Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    25/10/2021    0 recensioni
Prosegue la saga de “Le cronache dei draghi e dei re”, cominciata con “L'apprendista di fuoco” e continuata con “L'avvento dei Sette”. Il conflitto è ormai scatenato. Mentre le case nobiliari che governano l'occidente continuano ciecamente a misurarsi tra di loro, l'oriente è chiamato da solo al confronto con un nemico intenzionato ad estinguere l'intero genere umano. Sarà forse possibile sconfiggerlo utilizzando quell'antico e sopito potere chiamato magia? E al fine di utilizzare al meglio tale potere, è forse il caso che i sette maghi dell'origine vengano definitivamente annientati? È partendo da questi interrogativi di base che Constant della Casa Lannister sta infine preparando la sua guerra.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9

LA DIETA DI DORNE

 

 

 

La nuova che il ricco e potente signore di Braavos fosse caduto in un attentato di matrice magica probabilmente da imputare al drago contro il quale erano in guerra, giunse a tutti gli uomini dell'Essos come una doccia gelata, e Garhel Sawela, Lord Justus Panecha e Sir Poll dei Gaholla – che formavano ormai un terzetto consolidato – non furono diversi. Inoltre il più ricco e influente Lord dell'Oriente aveva lasciato la sua città in un mezzo caos, visto che ora un po' meno di una decina di eredi sedicenti legittimi – chi più chi meno – si stavano scannando per le macerie, come gli sciacalli che a giudizio di Sawela altro non erano. Tra l'altro, quegli sciacalli Garhel s'era lasciati alle spalle per trovare altri sciacalli. Lui per tutta la vita – con la lama e con la lingua – aveva combattuto i nobili, e continuava ad averne un'opinione sempre peggiore. Certo, esistevano delle eccezioni: l'impacciato, paffuto e a volte sorprendentemente utile Banfred era fra queste; di lui il Lord ex Tribuno Popolare aveva ormai una certa radicata stima. Ma era l'eccezione che confermava la regola: per la loro cecità i nobili avevano condannato l'Essos, e adesso – se non avrebbero fatto qualcosa – avrebbero condannato pure il continente dell'Ovest. Quelli dell'ovest avevano ignorato le richieste d'aiuto dell'est, non avevano mobilitato i loro eserciti, e adesso l'est era sostanzialmente caduto. Vero: aveva pareggiato contro il drago, visto che l'aveva sconfitto anche se lasciato in vita, ma ora? Quanto tempo ci avrebbe messo il drago a ritrovare le sue forze? Più di quanto avrebbe impiegato Braavos a ricostruirsi dopo la morte del suo capo indiscusso? Decisamente no. Braavos era caduta, e con essa l'oriente. Garhel lo sapeva e sapeva che Banfred – che era un tipo colto e intelligente – lo sapeva a sua volta. Forse sul buon Poll c'era da avere qualche dubbio, il Cavaliere Smunto. Quindi i nobili di Westeros erano stati i primi a fallire, secondo Garhel, in tutta quella faccenda, ma quelli di Essos non erano stati da meno: perché l'Oriente non era accorso in aiuto di Marrah quando lei per prima tra le città più grandi di quella macro-area, era caduta? Sempre lo stesso errore: presentarsi divisi, e cadere dunque. Uno alla volta, come foglie in autunno. E adesso toccava a Dorne. Garhel non sapeva se per l'esercito animale del drago valessero esattamente le medesime regole, ma se si fosse trattato di un esercito di uomini, notoriamente la via più rapida per passare dall'un continente all'altro era proprio il sud. Per tutti gli altri versanti, bisognava prendere il Mare Stretto – e quindi disporre di una flotta – e affrontare un viaggio in un mare notoriamente poco calmo. E poi, una volta raggiunta la costa, bisognava sbarcare più o meno nella zona del Capo della Tempesta: zona che tutti sapevano ventosissima quando faceva bello e appunto tempestosa quando invece non lo faceva: nomen omen. Per non parlare del nord: lì, dopo il mare, bisognava affrontare la montagna, prima di vedere un insediamento umano venendo dall'est. No: se l'esercito del drago voleva passare, non disponendo sicuramente di navi, doveva farlo dalle isole della zona posta a meridione, chiamata Dorne.

Anche per questo loro erano lì, un po' per avvisare, un po' portare una testimonianza, un po' per chiedere aiuto, e un po' per realizzare quella unione di tutti gli eserciti degli uomini disponibili che fino a quel momento non si era potuta realizzare. Ma di speranze Garhel in cuor suo ne aveva veramente poche. Anzi: per lo più, si lasciava trascinare dagli eventi. Non aveva niente da fare, e tra l'altro non poteva muoversi, quindi: Banfred aveva deciso di portarlo a Dorne a parlamentare con Saestrya Martell? E a Dorne a parlamentare con Saestrya Martell lui serenamente si era fatto trasportare. Ma tutto sarebbe stato vano: l'umanità, con un nemico di quel genere, per come l'aveva visto lui, e soprattutto conoscendo l'impossibilità degli uomini a una coesione generale, era già spacciata. Ma meglio questo che niente. Perché non morire provando a cambiare le cose (pure se non cambiabili), anziché attendere il proprio momento fuggendo, o rimanendo da soli a piangere su se stessi come dei pazzi? Almeno, a quel modo, Garhel recuperava un po' d'azione: lui da sempre era uomo d'azione. O per lo meno gli piaceva ancora, nonostante tutto, considerarsi tale.

