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Autore: lady lina 77    26/10/2021    2 recensioni
L'omicidio di una donna e il salvataggio dei suoi due figli porteranno i Poldark dentro a un grande segreto da tenere celato a qualsiasi costo. Una storia che nasce nel freddo dei ghiacci di Oslo per poi approdare in Cornovaglia dove Ross, assieme a due misteriosi gemellini (già conosciuti in una mia vecchia fanfiction ma quì in ruoli diversi), lotterà per poter tenere fede a una promessa.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Nuovo personaggio, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Imponendosi di vivere come sempre e senza dimostrare di avere nulla da nascondere o di cui preoccuparsi fino al ritorno di Dwight, Ross e Demelza avevano deciso di andare avanti come avevano sempre fatto, senza rinchiudersi in casa nascosti come topi ma barcamenandosi come sempre fra impegni, doveri, piaceri e una ciurma di figli di età diverse e vivacissimi che avevano il diritto di vivere serenamente.
Per giorni Ross aveva lavorato incessantemente in Parlamento, aveva presenziato ad eventi, aveva passeggiato con i suoi pari nei grandi parchi del centro e si era sforzato di mantenere una parvenza di normalità che l'incontro con Haakon aveva spezzato in lui e sua moglie. Non lo aveva più rivisto dalla cena a casa sua ma era certo che prima o poi ci avrebbe di nuovo avuto a che fare e silenziosamente aspettava la sua prossima mossa. La speranza che tutto fosse un parto della sua fantasia era l'appiglio che lui e Demelza si erano concessi per non cadere nell'angoscia ma Ross era consapevole che un uomo del genere, col potere che disponeva, sapeva fin troppo di quanto successo anni prima in Norvegia e del mistero che aleggiava sui bimbi. Che dal canto loro, fortunatamente, erano giocosi come sempre.
Jeremy era diventato silenzioso dopo l'appuntamento con Odalyn e Ross si era ripromesso di parlare col ragazzino appena ne avesse avuto occasione per cercare di capire cosa gli passasse per la testa e magari indagare, senza risultare invadente, sulla misteriosa ragazzina norvegese che pareva aver messo gli occhi su di lui. E forse suo figlio su di lei, anche se sperava di no. Pregava che Dwight portasse notizie confortanti circa la vera identità di Haakon oppure ogni eventuale legame fra Jeremy e la ragazza sarebbe diventato fonte di tensioni e problemi in famiglia e non voleva vestire assolutamente i panni del padre repressivo e autoritario.
Ross teneva gli occhi aperti ma per il momento non si sentiva spiato come era successo ad Oslo e quindi, anche se sapeva che questo non voleva dire nulla e di certo non lo faceva sentire del tutto al sicuro, fino al manifestarsi di eventuali problemi cercava di stare tranquillo. Forse di nemici non ce n'erano o forse si stavano organizzando per tendergli una trappola ma l'unica cosa intelligente da fare, in entrambi i casi, era continuare con la sua quotidianità.
Quella domenica mattina si era svegliato presto, richiamato all'ordine dai gemellini e da Bella che all'alba avevano deciso di non voler più dormire. Le bimbe avevano insistito per farlo alzare per andare con lui a comprare il giornale e per fare colazione insieme - erano decisamente affascinate dalla vita mondana di Londra e dalle sue pasticcerie eleganti e piene di manicaretti - mentre Demian ne aveva approfittato per infilarsi nel posto più sicuro del mondo, dove nessun nemico norvegese avrebbe mai potuto sfondare le difese: fra le braccia di mamma-Demelza...
Ross si era vestito e in fondo, divertito dall'entusiasmo delle due piccole pestifere di casa, era uscito con loro dopo averle vestite con pesanti cappottini e cappelli di lana per difenderle dal freddo ormai pungente del primo mattino.
Londra, ancora sonnecchiosa, appariva affascinante nel velo di nebbia che la avvolgeva e la faceva sembrare ovattata.
Con Bella tenuta in una mano che saltellava e Daisy nell'altra mano che faceva mille domande e non la finiva di chiacchierare, Ross temeva che qualcuno, svegliato da quel baccano, avrebbe rovesciato loro in testa il pitale che teneva sotto il letto. "Shhh, molta gente dorme, non fate baccano" - intimò loro, camminando nelle strade ancora quasi deserte.
"Ma è giorno!" - mugulò Bella. "Che ci fanno tutti a letto quando si può uscire?".
Ross sorrise, un giorno - quanto più tardi possibile sperava - Bella avrebbe compreso quanto bello fosse per un adulto il letto, condiviso con chi si ama... "Ai grandi piace... dormire".
"A me no".
"Neanche a me, è noioooosoooo" - aggiunse Daisy.
Ross scoppiò a ridere. "Noioso? Chi ti ha insegnato questa parola così difficile?".
