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Autore: _uccia_    31/10/2021    1 recensioni
Lui vive secondo un codice, il codice Vory. Nel mondo malavitoso russo esiste una gerarchia e delle tradizioni. Lei sarà lo strumento che lo farà ascendere al potere.
Lui è un sicario chiamato il Siberiano, lei una principessa della 'Ndrangheta italiana.
Quello che non sanno è che il loro destino è inesorabilmente intrecciato e che non avranno scrupolo a sfruttare la posizione l'un dell'altra per raggiungere la sommità della scalata al potere.
Perché più forte della loro ambizione, può essere solo il desiderio carnale e possessivo che pare bruciarli interamente.
Due personaggi che per quanto diversi si ritroveranno a dover lavorare di squadra, in un ambiente cupo e pericoloso diviso tra Stati Uniti, Honduras e la fredda Russia.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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                                                                                    ---------------VITTORIA-----------------
 
Lui muoveva la bocca sul suo orecchio per mordicchiarlo, lei teneva le labbra chiuse mentre il suo corpo rispondeva.
Profumava di una costosa e forte acqua di colonia.
Molto virile.
Si era lustrato per bene, voleva fare colpo su di lei. Impregnarla con il suo odore.
Dei baci bollenti premettero sulla carne di Vittoria, così sensibile sul collo.
Luca lo sapeva, se lo ricordava mentre abbassava la mano e gliela infilava dentro i pantaloni dietro la schiena.
Le afferrò il perizoma e fece un sorriso aperto da bambino. "Ti sei preparata per me, dolcezza?".
Si trovavano all'aperto, contro il muro sul retro della rimessa per aeroplani. In quel paesino perso dalle cure di Dio, in Honduras.
L'aereo sarebbe stato carico e pronto alla partenza a momenti. Gli uomini erano all'opera a caricare statue di santi e Vergini Maria in gesso, tutte imbottite come muli e dirette a San Pietroburgo.
I tre mesi di attesa erano passati e Don Hector era stato di parola.
Suo padre Salvatore era tornato a Boston rimanendo in attesa di aggiornamenti.
L'erezione di Luca le stava spingendo contro la vagina e la parte selvaggia di lei adorava che l'avesse cercata senza sosta in quegli ultimi tre mesi solo per farle quello.
"Non darti troppe arie", sghignazzò lei lascivamente. "Non crederai che tu sia l'unico".
Lui gemette e le morse il lato del collo mentre iniziava ad abbassarle i leggins aderenti.
Continuò a massaggiarsi il cazzo duro contro il suo Monte di Venere, come se fosse un arma per tenerla inchiodata alla parete.
"Sei stata tu a causare questo", le disse. "Non sono riuscito a pensare lucidamente per tutta la mattina, questi pantaloni ti fanno un culo alto da favola. Adesso sistemiamo la questione".
La fece voltare, mani contro il muro come se volesse perquisirla.
Le sue dita ruvide spinsero il perizoma da una parte un momento, prima che il suono della sua cerniera raschiasse nel silenzio.
Luca si guardò scaltramente attorno per accertarsi che non li vedesse nessuno.
"Non abbiamo tempo per la galanteria, oggi". Fece scivolare il membro fra le sue cosce. "Ti scoperò velocemente, ma non temere. Ti farò urlare il mio nome, vedrai".
"Vediamo cosa sai fare, cominci ad invecchiare". Lo schernì lei. "Forse vuoi fare in fretta perché non sapresti durare neanche quindici minuti".
Luca le afferrò i fianchi e affondò dentro di lei non lasciandole neanche il tempo di terminare la frase.
Non fu dolce ne gentile, puntava a fare in fretta e si stava davvero impegnando valorosamente per farla venire alla stessa velocità.
Vittoria dovette farsi forza con i palmi delle mani per non picchiare la faccia ripetutamente contro il gelido muro, mentre le sbatteva i fianchi contro il sedere. Le palle che le rimbalzavano contro e lui che spingeva sempre più in profondità.
Lei gemette e lui grugnì a bocca chiusa cercando di non lasciarsi andare a suoni troppo forti che li avrebbero messi nei guai.
"Dimmi che ti piace", chiese lui.
"Stò per venire" gli rispose lei. Ed era vero.
"Dimmi che ti piace essere usata come una troietta".
"Uh", gemette lei. "'Fanculo e muoviti, non abbiamo tutto il giorno!".
