Marzo,
quell’anno, era stato molto magnanimo, le giornate erano
già tiepide, e
permettevano alle giovani di uscire in gonna e camicetta, al massimo un
leggero
giacchetto, e passeggiare per le strade di Tokyo godendosi la fioritura
dei
ciliegi, che con le loro gemme rosate impregnavano l’aria di
un dolce aroma che
risvegliava ben più di un tipo di appetito, facendo
brontolare stomaci e
battere cuori all’impazzata.
Lei
si sedette
sul basso muretto che circondava il parco di Shinjuku con le gambe
penzolanti,
ciondolando con i piedi sollevati da terra quasi fosse stata una
bambina, e non
una giovane donna di ventisei anni, il sorriso stampato in volto.
All’improvviso, però, fu colta da un dubbio, e
freneticamente aprì la borsetta
che le poggiava sul grembo, il respiro mozzato: si era ricordata di
prenderlo?
Fece
passare, con
occhi sgranati e dita tremanti, l’intero contenuto della
borsa a sacco, e
quando i delicati polpastrelli sfiorarono il freddo e duro materiale
tirò un
sospiro di sollievo, ed il suo cuore riprese a battere ad un ritmo
normale.
C’era:
non lo
aveva scordato, né, caso peggiore, smarrito. Era ancora
lì.
Tranquillizzata,
socchiuse gli occhi ed alzò il viso verso il sole,
permettendo che i raggi la
accarezzassero, baciando la sua pelle di porcellana,
dall’incarnato chiarissimo
ed i lineamenti da giovane donna, i capelli neri che le solleticavano
le
spalle, diversi da allora.
Un
leggero
venticello percorse la strada, ed un petalo cadendo le
accarezzò la guancia;
aprì gli occhi, e prese a guardarsi intorno: coppiette,
gruppi di amici e
amiche, studenti, studentesse di ogni ordine e grado, universitari,
fattorini,
professionisti, operai, di tutto e di più… e
nessuno di loro le prestava la
benché minima attenzione.
Erano
finiti i
giorni in cui non poteva compiere nemmeno mezzo passo senza che frotte
di
giovani si accalcassero alle sue spalle, orde di fan in delirio che desideravano anche
solo poterla sfiorare
per un battito di ciglia. La celebrità se n’era
andata con la stessa velocità
con cui era arrivata, ed i cuori di quelle persone, che
l’avevano chiamata una idol,
la più grande stella del Paese,
erano salpati verso altri lidi, invocando il tradimento: la promessa della fama
internazionale, il
trasloco in America, un singolo in Inglese, tante parole, ma alla fine
la sua
casa discografica si era sbagliata, ed il successo internazionale non
era mai
arrivato, solo stroncature.
Aveva
scelto di
tornare a casa con la coda tra le gambe, ritornare a fare
ciò a cui era più
abituata, ma ormai il danno era stato fatto; nel tempo in cui era stata
lontana
da Paese del Sol Levante era salita ai clamori della cronaca e delle
classifiche un’altra stella, che l’aveva
surclassata, facendola dimenticare a
tutto e tutti: era stata rigettata dalla stessa macchina che
l’aveva
fagocitata, usandola e sfruttandola fino a che le aveva fatto comodo.
Ma
non aveva
abbandonato quel
mondo, che ormai le era
entrato dentro; la sua casa ora erano i palcoscenici di locali con luci
soffuse, con poltrone di velluto rosso impregnate di profumo francese,
dove
intellettuali con maglioncino neri a collo alto e occhiali dalla
sottile
montatura di acciaio si accompagnavano a donne magrissime
dall’aria androgina,
discutendo di tutto e nulla mentre lei accompagnava con la sua voce
melodiosa e
malinconica ballate blues oppure le eleganti e raffinate note di un
pianoforte
a coda.
Ma
era meglio
così, si disse: quell’anonimato le aveva permesso
di vivere la sua gioventù
come meglio voleva, farsi amicizie, e vivere la vita alla luce del
sole, senza
doversi fare troppi problemi… era diventata una ragazza
normale, come tante.
Una
ragazza che,
se voleva, poteva benissimo innamorarsi… e vivere
l’amore come tutte le sue
coetanee, anche sposarsi, senza che nessuno avesse nulla da ridire o la
criticasse, impicciandosi dei fatti suoi.
Per
questo era
finalmente tornata, mantenendo la promessa che si era fatta da
ragazzina: ora
che i dieci anni erano passati, che era divenuta una donna nel corpo e
nella
mente, avrebbe obbligato anche lui
a
fare lo stesso. Non
pretendeva certo il
matrimonio – non subito, almeno, quello, ne era certa,
sarebbe arrivato poi –
ma ora desiderava vedere cosa sarebbe successo. Come sarebbero potuto
essere
stare insieme. Essere una coppia come tutte le altre.
“Ah,
ah, ah!
