Anime & Manga > SK8 the Infinity
Ricorda la storia  |      
Autore: Rota    27/10/2021    1 recensioni
La sperimentazione scientifica di Adam ha come obiettivo trovare una cura per una malattia incurabile, e Reki lo sa bene – come sa bene che Langa, una sirena venuta dagli abissi più profondi per lui, è la materia prima di tale sperimentazione.
Sa cos’è giusto fare, e sa quale sia il terribile prezzo.
Andare a salvare Langa è tutto ciò che desidera davvero il suo cuore.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Langa Hasegawa, Reki Kyan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 




Apre la porta e la vede: il piccolo ciondolo grigiastro a forma di conchiglia che gira e rigira tra le dita secche brilla alla luce lunare filtrata dalla finestra, e lo distrae dal sorriso di lei.
-Oh, Reki! Sei venuto a salutarmi?
La donna si sporge in avanti, verso di lui, e il ragazzo subito le si avvicina con le mani protese senza però toccarla.
-Nonna, non alzarti! Rimani a riposare, sono venuto solo per un saluto veloce…
Il sorriso di lei scava nelle rughe per farsi spazio, mollemente.
Reki le rimbocca le coperte, coprendo il ventre scopertosi poc’anzi e sistemando i molteplici cuscini dietro la sua schiena. Quando lei ridacchia, osserva quella schiena fragile tremare sotto la vestaglia color lilla.
-Sei proprio un bravo ragazzo, così attento a me!
Un’occhiata al tavolino accanto al letto, dove giace la ciotola ancora piena di cibo e il bicchiere d’acqua solo mezzo vuoto – sente un’altra fitta al petto.
-Nonna, non hai finito il tuo porridge…
-Oh, questa sera la tosse non mi ha dato tregua! È stato difficile magiare troppo! Ma tua sorella mi ha già dato una medicina, ora sto meglio!
La sicurezza di lei non rende lo sguardo meno vacuo, le rughe meno profonde, e la piega delle sue spalle meno accentuata. Reki quasi sobbalza quando sente le sue mani fragili prendere la propria, stringendola con la grazia di un alito di vento.
-Siete tutti dei cari ragazzi, vostra madre vi ha cresciuto così bene.
Pizzicano gli occhi, Reki abbassa lo sguardo alla sua coperta pulita e rimane in silenzio, ad ascoltare il respiro affannato di lei. Non è la prima volta che la vede in quello stato, anzi, ma non riesce proprio a farci l’abitudine. E l’idea che lei tenti di trattenere tutto il dolore che sente dall’interno non fa che acuire il suo.
Un dito sottile gli alza il mento e lo obbliga a guardarla di nuovo in volto – sorride ancora, ma lo osserva più attentamente.
-C’è qualcosa che ti turba, Reki? Non mi hai sorriso neanche una volta, da quando sei entrato. Mi preoccupa questa cosa.
Sbuffa e sorride, aggrottando le sopracciglia nel medesimo momento. Ringrazia che ci sia penombra nella stanza, illuminata soltanto da quella piccola lampada sul comodino, perché non vuole neanche pensare al pastrocchio di rossore che ha in viso.
Ma lei merita il suo coraggio, e per questo parla.
-La nuova cura che stanno preparando… è un’ottima cosa.
Riesce a sorridere e si lascia andare, fa parlare il proprio cuore mosso dall’istinto d’affetto che lo lega a lei. Benché all’inizio il tono della sua voce parta dal basso, poi cresce e diventa concitato, un rotolare sempre più impetuoso delle sue emozioni.
-Vederti stare così male da non riuscire neanche ad alzarti dal letto, mi spezza il cuore. Sei come una madre, per me… vorrei vederti ancora tra di noi, a mangiare un pasto caldo e chiacchierare, ridere come facevamo da piccoli!
Nei tratti del suo viso, evoca alcuni ricordi degli anni passati. La sua prima infanzia, la prima adolescenza, ogni passo della sua vita in cui lei è stata presente. E poi, anche il timore di non poterla avere più accanto a sé.
Si stringe nelle proprie spalle.
-Ma se questa cura avesse generato sofferenza, e continuasse a generarla, io-
Trema e si inginocchia a terra, ricordando quasi l’atto di un supplice.
La vista della punta delle sue scarpe viene velata dalle lacrime, e quindi socchiude gli occhi per non lasciare andare più niente.
-Io non credo sia giusto, nonna. Non è giusto affatto.
Soffoca un singhiozzo, altrimenti troppo rumoroso.
-Vorrei che nessuno di voi soffrisse…
Per fortuna c’è lei, che sostiene le sue mani e gliele stringe, con quanta forza ha in corpo.
-La felicità che si basa sul dolore altrui è quanto di più meschino possa esserci. Non è questo quello che volevi dire?
Reki alza il volto di scatto e vede ancora il suo sorriso: lo sa, come ha sempre saputo ogni cosa. Non c’è segreto che Reki possa tenere con lei, perché basta guardarla negli occhi per capire.
Le alza le mani al proprio viso e si lascia accarezzare la guancia bagnata. Con gli occhi chiusi, c’è solo la sensazione del calore del suo palmo morbido, la sensazione di redenzione che gli stringe il petto.
-Mi dispiace…
-No, Reki. Non dispiacerti. Tu sei davvero un bravo ragazzo.
 
 
Si chiude la porta alle spalle e cammina piano nel cortiletto di casa propria, al buio.
Ha la tentazione di fermarsi sopra uno dei sassi piatti del piccolo sentiero che porta all’ingresso alto di legno, per voltarsi e guardare la finestra di lei, ma invece stringe le dita attorno alla manica della maglietta e prosegue con sguardo basso, fino a uscire all’esterno.
