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Autore: _Bri_    30/10/2021    1 recensioni
Aveva rinunciato all’idea di lui quando era ormai troppo tardi per sperare di guarire, perché da quell’uragano dei sensi quale era stato Joji Koizumi, era stato impossibile sfuggire.
Joji l’aveva travolta.
Joji l’aveva graffiata.
Joji l’aveva ferita, suturata e ferita ancora una volta.
Joji l’aveva amata senza mai dirlo davvero, ma di un amore troppo acerbo e doloroso, che era destinato ad annegare nei se e nei forse.
Yukari aveva fatto di tutto per respingere nel suo mare arrabbiato e furibondo il ricordo di lui, convincendosi che doveva farcela da sola; che quello sciabordio dolce ed accattivante non fosse che la visione di un paradiso inesistente, che non avrebbe mai condiviso con lui.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Bliss
 
Everything about you is how I'd wanna be
Your freedom comes naturally
Everything about you resonates happiness
Now I won't settle for less

Give me
All the peace and joy in your mind

 
Bliss – Muse
 
 
Anestesia
 
Isabella era esattamente come ricordava e non aveva su di sé il segno dei dieci anni trascorsi. Forse sotto il trucco abbondante, eccentrico ma impeccabile celava l’accenno di qualche ruga, ma Yukari trovò strabiliante quanto il tempo sembrasse essersi cristallizzato, mentre seguiva le dita lunghe che portavano la tazza alle labbra morbide, sottolineate di rosso.
New York era stata, per Yukari, come un pugno nello stomaco. L’imminente matrimonio aveva totalizzato la mente ed il corpo e mai e poi mai avrebbe pensato di ricevere quell’invito, che si premurò di celare al suo compagno. Del perché, non volle darsi una risposta.
Il primo anno a seguito della partenza di Joji fu lacerante, negarlo sarebbe stato da sciocchi; aveva tentato di sopire il drammatico distacco con il lavoro incessante, che le aveva fatto guadagnare un successo ingombrante, seppur anestetizzante. E più il tempo passava, più Yukari si rendeva conto di volersi tenere lontana dalla ragazza piena di crepe orticanti, che tanto aveva fatto allontanare quel suo grande amore. Se una cosa le aveva lasciato Joji, prima di partire per Parigi, era stata la voglia di scatenare l’orgoglio di una leonessa pronta a battersi contro la pallida immagine di un bell’involucro, da sfoggiare come un trofeo. Non era stato solo lui a mal sopportare ciò in cui si sarebbe potuta presto trasformare: Yukari sapeva di essere migliore, ma per far si che la trasformazione avvenisse, aveva dovuto allontanare quell’amore di cui s’era avvelenata, in quanto se fosse rimasta al fianco di Joji, si sarebbe di certo piegata in suo favore. Sapeva che quel percorso lo aveva intrapreso per se stessa, ma nel corso degli anni fu innegabile porsi quella domanda:
 
“E se le cose fossero andate diversamente?”
 
Un’altra questione a cui non s’era mai data una risposta.
Joji era stato in grado di mettere a nudo la sua enorme fragilità, ma contemporaneamente le aveva fatto accorgere di essere speciale, in un modo che non aveva mai creduto possibile. Di fatto Yukari, speciale, non ci si era sentita mai, nemmeno una volta, prima dell’irrompere di lui nella sua vita grigia. L’artista fu per lei un’epifania violenta, un viaggio alla scoperta di sé, per mano di quelle dita tanto lunghe che avevano marchiato il suo corpo con segni indelebili, di cui non s’era mai saziata davvero.
Aveva rinunciato all’idea di lui quando era ormai troppo tardi per sperare di guarire, perché da quell’uragano dei sensi quale era stato Joji Koizumi, era stato impossibile sfuggire.
 
Joji l’aveva travolta.
Joji l’aveva graffiata.
Joji l’aveva ferita, suturata e ferita ancora una volta.
Joji l’aveva amata senza mai dirlo davvero, ma di un amore troppo acerbo e doloroso, che era destinato ad annegare nei se e nei forse.
 
