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Autore: NyxTNeko    24/10/2021    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 123 - Il dovere è il più arido di tutti i legami tra gli uomini -

18 novembre

Una carrozza sfrecciava al pari di un fulmine lungo la strada che portava al Palais de Luxembourg, che, dagli inizi del mese, era diventata la sede del Direttorio. Era l'alba e il cocchiere spronava il cavallo a non rallentare il ritmo, per evitare di sorbirsi l'ennesimo rimprovero dell'uomo che stava trasportando; non aveva mai capito perché fosse tanto fissato con la velocità, come se non esistesse nient'altro al mondo, per quello strano generale.

Giunti dinnanzi all'ingresso che si affacciava verso la città, la carrozza si fermò e da essa sbucò un giovane ufficiale avvolto nel suo giaccone grigio, che si stava sistemando i guanti mentre scendeva dalle scalette. Si voltò all'indietro, rivolgendo la parola ad altri suoi colleghi che erano all'interno - Aspettatemi qui, il direttore Barras vuole parlare solo con me... - dopodiché balzò a terra, chiuse la portiera, mise il cappello sottobraccio e si avviò verso l'ampio portone d'ingresso, sormontato da un piccola cupola, sorretta da un arco che conduceva ad un ampio cortile, prima di arrivare all'entrata vera e propria, la cui facciata riprendeva quella della maggior parte dei palazzi e delle ville, tipiche dello stile barocco.

Il giovane generale osservava il tutto con ammirazione e fascino, ogni elemento di quel palazzo era così immenso, così sfarzoso, trasmetteva potere e bellezza; quasi invidiava i direttori, per quanto la sua residenza fosse elegante rispetto al suo stile di vita, pareva insignificante a confronto del palazzo. "Ma per quanto abbia raggiunto un ruolo importante, non è ancora abbastanza elevato, devo continuare ad impegnarmi, solo così potrò ottenere ciò che desidero" rifletteva, nel frattempo, a grandi passi raggiungeva l'ingresso. Man mano che si avvicinava le guardie che sorvegliavano il palazzo si fecero sempre più visibili, ma non doveva temere, in fondo erano suoi sottoposti.

- Direttore Barras, il generale Buonaparte vi aspetta nel cortile - riferì uno dei servi in livrea, non appena aveva ricevuto la notizia dalle guardie.

- Ah bene, è arrivato come un lampo - ridacchiò il direttore, non si stupiva più delle sue abitudini, conosceva bene il suo carattere introverso e solitario, ma anche della sua inclinazione alla rapidità e all'efficienza - Non mi aspettavo nulla di diverso da lui - afferrò al volo il cappello piumato, si sistemò la veste da membro del Direttorio ed uscì. Scorse in lontananza il corso che contemplava con attenzione e stupore ogni angolo del lunghissimo corridoio che aveva attraversato; sembrava quasi assorto talmente era preso dai dettagli. Teneva le mani dietro la schiena, alzando ed abbassando il bicorno con le dita agguantate.

Quando si voltò, per continuare ad osservare un affresco sulle pareti, si accorse di Barras e si ridestò - Buongiorno... cittadino direttore - riferì accompagnato da un profondo inchino. I capelli raccolti in un lungo codino si posarono sulla spalla.

- Buongiorno cittadino generale - ricambiò a sua volta Barras, simulando un inchino con gli occhi - Finalmente ho la vostra attenzione...

- Ah - emise spalancando gli occhi chiari, effettivamente in imbarazzo, non si era accorto per niente della sua presenza, neppure dal rumore dei passi che rimbombavano in una sala tanto ampia - Perdonatemi, cittadino Barras... non volevo di certo mancarvi di rispetto... - si massaggiò il collo.

Il direttore gli rivolse un'occhiata ilare e una gomitata amichevole - Non scusatevi, generale, ormai ci sto facendo l'abitudine - ridacchiò l'uomo nel vedere il continuo mutamento delle espressioni sul viso del giovane, dalla preoccupata, alla sorpresa, a quella divertita.

- Dovrei iniziare a preoccuparmi allora - emise Napoleone in modo molto ironico - Potreste addirittura leggermi nel pensiero e sarebbe terribile - aggiunse con aria divertita, cercando di simulare spavento. In realtà non ne provava affatto, Barras non era affatto un individuo pericoloso, da temere particolarmente, tuttavia non poteva negare la sua abilità politica nel riuscire ad uscire indenne da qualsiasi situazione a suo sfavore.