La vettura è qualche metro più avanti, a sinistra.
Ha già la mano alzata verso la maniglia, quando la portiera si apre e compare una figuretta piccina, che gli sorride con una bocca da gatto. Reki sbuffa solo per nascondere un sorriso.
-Ci sei anche tu, stasera?
-Non posso certo lasciare che tipi idioti come voi facciano le cose da soli. Ti pare?
Una voce confusa proviene dall’interno del piccolo furgoncino decorato, e Reki sente qualcosa di indistinto che ricorda molto “Questi mocciosetti impertinenti” e anche “Idiota sarai te”. Sbuffa ancora, per nascondere un altro sorriso.
-Come sei generoso e altruista, Miya!
Scivola all’interno della portiera, per sistemarsi sopra i sedili scuri e morbidi. Un ricordo lo coglie impreparato, a spiegare le braccia con agio: il pomeriggio in cui lo avevano salvato portandolo in fretta in spiaggia, si era dovuto stringere tra i corpi di Miya e di lui perché troppo poco era lo spazio.
Per fortuna, la voce di Hiromi lo riporta alla realtà.
-Joe e Cherry ci aspettano là.
Sorpreso, Reki si sporge in avanti.
-Ci saranno anche loro? Ma Joe-
-È quello che ho detto anche io, ma lui ha insistito.
Gli lancia un’occhiata attraverso lo specchietto alto, e non c’è la minima traccia di dubbio in lui.
-Andiamoci a riprendere Langa.
Porta chiusa, Miya gli è accanto, fianco contro fianco. E Reki non si sente più solo – sorride, cacciando ogni sensazione di ingiustizia e fatalismo in fondo al cuore.
Lo deve fare per tutti loro, dopotutto. Per sé, per sua nonna, e per lui.
-Andiamo!

 
*****

 
L’acqua è soffocante.
Langa se ne accorge troppo tardi, perché anche sbattere i pugni contro il vetro diventa difficile e il dolore alle sue branchie sempre più acuto. Muove la coda e le catene si tendono ancora una volta, propagando nel liquido verdastro un suono grave di ferro che stride; si arrotola su se stesso e ne afferra gli anelli, ma la sua presa è debole e la sua vista sempre più sfuocata.
Quell’umano deve aver messo qualcosa nel filtro.
-Non ti preoccupare…
Alza lo sguardo ed è ancora lì: mani premute sopra il vetro, dall’altra parte. Accanto a lui, sfocato appena dalla distanza, c’è un altro uomo con il corpo rigido e l’espressione scura, fin troppo tesa.
Langa si raddrizza a fatica e sente vibrare tutto, con il timbro della voce di quell’essere umano. È presente in ogni singola goccia, è come una tortura.
-Presto non sentirai più dolore, piccolo Langa. Presto sarà tutto finito.
Raggiunge l’altezza del suo viso, fissando quei piccoli occhi di corallo e quei capelli che ricordano, paradossalmente, il mare di notte. La crepa nel vetro che li separa non è abbastanza profonda da liberarlo, e lui è in trappola.
-Sei una cosa così preziosa, piccolo Langa. Il mio tesoro, colui che mi aiuterà a costruire il paradiso in terra. Salveremo tutti, nessuno escluso!
Osserva il dispiegarsi del suo sorriso, mentre le bolle escono dalle labbra socchiuse e gli occupano il naso – gli occupano la coscienza. Sta affogando lentamente.
-Sei la mia Eva, piccolo Langa.
Un altro rumore indistinto, in lontananza, e i due uomini si allontanano assieme a una troupe di uomini in camici bianchissimi. Tra le luci rossastre a intermittenza e i suoni acuti dei macchinari, la sirena perde l’esatta concezione del tempo e dello spazio.
Fino a che il suo corpo stesso non galleggia, come una bolla, e la mente si assopisce; chiude gli occhi, pancia verso la superficie alta dell’acqua e la coda imprigionata.
Riesce ad avere un’unica preoccupazione a quel punto, che la coscienza strappa all’abbandono. Spera solo che Reki possa stare bene, ovunque egli sia.
 
 
L’acqua trema, come colpita – e le onde espandono una voce riconoscibilissima.
- -nga!
Le palpebre sono però pesanti, così come le braccia e la pinna. L’acqua nel suo corpo lo trattiene a fondo, senza proprio lasciarlo andare. Lo accarezza una bolla che sale e va via, e la pelle non ha neanche un brivido.
Un tonfo, più forte, e l’acqua trema ancora.
-Langa!
Langa apre gli occhi, al terzo colpo contro la parete di vetro che lo imprigiona. Il rumore lo confonde, ma la vista è chiara: Reki ha in mano qualcosa e lo sta sbattendo contro il vetro. Gli si aprono di più gli occhi quando lo vede; abbassando quell’estintore, si avvicina alla superficie verticale e appoggia il palmo destro su quello, chiamandolo con voce soffice.
Langa si muove in un mare di bolle, flettendo la schiena e avvicinandosi. Temeva, dentro di sé, di non poterlo mai più rivedere, e il semplice gesto di appoggiare la propria mano contro quella di lui, al di là del vetro, lo riempie di felicità.
Reki è di nuovo con lui.
Un segnale suona all’improvviso, ovattato dall’acqua, e si accende brillante la luce verde di una sirena d’allarme. Reki scatta all’indietro e si guarda attorno, con espressione preoccupata, ripresosi da quel momento di pura gioia.
