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Autore: Aky ivanov    23/10/2021    0 recensioni
Luna non si era mai svegliata da sola dopo un brutto sogno, accanto a lei accorreva sempre la mamma se la sentiva urlare. Ma, il più delle volte non serviva, bastava scrollare un po' la figura addormentata del fratello per ritrovarsi in un modo confortante fatto di calore, battiti costanti e massaggi sul pancino.
Takashi c’era sempre per lei...o almeno, così credeva.
[Missing Moments: Volume 14, capitolo 122]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Luna Mitsuya, Mana Mitsuya, Takashi Mitsuya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Escape

 

– 2001 –

 

 

La stanza era immersa nelle tenebre, silenziosa ed oscura, ad eccezione dell'angolo acuto illuminato dalla sottile tenda scostata.

Luna stropicciò gli occhietti assonnati osservando l'astro con il suo stesso nome. La grande palla bianca splendeva luminosa nel cielo, una corona bianca lucente tra le nuvole indistinguibili. Ombre oblique e inquietanti si allungavano dalla scimmietta della scatola a molla posta sul davanzale, ingombravano il pavimento, mostruose e di primo acchito scambiate per un demone strisciante. Un mostro, un ulteriore presenza sguisciante sulle assi scricchiolanti tra giochi malandati e libri delle elementari.

Ma non c’era nessun altro in quella porzione di casa, solo lei e Mana.

Nemmeno Takashi.

Il futon accanto a lei era vuoto, lo spazio solitamente occupato dalla confortante presenza del fratello emanava un'aurea gelida nel suo impeccabile ordine. Luna tirò via non senza qualche sforzo la coperta accuratamente ripiegata, stringendosela intorno per placare l'ondata di freddo. In attesa. I rimasugli dell'incubo scivolavano in piccoli brividi lungo la schiena mentre l'immagine di lei isolata e abbandonata in un bosco persisteva. Non si era mai svegliata da sola dopo un brutto sogno, accanto a lei accorreva sempre la mamma se la sentiva urlare. Ma, il più delle volte non serviva, bastava scrollare un po' la figura addormentata del fratello per ritrovarsi in un modo confortante fatto di calore, battiti costanti e massaggi sul pancino. Takashi la teneva stretta sbiascicando parole nel sonno, rassicurandola sul non aver paura, permettendole di restargli accanto per tutto il resto della notte. Poche volte si era svegliata con solo Mana accanto: la mattina presto quando Takashi era in cucina a preparare la colazione, o nel cuore della notte per una scappatina nel bagno.

Takashi c’era sempre, in qualche situazione.

Luna attese, minuti, forse ore nella sua mediocre conoscenza del tempo.
Gli occhi fissi sulla porta socchiusa e le manine artigliate alla coperta.

La luce del corridoio non era accesa, nemmeno il più piccolo barlume o scroscio dell’acqua arrivava dalla direzione del bagno. Luna lo sapeva, nessuno sarebbe ritornato in camera, la casa era completamente vuota. La mamma era bloccata al lavoro fino a quando entrambe le lancette non avrebbero puntato il numero dodici, un intervallo lungo visto che la lancetta piccola e lenta era bloccata tra il dieci e l’undici.
Suo fratello invece, aveva finalmente deciso di andare via.

Takashi per la prima volta si era arrabbiato sul serio, aveva urlato qualcosa di brutto dopo che la mamma era andata al lavoro al mattino senza preoccuparsi che lei o Mana la ripetessero come al solito. Aveva passato l’intero pomeriggio imbronciato, non aveva giocato con loro, le aveva persino gridato contro quando dopo un rifiuto lo aveva chiamato “brutto e cattivo”.

Luna non era ancora in grado di comprendere cosa significasse ferire le persone, la mamma diceva sempre a Takashi di non farlo né a parole né con i gesti ma non ne aveva mai capito il senso fino a quel pomeriggio. Takashi le aveva risposto male e lei aveva fatto altrettanto, si erano urlati a vicenda offese smettendo al pianto di Mana e alla pronta ritirata del fratello per consolarla. Takashi non aveva ripreso il discorso dopo averla cullata, illeggibile aveva continuato a seguire i suoi soliti impieghi giornalieri senza né una smorfia scontenta né un sorriso. Un’innaturale calma tenuta salda fino al momento di andare a dormire.

Era stata colpa sua se Takashi non c’era più.

