevato – se ti stanno lontane non puoi infettarle più di quanto tu non abbia magari già fatto –, poi arriva il dolore.
La solitudine che hai sempre avvertito strisciarti addosso come un serpente invisibile, pronto a colpire ad ogni passo falso, ti si serra intorno all’improvviso così forte che per un istante muscoli, cuore e polmoni sembrano come annichilire su loro stessi.
Smetti di respirare ma non di sorridere, perché finché continui a sorridere nessuno si accorgerà che dietro non c’è niente.
Le tue giornate, scandite da sempre dai battiti costanti di un cuore che nonostante tutto continua, testardo e instancabile, a pompare in circolo quel sangue marcio che ha ucciso i tuoi genitori, che ucciderà te e che potrebbe un giorno uccidere una qualsiasi delle tue sorelle, si fanno ancora più uguali e monotone, nonostante le sempre più numerose avventure tra le braccia di persone di cui a stento ricordi i volti con cui cerchi di riempirle.
Poi arriva Vittoria.
Vittoria che è una manciata di capelli del colore del sole e pianti insolitamente silenziosi. Vittoria che è due minuscole mani tese verso il tuo viso e rigurgiti sulla spalla le rare volte che riesci a convincere Berenilde a lasciartela prendere in braccio. Vittoria che è due occhi enormi che ti guardano con curiosità e mai vergogna – per quello che fai, per quello che sei – e un’irrefrenabile voglia di attirare la tua attenzione e farsi ascoltare, anche se una voce non ce l’ha.
Vittoria che è risate e giochi e notti insonni passate a studiare quella lingua nuova e sconosciuta per poterla sentire anche tu, la sua voce, e scherzi e sorrisi e un affetto incondizionato così grande che ti riempie il cuore fino a fare male, e per la prima volta ti fa sentire un po’ meno rotto.
Vittoria che nonostante l’apprensione costante di sua madre con cui cresce è un inafferrabile e testardo raggio di luce che si insinua ovunque, anche dove non dovrebbe, e che illumina e scalda tutto quello su cui riesce a mettere le mani.
La prima volta che ci fai caso avete passato tutto il pomeriggio precedente a giocare al parco, sotto lo sguardo attento di sua madre, e ti è quindi molto semplice fingere di scambiare quella macchia di filo verde come un piccolo ricordo del giorno prima. Ti sfili la camicia dalla testa senza nemmeno sbottonarla e la getti nel cesto dei panni da lavare.
La settimana successiva è un insieme di nodi arancioni all’altezza della scapola. Quella dopo una riga sbilenca e irregolare di un acceso verde bottiglia, che attraversa il fianco. Quella dopo ancora un ammasso di filo giallo che riesce, non si sa bene come, a tenere miracolosamente unita la manica sinistra alla spalla.
Una specie di magia sembra come prendere possesso di quel logoro pezzo di stoffa e sulla camicia iniziano gradualmente a sparire i vecchi rammendi che avevi fatto tu un po’ alla buona e a comparirne di nuovi ancora più storti e imprecisi, ma dei colori dell’arcobaleno.
Il rosso è un colore orribile segna Vittoria, le sopracciglia contratte e le guance vagamente gonfie, quando riesci infine a sorprenderla mentre sostituisce l’ennesima cucitura rossa con una di un altro colore e, ridendo, le chiedi spiegazioni. Sembrano tante ferite.
Guardi le sue dita sottili continuare ad armeggiare con ago e filo, inesperte e testarde, creando nodi e grovigli di colore dove prima c’erano solo graffi di filo rosso.
Quando le siedi accanto ti lancia un fugace sguardo con la coda dell’occhio e vedi le sue mani contrarsi per un secondo intorno alla camicia, come se temesse di vedersela portare via, ma tu ti limiti a rimanere immobile al suo fianco, la risata che non vuole proprio saperne di abbandonarti, e lei solleva infine la testa solo una volta terminato il lavoro.
Ti guarda negli occhi, immobile e con ancora le sopracciglia vagamente contratte.
« Hai ricamato la mia iniziale! » esclami ridendo, indicando il piccolo grumo viola che Vittoria ha appena finito di cucire poco distante dal primo bottone. « Hai fatto bene, così sono sicuro che nessuno potrà mai rubarmi la camicia ».
Vittoria continua a guardarti in silenzio, ma con un accenno di sorriso che comincia rapido a sollevarle gli angoli della bocca, mentre tu ti sbottoni la camicia e te la togli, poi le sfili con gentilezza quella che tiene ancora stretta tra le dita e la indossi.
« E questo sole sulla spalla è perfetto, si intona perfettamente con i miei occhi ».
Le fai l’occhiolino e lei scoppia finalmente a ridere.
Si volta di lato e traffica un attimo nella piccola borsa di cui ti accorgi della presenza solo in quel momento, poi torna nuovamente a guardarti.
Ho anche il rosa e il verde chiaro segna entusiasta, mostrandoti poi le due piccole spolette. Me le ha regalate zia Roseline, dice che a lei non servono e non sa nemmeno perché le avesse.
Sorridi ed allunghi semplicemente il braccio.
Lei sorride felice e se ne impossessa subito. Si libera in maniera un po’ grossolana della cucitura rossa all’altezza del polsino, poi prepara ago e filo e con mano ferma ma decisamente inesperta ricuce lo strappo e inizia a ricamare.
« Chi l’avrebbe detto che avessi un talento per il cucito ».
Vittoria solleva la testa.
« Tua madre sarà orgogliosa di te » ridi, facendole l’occhiolino.
Lei sorride e si allunga a sfiorarti la punta del naso con il suo, poi china nuovamente la testa e torna a concentrare tutta la sua attenzione sulla tua manica.
Rimani seduto al suo fianco per tutto il tempo, senza mai lamentarti e con la bizzarra impressione di sentire le spire del serpente allentarsi un pochino, mentre Vittoria lavora con impegno e pazienza, interrompendosi ogni tanto per sollevare la testa e sorriderti o raccontarti degli strani animali di cui le ha parlato suo padre, dopo essere rientrato dal suo ultimo viaggio d’affari.
Vittoria che illumina e scalda, anche se non lo sa. Che è affetto e sorrisi e sguardi gentili, anche se non te li meriti, e che è decisamente troppo calda e luminosa, per uno come te, ma che non ha il tuo sangue marcio, nelle vene – non è tua madre, non è una delle tue sorelle –, per cui forse puoi permetterti d’ignorare la paura e il senso di colpa e crogiolarti nel suo calore ancora per un po’.
  
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