Quando il giovane riprende con entrambe le mani l’estintore, Langa si arrotola su se stesso e si allontana da quella parete di vetro. Il suo corpo è ancora pesante e non riesce a muovere bene la pinna azzurra. Guarda in alto, dove il tappo della sua vasca si chiude con un complesso meccanismo di serrature e ingranaggi: riesce a intravedere un gancio che pende abbastanza da essere usato come sostegno, e lo raggiunge in fretta. Braccia protese, le sue dita squamate hanno difficoltà a chiudersi con forza, ma a quel punto tutta la vasca trema fortissimo e Reki allarga l’iniziale crepa in una ragnatela sempre più complessa e profonda.
Un colpo di coda ben assestato e il vetro, a quel punto, si infrange. L’acqua comincia a uscire velocemente, allargando ancora di più il buco fatto; Langa vede di sfuggita Reki allontanarsi di qualche passo indietro, per non venire investito dal getto. La gravità comincia a premere sul suo corpo, e la coscienza riemerge quando è l’aria a entrare nelle sue branchie.
Reki usa l’estintore per allargare ancora di più il buco nel vetro, incurante dei frammenti e delle punte aguzze. Il rumore dell’allarme è assordante, ormai, e l’intero laboratorio è illuminato di verde.
L’estintore cala sulla sua catena una, due, tre volte, e alla quarta gli anelli di ferro cadono a pezzi; produce rimbalzi acuti sul pavimento bagnato, rotolando infine lontano.
Reki protende verso l’alto le proprie braccia libere, con le mani spalancate.
-Langa, vieni con me!
Langa non ha alcun dubbio a riguardo, non può davvero averne. Prima la coda, la fa scivolare lungo gli arti di lui e nello scendere la usa per avvolgergli il busto; poi, il tronco e le braccia, che si aggrappano alle spalle del ragazzo umano come a uno scoglio dopo una tempesta, fonte di salvezza e riposo ristoratore.
Il suo sorriso è qualcosa di bellissimo, più caldo del sole.
-Ora usciamo assieme di qua!
 
 
Reki si butta contro il muro, nascosto nella penombra dall’angolo, mentre un gruppo di uomini armati, dai passi appesantiti da armi e giubbotti antiproiettile, corre lungo il corridoio a quattro metri di distanza. Volta il capo nella direzione delle telecamere, ma persino Langa si accorge che non c’è alcun segnale oltre lo schermo: qualcuno deve averle spente in precedenza.
Il sirenetto si stringe contro di lui, mentre la testa gli vortica con dolore. Le branchie sono sempre più secche e la sua mente fa ancora fatica a rimanere completamente lucida. Solo Reki è il suo punto fermo, e non ha intenzione di mollarlo.
Lo sente sospirare, sgranchire le braccia contro la sua schiena. Si aggrappa di più al suo busto con la coda viscida, nella speranza di alleviare un poco il lavoro delle sue spalle, ma un colpo di vertigine lo coglie: sul punto di cadere, viene sorretto da Reki che si accovaccia a terra.
Preoccupato, Reki appoggia sulle proprie cosce il suo busto, in una posa ben più che traballante, e accarezza il suo viso con la mano. Lo libera dai capelli lunghi, perché lo possa guardare in viso.
Il fascio di luce verde illumina a intermittenza i suoi occhi, e quelle sopracciglia così curvate in alto, piene d’ansia; i suoi lineamenti umani sono così contorti in una smorfia di terrore da fare quasi male al suo cuore. Ma lo stringe ancora quando sente qualcosa vicino, un altro gruppo di guardie.
A fatica, dopo due tentativi, Reki si rialza in piedi e ricomincia a correre.
Percorre un altro corridoio fino alla fine, svoltando davanti all’ingresso sbarrato di una cella. Individua le scale oltre l’angolo, davanti alle quali ci sono ancora due guardie con i fucili abbassati e pronti all’uso. Stringe Langa e inizia a contare, stringendo gli occhi – le mura cominciano a tremare, dal soffitto cadono granuli di cemento e polvere. Le ricetrasmittenti delle guardie cominciano a impazzire, mandando l’ordine di dirigersi verso un punto all’esterno, dove un mostro infuriato sta distruggendo tutti gli uffici. Appena si guardano, le due guardie salgono la rampa di scale correndo a perdifiato.
Reki, ancora incollato a Langa, sorride.
-Joe ce l’ha fatta, quindi…
Fa un passo in avanti, sicuro e deciso, e Langa non fa in tempo ad avvertirlo del movimento di un’ombra che entrambi si ritrovano a terra. Langa scivola via dalle braccia dell’umano con i capelli rossi, rotolando sul pavimento asciutto e duro; batte la testa più volte, in un dolore ancora più frastornante.
Un lampo verde gli fa vedere Reki a terra, che ancora si tiene con la mano il fianco colpito e trema tutto, mugugnando sotto il suono assordante della sirena d’allarme. Poco più in là, un secondo lampo verde fa vedere la figura di quell’uomo del laboratorio dallo sguardo grave, con un neo sotto l’occhio destro, mentre abbassa il proprio piede e punta qualcosa contro il ragazzo umano.
Langa sa bene di cosa si tratti: si ricorda bene cos’ha fatto a Cherry una cosa del genere.
La sua coda frusta l’aria, e nel giro di qualche istante la sua bocca diventa una tenaglia di denti aguzzi e i suoi occhi si allungano, diventano neri, gli artigli delle sue mani si estraggono: la sua forma da predatore è rivelata.
Ringhia, spaventando l’uomo e il ragazzo. Veloce balza in avanti e cerca di prendere l’uomo, costretto a indietreggiare. Agita ancora le mani pericoloso fino a che l’avversario non torna nell’ombra e lì rimane, immobile e abbastanza distante.