L’aveva accusato di essere la causa dei ritardi della loro mamma. L’origine principale di quella mancanza d’affetto materno che lui aveva potuto godersi più di lei e Mana. Senza di lui la mamma avrebbe trascorso più tempo in casa perché non ci sarebbe stato nessuno disponibile a preparare i pasti, a pulire o a svolgere le altre faccende. La mamma era via perché avevano un fratello disposto a fare tutto, in sua assenza lei sarebbe stata con loro.

Lo aveva insultato. Takashi offeso aveva seguito il loro papà lasciandole finalmente sole con la mamma, assecondando la sua richiesta senza salutarla. Lei non credeva davvero a tutto quello che aveva detto, dallo stare con lui era finita con il restare da sola. Takashi la infastidiva con i suoi rimproveri sempre puntuali, sul fare il bagno prima di andare a dormire, sul mangiare anche le verdure, sull’alzarsi per andare a scuola e tutte le altre cose della lista che stavano perdendo importanza quanto più ci pensava.

Lei gli voleva bene come a Mana, forse anche di più.
Non voleva più sostituirlo con nessuno, nemmeno con la loro mamma.

Tenendo salda la coperta del suo fratellone con le labbra tremolanti camminò fino alla cucina, alla ricerca di prove e certezze. Nel bagno non aveva trovato nessuno, nell’armadio ogni cosa era stata al suo posto ma la solitudine la colpì arrivata al basso tavolino. La luce accesa aveva sottolineato freddamente l’assenza di Takashi.
Il solo ronzio del frigo accompagnò i sospiri pesanti e frequenti fino a sfociare in singhiozzi rumorosi.
Luna si rannicchiò contro uno dei cuscini ai piedi del divano piangendo il più silenziosamente possibile per non svegliare la sorellina che non sarebbe stata in grado di far riaddormentare. Prosciugando ogni riserva d’acqua finché gli occhi non bruciarono e le braccia tremarono involontariamente per il freddo nonostante lo spesso stratto avvolto intorno.

Le lacrime punsero nuovamente rammentando la cura per quelle situazioni simili, quando la gola le faceva troppo male e Takashi le preparava latte e miele prima di tornare a letto.
Voleva ritornare a quelle sere, assaporare quella bevanda calda dolciastra e pensare di averlo ancora lì con lei.

Fissò il frigorifero con aria assente prima di decidersi a rialzarsi e afferrare il piccolo rialzo adoperato sempre dal fratello per raggiungere il bancone. Sollevata sulle punte arrivò a prendere la bottiglia di latte posta nel ripiano in basso trovando maggiori difficolta per riscaldarlo. Aveva visto Takashi maneggiare abilmente sia le manopole dei fornelli che l’accendino con il pulsante, ma non aveva idea di quale girare o come arrivarci.

La coperta strusciò per terra come uno strascico aggirando il tavolo, fermandosi davanti la libreria per poi tornare indietro, eseguendo quel percorso due volte. I pesanti tomi vennero posti l’uno sull’altro come ulteriore aggiunta al basso scalino di legno consentendo la giusta altezza per arrivare ai fornelli.

Luna giunta faticosamente in cima osservò insoddisfatta la bottiglia lasciata indietro sul tavolo. Portando con sé il pentolino tornò corrucciata in basso per riempirlo, sgocciolando accidentalmente parte del contenuto sul tavolo e il pavimento. Con la cospicua dose di latte finalmente ottenuta si arrampicò nuovamente schizzando gocce qua e là sul pigiama fino ad appoggiarlo sul fornello.
Titubante restò a contemplare le quattro manopole con l’accendino tra le mani non sapendo quale scegliere. Provò la prima avvicinando la fiamma al fornello senza ottenere nulla. A labbra serrate e mento premuto sui palmi fissò il fornello ancora spento sentendo la classica puzza e il rumore d’accensione ma della fiamma nemmeno l’ombra. Indispettita girò la seconda ottenendo la medesima situazione. Sbuffando per il persistente odore forte sotto il suo naso provò a girare la terza sobbalzando alla porta d’ingresso sbattuta violentemente.

«Luna!»

Per lo spavento Luna saltò sul posto, i piedini nudi scivolarono sulla copertina plastificata del libro smuovendo la torre precaria che in un’istante andò in frantumi cadendo insieme a lei. Il lamento doloroso risuonò fra le quattro mura, anche se atterrata sul sedere non era mancato il ginocchio sbattuto contro lo spigolo murario.

