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Autore: EleAB98    28/10/2021    3 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
[...]
Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
Alex Valenza, un reporter piuttosto famoso, è alle prese con una drammatica scoperta che lo porterà a chiudersi, a poco a poco, in se stesso. A nulla sembra valere il supporto della moglie. Riuscirà a ritrovare la serenità perduta?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo XVI – Non si può morire dentro... (O Forse Sì?)

Mercoledì

 

Dovettero più volte farmi cenno di scendere dal treno. Il mio sguardo perso e trasognato non era passato inosservato agli occhi della hostess, che mi aveva richiamato più e più volte fino a scuotermi le spalle con ferma dolcezza. Fu proprio in quel momento, che rinsavii. Mi ero nuovamente perso in quei bellissimi ricordi. Negli occhi chiari e luminosi della mia Melissa.
Mi guardai attorno. Gli occhi azzurri di quella donna mi scrutavano curiosi, probabilmente si chiedeva cosa mi stesse passando per la testa. Oh, se lo avesse saputo! Se soltanto avesse saputo quanto mi sentissi vuoto al pari di quel treno sul quale, ormai, non giaceva più anima viva all'infuori di noi!

«Mi scusi tanto, ero sovrappensiero», farfugliai, alzandomi in piedi. Non potevo certo immaginare che quella signorina mi avrebbe porto un fazzoletto.

Lo accettai di buon grado, ma non riuscii a guardarla. La ringraziai, imbarazzato come non mai. Avevo pianto come un bambino senza neanche accorgermene. Ma del resto, trattenevo quelle lacrime da troppo tempo. Borbottai un flebile arrivederci e, non appena scesi da quel treno, uscii, a passo lento, dalla stazione. Scrutai con meraviglia e altrettanta tensione la zona circostante. Mi sarebbe bastato attraversare la strada, e in un attimo... mi sarei ritrovato faccia a faccia con lei. Quella lei che era stata la mia donna per quasi undici anni. Quella donna con cui, per certi versi, ero cresciuto.

Mi ritrovai ad attraversare un piccolo prato fiorito. Sapevo benissimo dove quel praticello mi avrebbe portato.
Un piccolo sentiero pieno di ghiaia rimpiazzò le margherite e le viole. Per un istante, pensai di tornare indietro. Con quale faccia mi sarei ripresentato davanti a Melissa? L'avevo sicuramente delusa; ero più che certo che mi disprezzasse come non mai.
Lei conosceva tutte le mie malefatte. Lei conosceva più di chiunque altro in che razza di uomo mi fossi trasformato. Ero stato un incallito sciupafemmine per anni.
E tutto per non soccombere al profondo dolore che mi portavo dentro. Da quando lei se n'era andata, avevo tentato di lasciarmi morire, ma la presenza costante di mia madre mi aveva evitato una simile fine. Non passava giorno senza che non venisse a trovarmi a casa mia. Nei primissimi mesi, aveva fatto davvero di tutto perché io non finissi nella spirale dell'alcol, ma d'altra parte avevo ripreso a fumare come se non ci fosse un domani. Quasi speravo che quel lurido tabacco potesse strapparmi alla vita. Magari, un colpo secco mi avrebbe spedito all'altro mondo, mi dicevo, senza possibilità di ritorno.

Per un istante, sorrisi al ricordo di Melissa: «Vuoi smetterla o no di tenere tra le mani quel portatore di oscuri presagi? Non voglio che lui si frapponga tra me e te, tantomeno che ti strappi via da me!»

Per Melissa, quel portatore di oscuri presagi non era nient'altro che la mia fedelissima sigaretta. Avevo cominciato a essere schiavo di quel vizietto verso i vent'anni, e tutto per una stupida scommessa. Ma non appena avevo cominciato, non avevo più smesso.

«Ti prometto che, non appena saremo sposati, non toccherò mai più una sigaretta. Contenta?»

Lei soleva alzare gli occhi al cielo. «Sì, certo... come no! E io sono Albert Einstein!»

«Guarda che io ti sposo sul serio, eh!» ribattevo sempre io, con un sorrisetto sul volto e uno sguardo che sapeva di un amore talmente forte, talmente puro... che a tutt'oggi mi domando se ne possa esistere un altro che possa assomigliargli, anche soltanto vagamente.