Ma la coda cede un poco e lui è costretto a scendere a terra fino quasi al busto. Ringhia ancora, senza mai interrompere il contatto visivo. E le braccia di Reki lo abbracciano all’improvviso.
-No! Non fargli del male, ti prego!
L’uomo sembra tentennare.
-Non mi sarebbe permesso fare del male a questa sirena neanche nelle situazioni più estreme… eppure, è la prima volta che lo vedo diventare così violento…
Si muove di lato, forse per capire meglio da che lato Langa è più scoperto, forse solo per guardare Reki in viso.
-Quando tu e i tuoi amici vi siete infiltrati qui, pensavate davvero di riuscire a scappare con questa sirena? Il vostro è un piano da illusi.
Langa ringhia a bassa voce, impedendo al proprio corpo di cedere. Non riesce però a muovere più la coda e respira con affanno, sente già gli artigli e le zanne ritirarsi poco a poco.
Reki urla, sotto il suo braccio.
-Voi, invece? Catturate le sirene per i vostri esperimenti! Cosa pensate di essere? Furbi? Giusti?
-Stiamo facendo solo quel che possiamo per salvare vite.
-Sacrificandone altre?
-Loro non sono-
Non termina la frase e Reki non gli chiede più nulla.
I muri tremano ancora e a quel punto l’allarme si spegne, tutte le luci del corridoio si illuminano di bianco. Langa si abbandona all’indietro, sul corpo di Reki, e comincia a respirare affannosamente, con gli occhi che non vedono bene.
-Langa! Langa, ti senti male?
Non riesce a rispondere se non con uno sbuffo.
-Deve andare nell’acqua, così rischia solo di morire.
Vede quell’uomo avvicinarsi e sente la mano di Reki stringergli il polso, forte, come se fosse pronto a lottare per tenerlo a sé.
-Riesci ancora ad alzarti? Dovete muovervi da qui, in fretta.
-Cosa? Ma tu-?
-Riesci ancora ad alzarti o no?
-Certo! Allora, le scale-
-No, ormai è troppo tardi. Ci saranno guardie dappertutto. Venite con me, vi porto subito via di qui. Non c’è più tempo da perdere.
 
 
Rumore di metallo che stride, Langa apre gli occhi al vento e vede di nuovo il cielo stellato della notte.
Il rombo delle onde lo conforta, così come l’odore di salsedine: sono all’esterno, a pochi metri di distanza dal mare aperto. Il passo incerto di Reki lo trasporta su spigoli di scogli duri e il cuore di lui batte velocissimo nel petto.
-Ci siamo quasi, Langa! Sei libero ormai! Ci siamo quasi-
Lo vede, al di là della nebbia della sua mente. Il faro del laboratorio illumina quella barriera di ferro e cemento, distante qualche metro da loro e immersa nell’acqua poco profonda, che protegge il laboratorio e non fa scappare nulla; ma oltre quella, c’è la distesa piatta del mare, fino all’orizzonte – e la luna altissima impallidisce nel blu.
Si stringe a Reki, tremando di un inspiegabile timore.
Poi, uno sparo fa esplodere l’aria e tutto si placa. Reki e quella guardia si fermano all’istante, guardandosi a malapena.
-Non osate fare un passo di più, oppure-
Il primo a girarsi è l’uomo, con gli occhi già spalancati per la sorpresa.
Anche Reki conosce l’identità di quella persona, già affrontata tempio addietro. Stringe di più a sé Langa, masticando il proprio labbro inferiore, e si volta verso l’uomo.
Pistola in mano e mezzo viso coperto di sangue, con i capelli tutti spettinati Ainosuke Shindo emerge dall’ombra ed esce alla notte, trascinando per il bavero del kimono anche un uomo dai lunghi capelli rosati.
Sbraita, privo del solito controllo.
-Oppure questo fa una brutta fine!
Langa avverte tensione nelle braccia di Reki e si ricorda, a quel punto, di quell’uomo con gli occhiali che ha sempre visto accanto a lui. Commenti sferzanti e occhiate di tralice, se si trova lì in quel momento significa soltanto che ha cercato di salvarlo, come Reki.
Ma mentre Reki rimane immobile, indeciso su cosa poter fare, la strana guardia che li ha aiutati parla con voce sincera e accorata, visibilmente turbato da cosa sta accadendo.
-Signor Shindo, cosa sta facendo? Un ostaggio? È arrivato fino a questo punto?
-Zitto! Traditore pusillanime! E fatti da parte, se non vuoi che ti uccida!
Un altro sparo in alto, Ainosuke guarda veloce dietro le proprie spalle e si allontana di un poco dalla porta – è facile intuire che tema l’arrivo di qualcuno e che la fretta, assieme alla paura, governi le sue azioni.
Sventola ancora la pistola, mentre si avvicina a loro e alla linea degli scogli che danno sul mare.
-Tu, ragazzino! Posa quella sirena e allontanati, subito!
Reki lo stringe, nel momento in cui Langa avvolge la sua vita con la pinna lunga, stanca.
-No!
-Ti avverto! Non ho pazienza!
Le dita di Reki si conficcano nel suo fianco, appena sotto le branchie. Non lo lascerebbe mai, anche a costo di morire, e questo pensiero pietrifica Langa sul momento. Comincia a muoversi nel suo abbraccio, nel tentativo di liberarsi, ma con la poca forza che gli rimane è davvero tutto inutile.
L’uomo accanto a loro si fa avanti e li protegge con il proprio corpo, facendo loro da scudo, anche alle parole di Ainosuke.
-Tu-! Non ho tempo per le stronzate! Fatti da parte!