Per un qualche paradosso, uno dei tanti della sua vita, a Dorne lui era stato poche volte: forse due o tre. Era uomo che aveva viaggiato in tutto il mondo, comprese molte città del Westeros, ma Dorne era forse il luogo del continente occidentale in cui – insieme al nord più estremo– di meno lui era stato. Per i westerosi la loro zona più a sud aveva un qualcosa di “esotico”: era l'unica dove si potesse ritrovare un po' di deserto, e un paio di costumi e colori accesi come invece erano quelli dell'Oriente. Ma per lui che veniva dall'Oriente, a Dorne non c'era molto di interessante. C'era caldo più o meno come nella media delle città dell'Essos. C'era buon vino e donne disinibite, esattamente come da dove lui proveniva. E, anzi, tutte queste dune che per i westerosi erano così caratteristiche, per lui erano poca cosa, visto che il suo termine di paragone erano i grandi e infiniti deserti dell'estremo sud-est del continente orientale. Alla fine, gli occidentali consideravano deserto anche una landa di terra un po' secca e con vegetazione per lo più arbustiva, di cui il famoso deserto di Dorne in parte si componeva e che non aveva nulla a che fare con le immense distese di sabbia dei deserti dell'est. C'erano anche distese di sabbia a Dorne, ma sporadiche, sparse un po' qua e là tra un centro abitato e l'altro che non erano distanti tra di loro come invece poteva capitare per certi abitati dell'Essos, praticamente isolati e circondati di sola sabbia e dal mare. Insomma: per Garhel Sawela, Dorne da sempre era una sorta di pezzo di terra un po' ibrido che giocava a fare l'imitazione del suo est, riuscendoci male. Se proprio doveva passar del tempo in occidente, Garhel preferiva osservare le alture, i fiumi e le gelate di neve, piuttosto che... ancora sabbia, ma di meno; ancora caldo, ma troppo simile alle temperature che lui conosceva da una vita. Dorne per Garhel Sawela era quindi un bluff.

Comunque non stava andando a Dorne per turismo, ci stava andando per politica. Era inoltre incuriosito da questa ribelle Saestrya Martell, rappresentante di un'antichissima famiglia caduta in disgrazia, e di cui non poche si ripetevano voci perfino contrastanti. Saestrya Martell era anziana, ma era anche giovane, e secondo certe fonti una bambina. Era bellissima, ma anche dai tratti un po' spigolosi come quelli di un maschio. Era abile nel duello corpo a corpo con la lancia e con la frusta, ma era anche una diplomatica niente male, con una lingua particolarmente tagliente. Era mora e con la carnagione olivastra, ma anche a volte bionda e con la pelle chiara. Insomma: Saestrya Martell esisteva, ma chi veramente fosse nessuno lo sapeva. E Banfred l'elefantino si era reso conto di questo? Che andando a gettarsi nella mischia della ragnatela occidentale forse ne sarebbe uscito più confuso che persuaso, e forse già a partire da Dorne? Garhel aveva molti dubbi su questo, ma era disincantato e quindi gli andava bene ogni cosa. Se era pericoloso, avrebbero affrontato il pericolo. E se era una trappola, sarebbero caduti in una trappola e poi avrebbero cercato di uscirne...

Come Sawela non avrebbe potuto aspettarsi diversamente, l'incontro avrebbe avuto luogo in uno di quei palazzi secondari, di nobili terziari, di cui spesso era zeppa l'affollata aristocrazia dorniana. Rari erano in quel luogo i nobili che vivevano in un vistoso castello scintillante; per lo più i più ricchi erano dei grossi proprietari terrieri che risiedevano in casali nel bel mezzo dei loro uliveti o vigneti. Ce n'erano a centinaia di realtà simili in tutta Dorne; ed in una realtà simile Garhel, Banfred, Poll e una parte della guardia più stretta di quest'ultimo, vennero accolti. Il nobilotto di turno si chiamava Lord Granger ed era stato vassallo dei Tyrell prima, come – sulla carta – di Gino Barron adesso. Ma in verità, gli dèi soli sapevano da che parte stavano veramente personaggi come quelli. Dalla loro evidentemente, e poi poco altro.

Il tizio gli offrì del vino, tanto per gradire, nell'attesa della Martell, che comunque non si fece attendere molto. Venne fuori da una tenda nel corpo occidentale del casale di Granger, con Granger stesso alla sua destra e un omone altissimo armato di alabarda alla sua sinistra. Lei tuttavia sorprese Garhel non poco. Non sembrava affatto una leader rivoluzionaria, anzi: quella che gli si presentò davanti era vistosamente una vecchia signora, un po' acciaccata. Era secca e bassa e aveva lunghi capelli argentati. Ma altro che guerriera: si muoveva lentamente, come se soffrisse di un qualche male alle ossa. «Signori» fece Saestrya per cominciare, andandosi a sedere esattamente di fronte a Banfred, «Ci tenevo a darvi anch'io il mio benvenuti qui a Dorne, anche se so che il nostro comune ospite è già stato abbastanza solerte da questo punto di vista»

«Sì» confermò Banfred «il vino è squisito»

«Mi fa piacere, Mylord. Avete viaggiato per lungo tempo?»

«No, signora, per qualche settimana. Abbiamo fatto una pausa a Pentos, presso i Lord genitori del qui presente Sir Poll dei Gaholla. Partivamo da Braavos»

«Sì, ho saputo delle storie sconcertanti che arrivano da quelle valli. Una guerra con un drago. Un Lord assassinato da una luce tonante. Quindi, è tutto vero, miei Lord?»

«Si sarebbe potuto evitare. Se l'Occidente avesse partecipato alla guerra per l'umanità...»

«Io non dispongo di un esercito ufficiale, come sapete: vi ho risposto anche nel momento in cui la battaglia stava infuocando. Ho delle spie, qualche sicario: ma nulla che possa essere utile in uno scontro in campo aperto, figurarsi poi dinanzi all'esercito condotto da un drago»

«Non siamo qui per fare alcun processo, Milady»

«Anche se» s'intromise Garhel, guadagnandosi subito uno sguardo preoccupato da parte del giovane Panecha, «attraverso la vostra rete di alleanze, qualche amico avreste pur potuto scomodarlo. O avreste potuto provarci almeno»

«Forse è così. Mi scuso»

«È tardi per le scuse»

«Quello che Lord Sawela vuole dire» Banfred riprese così il filo della conversazione «è che purtroppo ogni minuto che passa è un minuto perso di una battaglia che prima o poi ci riguarderà tutti. Ed è anche di questo che noi siamo qui venuti a parlare, Lady Saestrya»

«Lo comprendo» rispose l'anziana rivoluzionaria «ma devo deludervi. Questa sera non ci confronteremo su questa... emergenza. Lo faremo domani, in una dieta appositamente convocata, alla presenza anche di altri notabili del regno»

«Bene!» si lasciò scappare Poll.