Ora la stava scopando come un pazzo, lei non ragionò più. Si lasciò andare all'esplosione di benessere e sentì lui irrigidirsi e curvarsi pronto a spruzzarle il suo seme dentro.
"Esci, subito!". Gli ordinò lei divincolandosi.
"Ma, avevi detto che hai la spirale!".
"Esci, cazzo!".
Lui smadonnò in calabrese stretto come un camionista nel bel mezzo del traffico in autostrada. Si ritrasse all'istante, si afferrò l'uccello e diventando paonazzo costrinse l'eiaculazione a rimanere imprigionata nel suo pugno.
"Cazzo, merda, 'fanculo! Questo fa male ad un uomo, cazzo!". Concluse.
Vittoria sbatté innocentemente le palpebre mentre si rialzava i calzoni. "Solo perché porto la spirale, non ti da il diritto di inseminarmi".
Il telefonino della ragazza trillò e lei lesse la notifica comparsa sullo schermo.
"Il carico è pronto, ricomponiti. Hai un aereo da portare".
Fece per andarsene ma venne subito richiamata.
"Che altro c'é?", sbuffò.
Lui sospirò. "Hai mica un fazzoletto?".
Il viaggio in volo dall'America centrale a San Pietroburgo fu' letteralmente infinito. Sopratutto se si doveva condividere la cabina con un uomo irritante e, la zona di carico, con altre quattro guardie italiane sfinite e altamente suscettibili.
Quando raggiunsero una pista di atterraggio privata fuori dalla mastodontica città russa, il sole era alto e le forze di Vittoria erano a terra.
Cominciava a sentirsi irrequieta, mentre osservava i suoi uomini scaricare le statue votive. Una decina di uomini russi le prese e le distese tutte su tavolacci in legno scalfito dall'usura.
Suo padre le aveva assicurato che 'il Politico' aveva accettato i termini per l'affare. I guadagni degli italiani scendevano al dieci per cento, in questo modo l'Organizacija avrebbe potuto lucrarci ancora di più.
In cambio, l'unica figlia del boss italiano avrebbe potuto consegnare i pacchi e poi tornarsene a casa.
Davvero troppo facile. Troppo, troppo facile.
Vittoria osservava dall'alto di una balaustra in ferro, dominando su tutto l'hangar.
I russi non badavano nemmeno ai suoi uomini, tutti presi com'erano dal compito per cui erano stati mandati li.
Le statue, una volta fatte adagiare sui tavoli, venivano infrante a colpi di mazze e scalpelli. Dalle loro pance e teste, sgorgarono panetti ben impacchettati contenenti cocaina tagliata con chissà quale percentuale di merda.
Spesso la coca era esageratamente tagliata con gesso, latte in polvere o lassativo per bambini.
Don Hector assicurava che la sua roba era la migliore sul mercato e considerando a quanto la dovevano pagare i russi, Vittoria si augurò di gran cuore che gli honduregni non avessero tirato un'enorme bidonata.
Faceva un freddo cane.
Il respiro della ragazza usciva dalle sue labbra in nuvolette di condensa. Si strinse nel suo giubbotto parka, con la pelliccia sul cappuccio.
Indossava ancora i comodi leggins neri per il viaggio e ai piedi portava stivali dall'alta suola a carro armato.
Aveva un aspetto vagamente militare, con i lunghi capelli legati in un'alta coda di cavallo. Le ciocche ben tirate dalla piastra e laccate all'indietro in modo che nemmeno un capello fosse fuori posto.
Portava solo un filo di trucco, contava di apparire professionale e non avvezza a troppe frivolezze da donna.
Sapeva bene che quello era un mondo comandato da uomini e l'ultima cosa che voleva era essere considerata troppo innocente per farne parte.
Era affamata, stanca per il lungo viaggio ma, cosa ancora peggiore, era infreddolita da morire.
Il suo tremore generale non fece che peggiorare quando dall'esterno dell'enorme rimessa per aerei, giunse il rumore di auto dalla grossa cilindrata.
Le larghe marmitte scoppiettavano talmente forte, che Vittoria riusciva a sentirle anche al di sopra dell'assordante rumore da cantiere che gli uomini stavano facendo rompendo le statue a una velocità e dedizione disarmante.
Lei guardò prima giù in direzione di Luca che stava dirigendo le operazioni di scarico e poi si affrettò a raggiungere una finestra.