-Non capisce che tutto quello che sta accadendo… è sbagliato?
C’è un secondo di silenzio, dove nel vento e tra le onde si sente solo un silenzio sospetto, niente più esplosioni o colluttazioni.
Tadashi tenta di nuovo di convincerlo.
-Signor Shindo, vi siete davvero spinto troppo oltre. È il momento di fermarsi.
Parte un terzo colpo, diretto al fianco dell’uomo. Tadashi si accascia davanti a loro e comincia a gemere, pietrificando tutti quanto. La mano di Ainosuke trema e sul suo viso c’è dipinto il vero terrore: ogni altra emozione sparita, così come tutta la forza disperata che lo ha spinto fino a lì.
Kaoru si libera facilmente a quel punto e lo spinge via con un calcio ben assestato. Il corpo di Ainosuke si tende come un elastico, le mani in alto e i piedi puntati al terreno senza grazia. La pistola cade a terra e il suo corpo tra gli scogli, al grido di Tadashi.
-Ainosuke!
Così, Tadashi corre in avanti, andando esattamente dove Ainosuke è caduto.
Compare sulla soglia della porta anche Kojiro, aspetto squamoso e occhi animaleschi, mani irte di artigli. I suoi vestiti strappati e le macchie di sangue che colano ovunque sono i segni di una lotta feroce – e lui urla, con ancora l’affanno nei polmoni.
-Presto, Reki! Buttalo in mare! Stanno per arrivare le guardie!
Reki sobbalza e si gira si scatto, corre sulla banchina e quasi inciampa, finisce con gran dolore di ginocchia a cadere sul cemento duro. E Langa si stringe a lui, con la forza di dire una sola parola.
-No.
Ancora, il suo cuore accelera tantissimo. Quando guarda il suo viso, Reki sta parlando tra singhiozzi e lacrime.
-Non puoi più rimanere qui, Langa… non è posto per te.
Lo guarda ed è la cosa più bella del mondo. La sua compassione, il suo coraggio e la sua forza, lo splendore degli occhi sotto una luna piena.
E lui, lui non ha neanche la forza di dargli un bacio.
Li fa voltare il rumore di un’altra esplosione, che arriva direttamente dalla barriera nel mare. Dal sorriso piccolo piccolo che fa Reki, qualcuno dev’essere riuscito nel proprio compito – forse quel ragazzo con la voce alta e uno strano modo di parlare, la faccia bianca.
Sono quindi lì tutti per lui.
Gli si stringe addosso e piange in silenzio, senza dire più nulla.
Reki si alza e supera gli scogli, lo lascia scivolare in acqua. Finalmente libero.

 
******

 
Le bolle risalivano nell’acqua scintillante: Reki tese la mano per tentare di afferrare la propria bandana, ma riuscì solo a sfiorarla in punta di dita. Unì le gambe e tentò di spingersi in avanti con un colpo di piedi, inarcò la schiena e finalmente raggiunse quello straccio colorato di blu – i capelli si mossero tutt’attorno alla testa, come i tentacoli di una strana piovra.
Sopra di lui, passò un’ombra, e la sorpresa lo fece girare di scatto.
Langa era davvero troppo vicino: agitò tutti e quattro gli arti per la sorpresa, lasciando la presa attorno alla bandana. Si spinse verso l’alto, per raggiungere la superficie del mare.
-Non comparirmi davanti all’improvviso, Langa!
Sputacchiò acqua salata assieme alle parole, cercando di vedere qualcosa oltre la frangia appiccicata alla fronte e agli occhi. Solo la coda celeste del sirenetto emergeva; lo spruzzò con un colpo al pelo dell’acqua ben calibrato, per un piccolo dispetto.
Dallo yat privato, HIromi cominciò a gridare qualcosa e ad agitare il braccio.
-Tutto a posto?
Reki alzò la mano con il pollice sollevato, benché stesse ancora sputando acqua dalle labbra, e sentì a malapena il commento di Miya, coperto dal suono delle onde basse.
-Quei due cretini stanno giocando come al solito-
Due mani lo tirarono giù, di colpo. Langa si attorcigliò attorno a lui e nuotò a spirale, fino a chiudere le braccia attorno al suo petto, passando sotto le ascelle. E poi nuotò assieme a lui, con la stessa grazia del mare.
L’oceano sotto di loro era limpido. Era stato Kojiro a indicare quel posto, perché lo conosceva benissimo – e, del parere di una sirena diventata umana per amore, ci si poteva fidare. Il fondale non troppo basso era una distesa soffice di sabbia fine, dove si potevano scorgere a occhio nudo le piccole dune delle tane dei granchi e i sassi sotto cui si nascondevano i molluschi.
Langa ruotò su se stesso e lo fece emergere dalla pancia, perché respirasse. Lo portò di nuovo verso il basso, tra i pesci tranquilli. Reki accarezzò il dorso di un guizzo di luce, un colore veloce che gli passò tra le dita. Gli venne da ridere e dalla sua bocca si sollevò una nuvola verticale di bolle senza fine.
Langa emerse ancora, un poco più vicino allo yat.
-Avete finito? Dobbiamo tornare alla terra ferma!
Quella volta, a parlare era stato Kaoru, da sotto l’ombrellone bianco. Tutto vestito, era visibile anche a quella distanza, e la durezza del tono fin troppo chiara.
Tra le braccia squamose di Langa, Reki tremò appena.
-Mi sa che devo proprio andare, ora…
Gli sorrise e gli scompigliò i capelli chiari.
-Ci vediamo prossimamente, va bene? Fai il bravo e tieniti lontano dalla costa! Anche se non torno, intesi?
Gli prese le guance con entrambe le mani, per strapazzarlo un po’.