«Per oggi, tutto quello che volevo fare era scambiare saluti e convenevoli» continuò Saestrya «con voi, con l'altro ospite che è sopraggiunto. E fare in modo che dal vostro canto vi salutiate tra voi stessi: ho saputo che vi conoscete»

«Con chi?» fece Banfred, sempre più sospettoso. Come nella più forzata delle messinscene, “l'ospite” in questione venne fuori dalla medesima tenda sulla destra dalla quale Saestrya stessa era uscita. Era un uomo di media statura e senza scorta, ma i suoi abiti non erano quelli di un popolano.

«Piacere di rivedervi, signori» salutò dunque Petyr Baelish, con un maligno sorriso a tutta bocca.

«Baelish!» s'alzò Sawela con rabbia, e d'istinto un paio delle guardie di Poll misero le mani sull'elsa della spada. Garhel proseguì: «Non è un piacere per niente: l'ultima volta che ho avuto a che fare con te, un nobiluomo è morto, io sono stato accusato di quell'omicidio e tu – pur essendo presente – non hai fatto niente per difendermi. Dopodiché hai cospirato con Goldsmith dandogli evidentemente i peggiori dei consigli, in merito alla guerra con il drago»

«Non è così: ti assicuro che Goldsmith faceva tutto da solo» rispose Baelish.

Sir Poll dei Gaholla invece fece: «Cosa? Quest'uomo è coinvolto nell'omicidio di Lord Gaholla padre per il quale io e il mio ragazzo abbiamo dovuto pagare?»

«Mi dicono che non avete pagato niente» replicò ancora il Lord di Baelinstratth «che il processo è stato interrotto perché bisognava organizzare la guerra»

«Non è questo il punto» fece ancora Garhel con rabbia «Il punto è che tu sei un verme. E noi non vogliamo avere nulla a che fare con te»

«È un peccato: visto che forse conosco un modo per risolvere la questione del drago una volta e per tutte»

«E quale sarebbe?»

«Ne parlerò domani alla Dieta. Alla presenza vostra e degli altri ospiti che Lady Saestrya e il suo Lord Granger stanno qui attendendo»

«Quanto detesto non sapere le cose, o saperle a metà, o all'ultimo minuto»

«In questo, Lord Sawela» si alzò l'anziana Martell «sono forse io a dovervi delle scuse, più che Lord Baelish. Purtroppo quando si è dei ricercati nella propria patria, si tende sempre ad operare con un certo... tatto. Comprendo che la cosa non possa risultare simpatica: non a tutti piacciono le sorprese...»

«Specialmente le brutte sorprese, Milady» replicò ancora, tra i denti, il Lord ex Tribuno.

«Sì. Ma è così che io opero» concluse la Martell, definitiva, «ed è questo che ci si deve aspettare, quando si ha a che fare con me. Me ne spiaccio, ma va accettato»

«E noi lo accettiamo, Lady Saestrya» s'intromise il più diplomatico Banfred, «qualsiasi cosa pur di recuperare alleati, meglio se numerosi»

«Beh, quelli di domani purtroppo numerosi non saranno, Lord Panecha. Ma vi prometto che saranno importanti: io domani v porto, niente meno, che degli inviati del legittimo re del Regno Unificato», e dicendo questo Saestrya Martell si liberò in un sorriso pieno di astuta soddisfazione.

 

 

 

Delta delle Acque. Il giovane Petyr era in teoria ancora il Lord incontrastato di quel castello sul delta triforcuto di tre rivi diversi: il famoso Tridente. Che poi diverse volte, da quando era nato, gli avevano anche spiegato che in verità Tridente era proprio il fiume principale, quello più grosso, mentre gli altri due, che proprio nei pressi del castello si staccavano dal principale, erano più che altro degli affluenti, parti di un immensa rete che faceva del fiume Tridente il più carico d'acqua dell'intero continente occidentale. In qualche maniera si poteva dire che fosse il padre di tutti i fiumi al di sotto dell'Incollatura. Sua madre era da sempre stata legata a quei luogo, gliel'aveva sempre descritto quasi come un posto magico. Un luogo ideale dove far crescere uomini di pace e di diplomazia, perché quello era il luogo dell'incontro. Tra il nord e il sud, tra il monte e la valle, tra gli antichi dèi e quelli nuovi. Suo padre, invece, Petyr il giovane sostanzialmente sentiva di non averlo neanche mai veramente conosciuto. C'erano dei ritratti in giro per casa, in cui si vedeva che quell'uomo dal pizzetto curato e lo sguardo intelligente lo avesse preso in braccio per più volte, in più fasi della sua breve vita (Petyr avrebbe compiuto in quei giorni dodici anni). Da neonato, e poi a circa tre anni e a circa cinque, suo padre doveva averlo tenuto in braccio: c'erano gli affreschi a testimoniarlo. Eppure, Petyr non si ricordava del suo anziano genitore: il suo omonimo, Petyr il vecchio, l'uomo che avrebbe dovuto proteggerlo da tutto quello che era successo e che adesso non si sapeva più dove fosse.

Da quando sua madre era morta, affogata in quello stesso Tridente che aveva tanto amato, e che tanto adesso Petyr odiava, gli stessi aguzzini che avevano operato quell'atto da una parte lo tenevano prigioniero, ma dall'altra pretendevano che lui ratificasse ogni loro decisione, come se si preoccupassero a mostrare che il Lord della Terra dei Fiumi rimanesse ancora lui, e non loro che materialmente prendevano tutte le decisioni. “Loro” erano un gruppetto di cinque burocrati palesemente messi lì perché bravi nei numeri e nella politica, ma a cui l'esercito regio lì mollato dal re sul Trono di Spade in realtà non rispondeva. L'esercito, in parte composto di uomini e in parte di mostri ferini, rispondeva a un titano fatto interamente di roccia, ma vestito come un uomo, che era di poche parole e pareva non gradire molto il fatto di essere lì. Petyr – volente o nolente – ci aveva avuto a che fare diverse volte, perché ogni qual volta c'era da fare qualcosa di azione per il governo di quella regione, c'era bisogno di coinvolgerlo e... alla fine si era abituato. Era un mostro, sì. E all'inizio della loro convivenza presso lo stesso castello aveva più di una notte turbato i suoi sogni, senza dubbio. Ma alla lunga... il titano di roccia si era dimostrato come il meno antipatico degli inquilini abusivi a Delta delle Acque. Che poi in effetti Petyr non sapeva se esattamente dormisse nel castello o in qualche zona limitrofa (ma necessariamente non lontana). Cioè... quel coso dormiva? Petyr non lo sapeva. Non sapeva molte cose da quando gli stranieri avevano occupato la sua casa, meno di quante ne sapesse prima, quando a governare in pratica c'era sua madre. Quando aveva la mente libera e senza pensieri, e poteva giocare come il bambino quale ancora si reputava. Almeno aveva la sensazione che sua madre volesse addestrarlo a qualcosa. Questi di adesso no; questi di adesso, volevano solo la sua firma sugli atti ufficiali e poco altro. Una volta, per loro volere, Petyr aveva dovuto farsi vedere all'inaugurazione di una sorta di sagra della pesca in un villaggio vicino (che lui non aveva mai visitato nonostante fosse della zona), ma insomma anche in quel caso non era stato nulla di memorabile.