Dal parcheggio esterno stava giungendo una coppia di auto sportive e lussuose: una grossa BMW X6 G06 grigio antracite opaca e una molto più bassa e grintosa Audi RSQ8 totalmente nera lucida, finestrini oscurati e con la carena talmente bassa che sfiorava l'asfalto di un centimetro.
Era giunto il momento.
Ci aveva davvero sperato che nessun pezzo grosso si presentasse alla consegna ma capiva che era una speranza inutile.
Chiunque avrebbe voluto accertarsi di persona sulla qualità del prodotto, sopratutto se a dover sborsare era proprio quella persona.
Cominciò ad agitarsi. La consueta iperventilazione arrivò puntuale. Vittoria avrebbe tanto voluto calarsi qualche goccia di Lexotan ma le avrebbe tolto lucidità ed era vitale che apparisse totalmente controllata e sicura di sé stessa.
Mentre scendeva dalle scalinate fatte da grate metalliche, i suoi stivali facevano cigolare le giunture e le sue mani sudaticce scivolavano sui corrimani ghiacciati dal proverbiale inverno russo.
Ora riusciva a sentire i motori delle auto spegnersi, gli sportelli prima aprirsi e poi con una serie di tonfi richiudersi.
Deglutì sentendosi la gola improvvisamente arida.
Avrebbero rispettato l'accordo? L'avrebbero lasciata andare in pace?
Luca le fu' subito accanto, le sfregò le grandi mani ai lati delle spalle in un istintivo gesto che doveva riscaldarla e rassicurarla allo stesso tempo.
"Sono arrivati", annunciò.
"Lo so'", rispose in modo teso lei.
Stava per sentirsi male dalla tensione. La porta dell'hangar esitava ad aprirsi per far accomodare i nuovi ospiti e lei non voleva farsi trovare lì impalata, come se non avesse fatto altro che aspettarli per tutto il tempo.
Poco più in là, un giovane ragazzotto russo, bellamente in maniche corte nonostante il freddo glaciale, stava prendendo selvaggiamente a mazzate il petto della Vergine Maria.
Quella visione fu' troppo disturbante per lei che subito accorse verso il ragazzo agitando le braccia e cercando di farsi sentire al di sopra del frastuono.
"Stop, fermati subito!", urlò lei. "Così ti caverai un occhio con una scheggia, riesci a capirmi?".
Il ragazzo si bloccò sorpreso. Non portava nemmeno gli occhiali protettivi.
Aveva il viso pallido chiazzato di rosso per lo sforzo di spaccare tutto totalmente a casaccio ed esibiva un'espressione contrariata per l'interruzione.
Vittoria gli indicò il basamento ai piedi della statua. "Devi colpire quì, vedi? Non serve demolirla totalmente, una volta rotto il basamento i panetti usciranno da soli e potrai svuotarla. Un po' di rispetto, santo cielo!".
"Ehm... Vittoria?". La richiamò la voce di Luca, dal fondo della rimessa alle sue spalle.
Lei fece un respiro profondo e si voltò con aria falsamente innocente.
Il giorno dopo il suo rapimento, avvenuto mesi prima di quel giorno, suo padre l'aveva avviata nel suo business malavitoso partendo con il farle la descrizione dettagliata di chi avesse tentato di ucciderla.
"Il Vory V Zakone", l'aveva definito. "E' come una malattia, se ti tocca non c'é cura".
Alla vista degli uomini che Luca aveva accolto mentre lei era troppo occupata, la ragazza si rese pienamente conto di cosa suo padre avesse voluto dirle.
Doveva stare molto attenta, uomini del genere erano un virus per la società.
Alla consegna si erano presentati in quattro, di cui due dovevano essere di sicuro scagnozzi mentre gli altri due avevano tutta l'aria di essere i padroni della città.
Luca si stava intrattenendo in una formale conversazione con uno dei due capi, un uomo alto e possente sulla sessantina. Con capelli folti pettinati elegantemente all'indietro e cappotto grigio scuro lungo fino alle ginocchia.
L'ospite teneva la schiena dritta e sfoggiava un sorriso ammaliatore, in un atteggiamento dal risultato più intimidatorio che accondiscendente. Le braccia incrociate al petto e gli anelli in oro giallo che brillavano di riflessi luminosi sotto la luce mattiniera, proveniente dalle alte vetrate della rimessa.