-Sai come sono quelli della Adam Lab! Senza scrupoli! L’ultima volta ti hanno quasi catturato…
Langa scosse la testa, anche per liberarsi della sua presa.
-Fra qualche giorno rivedo Reki. Va tutto bene.
Il ragazzo con i capelli rossi sorrise, prima di nuotare verso lo yat. Presi i manici della scaletta di ferro, cominciò a issarsi sui primi gradini, quando sentì dietro di sé il rumore della sua pinna.
Langa gli stava porgendo la bandana scura, zuppa e gocciolante. Si limitò ad alzare le spalle.
-Quella tienila tu! Me la restituirai la prossima volta, ok?
Ma non aspettò risposta, né vide l’espressione attonita – incredibilmente felice – che Langa fece mentre stringeva il tessuto così sottile.
Reki agguantò uno degli asciugamani puliti sui divanetti di pelle, dove Miya era ancora disteso a giocare a uno dei suoi amati videogiochi. Un rombo si alzò dal motore e l’acqua cominciò a ribollire; pian piano, lo yat si mise in moto, allontanandosi da quel posto.
Corse verso il cornicione di metallo, sporgendo tutto il busto e sventolando la mano.
-Langa! Ci vediamo presto!
All’orizzonte vide un corpo azzurro balzare in aria ed entrare di nuovo nell’acqua, sparendo quindi alla vista. Colmo di gioia, non poteva provare il minimo dubbio per l’indomani che sarebbe arrivato.
L’indomani in cui avrebbe detto a Langa cosa provava veramente per lui.

 
*****

 
Il furgoncino sfreccia rapido per le strade della piccola cittadina. Ma per quanto non si soffermi a ogni angolo, Reki scorge comunque la vettura tutt’altro che discreta, munita di megafono e immagini, caratteri grandi colorati, che sobbalza a ogni metro di quella lunga strada di cemento.
-Pare proprio…
I capelli liberi gli ballano al vento, in quell’aria fresca che arriva direttamente dal mare.
Davanti a lui, sul sedile del passeggero, Kaoru completa quella frase lasciata in sospeso.
-Pare che si farà un’altra campagna elettorale.
Miya sbuffa, arricciando il naso in una piccola smorfia di disapprovazione.
-Quindi le piazze saranno di nuovo piene di gente e palchi?
-Niente skate per altro tempo.
Hitomi, abiti borghesi e capelli pettinati, non perde occasione di scimmiottare un tono di voce farsesco, e Miya gli risponde con la consueta acidità.
-Niente spasso, niente divertimento. Più tempo per studiare!
-Guarda che io sono uno studente modello! Non rischio certo di diventare un fioraio disperato senza futuro.
-Cosa hai detto?
Sembra quasi, per Reki, d’essere tornato tutto nella norma – a parte lo sbadiglio che gli apre la bocca, reduce di una notte passata in bianco in compagnia di tutti loro.
Guarda fuori dal finestrino, senza un particolare interesse.
-Dopo l’incidente al Laboratorio, pare che Shindo si sia ritirato a vita privata.
Kaoru annuisce.
-E questo ha portato un declino di tutta la sua attività. Sia politica sia di ricerca. Ora non è altro che un ricco con una gigantesca villa sul mare.
Reki vede la sua testa muoversi, oltre il poggiatesta contro la sua nuca. Sul collo, è ancora ben visibile l’alone della cicatrice rimasta, che sbuca dal bavero del suo kimono elegante.
Per qualche istante, la sua voce si fa molto più dura.
-È quello che si meritava, fin dal principio.
La macchina si ferma, in un silenzio teso e pesante. Persino Miya ha smesso di picchiettare lo schermo del suo videogioco, per quanto ancora pretenda di essere interessato ad altro.
La moto di Kojiro si ferma a pochi metri di distanza dalla sua portiera, e gli rivolge un sorriso caldo attraverso il finestrino.
-Se ti serve qualcosa, moccioso, noi siamo sempre qui.
Reki sobbalza e guarda verso il posto del conducente, due spalle enormi e tese che rimangono immobili.
Li guarda tutti. Sfortuna vuole che non abbia ancora ritrovato la sua bandana e che non riesca a nascondere in tempo gli occhi riempiti di lacrime.
-Grazie, lo so…
Miya lo abbraccia di slancio, causandogli non poco dolore. Sente la leggera risata di Kaoru e il grande sospiro di Hitomi– il finestrino quasi vibra, quando Kojiro scoppia in una fragorosa risata, evidentemente intuendo cosa sia appena accaduto.
E questo, dopo tanto tempo di tristezza, gli riempie il cuore di una piccola, luminosissima gioia.
Stringe con forza il mazzo di fiori appoggiato sulle sue cosce e si lascia andare a un singhiozzo.
 
 
C’è un profumo leggero di fiori nell’aria, quando inala profondamente, e della cenere sottile che si è depositata sotto lo stecco arso dell’incenso.
Reki unisce il due palmi delle mani e strizza gli occhi, la fronte appoggiata sul profilo del dito indice. Non gli è rimasta neanche più la speranza che lei possa sentire i suoi pensieri, ma non ha importanza: c’è un certo conforto, in quel semplice atto, come se il tempo avesse lasciato una traccia sensibile del suo passaggio che non può essere cancellata così facilmente.
E sono passati soltanto tre mesi, dalla sua morte.
Reki si ritrova di nuovo il viso bagnato dalle lacrime, senza sapere bene il perché. Sobbalza a un singhiozzo, prima di asciugarsi gli occhi con la manica della maglia bianca.
