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Autore: Adeia Di Elferas    29/10/2021    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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Caterina aveva mangiato poco, a cena, e non si era nemmeno presa il disturbo di seguire troppo i discorsi dei suoi commensali. Aveva assistito con distrazione anche allo scambio di doni, e si era scusata con tutti per non averne potuti fare a sua volta.

“Ho fatto preparare questa cena e ho dato ordine di non badare a spese per il pranzo di domani.” si era però premurata di dire, come se dovesse per forza scusarsi delle regalie non fatte.

In realtà furono molto pochi i regali che vennero scambiati, quasi tutti preparati da Bianca che, in quel freddo inverno, sembrava non aver trovato di meglio che cucire e imbastire guanti e camicioni per tutti i fratelli, persino per Ottaviano, che accetto il suo dono con una smorfia quasi infastidita.

“Anche io ho una cosa per te.” sussurrò Troilo, all'orecchio della Riario, quando lei gli fece sapere, in un soffio, che il regalo per lui l'aveva lasciato in stanza, e glielo avrebbe consegnato solo dopo cena.

“Di cosa si tratta?” aveva chiesto, impaziente, la ragazza.

L'uomo aveva sollevato le sopracciglia: “Nulla di che, in realtà. Sono stato indeciso... Non ero certo che voi festeggiaste il Natale così.”

Quel breve accenno alle possibili differenze in merito al modo in cui si festeggiava una festa come il Natale aveva aperto a Bianca una serie di interrogativi, che però preferì lasciare per dopo. Sapeva che non tutti seguivano il calendario e le usanze che lei aveva osservato fin da piccola, e sapeva anche benissimo che la sua famiglia era stata più orientata verso le usanze di Milano, che non della Romagna o di Savona. Anche quello, si era detta, sarebbe stato un modo per scoprire meglio Troilo e capirlo più a fondo.

Finiti i gesti di rito, alla spicciolata ognuno si ritirò nella propria stanza, tranne Caterina, il De Rossi e Bianca. I tre si guardarono un momento, e poi la Tigre disse che, intanto, si sarebbe sistemata nella sala delle letture.

“Stai tranquillo.” disse in fretta la Riario, guardando il suo uomo che, all'improvviso, non sembrava più tanto determinato a incontrare da solo quella che sperava un giorno diventasse ufficialmente sua suocera: “Mia madre è una donna difficile, ma non ti è ostile. C'eri anche tu, tra quelli che l'hanno liberata. E sei un uomo di valore. E poi sa che ti amo...”

Tutte quelle rassicurazioni, sgranate una dopo l'altra come proiettili di una spingarda, non aiutarono molto l'emiliano che, teso come una corda d'arco, riuscì solo ad annuire in modo rigido e chiedere, un po' incerto: “Devo lasciare che sia lei a parlare o devo dirle prima qualcosa io?”

In quel modo di cercare il suo aiuto, all'idea di parlamentare con la Leonessa di Romagna, Bianca comprese appieno una cosa che fino a quel momento aveva sottolineato, almeno per quanto riguardava il suo rapporto con Troilo: anche lui, come il resto del mondo, sembrava avere una paura folle di sua madre.

“Tu pensa a dire cose che ritieni giuste. E se vedi che si altera per qualche motivo, non alimentare la sua rabbia e vedrai che andrà tutto bene...” suggerì, non troppo convinta, la ragazza.

In quel momento il De Rossi sembrava un adolescente impacciato che si apprestava a consegnarsi volontariamente al più severo dei maestri, e non un uomo maturo che si accingeva a parlare con una donna all'incirca sua coetanea.

Quel dettaglio mise tenerezza alla Riario che, con una veloce carezza alla sua barba ancora ispida, concluse: “Andrà tutto bene, te lo ripeto. E quando tornerai in camera, vedrò di raderti, visto che stamattina non ne abbiamo avuto il tempo...”

 

Caterina stava aspettando da almeno un quarto d'ora. Aveva immaginato che Bianca volesse dare gli ultimi consigli al De Rossi, prima di lasciarlo andare da lei, e averne quella tacita conferma, in fondo, la compiaceva. Non credeva che l'emiliano fosse un indeciso, tanto meno un pavido... Di certo la sua incertezza era motivata dall'importanza di quello che c'era in palio e, lo capiva, anche dalla fama che lei portava con sé da sempre.