"Jeremy! Lo dice sempre quando gli chiediamo di giocare con lui. Siamo noiosiiii, lo stufiamo".
Bella annuì. "E lui è noioso quando lo dice".
Ross osservò la morettina che pareva sapere il fatto suo. "Beh, gli strilli sempre nelle orecchie quando legge, certo che è noioso".
"Io non strillo, canto".
Beh, avrebbe avuto molto da ridire sul concetto di canzone ma in quel momento, proprio mentre stavano per entrare nella pasticceria prescelta per fare colazione, un incontro inaspettato e piuttosto spiacevole lo bloccò.
Impettito, vestito elegantemente e con un cilindro in testa, George Warleggan usciva dal locale, con a fianco il dodicenne Valentine e tenendo per mano una paffuta bambina dai capelli castani di circa sei anni...
Ross si bloccò, deglutendo. Erano anni, era da quando George aveva lasciato Trenwith dopo la morte di Ned Despard e il loro strano sodalizio contro i francesi che non lo incontrava se non sporadicamente, in Parlamento. George pareva invecchiato in quegli anni mentre Valentine sembrava molto cresciuto. I suoi ricciolini neri arrivavano fino alle spalle, il viso pareva corrucciato ed impenetrabile e il suo sguardo e i suoi tratti avevano così poco di Elizabeth, ma soprattutto, di George. Era solo un ragazzino come Clowance ma in quel momento, osservandolo, a Ross parve di vedere incombere su di lui il peso del peccato di una notte nera e senza sentimenti. Era come se l'alone cupo che aveva catturato Ross quella notte, conducendolo verso il baratro, si fosse posizionato su quel bambino senza colpe e ne minacciasse l'intera esistenza. Erano solo fantasie forse ed Elizabeth non era mai stata chiara a riguardo eppure Ross, pur non riuscendo al ammetterlo a se stesso fino in fondo, sentiva un collegamento con quel bambino taciturno, sfuggente e di fatto estraneo, se non per un paio di occasioni dove aveva interagito con lui. In fondo George, portandolo via anni prima, gli aveva fatto un favore e aveva reso le cose più facili per tutti. Un tacito e silenzioso accordo, questo era stato il succo del discorso avvenuto attorno al tavolo di Nampara fra lui, George e la stessa Demelza... Una verità che non poteva essere negata ma nemmeno detta ad alta voce li aveva uniti nell'unica scelta giusta per ognuno di loro e soprattutto per il piccolo Valentine.
George, che Ross lo aveva visto di rado solo in Parlamento e che di fatto lo aveva sempre evitato, non poté fare a meno di fermarsi, trovandoselo faccia a faccia. "Poldark...".
Ross annuì, evitando di guardare Valentine. "Che strambi incontri che si fanno di mattina fra le nebbie di Londra" - disse, cercando di apparire scherzoso.
"Molto strani ma avevo sentito così tanto baccano che con mio figlio e mia figlia siamo usciti dalla pasticceria a vedere chi era quel selvaggio che faceva tanto chiasso quando la gente di solito ancora dorme. Ora comprendo l'origine del disturbo e non me ne stupisco affatto... Chi altri poteva essere?" - disse, squadrando le due bimbe che Ross teneva per mano e usando il medesimo sarcasmo del suo eterno rivale.
Ross sorrise, in fondo era anche divertente punzecchiarsi e ormai era chiaro ad entrambi che il tutto si riduceva a una questione di parvenza più che di astio vero e proprio. Da quando George lo aveva salvato da quel duello con l'ufficiale francese, era come se fossero giunti a una deposizione delle armi ammettendo l'uno con l'altra i rispettivi pregi o mancanze. Ormai erano adulti, che senso aveva combattere e azzuffarsi come ragazzini? "In effetti ho delle figlie molto rumorose e allegre. Ma a mia discolpa posso dire di aver detto loro, più volte, di fare meno baccano".
"E ovviamente non vi hanno ascoltato. A differenza di Valentine e di Ursula che di solito sono ubbidienti e giudiziosi".