Davvero? Ma non mi dire!” Appena sentì quella voce
in lontananza e quella
risata schietta, onesta, Nagisa saltò in piedi con uno
scatto, e uscì
dall’ombra dei ciliegi, pronta a raggiungerlo.
Dieci
anni:
eppure era esattamente come lo ricordava, quasi si fossero visti per
l’ultima
volta solo pochi giorni prima.
Dieci
anni: e
sentirlo le faceva ancora battere il cuore all’impazzata, la
emozionava, la
faceva arrossire. Era una donna: eppure, con lui si sentiva ancora
quella
ragazzina di quei tempi andati.
Percorse
lenta,
su gambe che le tremavano, i pochi passi che li separavano, e si
nascose dietro
ad un palo, a guardarlo da lontano, chiedendosi se avrebbe avvertito la
sua
presenza, se si sarebbe accorto di essere spiato… in dieci
anni, Ryo era
cambiato poco o nulla, era sempre aitante e muscoloso, non aveva rughe
e
nemmeno un capello bianco, era ancora bello come un Dio greco.
E
quando Nagisa
si rese conto che non era solo, si sentì avvampare per
l’imbarazzo: con lui
c’era la sua segretaria- assistente, o qualunque cosa fosse
stata…. Qual era
il nome, Kreta, Kara?
No,
non Kara, ma
qualcosa di simile… forse, forse…
Kaori!
Nagisa
si dette
una scrollata: sì, era certa che fosse quello il nome della
donna. Quando
l’aveva velocemente incontrata, nel periodo in cui Ryo
l’aveva protetta, doveva
essere stata ancora molto giovane, perché in dieci anni era
cambiata parecchio-
ed in meglio. Diverso
era il suo modo di
vestire, con abiti femminili ma pratici, e scarpe con un discreto
tacco. I capelli
si erano allungati leggermente, arrivando a sfiorare le spalle, e
perfino i
suoi lineamenti, e la linea del corpo, si erano aggraziati ed
armonizzati,
quasi addolciti.
“Sai,
devo
ammetterlo, non pensavo che saresti stata in grado di resistere a quel
tipo, e
invece gliel’hai proprio fatta nel sacco!”
Mentre camminavano l’uno a fianco
dell’altra, Ryo le spettinò una ciocca
ribelle, e Kaori scacciò quella mano impertinente,
sbuffando.
“Ma
per favore,
lo dici sempre anche tu che City Hunter sono anche io… e poi
adesso sono quasi
dodici anni che lavoriamo insieme, qualcosa lo avrò pure
imparato, no… anche
se, diciamoci la verità, fosse dipeso da te io me ne sarei
stata tutto il tempo
chiusa in casa a mettere a posto e cucinare. Se ho imparato qualcosa il
merito
non è certo tuo, ma di Falcon e Miki… e
Mick!”
Così
dicendo,
Kaori fece uno scatto in avanti, e fece la linguaccia a Ryo. Nagisa non
sapeva
quanti anni Kaori avesse – forse quattro o cinque
più di lei – ma sembrava una
ragazzina con lui. Era decisamente diversa dalla Kaori di allora, molto
più
disinvolta e divertita, più aperta e dolce nei suoi modi con
Ryo.
Ryo,
che aveva
messo il broncio quasi fosse stato un bambino petulante.
“Lo
sai che
detesto quando dici il nome di quello!” Lui
grugnì, le mani in tasca. “Ti ronza
troppo attorno!”
“Ma
dai, sarai
mica geloso!” Kaori lo prese in giro. Nagisa si
fermò a guardarla per un
istante: era di una bellezza luminosa, sembrava emanare pace e
serenità.
“Sì,
e allora? Mi
sembra il minimo!” Ryo ammise, leggermente imbarazzato,
grattandosi il capo con
una mano e abbassando gli occhi. “Tu sei stata il suo primo
amore, e adesso lui
è tornato single, e tu no… e Mick ha sempre
adorato le sfide! Per lui far
capitolare una donna impegnata è una questione di principio,
e, ecco…. “
“Cosa,
non ti
sorprenderesti se io fossi tentata da un uomo di classe, bello,
elegante e
benestante, solo perché tu non sei esattamente un esempio di
fulgida virtù e
sei perennemente squattrinato e senza
un’oncia di stile in corpo?” Lei lo prese in giro.
Stava davanti a lui, il viso
sorridente rivolto verso il sole, e nonostante i passanti passassero
loro
accanto, sembrava che loro due non se ne accorgessero nemmeno, che
esistessero
solo loro due, in una loro personalissima bolla. “Quanto sei
scemo, Ryo, lo sai
che amo solo te!”