A parti inverse, ragionò, anche lei sarebbe stata molto nervosa, all'idea che da un incontro del genere, potesse dipendere la propria sorte...

Con un respiro profondo, si versò un secondo calice di vino. Il primo lo aveva finito in fretta, per stemperare l'attesa. Era il vino che aveva fatto acquistare da poco, un vino della zona, molto profumato e denso. Non era come quello che producevano i suoi vignaioli a Fortunago, ed era molto meno rustico di quello che aveva imparato ad amare in Romagna, ma l'aveva già conquistata.

Fuori si era messo a nevicare mentre ancora si stava cenando. Anche ora, la Leonessa poteva sentirselo nelle ossa, fiocchi fitti e gelidi continuavano a vorticare e impattare in terra, creando via via una cortina sempre più spessa. Di quel passo, pensò, sarebbero arrivati all'anno nuovo sommersi...

“Finalmente siete qui.” sospirò, quando vide sulla porta Troilo.

L'uomo, titubante, si mosse verso di lei e poi rimase immobile, come indeciso se sedersi o meno.

La donna, allora, gli indicò la poltroncina davanti alla propria, in favore di camino acceso e gli offrì un calice, che aveva adeguatamente riempito fin quasi all'orlo: “Prendete un po' di vino.” lo incitò.

Il De Rossi, che aveva già lo stomaco sottosopra, ringraziò e afferrò il calice, ma ne sorbì solo un brevissimo sorso, giusto per accompagnare quello molto più generoso della padrona di casa.

“Mia figlia è sposata, questo lo sapete.” iniziò a dire Caterina, convinta che prendere il discorso alla lunga non sarebbe servito a nulla: “Io, per rispetto a lei, non voglio oppormi a quello che state facendo, ma la state compromettendo.”

“Con tutto il rispetto – prese a dire lui, la voce un po' arrochita e gli occhi che non riuscivano a posarsi sul profilo altero della Tigre per più di pochi secondi consecutivi – Astorre Manfredi non può avere ancora vita lunga.”

“Non possiamo saperlo.” rimbeccò la Sforza, benché convenisse con lui: “La politica è una cosa labile e imprevedibile. Il papa potrebbe morire domani, e potrebbe essere eletto un pontefice romagnolo che libererebbe subito mio genero. Non possiamo saperlo...”

Non aveva mai chiamato Astorre 'mio genero', ma quella volta lo fece con un chiaro intento. La scelta delle parole non sfuggì al De Rossi, che abbassò un momento lo sguardo verso il calice di rosso, e poi si morse le labbra.

“Astorre Manfredi è poco più che un bambino... E non è davvero vostro genero, e voi lo sapete bene.” disse l'emiliano, non riuscendo a trattenersi.

“Astorre Manfredi ormai ha sedici anni.” gli ricordò Caterina, la voce che si inaspriva appena: “E quindi direi che non è affatto un bambino. Per le nostre leggi, se uscisse ora da Castel Sant'Angelo e pretendesse Bianca...”

“Non si sono mai conosciuti, non in senso biblico.” ribatté il De Rossi, accendendosi, incapace di sopportare anche solo l'idea che le parole della milanese potessero diventare reali, in un futuro ipotetico: “Le nozze andrebbero annullate e...”

“E con quale scusa? I giudici di Roma sono persone strane... Esaminerebbero mia figlia, e cosa credete che concluderebbero?” lo incalzò la Tigre: “A loro non interesserebbe sapere chi e quando, a loro basterebbe dire che...”

“Se Astorre dovesse uscire da Castel Sant'Angelo vivo, andrei io stesso a Roma ad ammazzarlo, allora!” sbottò Troilo, non riuscendo a trattenersi, muovendosi in modo tanto scomposto da macchiarsi la gamba dei pantaloni con qualche schizzo di vino.

Inaspettatamente, la Leonessa sorrise a quell'affermazione, annuendo appena, e passò ad altro, come se quel primo esame fosse stato infine superato.

Mentre l'uomo cominciava a calmarsi, anche se a fatica, la Sforza riprese: “Voi avete più o meno la mia età.” aveva adottato un tono neutro, che gettava il suo interlocutore ancor di più nella paura di sbagliare a rispondere: “Mia figlia è solo una ragazzina... Credete che potrebbe funzionare, un matrimonio tra voi?”