Solo a quel punto sente il fruscio dell’erba, e vedendo un’ombra allungarsi al suo fianco alza lo sguardo, trovando sua madre.
-Oh? Reki, sei qui-!
-Non sapevo fossi venuta anche tu!
-Ho lasciato le bambine a tuo padre e quindi-!
Lei sorride, amorevole, con la piega delle labbra a scavargli nella guancia un po’ meno tonda.
-Ti va di farmi un po’ di spazio?
Reki striscia le ginocchia a terra, in modo che anche lei si possa avvicinare.
La piccola collinetta è di nuovo silenziosa: si può vedere all’orizzonte lo scintillio del mare, piccole onde bianche e mille diversi blu. Reki è sicuro che è quello che sua nonna avrebbe voluto, per la propria tomba.
La donna accanto a lui prende un profondo respiro. Rimane incerta, con la bocca leggermente socchiusa, strizza gli occhi come ha fatto lui qualche secondo prima, e poi veloce parla.
-Reki, io… ti devo parlare di una cosa.
-Qui?
-Sì, qui. In sua presenza.
Certo, sulla tomba della nonna: non ci sarebbe mai stato posto migliore di quello, per aprirsi il cuore a vicenda. Reki lo capisce, e per quanto non riesca a formare un sorriso sulle labbra, sente il cuore stringersi alla vista delle mani di lei che tremano appena, con le dita intrecciate.
-Dimmi pure, mamma.
Un piccolo singhiozzo scuote le spalle larghe della donna.
-È difficile da dire… sai, a questo mondo, ci sono tante cose che non sai… e che neanche io potevo sapere…
-Mamma?
Ma lei scuote la testa più volte, in evidente conflitto.
Trattiene il fiato.
-Tua nonna era una sirena.
Lì per lì, Reki non sa neanche come reagire. Forse sarebbe meglio far finta di non credere all’esistenza delle sirene, palesando una sorpresa al di là del normale; forse potrebbe fingere irritazione, di fronte a quella che suonerebbe, in circostanze normali, come una vera e propria burla. Tuttavia, Reki non sa davvero come reagire, e la sua bocca si apre da sola, priva di qualsiasi parola.
La donna, allora, comincia a frugare nella propria borsetta, fino a estrarne qualcosa che Reki riconosce all’istante: il ciondolo grigio a forma di conchiglia. Sua madre ormai ha ricominciato a piangere.
-Lo aveva sempre al collo, ricordi? Quando è diventata umana per amore di tuo nonno, le è stato dato questo. Così, nel caso avesse voluto tornare sirena, avrebbe potuto farlo.
Glielo porge, facendo scivolare il laccio tra le dita e quindi pendere nel vuoto quel piccolo ciondolo. Entrambi, quasi sotto ipnosi, lo guardano roteare e roteare e roteare, fino a che le parole della donna non riempiono, dolcemente, lo spazio tra di loro.
-Da quello che diceva lei, può trasformare chiunque in una sirena.
-Perché lei-?
-Le sirene sono più furbe di noi, a quanto sembra!
Ridacchia, ma è ancora tesissima.
Reki abbassa lo sguardo all’erba sotto di loro, ai fiori appoggiati alla lapide, trattenendosi appena dal piangere.
-Non me l’ha mai detto…
-Pensava di proteggerti, e anche io…
Un sospiro lascia il petto di lei, lungo e profondo.
I loro fianchi si fanno più vicini – ancora, dal mare sale la brezza piena di salsedine e scompiglia i loro capelli, colori e suoni che sono sempre stati familiari per la gente della costa come loro e che confortano, quasi, le loro anime.
Dopo tanto dolore, ritrovarsi vicini genera un moto di commozione del tutto involontario.
Lei gli accarezza il viso, in un gesto imprevisto che lo fa sobbalzare.
-Sapevo cosa stava succedendo e chi hai incontrato, Reki. Io non sono mai stata una sirena, ma ascolto la voce del mare e sento le sue parole. E poi quel ragazzone grande e grosso con cui di solito stai… penso fosse inevitabile.
Gli alza il mento, costringendolo a guardarla negli occhi.
-C’è qualcuno che ti attende là, no?
E non serve che Reki risponda a quella domanda precisa, perché è già tutto nel suo sguardo. Lei sorride e gli lascia il tempo per tornare a respirare, pensare con calma.
Reki si aggrappa al suo polso, permettendole di accarezzarlo ancora. L’immagine di Langa gli torna in mente, non l’ha mai lasciato davvero.
Eppure, sente di avere ancora paura. Rincorrere una falsa felicità, riempiendosi di aspettativa che andrebbe poi a disilludersi: la sola prospettiva di una vita del genere, lo terrorizza.
-Io non… posso…
Il mare all’orizzonte ancora scintilla sotto la luce forte del sole.
La mano della donna sale tra i suoi capelli e li spettina, poi li pettina con dolcezza e dita attente. Il guizzo nei suoi occhi pare, per la prima volta, come quello del raggio di luce che gioca sulla cresta delle onde.
Ha lo stesso, identico sorriso della nonna.
-Sta a te decidere, sei libero di essere e fare quello che vuoi. Sappi solo una cosa, che io ti vorrò bene per sempre, qualsiasi sia la tua forma.
Cuore accelerato: a quel punto, le lacrime sgorgano inesorabili, e lui si china di slancio ad abbracciarla.
-Mamma!

 
*****

 
Lo sente di nuovo e per un attimo tutto si ferma.
La coda chiara di sua madre ha un guizzo, e diverse bolle di preoccupazione risalgono dalle sue labbra, quando lei gli volteggia sopra la testa.
-Langa? Tutto bene?