Kaori
fece uno
scatto in avanti, e mettendosi in punta di piedi lasciò un
bacio sulla guancia
di Ryo, che arrossì, e si sfiorò la pelle che lei
aveva toccato con aria
trasognata, stupita – quasi non potesse credere che fosse
vero, che stesse
effettivamente accadendo. Sembrava un bambino – anzi,
sembrava un ragazzino che
sperimentava il vero amore per la prima volta.
Nagisa
si voltò
appiattendosi contro il tronco dell’albero, facendosi
piccola, piccola mentre
sentiva le gote andarle a fuoco per l’imbarazzo, quasi li
avesse sorpresi a
letto, in un attimo
di intimità: anche
lei era stata così, all’epoca? Anche lei aveva
guardato Ryo come ora lui
guardava Kaori?
Quasi
impaurita, però vergognandosi allo stesso tempo, Nagisa si
fece forza e continuò a guardare la scena, incapace di
distogliere lo sguardo
dalla bellezza e dalla pace emanata dalla coppia. Ryo sorrideva a
Kaori, e la
stava stringendo tra le braccia, il mento appoggiato sui capelli rossi,
e le
sussurrava qualcosa all’orecchio. Kaori si
allontanò tanto bastava per poterlo
guardare dritto negli occhi, e scoppiò a ridere. Ryo le
offrì il suo braccio, e
lei si accoccolò contro il suo fianco, stringendolo forte, e
si incamminarono
verso, Nagisa immaginava, casa. Continuò a seguirli con
occhi gonfi fino a che
non vide Ryo chinarsi nuovamente su Kaori: le rubò un bacio
a fior di labbra, e
al contempo, con una mano, le sfiorò in modo del tutto
naturale e con
estenuante dolcezza il ventre – un tocco rapido, quasi
casuale, che forse tanti
altri non avevano notato, ma lei sì.
Quel
gesto poteva
significare una cosa sola: chiunque lo avrebbe capito. Ryo e Kaori non
erano
solo una coppia, erano una famiglia, che si stava ingrandendo.
Nagisa
abbassò le
spalle, e si mise a fissare le mattonelle usurate della pavimentazione
urbana,
sentendosi una bambina sciocca ed immatura: davvero aveva creduto che
Ryo
l’avrebbe attesa – nonostante lui le avesse
ripetuto fino alla nausea che era
tutta una finta, che non l’aveva mai amata?
Davvero
aveva
perso tutto quel tempo, fantasticando di un uomo, di un amore
impossibile?
Scosse
il capo
rabbiosa, maledicendosi, e sbattendo i piedi per terra si
incamminò nella
direzione opposta a quella in cui erano andati i due City Hunter. Con
la coda
dell’occhio vedeva solo coppiette innamorate, famigliole
passeggiare per il
parco: sembrava essere una maledizione.
Mentre
guardava
una di quelle coppie, andò a sbattere contro qualcosa di
caldo e solido, e
rovinò a terra, sbattendo il sedere sul marciapiedi mentre
la borsa, ancora
aperta, si svuotava del suo contenuto in modo disordinato. Si
massaggiò il
fondoschiena a denti stretti, maledicendo qualunque cosa fosse
accaduta, e poi
si rese conto di una cosa, una mano che le veniva offerta per aiutarla
ad
alzarsi.
Nagisa
alzò lo
sguardo, ed incontrò occhi neri, vispi, su di un viso dolce
e simpatico, che
tuttavia sembrava emanare forza e determinazione, e che un
po’ le ricordò Ryo.
“Tutto
bene? Si è
fatta male?” le domandò. Il giovane uomo la
aiutò ad alzarsi, e le strinse la
mano, arrossendo, per più tempo del dovuto: era incapace di
distogliere lo
sguardo da quella presenza che lo emozionava in modo smisurato,
accendendogli
il cuore.
“No,
no, sto
bene…” La ragazza raccattò le sue cose
da terra, e si dette una spolverata alla
gonna; lui le fece l’inchino, e le chiese ancora scusa, quasi
vergognandosi.
“Posso
offrirle
un caffè per farmi perdonare?”
le
domandò. “Così le lascio i miei dati,
voglio che mi chiami dopo che ha portato
la gonna in tintoria, desidero ripagarla…”
“Oh,
ma… non è
necessario…” le tentennò, guardandolo
timida ed imbarazzata, il cuore che le
batteva all’impazzata. Abbassò gli occhi, e si
morse le labbra, comprendendo
che nessuno avrebbe ceduto, e poi, con voce melliflua. “Ma se
proprio insiste,
allora accetto. Ma solo il caffè: sono io che non stavo
attenta!”
I
due presero a
camminare, e mentre parlavano, e ridevano, sorridenti, Ryo si
fermò, e si
voltò, facendo schioccare la lingua contro la guancia,
nell’istante in cui il
sole colpiva il tirapugni di Nagisa, lasciato ai margini della strada,
facendolo risplendere, mentre la sua proprietaria si incamminava nella
direzione opposta, verso il futuro e nuove opportunità.