“Vostra figlia non è più una ragazzina, direi...” quella frase uscì dalle labbra del De Rossi troppo in fretta e in modo troppo allusivo.

Avrebbe voluto spiegarsi e dire che Bianca aveva già vent'anni e che era matura, per la sua giovane età, che sapeva come andava il mondo e che era molto più capace e intelligente di qualsiasi altra sua coetanea, ma il modo in cui si era espresso lasciava intendere tutt'altra accezione.

“Tu lo sai bene, vero?” fece infatti Caterina, questa volta glaciale, abbandonando di colpo il voi e ogni qualsiasi altra forma diplomatica.

“Non volevo mancare di rispetto...” tentò di rimediare lui, le guance che si arrossavano e le mani che si passavano l'un l'altra, nervosamente, il calice di vino: “Volevo solo dire che Bianca ormai è una donna e...”

“E ti ha scelto, è questo che volevi dire?” l'attaccò la Leonessa, facendo fatica a moderarsi: “Si può dire che praticamente sei il primo uomo che vede, dopo... Dopo Ravaldino e...”

“E dopo il convento.” continuò al suo posto lui, dimostrando di sapere molto più di quello che la Tigre si aspettava: “Con Bianca ci siamo parlati francamente fin dal primo momento. Ci siamo detti tutto.” volle aggiungere, a mo' di chiarimento.

La Sforza, vedendo come il De Rossi sapeva di fatto più cose di quelle che lei aveva solo intuito, si abbandonò per un istante contro lo schienale della poltrona e, finendo il suo calice, per riempirsene subito un altro, riprese: “Sei troppo vecchio, per lei. Adesso le piace portarti a letto, perché sei un uomo piacente e prestante, ma tra cinque, dieci, quindici anni...”

Troilo aveva la bocca asciutta. Non si era aspettato di sentire la madre di Bianca parlare in quel modo, benché sapesse, almeno per sentito dire, che la Tigre era tale di nome e di fatto e non si intimidiva davanti a nulla, nemmeno dinnanzi ad argomenti ritenuti scabrosi o inadatti a una donna del suo rango. La sua stessa vita era stata la dimostrazione di quanto poco le importasse, di seguire le regole non scritte dell'alta società.

“Quando vi siete innamorata, intendo veramente – provò a dire lui, cautamente – vi siete preoccupata di cosa sarebbe successo dopo cinque, dieci, quindici anni?”

L'allusione alla differenza d'età che era corsa tra Caterina e il suo Giacomo era evidente, e la Sforza la ritenne una mossa scorretta. Senza contare che, benché all'epoca la sua relazione con il Feo avesse suscitato molto scalpore anche per quel motivo, riteneva che otto anni fossero molti meno che diciannove.

Così, per evitare di cadere nella trappola dialettica che le era stata tesa, preferì aggirare in parte l'ostacolo, abbandonando la questione della differenza d'età e buttandosi su altro: “No, non mi ero preoccupata di quello che sarebbe successo dopo, ma avrei dovuto farlo, visto il modo in cui alla fine hanno trucidato il mio Giacomo.” non avrebbe voluto sentire la propria voce tremare, ma nel citare il suo secondo marito, non riuscì a evitarlo: “Se solo avessi ragionato di più, avrei potuto salvarlo.”

Troilo, che si era preparato molte argomentazioni per minimizzare il divario d'età con Bianca, rimase spiazzato da quella piega del discorso e così, un po' disorientato, disse: “Io non metterei mai in pericolo vostra figlia...”

“E come pensi di riuscirci?” lo incalzò Caterina, questa volta alzandosi dalla poltrona, il calice in mano e le gambe che non riuscivano a stare ferme: “La porteresti a San Secondo con te. Quelle terre cono complicate... Caduto mio zio Ludovico, da quello che so, sono contese tra tuo padre e i suoi fratelli, nipoti e cugini... Mia figlia vivrebbe per certo in mezzo a nuove guerre, nuove congiure, nuovi problemi... Ha già passato l'infanzia e la prima giovinezza così, non merita di ritrovarsi di nuovo in mezzo a...”