Ross fu costretto a guardare entrambi i bambini. Valentine così scuro e diverso da George, era quanto di più stonato esistesse nel casato dei Warleggan. Era diverso come erano diversi Daisy e Demian dai Poldark e forse questa similitudine lo metteva in allarme perché aveva la dimostrazione vivente di come il mondo guardasse con sospetto ai suoi gemelli e di come sarebbe stato difficile celarne a lungo le origini. Se Valentine sembrava tutto eccetto che un Warleggan, Daisy e Demian parevano in tutto e per tutto figli della loro terra e non dei Poldark. Fisicamente quanto meno perché carattere, cuore e animo invece erano influenzati da chi li cresceva e se si sentiva sicuro sui gemellini, di certo non lo faceva stare tranquillo il fatto che Valentine crescesse con George. Poi osservò Ursula. Non l'aveva mai vista quella bambina la cui nascita aveva sancito la fine dell'esistenza di sua madre. A volte si era chiesto come fosse, se somigliasse ad Elizabeth e se ne avesse ereditato la bellezza ma ora che l'aveva davanti, a differenza di Valentine si rese conto che la piccola era in tutto e per tutto una Warleggan. Non c'era nulla in lei dell'eleganza e della grazia di sua madre, era piuttosto sovrappeso, il viso e i capelli erano uguali a quelli del padre, era carina con quelle guance piene ma non bella e anche il modo di camminare era piuttosto goffo e sgraziato. Provò pena per lei, per non aver potuto conoscere sua madre e anche per Elizabeth che non aveva potuto godere delle gioie di quella maternità senza ombre, a differenza di quella di Valentine che l'aveva portata in una situazione pericolosa all'interno del suo matrimonio. Ancora se ne sentiva responsabile ma che senso aveva parlarne, ora? "Beh George, dicono che la vivacità sia indice di salute" - disse, cambiando argomento.
"I miei figli sono sani".
"Oh, non ne dubito".
Stanca di quella situazione di stallo, Bella lanciò un sassolino col piede e poi si rivolse a Ursula. "Vuoi giocare con noi tanto che i grandi parlano?".
Ursula guardò suo padre, poi compreso lo sguardo di biasimo, scosse la testa. "No, grazie".
"Perché sei troppo grassa per correre?".
La domanda fece avvampare Ross che abbassando lo sguardo, si rivolse all'autrice di tale affronto... Sperando che George comprendesse che in fondo era una bambina piccola, la bloccò prima che la sua soave vocina dicesse altre cose che potevano scatenare la guerra dei mondi. "DAISY! Chiedi scusa immediatamente".
"Perché?" - chiese la piccola, con innocenza.
Valentine fece per ridere ma si trattenne mentre George, miracolosamente, con due parole liquidò la situazione. In effetti lo aveva notato pure lui quanto poco aggraziata fosse la figlia e sarebbe stato idiota nasconderlo o fare finta di nulla... "Padre selvaggio ed incurante delle regole e dell'etichetta, madre cameriera di cucina, figli selvaggi... E' la naturale logica conclusione degli eventi della vostra vita...".
Ross sospirò. "Ciò nonostante, la bimba chiederà scusa alla vostra graziosa Ursula. Vero Daisy?".
La bimba osservò Bella senza capire che aveva detto di male, poi suo padre. "Ma perché?".
"Perché sei stata scortese con un'altra bambina".
Daisy ci pensò su e poi si avvicinò a Ursula. "Scusa, mi dispiace che sei grassa".
George scosse la testa e se non fosse stato che ad essere umiliata era stata sua figlia e che l'artefice era la marmocchia del suo rivale, forse avrebbe anche potuto apprezzare la faccia tosta di quella biondina insolente. "Vedete, Ross? Quì sta la differenza fra una buona e una cattiva educazione... Vedo che voi Poldark, dall'ultimo nostro incontro, vi siete moltiplicati e che buon sangue non mente".
Ross sospirò. "Ho altri tre figli, sì, oltre ai due maggiori che già avevate visto".
Valentine, rimasto fino a quel momento in silenzio, alzò lo sguardo su di lui. "Altri tre? Non solo loro due?".
Ross distolse lo sguardo da lui. "La piccola Daisy ha un gemello".
"Non ne ho mai visti di gemelli" - rispose il ragazzino che sembrava così rigido, fermo e... finto... in quei modi di fare forzatamente formali imposti dal padre...
"Ne mai li vedrai!" - lo interruppe subito il padre mentre Ursula frignava a causa di Daisy.
Valentine lo ignorò. "Vi ricordate di me, signor Poldark?".
Ross si morse il labbro. "Sì, certo".
"Mi avevate detto che potevo venire a casa vostra quando volevo!".
Ross sussultò perché pur mantenendo un tono neutro, aveva scorto nella voce del ragazzino astio e un muto rimprovero per quella promessa fatta pur sapendo di non poterla mantenere. Si sentì in colpa perché all'epoca aveva agito pensando di fare il meglio ma aveva evidentemente sbagliato. "Mi dispiace ma purtroppo nella vita a volte si devono cambiare i propri piani e ora tu vivi quì a Londra con la tua famiglia in una casa bellissima".
"Ma avevate detto che potevo venire da voi...".
Valentine lo ripeté di nuovo, osservandolo con occhi cupi e rabbiosi. Era strano, il suo sguardo pareva gridare e volerlo percuotere ma la sua voce rimaneva monocorde e controllata in modo anormale per un ragazzino. Era inquietante, in un certo senso... E Ross non poteva non chiedersi se George avesse ragione o meno, circa suo figlio e la sua vera essenza.