Yukari aveva fatto di tutto per respingere nel suo mare arrabbiato e furibondo il ricordo di lui, convincendosi che doveva farcela da sola; che quello sciabordio dolce ed accattivante non fosse che la visione di un paradiso inesistente, che non avrebbe mai condiviso con lui.
 
Allora si era decisa a rimettersi a posto: aveva frequentato più di un ragazzo dopo Joji, capendo poi che quelli non fossero che surrogati dello stilista che, quel giorno molto lontano, l’aveva anticipata all’uscita da scuola e con una scusa, aveva trovato lo spiraglio per entrare con prepotenza nel suo cuore.
E l’unico altro ragazzo a cui aveva concesso una parte di sé, fu Hiro, che sempre era rimasto al suo fianco con quel suo fare delicato e mai invasivo. Yukari aveva creduto che quella per il brillante giovane compagno di scuola non fosse che una cotta adolescenziale, eppure la sua costanza l’aveva fatta ricredere presto. Uscire con lui, condividere il tempo senza vivere una relazione stancante, quale era stata quella con Joji, aveva fatto credere a Yukari che fosse guarita, che Hiroyuki Tokumori fosse la persona giusta per lei. Così quando il ragazzo le chiese di sposarla, lei non si era tirata indietro.
Eppure, proprio mentre era nel pieno dell’organizzazione del suo matrimonio, aveva ricevuto quell’invito per due: Joji Koizumi era tornato tramite un rettangolo di carta satinata, offrendo alla coppia la possibilità di partecipare alla prima di uno spettacolo a Brodway, per il quale aveva curato i costumi.
Quando aveva aperto la busta, Yukari aveva sentito le gambe cedere, il cuore in gola e la vista annebbiata. Possibile che a distanza di quasi dieci anni, il solo leggere il suo nome le facesse quell’effetto?
Fu quello il momento esatto in cui capì che doveva andare a New York, ma aveva bisogno di farlo da sola. Osservò il piccolo anello di fidanzamento che le cerchiava l’anulare con gli occhi fattosi lucidi; non poteva avviarsi all’altare, non con quel macigno che era tornato a palesarsi e che si era accomodato fra le sue scapole lievemente sporgenti.
 
Organizzò tutto con fretta: recuperò il contatto di una stilista che l’aveva richiesta come modella per la prima della sua nuova collezione (invito che aveva declinato per dedicarsi totalmente all’organizzazione del matrimonio), in modo da avere una scusa plausibile per partire verso la città statunitense senza destare sospetti, quindi il mese a seguire partì, lasciando Hiro e la sua vita attuale congelati per un po’.
 
Ma in quel momento, mentre tentava di comunicare con Isabella, tutto il coraggio che aveva impiegato per portare avanti la sua impresa con maestria, sembrava essersi dissipato. Era stata proprio lei ad accoglierla all’aeroporto. Con Isabella si era confrontata, dichiarando che sarebbe arrivata e che si sarebbe trattenuta per tre settimane, specificandole di non dire nulla a Joji; aveva bisogno di tempo per metabolizzare la follia che aveva appena fatto e sicuramente una chiacchierata con quella vecchia amica, che mai aveva lasciato il fianco di Joji, le sarebbe stata utile.
 
Il tintinnio della tazza la destò, assieme alla sua voce profonda, ma incredibilmente dolce.
 
Caroline, credo tu non stia bene: stai tremando, sai?”
 
“Non preoccuparti è solo…solo il fuso, credo. Ho solo bisogno di riposare.”
 
Isabella spiegò un sorriso mentre, con attenzione, sistemava la lunga treccia della sua parrucca.
 
“Ti sei resa conto che in due ore passate a parlare di qualsiasi argomento, non mi hai ancora chiesto come sta? Cara, sappiamo entrambe che rimandare sarebbe da sciocchini, non trovi?”
 
Yukari strinse le mani intorno alla sua tazza, profumata di quel tè che non aveva praticamente toccato. La sua stanza d’albergo era luminosa e ricercata, ma in quel momento sembrò rabbuiarsi a dimostrazione del suo stato d’animo. Si fece forza, perché non doveva né voleva cedere a quella condizione emotiva che le sembrava tanto scorretta; non poteva permettere a Joji di farle quell’effetto, di calarla ancora una volta in un limbo emotivo dal quale sentiva di non essere mai uscita. Doveva essere forte, Yukari. Così alzò lo sguardo e lo piantò, senza esitare, negli occhi di Isabella:
 
“Ebbene: come sta?”
 