“Bianca è una donna forte e intelligente. L'avete fatta crescere in mezzo ai leoni ed è diventata a sua volta una leonessa.” la interruppe lui, alzandosi a sua volta e fronteggiandola con una fermezza che fino a quel momento gli era mancata: “L'avete fatta crescere in una rocca piena di soldati, l'avete istruita e le avete dato il vostro esempio. La vita che posso offrirle io non è la più tranquilla possibile, ma è adatta a lei.”

Caterina non sapeva come ribattere. Indugiava a tratti sui lineamenti regolari dell'emiliano, e, nell'averlo tanto vicino, valutava anche la sua forza fisica. Poteva capire l'attrazione che aveva portato Bianca a pretenderlo, senza pensarci due volte. Tuttavia, non riusciva a digerire del tutto l'idea che un uomo nella posizione del De Rossi potesse un giorno essere il marito della sua unica figlia femmina. Non lo disprezzava, tutt'altro, ma più si sforzava di trovare lati positivi a quell'unione, più ne trovava di negativi...

“Non cercare di lisciare il pelo a una belva selvatica come me, o finirai per essere morso.” avvertì la donna, sollevando l'indice della mano libera con fare minaccioso.

L'uomo la guardò a lungo. Assomigliava alla Riario, doveva ammetterlo. Malgrado avesse i capelli bianchi, era facile intuire che un tempo dovessero essere dello stesso biondo di quelli della figlia. I suoi occhi erano verdi, a differenza di quelli di Bianca, che erano blu scuro, ma la loro espressione, in certi momenti, era simile. La fisicità delle due donne, poi, era paragonabile. Erano entrambe prorompenti, anche se in Caterina, ormai, gli anni, le fatiche e i fastidi avevano scavato a fondo, lasciandola provata e, di certo, meno affascinante di come doveva essere stata in passato.

A renderle profondamente diverse, però, c'era una differenza di fondo, molto evidente. Per quanto Bianca era aggraziata e gentile, la madre era ruvida e imponente. I modi della Riario avevano una patina antica, un qualcosa che la rendeva una figura quasi eterea, a tratti, pur mantenendola estremamente terrena all'occorrenza. La Tigre, invece, era un fuoco anche quando restava immobile a fissare l'orizzonte.

“Forse vi sto dando un'impressione sbagliata...” mormorò Troilo, non sapendo come continuare a difendersi: “Io amo Bianca, è l'unica argomentazione che posso portare.”

La Sforza parve bloccarsi per qualche istante. Sapeva che quello che aveva appena detto l'emiliano faceva perdere d'importanza a tutto il resto. Avrebbe voluto far presente che lui e sua figlia si conoscevano appena, che avevano passato troppo poco tempo insieme per capire se erano davvero fatti l'uno per l'altra. Giacché non si sarebbe trattato di un'unione di convenienza, almeno si doveva essere davvero sicuri che fosse amore. La passione rischiava di offuscare il resto, e il suo timore era che, passata quella, non sarebbe rimasto nulla...

Non ebbe il coraggio di dire nemmeno una delle parole che le si affastellavano nella mente. Anzi, dopo aver sorbito ancora un po' di vino, con lo stomaco che bruciava come le fiamme dell'inferno, scosse il capo, quasi tra sé.

Allarmato, credendo che quello fosse il segnale che tutto era andato storto, il De Rossi schiuse le labbra, per tentare un'ultima disperata arringa, per evitare che la sua Bianca dovesse scegliere, alla fine tra l'amore per lui e quello per la madre.

Caterina, però, parlò prima che lui trovasse il modo di esprimersi: “Mia figlia ti ama, almeno questo mi ha detto, in modo molto chiaro. Non posso oppormi, se è così. È una cosa che non voglio fare. So per esperienza che, purtroppo, questo genere di forze non si possono dominare e, quando ci si prova, si finisce solo a peggiorare tutto.” fece un respiro profondo e poi proseguì: “Ma mi aspetto che tu, che sei il più vecchio dei due, ti ricorda sempre del mondo in cui viviamo. Mettila nei guai, e dovrai fare i conti con me. Bianca sarà anche una donna adulta, ormai, responsabile per le sue scelte, ma io resto sempre sua madre.”

