Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    22/10/2021    0 recensioni
Sulla spiaggia Shin era capace di camminare, per ore e ore, senza rendersi conto del tempo che passava, fino a crollare esausto, ignaro di ogni cosa, persino di se stesso, le gambe mosse da una frenesia malsana, quasi tenerle senza sosta in azione significasse spegnere i pensieri.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Fanfic scritta per la challenge Wriptember del gruppo Hurt/Comfort Italia – Fanfiction and fanart - GRUPPO NUOVO
 
 
Fandom: Yoroiden Samurai Troopers
Autore: Perseo e Andromeda, Heather-chan
Titolo: Accettare
Prompt: PTSD – X rifiuta le medicine (Day 17)
Personaggi: Tutti, Shin-centric
Generi: angst, introspettivo, drammatico, hurt/comfort
Rating: giallo per la presenza di tematiche conflittuali e problemi psicologici gravi
Note: Il prompt X rifiuta le medicine è solo un po’ sfiorato, ma spero vada bene lo stesso.
TRIGGER WARNING: problemi mentali che vanno verso la gravità, PTSD, momentanee amnesie e spersonalizzazione, regressione, blackout mentali.
 
-ACCETTARE-
 
Quando spariva senza dire niente a nessuno, ormai sapevano sempre dove trovarlo e andarselo a riprendere era la priorità di tutti loro.
Non potevano più fidarsi di Shin…
Non potevano più fidarsi del suo autocontrollo e della sua lucidità, troppo spesso lo avevano raccolto in tempo, prima che si facesse del male in maniera irreparabile.
Sulla spiaggia Shin era capace di camminare, per ore e ore, senza rendersi conto del tempo che passava, fino a crollare esausto, ignaro di ogni cosa, persino di se stesso, le gambe mosse da una frenesia malsana, quasi tenerle senza sosta in azione significasse spegnere i pensieri.
O, comunque, relegarli in un angolino della mente nel quale non potessero fare troppo male, perché l’attenzione era concentrata sui passi, messi in fila l’uno dopo l’altro, con una precisione quasi maniacale.
La stessa precisione maniacale che infondeva in ogni gesto quando teneva a lucido la casa, annullando se stesso nella cura eccessiva di tutto.
All’inizio era normale, Shin era sempre stato così, era l’amore, un tempo, ad alimentare il suo prendersi cura di tutto ciò che lo circondava, soprattutto di coloro che amava.
Adesso non era più così, non solo.
Ogni suo atteggiamento aveva assunto risvolti inquietanti, c’era l’amore ma c’era anche la malattia, la paura, il bisogno di mettere a tacere gli incubi, le visioni, i ricordi.
Ma, sempre più spesso, andava in riva al mare e camminava, avanti e indietro, oppure nuotava, che facesse freddo o caldo, che piovesse o tirasse vento, a volte lo ritrovavano fradicio e intirizzito, quasi incapace di parlare e rispondere alle loro domande e potevano solo riportarlo a casa e tenerlo al caldo, prendersi cura di lui senza cedere alla disperazione.
 
Quel giorno pioveva.
L’inverno era giunto precocemente e il freddo pungeva la pelle e penetrava anche attraverso gli abiti pesanti.
Quando non lo trovarono in casa, un unanime pensiero unì le loro coscienze: se Shin era uscito con quel tempo, lui che soffriva tanto il freddo, poteva voler dire soltanto che era in una di quelle giornate…
Quelle brutte…
Quelle in cui si trovava ad un filo dal perdere se stesso.
 