Takashi materializzatosi dal nulla l’aveva scavalcata issandosi sullo sgabello di legno, ruotando a gran velocità i vari pomelli per poi balzare giù e aprire la finestra. Soltanto dopo lo scatto fulmino si era voltato a guardarla, affannato e sudaticcio, con l’espressione più impaurita che gli avesse mai visto addosso. Si erano osservati senza dire nulla, lei deglutendo pensando di avere le allucinazioni e lui immaginando cosa sarebbe potuto succedere se fosse tornato qualche minuto in ritardo.

«Cosa stavi pensando di fare?» la voce di Takashi era alta, scandita distintamente nonostante l’enfasi con cui continuava ad asciugarsi il sudore sulla fronte per le rampe di scale imboccate di corsa alla vista della luce accesa «Ti ho detto decine di volte di non giocare lì! Lo vuoi ca-»

«Sei tornato!»

Takashi si ritrovò seduto contro la base della finestra alla spinta inaspettata, il corpicino della sorella schiacciato addosso. Luna lo stava stritolando con le gambe strette ai lati della vita e le braccia allacciate attorno al collo. La scia di lacrime annaffiava la sua spalla tra singhiozzi violenti e parole incomprensibili sussurrate all’orecchio intervallate da boccate d’aria forzate.

«Luna ehi…» provò a scostarla delicatamente ottenendo l’effetto contrario, la sorellina scuotendo ferocemente la testa era tornata rannicchiata con le sue sillabe smozzicate «Non volevo urlare così, mi dispiace se ti ho spaventata»

«I-io non lo pensavo davvero» il nasino tirò su con forza sulla sua maglietta non dando minimamente cenno di averlo ascoltato «Scusa se ti ho fatto arrabbiare»

«Eh?»

Takashi sbatté perplesso le palpebre cercando inutilmente di guardare in faccia la sanguisuga attaccata al suo stomaco. I capelli sfregavano sul suo viso spingendolo a tossicchiare per non ingoiarne uno, provando nel medesimo a tempo a placare l’ondata di pianto con piccoli cerchietti concentrici sulla schiena della sorellina.

«Shhh, non piangere» sussurrò piano tra le ciocche scompigliate dondolando leggermente a destra e sinistra per evitare di svegliare il resto del vicinato «Non è successo nulla, non sono arrabbiato»

«Lo so che ti sei offeso» fu l’immediata ma traballante risposta tra profonde ispirazioni, gli occhi arrossati e gonfi puntati nei suoi «È stata colpa mia…anche se mi odi però non andartene, anche Mana e la mamma ne sarebbero dispiaciute, piangerebbero anche loro e io non lo so preparare il latte con il miele come fai tu per consolarle e..e..» il flusso di parole senza pause si interruppe un istante lasciando l’impronta dei dentini sulle labbra salate «Io ti voglio bene…per favore non andare via»

Takashi con sguardo vacuò spostò l’attenzione con più lucidità dal pentolino sul fornello ai libri gettati alla rinfusa, sino alla bottiglia e la copertina abbandonata in mezzo alla stanza. Luna doveva essersi svegliata da diverso tempo sentendosi abbandonata non trovando nessun altro in casa. Probabilmente lo aveva cercato impaurita mentre lui scorrazzava in giro con lo strano bambino che abitava nel bordello. Aveva fallito nell’incarico principale affidatogli dalla mamma: tenerle al sicuro.

«Luna…io non ti odio» esordì risoluto sollevandole il visino con entrambe le mani, umettandosi le labbra per combattere il senso di colpa crescente «Sei la mia sorellina, non potrei mai odiarti»

«Ma…andrai via lo stesso?»

«No» ribadì veemente più di una volta con l’ombra di un sorriso, attirandola di nuovo contro di lui «Non abbandonerò te, Mana e la mamma. È una promessa»

Luna stropicciò il davanti della maglietta del fratello macchiata di nero usandone il busto come cuscino. Takashi aveva un profumo forte addosso, non il suo solito. Un misto di rose nel quale sembrava essersi infilato interamente unito al forte odore spiritato simile a quello dei suoi pennarelli colorati. Strano ma ugualmente rassicurante se accompagnato da quei sorrisi sbilenchi e voce pacata che da sempre l’avevano contraddistinto.