Ancora incredulo per quello strano nullaosta appena ricevuto, l'uomo fece un sorriso incerto e poi promise: “Io veglierò su Bianca in tutti i modi che potrò. Non la lascerò mai sola nelle difficoltà e l'amerò con tutto me stesso e...”

“Lascia queste promesse a quando sarete davanti a un prete.” tagliò corto Caterina, burbera, ma felice di vedere tanto entusiasmo in quello che, ormai doveva rassegnarsi, un giorno sarebbe diventato suo genero: “Adesso vai da lei, non farla più attendere. Lo so benissimo che ti sta aspettando in camera tua...”

Troilo, un po' incerto, quasi temendo che quello fosse uno strano trabocchetto per valutare la sua condotta, esitò un istante.

“Non fartelo ripetere.” ribadì la donna, questa volta con la fermezza di un generale, mentre tornava a sedersi in poltrona e, con le gambe larghe, nascoste dalla sottana, tornava a bere come avrebbe fatto il più rustico dei soldati: “Vai da lei e falla felice...”

Questa volta, il De Rossi davvero non se lo fece ripetere e, ringraziandola più volte, andò alla porta, quasi correndo, con un entusiasmo che lo faceva sembrare un ragazzino e non un uomo di quasi quarant'anni.

Massaggiandosi la fronte con la punta delle dita, la Leonessa guardò verso le fiamme del camino e, ignorando il sordo senso di nausea che la stava prendendo, continuò a sorbire il suo vino, ben decisa a non salire in stanza finché la caraffa non fosse stata vuota. Quella ferma volontà le ricordò alcune notti di molto tempo addietro, quando ancora era la signora di Ravaldino. L'inquietudine che aveva provato allora era la stessa di quella volta, anche se, negli anni, aveva mutato forma e sapore.

Mentre si perdeva nei meandri della propria mente, lasciandola libera di vagare tra campagne nebbiose e spesse coltri di neve, Caterina rimpianse unicamente di essere sola, quella notte, e pensare che almeno la figlia sarebbe stata in compagnia era uno strano modo per lenire quel senso di vuoto che era tornato a tormentarla.

 

“Com'è andata?” il tono di Bianca era molto apprensivo e Troilo, malgrado si aspettasse di trovarla in camera, in sua attesa, quasi sussultò nel vedersela davanti nel momento stesso in cui aveva aperto la porta.

“Io...” l'uomo sollevò le sopracciglia, chiudendosi accuratamente l'uscio alle spalle, e tornando a guardare la Riario, poco convinto: “Io credo... Credo bene...”

La giovane si corrucciò, chiedendosi il motivo di quell'incertezza. Per come conosceva sua madre, in line di massima, se una cosa non le andava bene, lo faceva capire in modo molto chiaro. Così, convincendolo a sedersi accanto a lei sul letto, chiese al De Rossi di raccontarle, almeno a grandi linee, cosa si fossero detti.

Quando l'emiliano ebbe concluso il suo resoconto, dal quale estrapolò solo le cose principali, evitando di indugiare sull'imbarazzo provato nel sentire quella che sperava un giorno diventasse sua suocera, toccare certi argomenti, Bianca inclinò la testa di lato e commentò, con un sorriso che lui non comprese subito: “Sei stato bravo.”

Troilo accettò il bacio che la Riario gli stava dando e poi, scostandola un po' da sé, domandò: “E quindi secondo te è andata bene? È tutto a posto?”

La ragazza lo strinse a sé, con dolcezza e gli assicurò: “Sì.” poi, con un sospiro sollevato, gli accarezzò la barba e gli propose: “Ti va se ti rado..? Dovevo farlo stamattina, ma sai...”

Il De Rossi, lasciandosi a sua volta rasserenare dalla leggerezza che di colpo aveva preso la sua donna, annuì all'istante: “Fammi vedere di cosa sei capace.”

Bianca avrebbe potuto essere molto più rapida, con la lama, ma se la prese comoda, invitando, nel frattempo, il suo uomo a parlarle di casa sua. Mentre il tocco gentile della giovane lo tranquillizzava sempre di più, lui si lasciò andare e, stando sempre attento a non farsi tagliare, le raccontò di come fossero e come stessero i suoi genitori, spiegò la situazione in cui verteva San Secondo, e poi si lamentò delle condizioni della rocca, che, a suo avviso, era a dir poco inabitabile.