La sua vita stava procedendo così, come quella di un servo in casa propria. Cioè: non proprio un servo, non veniva mica frustato continuamente o costretto a lavori manuali, ma... minacciato della vita sì, quello capitava. E poi non era libero: non poteva scappare, visto che le guardie dei suoi cinque padroni lo tenevano sotto controllo anche quando andava al bagno. Era prigioniero, terrorizzato, traumatizzato e... non vedeva granché speranze nella sua vita. Finché non venne quel giorno...

Uno dei mille inservienti che bazzicava da sempre il castello ma con lui non aveva mai avuto molto a che fare e di cui non sapeva il nome, forse un erborista di palazzo, gli si avvicinò con fare un po' sospetto in un noioso momento di una mattina un po' piatta. «Hye, mylord!» gli disse, come a non voler farsi notare, «Mylord! Vieni qua!». Era palesemente una persona che non aveva studiato: se conosceva qualcosa del suo settore, la sapeva per nozioni dirette, non per la via di libri e volumi. Un uomo del popolo insomma, peraltro anziano e un po' malaticcio. Anche sporco. Lo invitò con una certa insistenza a seguirlo fino a un ripostiglio giù da una breve scala. Quindi, gli prese le mani con le sue lerce mani e gli consegnò una missiva.

«Ma che...?» fece Petyr, sbigottito.

«Leggila» gli disse invece il vecchio servo «solo quando pensi di poter essere completamente solo. Nascondila. Nascondila e poi leggila». A quel punto il vecchio semplicemente lasciò lo stanzino, quanto più rapidamente potesse. Anzi, prima di chiudersi la porta alle spalle si guardò prudentemente a destra e a manca: Petyr lo distinse benissimo. Quindi, il vecchio si dileguò e – dopo pochi secondi – pure lui, con la missiva ben piegata in una tasca interna della blusa.

Leggerla tuttavia fu un problema. Petyr non poté che attendere il sopraggiungere della notte, e pure in quel caso non riuscì a farlo. Le guardie si alternavano nel dormire in un sofà all'interno della sua camera da letto, e se lui avesse acceso un lume ovviamente se ne sarebbero accorte. Passarono così un paio di giorni, senza che Petyr riuscisse a trovare una soluzione a quel problema. Alla mattina del quarto giorno, decise che quello doveva essere il giorno in cui avrebbe letto la sua lettera misteriosa. Accese un fuocherello vicino a un pollaio con molta paglia attorno, e attese. Quando l'incendio divampò, ben quattro dei cinque legati regi che amministravano Delta delle Acque si precipitarono verso la zona del danno, per coordinare i lavori, raccomandando al quinto di non mollare la sua sorveglianza nei confronti “del ragazzino”, così gli venne detto. Intenzionato a giocarsi il tutto per tutto e quindi affrontando la possibilità di risultare troppo palese, Petyr si lanciò in un finto inciampo gettando addosso al burocrate quel grande piatto di dessert alle creme varie che parte dei presenti stavano consumando in quel fine pranzo. Tutto allarmato per i suoi “vestiti buoni”, anche il quinto amministratore lasciò la sala, raccomandando a sua volta ad un paio di guardie di non mollare il principe della Terra dei Fiumi. Ma le guardie non avevano esattamente le medesime direttive di quei cinque. Così, quando Petyr chiese di andare al gabinetto, loro gli dissero di sì ma lo seguirono. Fino a un certo punto. Quando lui disse che non potevano certo seguirlo fin proprio al pisciatoio, loro semplicemente attesero, e lì fecero l'errore che uno di quei cinque maledetti non avrebbe mai fatto. Dalla prossimità del pisciatoio, che conosceva bene, finalmente lasciato da solo, Petyr il giovane saltò giù da una bassa finestra a un piccolo tetto di un corpo basso, e di lì fu libero. Sapeva che lo avrebbero trovato, e poi non sapeva neanche dove andare... non fuggì, non intendeva farlo. Ma rimase da solo il tempo necessario.

Mentre il resto del castello lottava per spegnere un incendio domato già dopo meno di un'ora, lui si recò presso un posto speciale. Una mezza altura rocciosa dove si poteva scorgere bene il punto dove i tre fiumi s'incontravano. Era un terrazzamento naturale che aveva scoperto grazie alla sua mamma: lei lo aveva portato lì la prima volta, durante un tramonto. I tramonti lì erano qualcosa di eccezionale, ma in quel momento c'erano solo i tre fiumi. Era troppo presto per l'ora del tramonto, ma non lo era abbastanza per la sua tanto spasimata lettura della missiva.