Desiderò nel suo intimo di non ricevere una risposta, anche se era assurdo: in fondo lei lo sapeva che era partita per New York solo per rivederlo e per far sì che il suo fantasma non si presentasse più nella sua vita.
Stupida. Ecco come si sentiva.
Ma questo Isabella lo capì e non solo perché era rimasta in contatto con i vecchi compagni della Paradise Kiss e con la stessa Yukari: Isabella possedeva una mente perspicace ed un animo gentile ed empatico, per questo Yukari l’aveva scelta per un confronto.
 
“Joji ha realizzato i suoi desideri, Carrie. È un giovane uomo con il mondo nelle sue mani e questo mi rende fiera di lui. Ma le sue insicurezze…quelle sai, faticano ad andar via. Ma sono certa che avrai tu stessa il modo di parlarci, magari chissà, proprio domani.”
 
Yukari impallidì, guadagnandosi così la risata leggera di Isabella.
 
“Non scherziamo! Io non posso…domani io…domani è troppo presto!” Le parole arrivarono, sconclusionate, dalla sua bocca. Non aveva di certo preventivato di incontrare Joji tanto presto; magari avrebbe solo accolto l’invito al debutto del musical e poi chissà, lo avrebbe raggiunto alla fine, congratulandosi con lui per il successo ottenuto.
 
“Rimandare…non essere così sprovveduta, dolcezza. Non sei per caso venuta a New York per incontrarlo?”
 
“No… io sono venuta per lavorare; con l’occasione ho pensato avrei potuto sentirlo…”
 
Il sorriso di Isabella ruppe lo sproloquio, così come la sua mano elegante che estrasse dalla Louis Vuitton una bustina di carta, un taccuino ed una penna. Con rapidità appuntò qualcosa su un foglio che consegnò a Yukari, assieme alla busta:
 
“Facciamo così: questo è l’invito per un vernissage che si terrà domani sera, al quale parteciperò con Joji…” un altro sorriso, questa volta più dolce “…mentre questo è il suo numero. Stai tranquilla, il suo rapporto con il telefono non è affatto cambiato rispetto a dieci anni fa, di conseguenza potresti trovarlo spento; ma se ti senti, chiamalo.”
 
Isabella la abbandonò, lasciandole un vago sorriso impresso nella mente e un intenso profumo di rose a stuzzicarle il naso.
Yukari credeva davvero di essere diventata più forte, eppure mentre rigirava fra le dita il biglietto lasciatole da quella sua bizzara amica, non poté fare a meno di notare come il suo corpo aveva preso a tremare, nel modo stesso in cui solo Joji l’aveva fatta sussultare, sotto il suo sguardo mascherato di blu e il suo tocco incisivo.
E mentre tentata di ritrovare il più labile contatto con la realtà, Yukari si chiese come poteva essere stata tanto idiota da credere che Joji facesse ormai parte di un passato fragile e inconsistente, un passato di cui non aveva alcun bisogno.
Stupida.
Stupida e incosciente.

 
 
Questa è una di quelle sere in cui mi sono ritrovata ad aprire qualche vecchio file sepolto nel computer e, fra i tanti scritti incompiuti a fare la muffa, è uscita questa cosina qui. La me adolescente non ha mai accettato il finale di Paradise Kiss, ragion per cui nel corso degli anni, ogni qualvolta che mi sono ritrovata a tenere l’ultimo volume in mano con gli occhi lucidi (come è possibile succeda tutte le volte?), ho ragionato su come sarebbero potute andare le cose se Yukari avesse preso coraggio.
Questo sarà un racconto breve, formato da altri due capitoli; la pretesa è minima: un what if? al quale non ho saputo rinunciare.
 
Dedico questa mini long a Morella, che condivide con me il lutto per il finale di Paradise Kiss.
 
Bri
 
   
 
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