“Sarebbe più giusto andare a vivere in un palazzo...” soppesò, mentre la Riario gli massaggiava il collo e le gote con un unguento lenitivo che aveva imparato a preparare grazie alla madre: “Ma si prospettano tempi inquieti... Una rocca è molto più sicura.”

“Solleva il mento...” sussurrò lei, mentre finiva il lavoro, per poi aggiungere: “Basterà aggiungere dei bastioni e posizionare la zona residenziale dietro al mastio, nel cuore della fortificazione, in quel modo sarebbe una sorta di cittadella, in caso di assedio...”

L'uomo, sorpreso nel sentirla parlare con tanta semplicità di un argomento che aveva considerato a lei estraneo, la fissò per un lungo istante. Quello sguardo non passò inosservato, e innescò subito una risata divertita della Riario.

“Sono cresciuta in una rocca militare – gli ricordò – e anche se ho sempre amato ricamare, ho imparato quanto basta per sapere come funzionano certe cose...”

Troilo sollevò una mano, quasi a mo' di scusa e si affrettò a dire: “Non volevo dire che non...”

Bianca, finito il lavoro, lo zittì con un bacio, posandogli una mano sul petto. La sua pelle, contro il camicione sottile, quasi scottava. Il battito del suo cuore stava diventando rapido come un tamburo da guerra, e quello della Riario non era da meno.

Senza che ci fosse bisogno di dire altro, la giovane mise da parte i ferri da barbiere e il De Rossi si alzò, per stringerla tra le braccia. Come quella mattina, il desiderio di sentirsi l'uno parte dell'altra li portò ad accantonare tutto il resto.

All'emiliano sembrava impossibile che una donna potesse riempire a quel modo la sua mente e la sua anima. Non gli era mai successo, e mai più avrebbe pensato di trovare qualcosa di così completo e appagante con qualcuno così più giovane di lui. Mentre si rigirava con lei tra le lenzuola che profumavano di pulito, gli sembrava che il resto del mondo non esistesse più e che nessuna donna a parte lei fosse davvero donna e davvero capace di amarlo. Era come mescolare terra e fuoco, aria e acqua, tutto in un unico soggiogante caos.

Bianca, dal canto suo, non riusciva a essere cauta. Avrebbe voluto sapersi frenare, sapersi trattenere, invece a ogni tocco del suo uomo, rispondeva con voracia, a ogni suo movimento ne faceva corrispondere uno ancor più appassionato, e rincorreva il piacere come se ne dipendesse la sua stessa vita. Quello slancio, che le toglieva ogni imbarazzo e ogni pudore, era come una linfa arroventata che scorreva in lei e la rendeva malleabile come il ferro da battere e forte come la spada già affilata.

“Quando litigheremo...” iniziò a dire lei, in un soffio, mentre si stringeva a Troilo, faticando a trovare il fiato per parlare e respirare allo stesso momento.

“Perché dovremmo litigare..?” chiese lui, confuso, faticando a distogliere l'attenzione dal suo odore, dal suo calore e dalla sua pelle.

“Perché, prima o poi, capita a tutti...” sussurrò lei, chiudendo gli occhi, cercando di cristallizzare davvero quel momento, i loro corpi fusi in uno solo, nella calma della loro stanza, mentre fuori imperversava una tempesta di neve.

“A noi non capiterà...” disse, ostinato, il De Rossi, quasi fermo, desideroso di riprendere la loro personale battaglia.

“Anche a noi capiterà.” insistette Bianca, ricordando come anche sua madre avesse litigato, a tratti ferocemente, con uomini che si diceva amasse alla follia: “E quando capiterà, quando litigheremo, voglio che ti ricordi di questo momento.”

Troilo cercò gli occhi blu della Riario e, quando li trovò, vi si perse. Capì in quell'istante che, seppur molto più giovane, la sua donna era molto, molto più saggia di lui.

“Lo prometto...” sussurrò, con la voce che si spazzava.

Poi la baciò e, facendola rigirare sulla schiena, ricominciò a prenderla con slancio, e così Bianca, con una risata che si spegneva in un suono di soddisfazione, si aggrappò ancora di più a lui, lasciandosi trascinare in una notte che avrebbe voluto potesse non finire mai.

   
 
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