Rompendo il sigillo di cera sul plico, nel quale campeggiava stilizzato un tordo tipico della sua famiglia, il giovane Petyr decise di leggere a voce alta. Quel posto lo meritava, e la sua solitudine conquistata dopo tutti quei mesi sofferti, lo meritava anche lei. Si liberò cominciando: «Mio caro figliolo, questo è un messaggio di speranza e di consapevolezza. Indipendentemente da quali siano le sofferenze che – immagino – tu stia soffrendo, debbo invitarti a resistere. Presto tu sarai libero. Per quello che è in mio potere, sto organizzando un piano con nuovi ed inattesi alleati. È un piano che prevede tanta attività diplomatico e poca azione centellinata. Per tal ragione, i tempi potrebbero non essere brevissimi, per quanto io ti giuro davanti ai Sette Dèi e sulla memoria della tua defunta madre, la mia adorata moglie, che farò quanto in mio potere per accorciarli. Volevo solo dirti in questo messaggio che qualcosa si muove, dunque non perdere la speranza. La speranza è perduta se non si hanno più prospettive, e non si hanno più prospettive se non si hanno più informazioni. Ma con questa mia io ti informo. Ricorda che, come dice il nostro motto, “la conoscenza è potere”. Con affetto, tuo padre il Lord della Valle di Arryn. Post Scriptum: distruggi il messaggio non appena lo avrai letto». Petyr si prese un minuto buono per piangere di delusione e disperazione. La lettera di suo padre non conteneva nulla di pratico che potesse farlo sperare in un futuro di libertà, se non un vago accenno ad un misterioso “piano”. Un piano: suo padre l'aveva sempre, era il tipico uomo che aveva un piano. E dove lo avevano portato tutti quei piani? A una moglie morta, un figlio prigioniero, e metà delle terre sotto la sua giurisdizione, occupate. Quel messaggio di speranza non aveva suscitato in Petyr il giovane alcuna speranza. Anzi, lo condannava ancora a quella vita di prigioniero in casa sua... per quanto? Un mese? Due, sei? Un anno? In un anno tutto poteva succedere. Magari arrivava il re Targaryen e decideva di liberare Delta delle Acque dall'occupazione, facendo di lui il suo erede e pupillo nella Terra dei Fiumi. O magari semplicemente un giorno, preso da un impeto sino ad allora insospettabile, il mostro di roccia prendeva il suo martello e schiacciava la testa di Petyr contro una parete rocciosa: perché no? No, suo padre in quella missiva aveva calibrato male lo spirito: non era proprio il caso di parlare di conoscenza e soprattutto di speranza.

Petyr strappò in tanti piccoli pezzi la missiva che portava in calce la firma d suo padre, e la consegnò al vento e, tramite questo, al fiume. Fece per tornarsene al castello e prepararsi alla ramanzina più dura che fino a quel momento i cinque usurpatori gli avessero mai fatto: non che lo potessero incolpare dell'incendio, ma di aver versato apposta la crema sull'abito di uno di loro, di aver manipolato le guardie e poi esser scappato... beh per quelle cose Petyr non aveva difese. Sperava che, nel consegnarsi di sua volontà, avesse ottenuto una qualche attenuante, ma non era per niente sicuro. Fece per andare, quando tutt'assieme la parete di roccia accanto a lui si mosse. Era il demone guardiano del re Targaryen, fino a quel momento assolutamente mimetizzato con l'ambiente. Terrorizzato, Petyr cacciò un urlo, a fu subito fermato dal mostro che era di poche parole, però parlava: «Niente grida, giovane Lord» disse «Risparmiale per quando ti saranno necessarie»

«T-tu m-mi hai s-sentito?» balbettò Petyr il giovane, comunque morto di spavento.

«Sì, ma non m'interessa. Io non rispondo al mio padrone se non per ordine diretto. E ho l'ordine diretto di tenerti prigioniero qui presso Delta delle Acque. Quello che tu leggi o non leggi, non è affare mio»

«Ehm... e... e lo dirai agli altri legati del Regno? Sì, ai cinque amministratori?»

«Non vedo una sola ragione per farlo», chiuse il titano di roccia e lo precedette, dirigendosi verso il castello. Petyr gli andò dietro con la coda tra le gambe. In verità, anche con un po' di speranza. Almeno quella di non ricevere punizioni troppo gravi dall'intemperanza che aveva appena compiuto. Quel fuggire e manipolare che sicuramente i cinque suoi momentanei padroni avrebbero considerato tale.

 

 

 

Dopo una serata e una nottata di riposo piuttosto tranquille, che in verità ci stavano, visto che era sostanzialmente da Pentos che non si fermavano, venne alla fine la mattina della Dieta, tanto propagandata sia da Baelish che soprattutto dalla vecchia Saestrya Martell. La riunione si sarebbe tenuta esattamente nello stesso luogo dove già il giorno prima Garhel, Banfred e Poll erano stati accolti, ma l'arredamento venne rinnovato talmente alla radice e talmente in fretta da dare perfino l'impressione di trovarsi in un luogo diverso. Certo: dei legati regi ufficiali, erano pur sempre dei legati regi che nobilitavano il dialogo di un gruppetto di rivoluzionari che il resto dei convitati alla Dieta altro non era. Saestrya era fuori da ogni norma e regola proprio per tradizione, fin dall'inizio della sua attività sediziosa. Baelish era un nemico della Corona ufficiale, quella sulla testa del re sul Trono di Spade, in quanto aveva cospirato con i suoi nemici e adesso subiva l'occupazione di una parte del proprio territorio, nonché la prigionia del suo unico figlio ed erede: cosiddetto Petyr il giovane. E per quanto concerneva loro tre – Sawela, Banfred e Poll Gaholla – loro erano gli esuli da un continente che il re sul Trono di Spade si era praticamente rifiutato di riconoscere fin dal suo insediamento. Costui non rispondeva alle lettere, neanche a quelle ufficiali, neanche a quelle di Goldsmith, giusto per fare un nome fuori da ogni sospetto. E poi ai suoi Concili Ristretti non partecipavano né Lord delegati regionali né Tribuni Popolari. L'Oriente non pareva essere proprio nei pensieri di Gabryaerys.

La grande sorpresa giunse, perfino per Baelish stesso, quando i primi ad arrivare alla riunione non furono nobiluomini e cavalieri sulle cui insegne campeggiasse un qualche tipo di corona. No: il vessillo che per primo giunse a Dorne garrendo allo scirocco del deserto, era quello su cui fioriva un albero di mele. Garhel era sicuro di averlo già visto, specialmente nei pochi anni in cui aveva bazzicato la Capitale in qualità di Tribuno Popolare dell'Est. Doveva essere di una qualche famiglia del nord, anche se non si ricordava quale.