- Ah be' sarebbe davvero interessante se ci riuscissi davvero, caro il mio Buonaparte - ammisse ridendo; non credeva che quel generale serioso e taciturno avesse anche un grande senso dell'umorismo. Forse non lo conosceva così bene come credeva, ma era comunque sicuro che gli sarebbe bastato poco per carpire i suoi segreti e scoprire cosa lo rendesse così impenetrabile e misterioso - Chissà quanti pensieri troverei in quella testolina che avete, sempre pronta a lavorare e ad elaborare...mi risparmiereste un bel po' di fatica, sapete gli anni cominciano a farsi sentire...

- Eppure mi è giunta voce delle vostre prodezze sotto le coperte, direttore - gli riferì con lo stesso tono di prima - Oppure sono solo esagerazioni? - ridacchiò facendo spallucce.

- Non sarete mica geloso generale? - lo punzecchiò Barras; sapeva della sua incapacità di relazionarsi con il gentil sesso, Thérésa gli aveva raccontato della sua goffaggine e timidezza e gli sembrava quasi surreale. Non poteva davvero credere che quell'ufficiale che affrontava a testa alta e con freddezza la morte, che si mostrava implacabile nel fare rispettare la legge e nell'arrestare chiunque l'avesse violata, potesse balbettare o arrossire di fronte ad un gruppo di donne. Quando Rose gli aveva riferito dell'episodio della spada, si era stupito non poco del gesto.

- Cosa? - sbottò Napoleone sforzandosi di non imporporarsi e perdere la calma - Assolutamente no, Barras, l'amore non è una mia occupazione, anzi, non ci voglio nemmeno pensare, ostacola il mio lavoro, lo lascio a voi e ai poeti... Io sono un uomo concreto... - emise tutto d'un fiato.

- Certo, certo generale - annuì Barras, pur avendo compreso, e questa volta a ragione, che stava mentendo spudoratamente. "A quanto pare è spaventato dall'amore, deve aver avuto delle grandi delusioni d'amore che lo hanno bloccato, se ne parla come se fosse un intralcio" rifletté il direttore. Per la prima volta lo vide realmente spaventato o comunque allarmato da qualcosa, pur avendo cercato di non mostrarlo, si era tradito inconsapevolmente.

- Anzi spero che non mi abbiate convocato qui per questo, altrimenti ho già la risposta per voi, ovvero una risposta negativa - gli ribadì Napoleone ritornando a mostrare freddezza. Non aveva nessuna intenzione di accompagnarlo in qualche salotto, per provare disagio ed imbarazzo. Soprattutto per non dover risentire quelle risatine civettuole e apparentemente innocue e rivedere quella Tallien, che era decisamente insopportabile.

Barras scoppiò a ridere fragorosamente, irritando non poco il generale il quale dovette trattenersi a fatica, strinse rabbiosamente i pugni che aveva nascosto dietro la schiena, augurandosi di riuscire a scaricarla in questo modo. Il direttore, però, la intravide negli occhi chiari che stavano fiammeggiando "Non possono mentire mai, gli occhi" smise, capendo che era meglio non farlo esplodere e divenne serio - No, potete rilassarvi generale, vi ho convocato qui per questioni molto più serie, di cui vi ho aggiornato un paio di giorni fa...

Tanto bastò a Napoleone per rabbonirsi e spostare l'attenzione su ciò che intendeva dire - Parlate del Club del Pantheon di Babeuf? - domandò ricordando nitidamente il contenuto di quella lettera che gli aveva inviato un paio di giorni prima, cioè quando era stato inaugurato. 

- Chiamato anche Réunion des Amis de la République - precisò Barras nel mentre si incamminava nella sua camera - Anche se in sostanza non cambia nulla, se non a voler ribadire il loro giacobinismo

Napoleone lo seguiva al suo fianco, come se fosse una guardia del corpo - Li sto tenendo d'occhio senza intervenire, come mi avete detto, cittadino Barras, alcuni militari in borghese, appostati, mi informano costantemente - lo informò constatando quanto gli risultasse difficile stare al suo passo, che era molto più lento del suo.