«Ah sì?» Dopo quella mia affermazione così ardita, lei non mancava di scrutarmi nel profondo, come volesse cercare la verità nei miei occhi. Io, di rimando, l'abbracciavo forte e la tenevo stretta a me. Stavamo insieme da quasi otto anni, ed ero più che certo che l'avrei sposata. «Voglio essere parte di ogni tua singola giornata. Voglio svegliarmi tutti i giorni tra le tue braccia, voglio andare a vivere con te. In una casa tutta nostra... Ma voglio farlo da sposati. Se tu lo vorrai, s'intende.»

Quando pronunciai per la prima volta quelle parole, Melissa mi strappò la sigaretta dalle mani, spegnendola con la suola delle scarpe. «Quindi, ricapitolando... io getterò il mio bellissimo bouquet alla massa di invitati che assisterà al nostro matrimonio, mentre tu dirai addio all'ultimo pacchetto di sigarette gettandolo nel cassonetto come si fa con un paio di calzini vecchi, giusto?»

«Mmm... l'idea in sé è molto carina, però... credo sia molto più eccitante fumarsi un'ultima sigaretta, prima di—»

«Mal! Una promessa è una promessa!»

«Ma certo, tesoro! Ma non hai mai sentito cosa diceva il caro Zeno?»

Melissa alzava gli occhi al cielo e cercava di trattenere, invano, l'ombra di un sorriso. «Ah, no! Non ci sto, mio caro Mal! Adesso non abbindolarmi con i tuoi discorsi sulla letteratura, perché con me non funzionano!»

«Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand'è l'ultima. Anche le altre hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso. L'ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su se stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute.» Quella citazione de La Coscienza Di Zeno la faceva sempre sorridere. Quando recitavo la parte dell'uomo colto, lei ne rimaneva sempre estasiata. E così, dopo averle rifilato un bacio intenso e travolgente, ci lasciavamo avvolgere dall'essenza di un'emozione che non si sarebbe mai spenta. 

A meno di spiacevoli imprevisti.

Mi riscossi da quel prezioso ricordo. Davanti a me, si ergeva un vecchio cancello in ferro battuto con su scritto gli orari di apertura e di chiusura. Mi trovavo lì ancora una volta. Avevo osato presentarmi in quel luogo pieno di dolore, tristezza e malinconia. Ma anche di pace. Una calda pace che non mi aveva più avvolto da quando Melissa aveva deciso di lasciarmi, dopo aver lottato tanto tra... Chiusi gli occhi. Non riuscivo ancora ad accettarlo. Era decisamente troppo per me. Mi abbandonai a un sospiro profondo. Ma le mie gambe stavano tremando. Tutto il mio corpo stava tremando.
Il calore del sole non mi regalava alcun conforto. E nemmeno la fiorente natura che mi circondava. Il freddo che regnava nella mia anima, il dolore, cristallizzatosi così in profondità, non mi faceva vedere quello che c'era oltre. Perché per me, oltre a lei, oltre a quell'orizzonte, non c'era né ci sarebbe stato più niente.

«Io devo vederla.»

Pronunciai quelle parole senza neanche accorgermene. Mi sentivo come immerso in una bolla, nessuna persona girovagava attorno a me. C'ero soltanto io. Ma quel senso di perenne solitudine sparì non appena incrociai qualche persona dallo sguardo triste. D'altronde, in un luogo del genere non si poteva certo sorridere. Mi incamminai, senza smettere di tremare, verso il mio carissimo angelo. Non appena la vidi, il mio cuore perse un battito. I miei occhi tornarono lucidi, deglutii a tutta forza con la fervida speranza di ricacciare indietro le lacrime.
Mi chinai. Accarezzai quel magnifico volto di donna, non senza provare vergogna e disgusto per la mia persona. «Melissa», sussurrai, con un groppo in gola. Mi inginocchiai ai suoi piedi. Ai lati di quella grigia lapide, non c'era più nemmeno un fiore. Ma il fiore più bello era proprio davanti a me.
Una piccola croce era attaccata di fianco alla sua fotografia. Scostai lo sguardo da quel dettaglio e ripresi a guardarla. Il suo sorriso mi toglieva il fiato ogni volta. I suoi setosi capelli mori mi avevano sempre accarezzato il petto, le guance e... l'anima. Quelle labbra sottili, testimoni del mio primo, vero bacio, erano irresistibili. Il volto allungato, il nasino all'insù... la trovavo perfetta.
Sospirai. Mi mancava tutto di lei.