«Salute a tutti» salutò il giovanissimo e biondo capo della delegazione, andandosi a sedere accanto alla padrona di casa, Saestrya, la quale pareva essere l'unica ad avere il reale controllo su quello che stava accadendo. Il cavaliere del nord si presentò: «Sono Hrysso degli Applegate, pronipote del Lord della ridente Alberocasa, al momento tristemente occupata»

«Occupata?» fece Garhel piano rivoltò a Banfred «E da chi?».

Dall'espressione sul suo volto, l'elefantino doveva saperne perfino meno di lui. Ma Lord Baelish, che era riuscito ad ascoltare come diversamente non poteva essere, dato la faina che altro non era, gli disse: «Dai Willoughby della Stella del Nord. E soprattutto, sotto l'avallo del reale dominus di tutta quell'area: Uryon Worchester. Che la fa da padrone da Delta delle Acque in su, strafottendosene altamente di chi comanda a Roccia del Re. E, nonostante tutto, in una sorta di appiccicaticcia amicizia col re sul Trono di Spade: è per causa sua che noi e i Bolton abbiamo perduto, e i due bestiali re si sono spartiti il continente. L'orso e il drago»

«Noto un filino di astio nel tuo tono, Baelish» constatò Sawela, senza peli sulla lingua.

«Anche più di un filino, Mylord. Sono qui per questo»

«Io non sono un Lord: come devo fartelo capire?». Baelish aveva come al solito la risposta pronta, ma venne interrotto da Saestrya che passò dalla sua semplice conversazione di accoglienza alla casa del nord lì sopraggiunta, a un discorso di spiegazione rivolto a tutti.

«Sir Hrysso, qui» disse ad alta voce la rivoluzionaria «è un amico che ci porta la voce di un nord apparentemente tutto asservito all'usurpatore Naharis. La sua presenza ci dimostra che non è così. Attenderemo la delegazione del re prima di approfondire meglio con le presentazioni ma... vi basti sapere che la guerra nell'estremo nord non è ancora finita. E, a quanto Sir Hrysso mi riferisce per il tramite di suo cugino Sir Elthon, non è neanche detto che vada per come al momento sembri star andando. Hanno un asso nella manica». Saestrya e quel Sir del nord si sorrisero complici, mentre sempre più Garhel Sawela si domandava che cosa diamine loro dell'est ci facessero in quel posto.

La delegazione regia giunse con una mezz'ora di ritardo. Chiaramente si presentò con al seguito almeno una cinquantina di cavalieri, ma i principali rappresentanti erano tre: due di loro vestiti con abiti orientali, uno addirittura con arco, faretra e frecce. Quella al centro, era una donna col caschetto castano, vestita come un uomo. Senza dubbio un trio curioso all'apparenza, per essere la rappresentanza ufficiale di un sovrano del Westeros. La ragazza col caschetto, giunta al centro di tutte le attenzioni, dunque presentò: «Una buona giornata a tutti. Mi chiamo Zenya e giungo qui a parlare in nome di Sua Maestà Constant della Casa Lannister. Il vero re del Regno Unificato. E questi sono Sir Bastian, da lungo tempo ormai consigliere personale del re. E il signor Pashamanyna, il mio secondo».

In quel momento, Garhel finalmente riconobbe uno dei due uomini orientali. Era un bassetto dall'aria furbetta che sapeva di aver già visto, ma pensava si trattasse di un caso, un suo errore di valutazione. Invece era proprio lui! Era l'uomo che aveva tenuto imprigionato la draghessa Kimera in nome e per conto di un padrone che gli aveva commissionato di praticare della magia oscura per le sue guerre d'occidente. Quell'uomo lo aveva persino tenuto imprigionato, insieme con il principe Marcus e con il sacerdote Yashua, il cultista del Dio Rosso. Solo che quando s'era occupato di quell'operazione, in coordinamento con un mostro fatto di sola roccia e teschio nero, lo aveva fatto con un ghigno beffardo sulla faccia. Invece adesso aveva un'aria tronfia e solenne. Come quella di un vero politico dell'occidente. Garhel era un passionale: non resistette. Disse ad alta voce: «Banfred! Portami via!»

«Che succede?» chiese Saestrya, un po' in imbarazzo.

«Succede che io non parlo con gli aguzzini!»

«Di che cosa state parlando?»

«Del Lord-sorrisetto lì, vestito come uno di Pentos, leccapiedi del re occidentale. Io sono stato un prigioniero di quell'individuo, insieme niente meno che con il principe Marcus dell'occidente! E maneggiava con la stregoneria e con... mostri mezzo-beste che usava come carcerieri. E come soldati»

«Il principe Marcus dell'occidente» disse quella Zenya «in questo momento è, forse, il principale degli alleati di suo zio re Constant. E lo abbiamo lasciato insieme a lui nelle terre dei Lannister. Dunque...»

«Un po' strano che lo riconosca come re» rise Baelish, provocatorio, «visto che sulla carta sarebbe più in alto di Constant nella linea successoria del defunto re Axelion»

«Eppure lo ha fatto. Constant sarà il suo re, fino al momento del ritrovamento dell'infante Napoleon Lannister»

«Ehm...» s'intromise un po' titubante Sir Hrysso «Napoleon Lannister è il re. Daniel di Cowain, che si trova con mio cugino non lontano da Alberocasa, pretende che venga riconosciuto come tale»

«Perché: è vivo?» chiese Baelish, evidentemente stra-divertito dalla situazione, «Daniel di Cowain?»

«Lo è, signore»

«Io presumo» fece a questo punto Sir Bastian, il primo che era stato chiamato in causa, e che ancora non aveva detto la sua, «che tutto quello di cui in questo momento stiamo discutendo, per quanto importante, non sia l'oggetto di cui oggi avremmo dovuto discutere qui, a questa Dieta così gentilmente organizzata dalla signora Saestrya Martell. Giusto per essere chiari, e abbassare i toni, sì» a questo punto il Sir paffuto si rivolse direttamente a Garhel Sawela, «io servivo il Signore delle Dune, oggi noto come re Gabryaerys Targaryen Naharis. Mi lega... un qualche rapporto complicato di affetto nei suoi confronti. Pure ora, in questo momento. Ma non combatto più per lui. Non è bene che sia lui il re del Regno Unificato. Per questo adesso, come Zenya via ha già spiegato, servo re Constant. Come fa anche Marcus Lannister, che voi Sir... Sawela... giusto?»