- Non posso lamentarmi della vostra produttività, generale, siete fin troppo preciso, energico ed incisivo - lo lodò sinceramente e soddisfatto Barras, sempre più convinto di aver scelto l'uomo giusto per i suoi progetti - E che mi dite di Buonarroti? So che ha un rapporto molto stretto con Gracchus... - raggiunse la sua scrivania e si accomodò.

- Quel Filippo Buonarroti avrebbe fatto meglio a dedicarsi all'arte e alla letteratura come faceva il suo antenato più celebre, anziché di politica - gli disse sarcastico Napoleone, accomodandosi di fronte a lui. Notò in lui lo stupore; probabilmente aveva colto soltanto ora il collegamento che c'era.

- Quindi è davvero un discendente di quel Michelangelo? Io credevo che fosse soltanto una coincidenza... com'è piccolo il mondo - ridacchiò con una punta di amarezza - Insomma mi state dicendo che è un pessimo politico...

- Al contrario, direttore Barras, è molto abile ed è consapevole degli obiettivi che vuole raggiungere grazie alla rivoluzione - chiuse gli occhi e li riaprì - D'altronde lo aveva già ampiamente dimostrato in Corsica... - sospirò profondamente.

- In Corsica? - sobbalzò l'uomo, fissando Buonaparte - È di origine corsa come voi, generale?

- No, è toscano, come la maggior parte degli isolani, se non sono genovesi - precisò Napoleone, si massaggiò il mento con insistenza - Quale sia la sua città natale non ne ho idea e sinceramente non ha importanza in questo momento, dato che si trova a Parigi e pare abbia scelto la Francia come nuova patria... - In realtà ricordava benissimo delle sue origini pisane, così come rimembrava della sua operosa attività a Corte e a Bastia tra le vari club sorti da quelle parti, durante i primi anni della Rivoluzione, quando sull'isola c'era una grande agitazione, si era risvegliato, in tutti loro, il desiderio di indipendenza. Dalla natìa Pisa era sbarcato lì perché aveva trovato la sua terra ideale, dove vi erano proprietà terriere distribuite equamente; rispecchiando lo stato perfetto.

Gli era capitato tra le mani la rivista che aveva fondato, il Giornale patriottico della Corsica, anche se non spesso, in quanto non condivideva la mentalità decisamente troppo filo popolare del pisano. La prima volta lo aveva sfogliato, mosso da curiosità e ne era rimasto sinceramente sconvolto, Buonarroti scriveva di come dover affermare una società agricola egualitaria, di una presunta religione naturale e di una feroce condanna al commercio e all'industria e quindi, al progresso. L'unico aspetto che aveva apprezzato era stato quello riguardo l'istruzione come compito dello stato. 

- Su questo avete ragione generale... - sospirò a sua volta il direttore - Inoltre ho ben inteso il pericolo di individui come Babeuf e Buonarroti, ma non dobbiamo intervenire per il momento... - ribadì ancora una volta questa volontà; doveva evitare che il generale agisse di testa propria - Almeno così la gente non aderirà ai movimenti monarchici e quindi essere costretti a dover ricorrere di nuovo ai vostri cannoni - rileggeva i suoi rapporti puntuali riguardo quei due e il loro circolo.

- Io sono del parere che bisognerebbe eliminare il problema alla radice quando si può - emise Napoleone cercando di incrociare il suo sguardo, ma senza successo, stava evitando il suo contatto - Ma se è questo che vuole il governo, ho il dovere di non oppormi - balzò in piedi, intenzionato ad andarsene. Qualcuno bussò alla porta e vide, poco dopo, un servo arrivare con un vassoio, una teiera e due tazze.

- Ho fatto preparare del tè anche per voi generale, non volete rimanere? - gli domandò gentilmente il direttore - Immagino che non abbiate toccato cibo da ieri, ci scommetterei tutto ciò che possiedo

- Non posso darvi torto, cittadino - si riaccomodò, poggiò il cappello sull'altra sedia - E che quando sono preso dal lavoro non mi accorgo dei segnali del corpo, penso proprio di non poter rifiutare questo invito... - afferrò la tazzina e cominciò a sorseggiare la bevanda bollente.

La viscontessa de Beauharnais, intanto, stava aspettando che il generale Buonaparte le mandasse un biglietto di conferma o che si presentasse nella sua dimora a Rue Chantereine; ma non riceveva nulla da settimane, aveva intuito che la causa principale era il suo incarico "È forse uno dei pochi, a Parigi, che sta lavorando, persino il governo pare non dedicarsi allo stato" pensava, si mise seduta, allungò le dita verso l'arpa che gli era stata portata e cominciò a pizzicarne le corde "Spero solo che non si sia dimenticato della promessa fatta..."