«Che ne dici se ti preparo un po’di latte con il miele e andiamo a dormire?»

Luna annuì mentre il sonno tornava a far capolino alle dolci carezze nel borbottio tra i capelli. Era stanca, più di quanto pensasse. Nessun mostro l’avrebbe portata via ora che Takashi era tornato a casa.

«Possiamo aggiungere i biscotti?»

Takashi ridacchiò piano scoccandogli un bacino sulla guancia, uno dei pochi dati di sua iniziativa da quando ne avesse memoria.

«E va bene» la sollevò da terrà mettendola seduta su una delle sedie mentre rovistava nella scatoletta rossa sempre posizionata in cucina «Però, prima mettiamo del ghiaccio sul tuo ginocchio»

 

■ ■ ■

 

La guancia pizzicava, prudeva e pulsava come il cuore nella cassa toracica. Stretto dalle braccia gentili della mamma, le stesse che poco prima l’avevano schiaffeggiato. Un solo schiaffo, l’unico che ricordava di aver mai ricevuto con quella forza.

Takashi avrebbe voluto farle presente il suo dolore, non solo quello fisico odierno ma tutto il rancore che si portava dentro in anni in cui non avrebbe dovuto fare altro che giocare con gli amici e divertirsi anziché imparare a cucinare o cucire.

Luna aveva involontariamente parlato a sproposito nel suo sproloquiare innocente, le aveva confessato che era scappato via la notte precedente lasciandole da sole. Takashi avrebbe voluto difendersi, accampare qualche scusa, ma non ne aveva avuto il tempo prima di ritrovarsi la faccia voltata. Ed anche ora, stretto così saldamente non ne aveva trovata alcuna. Nessuna bugia da dire alla mamma, nessuna giustificazione per il suo comportamento. Si sentiva soltanto in colpa e non era giusto.

«Mi dispiace farti sopportare tutto questo» *

L’aveva fatta piangere.

L’odio si era attenuato, spazzato via da uno spiffero d'aria come la cenere dalla stufetta malandata a pochi passi da loro. Voleva consolarla, dirle che non doveva preoccuparsi per lui, che era grande rispetto a Luna e Mana, capace di assumersi le sue responsabilità.

Le corte braccia, quelle che restavano ancora del suo essere bambino avvolsero il busto singhiozzante della mamma. Vibranti e incerte, le dita affondate nella maglia per ispirare il suo profumo familiare, stringendone la stoffa per attenuare un altro tremore e nascondere quell'amara verità sempre taciuta. L'odiava e amava in eguale modo, un'opposizione dolorosa e struggente. Lo sapeva che non era colpa della mamma ma aveva continuato a riversare su di lei quei sentimenti contrastanti. Era stato perfido provare quel briciolo di soddisfazione ad inizio fuga, altrettanto malvagio decidere di non voler tornare ma più e quasi rischiare che Luna si facesse del male durante la sua assenza.

“Io non ho nessun genitore, vorrei poter dire che la loro cucina faccia schifo” **

Le lacrime bagnarono il collo in un battito di ciglia. Il fiumiciattolo salato silenzioso scorse lungo le sue guance brucianti di vergogna non ascoltando ragioni. Non era più un bambino, doveva essere forte per sé stesso, la mamma e anche le sorelline. Doveva smettere di piangere, nemmeno ne aveva voglia. I suoi occhi non lo ascoltarono, implacabili continuarono a disperdere liquidi spingendolo a non respirare correttamente. Il singhiozzo traditore sfuggì nella lana spingendo l'abbraccio più stretto e soffocante.

La falla nella diga straripò e prima che se ne rendesse conto, Takashi piangeva disperato.

 

_._._

Note finali

* Volume 12, capitolo 101 – ricordo di Takashi sull’evento narrato nella fanfiction

** Volume 14, capitolo 122 – frase detta da Draken a Takashi in riferimento all’evento narrato nella fanfiction

 

Benvenuti alla rubrica “Missing moments: Aky e la sua ossessione”, se non ne inserisco uno a fandom non sono contenta. La data a inizio storia è stata ricavata dalle informazioni e età dei personaggi calcolata da me durante la narrazione dei loro ricordi.

Questo manga mi ha fatto male, due storie in due giorni.
Io devo aggiornare le cose in sospeso non scriverne di nuove
ç.ç

 

Alla prossima,

Aky

 

 

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Ken Wakui, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

   
 
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