Si volta a guardarla come stupefatto, accorgendosi di esserle ancora vicino. I contorni di quella casa – di quella caverna fatta a loro dimora, uguale a quella di tantissime sirene che vivono come loro sul fondale degli oceani – riprendono forma alla sua coscienza. Oggetti persi e ritrovati nella memoria come nella quotidianità.
Deve fare uno sforzo per ricordare precisamente cosa stesse accadendo: stava finendo di mangiare. Abbassa quindi lo sguardo verso una ciotola di alghe mezza vuota, ormai, e con una sola forchettata finisce il pasto in fretta.
-Ottimo, grazie mamma.
Lei non trattiene affatto la sua preoccupazione, teme ancora di vederselo sparire da un momento all’altro. Per questo, gli accarezza il volto e gli tende un sorriso tenero, pieno di sincero affetto materno. Sguardo basso alla bandana che tiene sempre allacciata al braccio, come un amuleto magico.
-Io sono dall’altra parte. Se hai bisogno, basta che chiami, Langa. Non c’è bisogno che ti sforzi, siamo intesi?
-Mica sono un girino!
Lei sogghigna al suo piccolo cruccio e fa una piroetta sopra il suo giaciglio, prima di allontanarsi con la ciotola vuota tra le dita squamose. Guarda alle proprie spalle fino a voltare un angolo cieco, e quindi sparire alla sua vista. Il cono di luce che proviene da dietro quell’angolo segnala la sua presenza sempre costante, in una rassicurazione non necessaria.
Lo sente di nuovo, questa volta ne è sicuro.
Si agita sul proprio giaciglio e si mette in posizione di nuoto, sollevandosi fino al soffitto della caverna.
Addossato alla parete, c’è l’imboccatura di un piccolo cunicolo, nascosta dall’ombra di un masso piuttosto imponente che sporge in avanti. Langa non vorrebbe mai ingannare sua madre, men che mai farla preoccupare, ma c’è quel richiamo irresistibile.
Il mare gli sta dicendo qualcosa, e lui non può rimanere ad aspettare.
Nel buio completo, usa il tatto per orientarsi: palmi squamosi contro la roccia, procede a tentoni e guizza in avanti, spingendosi con movimenti decisi della coda e della schiena. Qualcosa lo graffia sul fianco, durante il tragitto, ma non è fonte di grande preoccupazione; qualcosa graffia anche la cicatrice non del tutto guarita sull’attaccatura della coda, e il suo corpo vibra per il dolore. Non si ferma, non si ferma davvero.
Esce da un lato della barriera di roccia e corallo, dove nuotano placidi pesci di mille colori e dimensioni. Al suo passaggio, un’anemone si chiude di scatto, proteggendo gli inquilini ancora al suo interno.
Langa nuota veloce, nell’acqua scura di notte.
Le bocche delle grotte del suo popolo di allontanano sempre più, alle sue spalle, e il vuoto lo avvolge in ogni direzione. C’è solo il suo istinto, e il mare stesso, a muovere quella convinzione calda che tiene salda nel petto.
Lo sente di nuovo, viene dalla direzione della terraferma.
Sollevandosi verso la superficie, scorge tra i flutti i raggi bianchi della luna piena, che creano bagliori deboli con i colori della sua lunga coda. Sempre più avanti, sempre più avanti.
Scorge poi, lontano, una figuretta immobile, arti e squame da sirena – un bel color rosso acceso, anche nell’ombra scura degli abissi.
In una nuvola di bolle, Langa nuota il più velocemente possibile, e quando quella figuretta si accorge della sua presenza fa altrettanto.
Quasi si scontrano. Langa lo acchiappa per il busto e per le spalle, trascinandolo con sé in mille capriole e giri. Sentire la risata di Reki gli riempie il petto e il cuore, come ormai non credeva più possibile.
Il laccio della bandana al suo braccio si scioglie, nel gesto, liberandosi nell’acqua densa.
Appena si fermano, Langa gli prende il viso tra le mani.
-Perché sei qui?
-Per te, mi pare ovvio!
-No, non questo- Come?
Riconosce il ciondolo che Reki gli sventola davanti al naso piatto, perché ne ha visti diversi tra le sirene. Anche Joe, Kojiro, ne ha avuta sempre una al collo.
E il sorriso un po’ amaro sulle sue labbra gli impedisce di fargli altre domande inerenti a quello.
Tuttavia, lo stringe a sé e arrotola la cosa alla sua.
-Perché, Reki? Tu sei umano! Tu-!
Reki lo interrompe, prendendogli saldamente le spalle.
-Non potevo perderti di nuovo, Langa.
-Non è certo colpa tua quello che mi è successo al laboratorio, sai?
-Questo lo so, però…
Tentenna, abbassa lo sguardo. Ascoltare il rumore del battito del suo cuore è così straordinariamente piacevole.
-Ho pensato di non poterti rivedere mai più, che qualcosa di terribile ti stesse accadendo mentre io ero lontano da te. E anche in questi mesi…
Si zittisce, con gli occhi lucidi. Le sirene hanno un modo diverso dagli umani di mostrare tristezza, perché le lacrime non servono a niente sotto il pelo dell’acqua.
Le sue branchie si aprono e la sua coda si irrigidisce.
-Non lo sopporto! Stare lontano da te, non lo sopporto!
Lo zittisce con un bacio di labbra tremanti, e quella volta non si lasciarono per un bel pezzo.
Per sua madre, per le altre sirene, per sapere tutto quello che è capitato ai loro amici terrestri, hanno tempo – ma dopo, perché in questo momento c’è qualcosa di più importante davvero.
 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > SK8 the Infinity / Vai alla pagina dell'autore: Rota