Il percorso per giungere ad Odaiba sembrava non finire mai, non era mai apparso così lungo e, durante il tragitto, rimasero in silenzio, tesi, scambiandosi solo qualche occhiata per poi distogliere subito lo sguardo, perché leggersi reciprocamente negli occhi significava alimentare l’angoscia.
Il cuore è uno…
Così anche il dolore è uno, ogni emozione che ciascuno di loro provava diventava un riflesso di quella degli altri.
Scesero dal vagone della metropolitana e si gettarono lungo la strada, senza fermare la propria corsa sfrenata finché non giunsero in riva al mare.
A quell’ora non c’era nessuno, faceva freddo, il vento, nelle prime ombre della sera, si era alzato e gelava anche le ossa.
Persino Shu e Ryo, che difficilmente subivano il disagio delle condizioni climatiche, rabbrividirono e si massaggiarono con forza le braccia.
“Spero che quel matto non abbia avuto la grande idea di tuffarsi in mare” mugugnò Touma, il mento irrigidito e le parole che faticavano a uscire.
Anche se nessuno rispose, era un pensiero comune.
Shin era freddoloso, ma quando stava moralmente male dimenticava ogni condizione ambientale intorno a sé e ricercava, d’istinto, il contatto con il suo elemento: il risultato era una salute messa ancora più a rischio a causa del suo cuore fragile.
I loro occhi tentarono di penetrare il buio, sperando di scorgere una figurina solitaria che vagava senza meta sulla spiaggia.
Non trovarlo subito accrebbe le loro paure, l’ansia li divorava, avrebbero voluto mettersi a gridare il nome del nakama.
Poi la voce di Shu ruppe il silenzio:
“Eccolo!”.
Era immobile, una sagoma che si delineava appena nelle ombre della sera, la giacca e i capelli danzavano nel vento e dava loro le spalle, lo sguardo rivolto al mare, al quale era così vicino che sembrava le onde alte dovessero travolgerlo, senza minimamente scalfire la sua immobilità.
Nonostante la distanza e il buio, il dubbio sull’identità di quella figura solitaria non li sfiorò neanche per un istante.
“Shin!” gridò Ryo e si mise a correre, subito imitato dai nakama.
Quando lo raggiunsero, ancora non avevano ottenuto alcuna reazione, nessun cenno di risposta e neppure nessun movimento.
Si raccolsero intorno a lui, gli occhi fissi sul suo viso e il cuore di ciascuno venne stretto in una morsa, perché quelle pozze di smeraldo erano il riflesso dell’assenza totale a se stesso e a tutto ciò che lo circondava, erano lo smarrimento di chi non aveva più nulla cui aggrapparsi.
Era fradicio, perché il vento gli gettava addosso le onde, gli spruzzi di schiuma marina gli trafiggevano il viso e il corpo era scosso da tremiti che, tuttavia, sembrava non lo toccassero se non a livello fisico, forse neanche lo sentiva il freddo, perché pareva aver perso il contatto con la realtà contingente.
“Cosa stai facendo, Shin? Fa freddo, eravamo preoccupati!”.
L’angoscia si impossessò di loro quando, ancora, Ryo non ottenne alcuna risposta né reazione.
“Dai, andiamo a casa”.
Touma fu più deciso, fece un passo avanti e gli posò una mano sulla spalla.
Come se fino a quel momento si fosse trovato in un’altra dimensione, Shin ebbe un sussulto, si scostò in preda al panico e i suoi occhi si fecero grandi, sconvolti. Li guardò uno ad uno, in preda ad un palese smarrimento.
“Siamo noi, Shin”. La voce di Shu tremava, incrinata dal pianto. “Andiamo a casa?”.
La sua mano si tese, in un invito, senza toccarlo:
“Dai, vieni a casa con noi”.
Gli rispose un’occhiata stupita, piena di domande, domande su dove si trovasse, su cosa ci facessero loro lì, su cosa fosse accaduto.
Shin era così da troppo tempo, a tratti non era lucido, diventava un bambino che agiva in preda all’istinto, regrediva in un universo che era solo suo e si allontanava dalla realtà… e da loro.
Troppo lontano da loro.
Temevano che, prima o poi, non sarebbero più riusciti a raggiungerlo.
“Mi… dispiace…”.
Furono le prime parole che sentirono uscire dalle sue labbra.
La mano di Seiji gli sfiorò una guancia:
“Tranquillo Shin, è tutto a posto”.
Poi il giovane si lasciò guidare, si abbandonò a loro con fiducia e questo generò un po’ di sollievo perché, almeno sotto questo aspetto, era ancora il loro Shin, che ai suoi nakama avrebbe affidato tutto se stesso.