«Sono un Lord»

«Ma come...» s'intromise Baelish «non mi avevate detto poc'anzi di non esserlo?»

«Dipende da chi parla, Baelish. E ora sta' zitto»

«Sì, comunque» riprese Bastian «quello che voglio dire... è che ora siamo tutti dalla stessa parte»

«Sapete, Sir Bastian, ho la sensazione che voi qui vogliate fare bella figura, oltre a rendervi utile» cominciò il Lord della Valle «ma avreste molto più successo, se foste disposto a dirci tutta la verità, su questo usurpatore circondato da demoni e... oscurità»

«Che cosa volete sapere?»

«Le mie fonti alla Capitale da lungo tempo mi parlano di un legame... particolarmente stretto tra lo pseudo-re e questi suoi inquietanti servitori»

«Sì, è così»

«Tanto stretto... da poter risultare vitale?»

«Io questo non lo so...»

«Sì!» esclamò Zenya «la vita dei demoni su questa terra è inevitabilmente legata a quella di colui che li ha risvegliati. E viceversa: ogni volta che si scalfiscono loro, si scalfisce lui»

«Come sapete tutto questo» chiese Saestrya Martell «Lady Zenya?»

«È difficile da spiegare. Sono nozioni antiche. Che siamo riusciti a reperire grazie al nostro viaggio nel nuovo continente, il Miriedos. Esso è il più antico di tutti i continenti. E custodisce realtà... che voi, signori, non potreste immaginarvi»

«È un po' vago» commentò Baelish «ma forse non abbiamo alternative»

«Signori. SIGNORI!» gridò a questo punto e finalmente Banfred «Davvero? Ancora una volta state ricadendo nel medesimo errore? Sono sicuro che a tutti voi, o ai vostri Lord o re, sono giunte le nostre missive di accorato appello: non c'è più tempo per scannarci tra di noi. Un drago! Vero! Che qui in molti abbiamo visto coi nostri stessi occhi. Fatto di scaglie e squame e sputa-fuoco, ha fatto cadere una a una tutte le più grandi città dell'est. Pentos è la prossima, e poi Myr e poi... Dorne. E poi forse Roccia del re, chi lo sa? Bisogna agire tutti insieme, uniti, in questo momento! Non è un'invenzione: è un pericolo reale. E sta venendo a prenderci tutti»

«Sono stato in oriente» replicò Baelish, pacato, «E so bene che ogni vostra attenzione al momento è giustamente dedicata a questo problema. Ma lasciate che vi apra un'altra prospettiva: vi prego. Sempre le mie fonti alla Capitale mi riferiscono...»

«Ne hai proprio parecchie...» si lasciò scappare Garhel, con una punta di polemica.

«È così» rispose Baelish, serissimo, «perché è così che si fa la politica. Ebbene, mi riferiscono... che quando parla celle sue connessioni con i suoi mostruosi servitori... il re usurpatore parla spessissimo anche di un drago. Da cui più o meno tale potere deriverebbe. Naturalmente, è una materia assai delicata, che forse neanche noi capiremmo appieno, ascoltando con le nostre orecchie. Ma, ora che abbiamo saputo che il nostro Sir qui conosce Gabryaerys personalmente, mi sento di domandare... è possibile questa cosa?»

«Lui... sì, era in accordo con un drago. Ma non ho idea se, dietro tale accordo, si possa celare – come con i demoni – un qualche legame di natura più... viscerale»

«Un drago, uno stregone con una corona sulla testa e un gruppuscolo di mostri dal teschio nero che gli girano attorno» concluse Baelish «tutti mescolati insieme in una sordida alleanza che va a discapito di noi tutti. Quindi... se abbattessimo questi famosi demoni, uno ad uno, cercando di prenderli in solitaria...»

«Di cosa stai parlando esattamente, Baelish?» chiese Saestrya Martell.

«Sappiamo con precisione dove si trovano due di loro. Uno, il cui corpo di titano è interamente ricoperto di solida, quasi inscalfibile roccia, tiene prigioniero mio figlio a Delta delle Acque. L'altro, se possibile ancor più inquietante, è invece mio prigioniero alla Valle. Su costui, si potrebbe fare una prova»

«Il re...» suggerì Zenya «Constant conosce la magia. E ha già abbattuto uno di quei cosi. Quello con il potere dell'acqua. Il vostro prigioniero invece...?»

«Fuoco. Ad elevatissime temperature. Dalle mani, come se niente fosse. Infatti lo teniamo prigioniero immerso in una cella di neve e ghiaccio. Da lì non riesce a rigenerarsi»

«Deve essere Corarus, e l'altro Helmon» fece quel Pashamanyna, quello con arco e frecce, che fino a quel momento non aveva aperto bocca. Garhel era più confuso che persuaso, e un senso di rabbia e insoddisfazione lo stava prendendo tutto. Perché non aveva più le gambe, altrimenti sarebbe zompato in piedi e avrebbe cominciato a sbraitare.

«Dici che il suo» fece Zenya al suo secondo «È quello con la corona d'ossidiana?»

«Così è» proclamò Baelish, solenne, «Una tiara nera indistruttibile come il suo teschio, poggia sul suo capo spoglio. Ne conoscete il nome?»

«Abbiamo letto un libro» disse Zenya.

«Che libro?» chiese l'ospite di casa Martell, Lady Saestrya, tutta entusiasmata.

«Un libro magico... io ho una buona memoria, ma... quella del mio secondo è prodigiosa. Lui sì che ne conosce i nomi»

«Quanti sono?» chiese Baelish.

«Sette» rispose Pashamanyna «Uno presumibilmente già eliminato: Muldrow. Poi ci sono Corarus ed Helmon, Xenorus delle energie fredde, Meredjuxor della natura, Tararus dell'energia del cielo in tempesta e... Braff»

«Braff?» disse Saestrya «come il Maestro dei Sussurri?»

«A detta di Marcus, il nome non è la sola rassomiglianza» spiegò Zenya «il demone delle ombre, quand'era in vita, era anche una spia... ed un pedagogo. Il migliore del suo tempo»

«È impressionante» commentò ancora il Lord della Valle «Dunque sappiamo l'ubicazione di almeno altri due di loro. Se uno fosse Braff... l'altro è sicuramente quello che per ora gli fa da Primo Cavaliere, anche se non ho idea quali siano il suo nome o i suoi poteri... potrebbe essere ghiaccio, come natura come... quell'altra cosa che avete detto. Pensate che Constant potrebbe sconfiggerli?»