- Madre - sentì provenire dal corridoio, erano i suoi piccoli che si erano svegliati e andavano a salutarla come facevano ogni mattina. Arrivò per primo Eugène, essendo il più grande dei due, ma si fermò sulla soglia e fece passare la sua sorellina più piccola, Hortense, che era avvampata per via della corsa.

- Dovresti andare più piano la prossima volta fratello, vinci sempre tu! - sbuffò la piccola, a braccia conserte.

- E che sono... più alto di te, sorella e comunque, per farmi perdonare ti cedo l'onore di andare per prima - disse timidamente il ragazzino - Però non fare quella faccia, Hortense, non ti si addice, sei così carina... - aggiunse sorridendo. Poi le accarezzò quel dolce viso a forma di cuore.

La piccola si scioglieva ogni qualvolta il fratello le rivolgeva quel sorriso; era sempre molto premuroso nei suoi confronti e legato a lei, come se volesse proteggerla in qualsiasi occasione. Lo strinse dolcemente - Come faccio ad arrabbiarmi con te Eugène? Non posso! Sei adorabile!

- Bambini miei che ne direste se mi abbracciaste insieme? - propose la donna alzandosi e andando loro incontro - Mi rendereste la mamma più felice non solo della Francia, ma dell'intero mondo - i due fratelli si guardarono e insieme si lanciarono tra le braccia della mamma. Quest'ultima riempì entrambi di baci e coccole, ridendo di Eugène che era diventato rosso in volto, nonostante ribadisse di essere un uomo. Ringraziava il cielo per aver avuto un figlio tanto buono, dolce e responsabile, tutto il contrario di ciò che era stato Alexandre - Anche se diventerai un generale come tuo padre, per me resterai sempre il mio piccolo Eugène - gli scombinò i capelli.

Il termine generale le fece tornare in mente quel giovane ufficiale dallo strano nome di cui era sempre più curiosa; anche il figlio le chiedeva spesso di lui "Speriamo che venga presto, così potremo parlare di più con lui, e poi anche mia sorella avrà il piacere di incontrarlo, vedrai ti piacerà sorellina, è molto gentile con i ragazzi e le donne, vero madre?"

- Perché non andate da quella povera vedova a cui avete restituito la spada del defunto marito? - gli propose Muiron, nel momento in cui lo aveva visto risalire in carrozza - Non avete molti impegni in giornata, penso che le farebbe piacere vedervi

- Lo credo anch'io, generale, è una buona occasione per poterla conoscere - si accodò entusiasta Junot. Sarebbe potuta essere un'occasione per distrarsi un po' dal lavoro, dal dovere e nutrire il cuore.

Napoleone li guardò intensamente per qualche istante ed emise un profondo respiro, muovendo la testa in senso di diniego - È meglio di no - confessò malinconico, abbassando la testa - Apparteniamo a due mondi diversi, troppo distanti, non funzionerebbe - si stava formando, nella sua mente, l'immagine di quella donna così leggiadra e affascinante, il suo profumo inebriante, che non riusciva a dimenticare, al pari della voce melodiosa - E poi quando una donna mostra curiosità nei miei riguardi è perche vuole burlarsi di me, com'è accaduto con Madame Tallien, non certo perché mi trova attraente, affascinante o interessante, anche perché non sono capace di parlare nei salotti, perciò, in questo caso, è meglio fuggire, abbandonare il campo di battaglia e tornare a casa

Rivolse nuovamente lo sguardo ai due, rassegnati quanto lui, cercavano di trovare delle parole adatte per fargli cambiare idea, tuttavia non ne furono capaci, il loro generale aveva detto il vero, non potevano di certo contraddirlo o smentirlo. Forse era destinato a rimanere celibe per il resto della vita.

- E poi mi avrà sicuramente dimenticato, al pari di tutti quelli che ha incontrato prima di me - diceva per autoconvincersi, accarezzò la coccarda tricolore - Le auguro di trovare un uomo che la ami davvero e che abbia un istinto paterno, ne ha bisogno, in quanto donna e madre... - infine affermò convinto - Io non sono fatto per l'amore, ma per il dovere - e con questa frase lapidaria chiuse il discorso.

 

   
 
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