Lo condussero per le strade, in mezzo alla gente ignara del dramma che si celava in quel gruppetto di ragazzi così uniti, lo fecero salire sul treno della metropolitana che li avrebbe ricondotti a Ueno e si strinsero intorno a lui, che sembrava quasi intimorito dalla folla. Davvero, dava l’idea che non ricordasse cosa l’avesse condotto in quel luogo, ci andava spesso, eppure era sempre mosso da qualcosa di cui non era consapevole.
Quando finalmente si lasciarono la metro alle spalle e si inoltrarono nel parco di Ueno, il buio si era fatto più fitto e persino quel luogo sempre frequentato, anche per via del freddo, si andava svuotando di ogni presenza umana. Shin camminava in mezzo ai nakama, il volto basso e loro che avrebbero voluto parlare, fare domande, invece si trattenevano, consapevoli che non era il momento.
Dovevano prima arrivare a casa, metterlo al caldo, stringerlo liberamente tra le loro braccia, prendersi cura di lui e sperare che si sarebbe sciolto, che avrebbe ricordato qualcosa, che si sarebbe lasciato accudire come meritava.
Davanti alla porta, mentre Seiji si accingeva ad infilare la chiave nella toppa, un gemito scosse il petto di Shin, si portò una mano alla fronte e, davanti ai loro occhi sconvolti, lo videro accasciarsi tra le braccia di Touma, pronto a raccoglierlo prima che cadesse rovinosamente a terra.
Seiji si affrettò ad aprire, si spostò di lato per lasciare che Touma facesse strada, portando con sé Shin per adagiarlo sul divano.
Il timore comune a tutti era che il suo cuore debole avesse avuto una crisi, anche se speravano non fosse niente di così grave: a Shin capitava di perdere i sensi quando l’ansia e il malessere emotivo diventavano troppo intensi da sopportare.
Touma gli diede qualche schiaffetto leggero sulla guancia, chiamò il suo nome.
Anche Byakuen, che si era alzato dal tappeto per accogliere i ragazzi, accostò il suo grande naso al volto di Shin e lo sfiorò appena, con delicatezza, cercando di ottenere una reazione.
Tutti si attivarono subito, Shu corse a prendere dell’acqua, Seiji prese il polso del giovane tra le dita, Ryo aiutava Touma nel tentativo di rianimarlo.
“Non è il cuore” fu il rassicurante parere di Seiji e, proprio nello stesso momento, dalle labbra di Shin si levò un gemito, cominciò lentamente a muoversi, i lamenti si trasformarono in balbettii:
“Cosa… è successo?”.
“Sei svenuto, Shin” rispose Touma. “Un attimo prima eri in piedi, l’attimo dopo mi eri addosso e per fortuna me ne sono accorto in tempo”.
Gli occhi del giovane Mori si posarono su di lui, confusi, poi li cercò tutti con lo sguardo. Shu gli porse un bicchiere d’acqua:
“Bevi un po’… piano però”.
Shin obbedì, si bagnò appena le labbra e lasciò che Shu allontanasse quasi subito il bicchiere.
Poi cercò di alzarsi, ma le mani di tutti gli furono addosso.
“Con calma, resta fermo ancora un po’. Rimettiti giù”.
Scosse il capo e lo abbassò:
“Sto bene… è passato”.
Ma, come si tirò su di pochissimo, lasciò cadere la fronte in avanti, contro il petto di Touma, che lo abbracciò e gli accarezzò i capelli.
“Ti gira ancora la testa, vero?”.
“Poco… solo un pochino”.
I suoi sussurri erano soffi di voce appena accennati, lo smarrimento caratterizzava ancora emozioni e reazioni, non solo di Shin, ma di tutti loro.
“Certo, come no” sospirò Touma, stringendolo a sé.
“Cosa hai sentito prima di svenire?” gli chiese Ryo, accovacciato davanti al divano, le mani sulle ginocchia del nakama.
Il guerriero dell’acqua scosse il capo:
“Niente… non lo so… non ricordo”.
“Non ricordi neanche di essere arrivato in riva al mare e di esserti trovato sul punto di morire congelato?”.
Il tono di Ryo si fece ad ogni parola più pressante, le dita si contrassero sulle gambe di Shin e gli occhi di quest’ultimo si posarono su di lui, colmi di supplica, confusione e tormento.
“No… non lo so…”.
“Calmati, Ryo”.
Il tocco di Seiji sulla spalla del nakama era come un fluido calmante: Ryo sospirò, scosse il capo e lo abbassò.
I tremori di Shin si fecero all’improvviso più violenti, si guardò per qualche istante le mani, incapaci di restare ferme, poi se le portò al volto e sembrava volerle affondare nella carne tanto erano contratte.
“Perdonami, Ryo”. Il petto venne scosso da una serie di gemiti e singhiozzi. “Perdonatemi, ragazzi… perdono…”.
Ryo risollevò di colpo il viso, lo fissò per qualche istante, poi si tirò su sulle ginocchia e gli gettò le braccia intorno al collo:
“Non fare così, pesciolino… dai… è tutto a posto… tutto a posto…”.
“No che non è tutto a posto!”.
Si voltarono verso Shu, incontrarono la sua espressione furiosa, come il tono che aveva tirato fuori, aveva sollevato i pugni frementi: appariva fuori di sé.
Tra le braccia di Ryo, Shin si mise a tremare così forte da dare l’idea che dovesse andare in pezzi.
“Shu” mormorò Touma.
Seiji rimase in silenzio, ma fissò il nakama con aria severa.
Sotto quegli sguardi, l’espressione di Shu passò dalla rabbia al dolore, perse sicurezza e vagò altrove, le braccia si abbassarono e anche la voce si fece dimessa:
“Scusatemi… ma non riesco… non ce la faccio più… non riesco a fingere che vada tutto bene”.
“Shu…”.
Questa volta fu Shin a parlare, il nome pronunciato in un soffio vibrante di sofferenza. I loro occhi si incontrarono, si specchiarono e, come accadeva tanto spesso, si compresero e il dolore di Shin fu una pugnalata per Shu, il senso di impotenza che provava Shu afferrò il cuore di Shin in una morsa e lo fece sentire ancora più male.
Per riflesso si aggrappò alle mani di Ryo, in cerca di sostegno, Seiji e Touma gli si fecero intorno con atteggiamento protettivo.
Shu invece rimase fermo, triste e sconfitto, incapace di qualunque altra reazione, il senso di colpa che lottava contro la consapevolezza che il suo sfogo era stato sincero e aveva esternato un problema effettivo.
“Mi dispiace” la voce di Shin ruppe il silenzio, incrinata dal pianto. “Vorrei smetterla… vorrei… vorrei che tutto finisse, l’ultima cosa che desidero è vedervi stare male per me”.
“E allora curati!”.
Shu era scattato di nuovo, Shin tornò a guardarlo con sgomento. Il samurai di Kongo fece qualche passo avanti, ritrovando tutto lo slancio che il senso di colpa aveva momentaneamente messo a tacere:
“Accettalo. Stai male, smettila di mentire a te stesso”.
“Shu…” mormorò ancora Shin.
Ryo, temendo un nuovo crollo, strinse con maggior forza le sue mani, ma Shin rimase fermo, lo sguardo fisso su Kongo.
Shu si avvicinò ancora, lo raggiunse, si lasciò cadere accanto a lui sul divano e il viso di Shin venne catturato dalle sue mani grandi, che lo costrinsero a non fuggire altrove:
“Lo so che non vuoi farci preoccupare, ma così facendo ci nascondi tutto… e noi dobbiamo venirti a recuperare. Accetta di avere bisogno di aiuto, accetta di curarti, fai in modo che le cose vadano meglio”.
Fu chiaro a tutti a cosa si riferisse.
Shin aveva quella maledetta paura di smarrirsi in se stesso, l’aveva da sempre ed era proprio ciò che stava accadendo. Accettarlo, per lui, significava precipitare nel terrore e la sua unica arma di difesa era fingere che nulla di tutto quello fosse vero.
Si ripiegò su se stesso, un lamento acuto si levò dalle sue viscere, esprimendosi in un singhiozzo disperato sulle labbra.
“Non posso farlo… non posso più farcela…”.
Le mani di Shu sul suo viso si fecero più salde, così come quelle di Ryo ancora intrecciate alle sue, una mano di Seiji fu sulle sue spalle, quella di Touma fra i suoi capelli.
“Ho paura… questa parte di me mi spaventa da morire, perché… non la capisco”.
“Andrà tutto bene, Shin…”.
“Non devi farcela da solo…”.
“Noi siamo qui…”.
“Ce la faremo insieme…”.
Gli occhi di smeraldo cercarono quelli dei nakama, uno ad uno, si soffermarono sul sorriso di Seiji.
“Domani veniamo con te dal medico… forse dovrai deciderti a prendere quei farmaci che ti aveva detto… solo per un po’ di tempo”.
Si morse le labbra, distolse di nuovo lo sguardo.
Sapeva di cosa Seiji stesse parlando: non aveva mai voluto cedere a quei medicinali che agivano sulla mente e che, temeva, lo avrebbero portato ancora più alla deriva.
Ma non poteva più ignorare il problema, lo doveva ai nakama che si preoccupavano tanto per lui: essere un peso per loro, farli preoccupare… non c’era nulla di peggio per Shin.
Così annuì, un triste cenno di assenso accompagnato dalle lacrime che solcarono le sue guance, in silenzio.
Quattro mani si posarono sul suo cuore, alcuni sussurri si insinuarono nella sua coscienza sconvolta:
“Non sei solo… andrà tutto bene. Abbi fiducia in noi”.
Quello sempre ed era tutto ciò che gli restava, tutto ciò che avrebbe potuto salvarlo.
 
 
 
 
 
 
   
 
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