Per quale motivo Dio aveva deciso di portarsela via? Di portarmela via? Se Dio esisteva, perché permetteva che determinate cose succedessero?

«Ciao, Mel...» le dissi, con il cuore che continuava a battermi all'impazzata del petto. «Lo so, è da tanti anni che non torno qui a farti visita. Da ben cinque, per la precisione. Ma... ho combinato un gran casino, sai? Senza di te... Dio, mi vergogno così tanto!» ammisi, cercando di continuare a parlare. Avevo un gran bisogno di buttar fuori quel che era stato. «Io... senza di te ho perso me stesso. Sono diventato un uomo senza alcun obiettivo di vita. Ho perso la voglia di sognare, di sperare. Ho perso tutte quelle emozioni che ho avuto l'onore di provare soltanto con te. Tu, che eri la mia stella. Una stella che brillava di luce propria. E io... il piccolissimo satellite che vi orbitava attorno. Eri tutto il mio mondo. La mia vita. Da quando te ne sei andata, nulla ha avuto più senso, per me. Mi sono sentito come se mi avessero gettato da un dirupo. E nessuno è riuscito a salvarmi. O meglio... ci ha pensato mia madre. Lei, e soltanto lei, ha evitato che piombassi nella disperazione più totale. Ma ho comunque smesso di vivere come un uomo. Ho vissuto come un vegetale. Assorbito totalmente da una vita che non sentivo più mia. Una vita che aveva perso il suo sapore, ma che ho comunque cercato di infarcire con delle squallide avventure che non hanno fatto altro che ricordarmi costantemente che dall'altra parte c'eri tu. Ci sei sempre stata tu.
Sono passati sei anni da quel giorno terrificante, e da sei anni a questa parte riesco soltanto a respirare. A sopravvivere... ma non a sentire. Sentivo soltanto quando c'eri tu. Nelle notti invernali di luna piena, come in quelle d'estate. Quando io e te facevamo l'amore con addosso la passione di due innamorati che si apprestavano a scoprirsi per la prima volta. E con te... con te era come se fosse sempre la prima volta. Per non parlare dei tuoi baci, delle farfalle nello stomaco che non ho mai smesso di sentire ogni qualvolta incrociavo il tuo sguardo. Ma... io mi vergogno veramente tanto, Mel. Ieri sera ho... ho pronunciato il tuo nome invano in un momento in cui... in cui mai e poi mai avrei pensato che saresti comparsa. E ho quasi paura ad ammettere il perché. Tu sei tuttora nei miei pensieri più intimi. E ci rimarrai per sempre. Ora come ora, però... non so che cosa fare.» Accarezzai con le nocche quella fotografia. «Spero che tu possa perdonarmi, Mel. Non volevo diventare l'uomo che sono e che vedi oggi. Eppure, nonostante tutto, sentivo di dover tornare da te. Qui ad Arezzo, dove tutto è cominciato.»
Mi alzai di nuovo in piedi. Non ero ancora pronto a ripercorrere quanto successo quella maledetta sera, ma aver parlato un po' con Mel mi aveva regalato uno strano senso di pace. Una sensazione che non provavo da molto tempo, anche se...
Mi rifiutai di ripensare a quella donna. Il mio cuore era appartenuto soltanto a Melissa. E il tempo me lo aveva dimostrato.

Rimasi lì davanti per un tempo indefinito. Non volevo proprio schiodarmi da lei. E mentre il flusso inarrestabile del tempo continuava a scandire i secondi, i minuti e le ore, io mi ritrovai, ancora una volta, a ripercorrere le principali tappe della mia esistenza che, da piena ed emozionante, era a un tratto diventata spaventosamente vuota e solitaria.

 

*Non Si Può Morire Dentro: brano del cantautore Gianni Bella (1976)

   
 
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