Vittoria si stava già avviando verso di loro, quando ogni altra persona all'interno della rimessa smise di avere una qualche rilevanza.
Un uomo, dall'età indefinibile tra i trenta e i quaranta, la stava fissando insistentemente.
Lei lottò contro l'istinto di fermarsi a metà strada, il suo intuito le stava urlando di non avvicinarsi oltre.
Ogni campanella d'allarme nel suo cervello stava trillando.
Doveva essere giovane, almeno il suo fisico vigoroso dalle spalle larghe e gambe grosse come tronchi lo davano per scontato, ma il viso era segnato da alcune rughe dovute al freddo che lo invecchiavano molto e il labbro superiore era cicatrizzato malamente in un involontario e costante ghigno derisorio.
Forse ne aveva perso un pezzo durante un combattimento e le labbra, che dovevano essere state un tempo carnose e piene, ne erano rimaste sfigurate.
Vittoria non aveva mai incontrato un uomo così. Tutto di lui le stava lanciando il messaggio che qualcosa non andava. Qualcosa era... sbagliato.
Non rientrava nei canoni di bellezza a cui era abituata ma allora perché non gli levava gli occhi di dosso, man mano che si avvicinava?
Il suo corpo era attratto da lui come una calamita anche se la sua mente urlava il contrario. Come se tutto quello che aveva passato fino a quel momento fosse servito appositamente a farla arrivare proprio lì, in quel momento al suo cospetto.
Il sangue prettamente slavo scorreva prepotentemente in lui e le sue sembianze ne rispecchiavano fedelmente la provenienza.
La testa era rasata ma i capelli, di un biondo molto scuro, stavano ricrescendo e non erano più troppo corti.
La fisonomia del volto era esattamente come ci si poteva aspettare da un uomo dell'est: zigomi alti e spigolosi, mandibola squadrata e ricoperta da una corta barba scura, naso affilato e stretto, occhi di forma leggermente a mandorla (tipico della popolazione proveniente dalle zone più a nord della Russia, dove il vento soffiava impietoso e le palpebre si trasformarono di conseguenza a protezione degli occhi).
Pareva un combattente, di sicuro lo era. Forse un pugile a giudicare da come si teneva ben piantato sulle gambe leggermente divaricate, le mani giunte davanti all'inguine, espressione tenebrosa carica di cupidigia.
Ormai le mancavano giusto pochi passi per essergli proprio davanti.
Lei portava stivali dalle suole rialzate ma lui riusciva comunque superarla in altezza di una buona spanna.
Indossava un piumino nero corto di vita e pantaloni neri della tuta con le iconiche righe verticali bianche laterali dell'Adidas.
Le venne quasi istintivamente da ridere anche se di sicuro non si sarebbe mai azzardata a farlo. Quell'uomo era l'emblema dell'esemplare maschio slavo.
Era anche ricoperto pesantemente di tatuaggi. Alcuni erano stati fatti da poco sul collo, perché brillavano ricoperti da una pomata, forse vasellina. Uno di questi, era il muso di un lupo orribilmente sfigurato in un ringhio. In corrispondenza del pomo di Adamo.
In quel momento l'uomo teneva la mano sinistra sopra al dorso di quella destra, perciò riusciva a vedere solo che la sinistra aveva sul dorso una rosa fatta ad inchiostro che un tempo doveva essere stato nero ma che si era sbiadito in sfumature blu e azzurro.
Vittoria sapeva che il cambio di colore dell'inchiostro non era dovuto alla negligenza del tatuatore. La ragazza era pronta a scommettere che l'intero corpo del russo presentava tatuaggi della stessa sfumatura variante tra il nero, blu e azzurro.
Erano tatuaggi fatti in carcere, non in uno studio abilitato.
Erano fatti per raccontare una storia, non per moda.
Si fermò proprio davanti a lui, occhi negli occhi. C'era elettricità nell'aria.
Luca e il suo ospite avevano nel frattempo smesso di parlare.
Entrambi li stavano guardando come se si aspettassero che qualcuno dicesse qualcosa.
Vittoria era per la prima volta in vita sua... senza parole.
L'uomo non batteva nemmeno le palpebre. Aveva le iridi grigie, color del cemento armato.