«Non lo so» ancora Zenya «l'ultima volta ci ha quasi lasciato le penne»

«Abbiamo alternative?» chiese Saestrya.

«No» sentenziò Baelish.

«Saresti in grado di convincerlo?» chiese Banfred alla ragazza vestita da uomo.

«No» disse Zenya, ma indicando Sir Bastian concluse con un: «ma lui sì»

«Anche il principe Daniel ha dei poteri» suggerì Hrysso Applegate.

«Il tempo che scenda qui, e il drago si sarà già preso anche Altogiardino, oltre che Dorne» constatò Banfred.

«Fermi, fermi. FERMI!» sbottò quindi Garhel. Si rivolse al solo elefantino: «Non vedi che cosa sta facendo?»

«Chi?» replicò quello.

«Baelish! Ci sta convincendo a fare quello che a lui conviene che facciamo. Non abbiamo uno straccio di garanzia che, ove mai riuscissimo ad annientare uno di quei cosi, Gabryaerys ne risentirebbe, e di conseguenza... dovrebbe risentirne il drago? Perché? Perché lui l'ha sentito dalle spie? Ma non ti rendi conto che discorsi da pazzi sono questi? Lo sai cosa farà, se l'impresa alla Valle dovesse andare a buon fine? Vi manderà tutti a Delta delle Acque dritti dritti a liberare suo figlio!»

«Certo» replicò Baelish «infatti è così, non lo nascondo per niente. È già stato detto: siamo tutti da una stessa parte»

«Noi non eravamo veniti qui per vaneggiare di spettri e demoni» continuò quasi senza fiato Garhel «Cercavamo qualcosa di concreto! Almeno di plausibile! Banfred: ti chiedo di portarmi via da questo consesso. E di venire con me»

«Ma Lord Sawela» provò Saestrya Martell «non ci sono alternative...»

«L'alternativa è combattere il drago!»

«Sì» disse Banfred «e a che cosa ci ha portati fino ad ora? Forse la strategia è meglio dello scontro diretto...». Garhel rimase in silenzio. Non aveva nulla da dire, anche se era contrario. Non poteva farci niente. Non poteva neanche andarsene. Osservando di essere l'unico a pensarla a quella maniera, decise di rimanere in silenzio per il resto della riunione. A questo punto, prima di darsi un vero e proprio appuntamento a Nido dell'Aquila e vedere chi c'era e chi no, Zenya – per conto del re a Castel Granito – chiese lealtà. Saestrya Martell le rispose che Dorne avrebbe appoggiato Constant, a cambio del tanto atteso riconoscimento ufficiale. Sir Bastian disse che da questo punto di vista i carteggi tra Constant Lannister e Jon Barthalo, che loro avrebbero messo sul trono di Castel Granito al posto di Gino Barron – leale al re Naharis – erano parecchio incoraggianti. Saestrya si accontentò e annunciò che per l'impresa nella Valle avrebbe messo a disposizione l'armadio munito d'ascia che gli faceva da guardaspalle. Non che lame e coltelli avrebbero potuto mai essere utili senza la magia di Constant, ma tutti dovevano pagare un prezzo a quella sgangherata alleanza che si stava venendo a formare.

Hrysso Applegate ribadì che, per quanto lo riguardava, non aveva alcun potere di non riconoscere quale re colui che i suoi Lord gli dicevano di riconoscere, ovvero Napoleon. Ma comunque si mise a disposizione, lui con il suo piccolo seguito di cavalieri del nord in pelliccia, per l'impresa alla Valle. Lì almeno avrebbero trovato temperature più consone ai loro abiti. Anche Baelish si mise a disposizione, ma usando un arzigogolo di parole sulle quali un giorno avrebbe potuto montare tutto e il contrario di tutto. Garhel lo aveva ormai imparato a conoscere bene, e anche i delegati di Constant – se non fossero stati degli sprovveduti – avrebbero fatto bene a fidarsi, ma sempre e solo fino a un certo punto.

Per quanto riguardava loro, la delegazione dell'est, finì che si spaccarono: con Banfred profondamente convinto del piano degli occidentali da una parte, e lui – l'ex Tribuno Popolare Garhel Sawela – che se solo avesse avuto le gambe, se ne sarebbe andato probabilmente a morire da qualche parte di nuovo nell'Essos. Forse a combattere al fianco dei pentosiani: chi lo sapeva. L'eventualità non si sarebbe mai ripresentata, perché sempre con Banfred lui sarebbe rimasto. Un po' perché il giovane elefantino ormai era le sue gambe. E un po' perché aveva sviluppato nei suoi confronti una sorta di paterno senso di protezione. Non che sarebbe stato in grado di difenderlo fisicamente ma... almeno poteva controllarlo, buttare un occhi su quello che faceva e non faceva.

Ad ogni modo, anche Banfred se ne uscì un po' come poteva con una specie di: “intanto facciamo insieme 'sta cosa, e poi vediamo”, e quella Zenya non poté in effetti pretendere altrimenti, come d'altronde fecero anche gli altri due, quel Pashamanyna e quel Sir Bastian; quest'ultimo tra altro, da uomo più vicino in assoluto al re dei Lannister, o almeno così gli avevano spiegato. Ma l'impresa non era ancora vicina dal cominciare: bisognava che Zenya e gli altri tornassero alla capitale dei Lannister e si facessero dire di sì dal loro re. Se Constant accettava, allora c'era un demone da eliminare, e forse due. Ma se Constant rifiutava? Allora tutto ritornava come prima e... niente guerra contro il drago? A che cosa era servita dunque questa Dieta di Dorne? E in attesa della risposta di Sua Maestà il re senza Trono di Spade, loro dell'est cosa avrebbero fatto? Sarebbero rimasti lì in vacanza a Dorne a spese della Martell? Mentre magari il drago, all'est, si rifocillava e riacquistava tutte le sue energie? C'erano troppe zone d'ombra in quel programma. E tutta quella situazione, all'ex Lord Garhel Sawela, piaceva proprio poco.

   
 
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