Anche George si accorse della tensione che corrodeva Valentine e lo interruppe subito, forse percependola come una minaccia. In fondo conosceva quel ragazzino meglio degli altri e anche se poteva celare al mondo il suo vero carattere, di certo non poteva farlo con se stesso... "Per fortuna tua figliolo, ti ho portato via da questi nostri ex vicini selvaggi. Ringrazia e non biasimare quest'uomo, la lontananza ti ha preservato da cattive compagnie".
"Il mio papà è bravo!" - sbottò Bella, picchiando in terra il piedino.
"Dipende dai punti di vista, bambina" - ribatté a tono George.
Ross prese saldamente fra le sue, le manine delle due bambine. "Credo sia ora di andare. Ognuno per la sua strada". Già, decisamente era ora oppure le cose sarebbero diventate difficili per tutti e quella discussione avrebbe potuto portare a conseguenze spiacevoli. Soprattutto con Valentine... E per il bene suo soprattutto, era meglio continuare ad imporsi la lontananza che aveva chiesto ed ottenuto George anni prima in uno di quei... rari... momenti in cui aveva saputo dimostrarsi più maturo e saggio di lui.
George alzò un sopracciglio. "Caspita, per la prima volta sono d'accordo!".
"Evento raro ma ben accetto" - mormorò Ross.
Valentine lo fissò di nuovo. E anche se non lo disse ad alta voce ma lo mugugnò impercettibilmente, a Ross parve di sentire...
"Dannato bugiardo... Io non dimentico...".
Aveva capito bene? O era stata la sua fantasia? O il vento? O la sua coscienza tormentata che si sentiva in colpa?
Ross osservò il ragazzino ma Valentine sembrava ora disinteressato a lui e pronto a ripartire per riprendere la sua strada. Era solo un bambino, non poteva averlo detto, doveva essersi sbagliato eppure... eppure era tanto inquietante nel suo sguardo controllato ma cupo.
George salutò Ross frettolosamente e poi coi due bambini se ne andò.
La strada ora era di nuovo deserta e avvolta nella nebbia.
"Papà?" - lo chiamò Daisy, facendolo sussultare.
Ross abbassò lo sguardo, incontrando gli occhi color ghiaccio della piccola. Sua figlia, a dispetto del legame di sangue. Cocciuta e senza peli sulla lingua come lui, come Bella, come ogni Poldark che si rispetti. Sua figlia molto più di quanto, se le cose fossero state diverse, sarebbe mai stato Valentine. Quel ragazzino concepito forse in una notte spaventosa in cui aveva quasi perso tutto, la donna che amava, suo figlio Jeremy, il suo futuro con loro e una parte del rispetto per se stesso, quel bambino maledetto da Agatha e nato in una notte di luna nera riportava a galla antichi fantasmi, sensi di colpa e una parte di se e della sua vita che voleva dimenticare ma non poteva perché sarebbe rimasta sempre lì, a riapparire come un fantasma nefasto dalla nebbia come le ombre dalla Norvegia, come tutti i segreti che custodiva in se e che stavano diventando pesanti da portare sulle sue sole spalle.
No, non era stata una bella idea uscire con le bambine quella mattina e Valentine gli aveva lasciato addosso una strana inquietudine che non riusiva a scrollarsi di dosso. Maledetta quella notte, maledetto il fato che aveva portato via Elizabeth lasciando solo con George quel ragazzino, maledetti i segreti che si portava dietro che ormai stavano diventando troppi e che per quanto riguardava i gemelli, aveva bisogno di condividere con Demelza appena Dwight fosse tornato con Inge. "Andiamo a casa..." - disse solo, con voce spezzata e lontana.
"E no!" - si lamentò Bella. "E la colazione?".
"La faremo con la mamma e i vostri fratelli".
"Uffa!" - sbottò Daisy. "Io voglio i biscottini con sopra gli zuccherini colorati!".
Ross la guardò storto. "Tu sei in castigo!".
"Perché?".
"Perché non si deve dire alla gente che è grassa, soprattutto alle bimbe!".
"Anche se è vero?".
"Anche se è vero, sì!".
"Ma è grassa sul serio" - intervenne Bella.
Ross alzò gli occhi al cielo. Troppi, troppi pesi gravavano su di lui e il fatto che figli di sangue e figli adottivi avessero preso in tutto e per tutto la sua impulsività, non lo aiutava affatto...
E quando rientrò a casa, mentre Demelza preparava i bambini per la giornata e per fare colazione insieme, fu Jeremy a mettere il carico da novanta chiamandolo nella sua stanza.
"Papà, posso parlare con te? Da solo?".

  
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