"Vittoria...", iniziò le presentazioni Luca. "Ti presento il Signor Boris Titov e il Signor Vasilj Volkov". Indicò prima l'uomo sulla sessantina e poi l'uomo che tanto la incuriosiva.
Luca stava per continuare nel dire qualcosa ma Vittoria non seppe trattenersi. Lei e il russo si stavano ancora fissando.
"Lupo", disse improvvisamente prima che riuscisse a mordersi la lingua in tempo.
Vasilj Volkov parve sorpreso, poi batté le palpebre e si guardò attorno con aria disinvolta.
Lei sorrise in direzione del Signor Titov. "Volkov, vuol dire lupo. Corretto?".
Boris Titov sorrise in risposta e inclinò la testa su un lato, in un gesto benevolo. "Un cognome molto diffuso da queste parti, a dire la verità".
Non aveva un particolare accento, parlava fluentemente inglese.
Era un uomo avvezzo a trattare con persone da tutto il mondo, sicuramente.
"Sapete parlare il russo, Signorina?". Le chiese il boss.
In quel momento toccò a Vittoria inclinare il capo. "Non troppo tempo fa ho avuto occasione di conoscere uomini russi al quanto... irruenti. Immagino possiate capire cosa intendo dire".
Titov non fece un piega. Anzi, parve genuinamente divertito che si parlasse del suo rapimento proprio in quel momento.
"Da quella occasione ho voluto imparare qualche parolina, sono ancora al livello di nomi di animali e parolacce ma... imparo in fretta".
In quel momento, Volkov fece un movimento repentino ma che non sfuggì all'attenzione di Vittoria.
L'uomo decise che quello era un buon momento per infilarsi improvvisamente le mani nelle tasche del piumino.
Ma Vittoria la vide.
Vide la pistola Tokarev TT-33, l'arma sovietica, tatuata sul dorso della mano destra.
Fu' come ricevere un pugno nello stomaco.
Si rivide in quel parcheggio, nella zona industriale fuori New York. Per lei era passato solo un giorno.
Poteva giurare che era proprio la stessa pistola tatuata sulla mano del suo rapitore, quello che era rimasto ferito gravemente a una spalla e per questo motivo si era seduto a terra a gambe larghe e viso rivolto al cielo.
Porca, troia.
Volkov si accorse dell'improvvisa consapevolezza che doveva aver attraversato il viso della ragazza e parve rimanerne turbato.
Titov prese la parola e ordinò al suo accompagnatore qualcosa nella loro lingua madre.
Volkov obbedì e si avviò rapidamente verso a una delle montagnole di panetti, accumulata su un tavolo lì accanto.
Gli uomini raggruppati attorno per contare la merce si fecero subito da parte e Volkov sfoderò un lungo pugnale dalla tasca interna del suo giubbotto.
Aprì un piccolo squarcio su uno dei panetti, si leccò la punta di un mignolo e la immerse nella fine polverina bianca.
Portò poi il polpastrello in bocca sfregandosi il dito sulla gengiva dell'arcata dentale superiore.
Commentò qualcosa annuendo in direzione di Titov.
"Molto bene", si rallegrò quest'ultimo. "Vasilj, sì gentile. Occupati di controllare e radunare tutta la merce. Assicurati che ci sia tutta. Io e la Signorina Vittoria abbiamo alcune cosette di cui discutere".
Luca si fece avanti indicando la porta del piccolo ufficio, dal lato opposto della rimessa.
Titov lo inchiodò con una occhiataccia.
"Ho detto: io e la Signorina. Prego, dopo di lei". Disse, indicandole con un ampio gesto di precederlo.
Vittoria volette soffermarsi ancora su Volkov, ma questo sembrava essere troppo occupato a dispensare ordini per voltarsi verso di loro.
Perciò la ragazza sorrise brevemente a Luca mentre lo oltrepassava e fece strada a uno dei signori della guerra più potenti che lei avesse mai incontrato, verso la stanza più appartata dello stabile.
Una volta dentro, l'uomo richiuse la porta alle loro spalle.
Erano soli.
"Non ho intenzione di rubarle eccessivamente tempo, Signor Titov. Una volta fatto rifornimento di carburante, saremo pronti a ripartire verso Boston".
L'uomo tirò fuori dalla tasca un iPhone, lo appoggiò sopra alla scrivania e fece partire una telefonata in vivavoce.
"Sarebbe invece auspicabile che rimanesse ancora per un po'. Non vorrei venir meno alla mia celebre cordialità". Disse l'uomo, mentre attendeva con lei che dall'altra parte della chiamata rispondesse qualcuno.
Quando al terzo squillo una famigliare voce maschile rispose, a Vittoria vennero nuovamente a mancare le parole.
"P-papà?", chiese infine incredula.
"Stai bene?". Era sicuramente la voce di Salvatore De Stefano.
Lei si accigliò. "Si, ma... che significa? Cosa stà succedendo?".
Titov prese la parola, incrociando le possenti braccia al petto. "Buongiorno, Don Salvatore. Come stà?".
"Lei stà bene per davvero?".
Titov le fece l'occhiolino. "Assolutamente. Arrivata puntuale all'appuntamento e tutto il carico è presente alla conta. Stavo giusto per spiegarle che dovrà fermarsi quì da noi per... facciamo almeno fino Natale? Che dice?".
Vittoria strabuzzò gli occhi, totalmente confusa. "Non ho intenzione di fermarmi. Voglio tornare a casa!".
"Titov?". Chiamò Don Salvatore dall'altra parte. "Voglio che sia tutto riconosciuto nero su bianco".
Titov si dondolò placidamente sui talloni. "Ci sarà una firma, sarà tutto legale".
"Dovrà essere legittima. Dovrà essere accolta". La voce di Don Salvatore era resa tremula dall'emozione.
"Cosa cazzo vuol dire?". Sbottò, tremante di angoscia , la ragazza.
Titov non la finiva di dondolarsi, mentre la guardava bonariamente. "Lui è d'accordo. Ha accettato senza riserve. Sarà lui a prendersi tutta la responsabilità di vostra figlia, qualsiasi cosa dovesse ricadere su di lei sarà invece fatta a lui".
"Non sposerà un dannato sicario, sia ben chiaro!".
Titov sbuffò. "Non lo farà. Sarà fatto Vor prima del grande evento. Lo dice la legge Vory: solo ai Vor sarà permesso di prendere moglie e fare famiglia. Tutti gli altri dovranno votarsi celibi".
"NO!" urlò Vittoria dando una violenta manata sul piano della scrivania. Il telefonino sobbalzò con un buffo saltello.
"NO, NO, NO!". Urlò ancora cercando di trattenere l'orribile sensazione di umidità agli occhi.
Col cazzo che si sarebbe lasciata andare a lacrime di rabbia, avrebbe spaccato tutto piuttosto.
"Papà, mi stai vendendo? Come osi, sono sangue del tuo sangue e mi vendi come fossi una puttana?".
"Avrà rispetto per te, tutto il Vory lo farà. Ascoltami bambina mia, sono vincolati dalle loro stesse leggi. La moglie di un Vor diventa intoccabile, sarai libera di muoverti sul suolo russo senza che ti venga fatto del male".
Lei stava tremando. La sua capacità di autocontrollo stava vacillando.
Sentiva la rabbia montale dalle viscere, emergere come un serpente dall'erba alta.
Un fuoco proveniente dallo stomaco la faceva avvampare a tal punto da non sentire più la morsa del freddo.
"Non ne uscirò viva da questa situazione, stai mandando a morte la tua unica figlia!".
"E' per questo che le donne non sono adatte a portare avanti gli affari di Famiglia. Non sono capaci, non vedono il quadro generale delle cose. Possibile che non capisci che sarai una di loro?".
Nella sua mente stava urlando, stava rivoltando la scrivania e prendendo a pugni quel russo di merda che le stava davanti.
La vista le si strinse diventando un lungo tunnel oscuro puntato direttamente sul telefonino.
Le era già successo in passato e credeva di averla superata. Si era ripromessa che non sarebbe mai più riaccaduto.
Vittoria si curvò sovrastando il telefonino, palmi piantati ai lati dell'iPhone appoggiato sul ripiano. Fissava trucemente il piccolo monitor luminoso quando scandì a chiare parole:
"Ho cercato davvero in tutti i modi di essere accettata da te, Padre. Ci ho provato a fare ammenda dei miei peccati e a dimostrarti che potevo essere qualsiasi cosa di cui la Famiglia avesse avuto bisogno. Ma tu non ce la fai, vero? Dio perdona ma Don Salvatore no!".
Fece un profondo respiro e continuò: "Ma questo è troppo. E' troppo grave e mi fa troppo male. Quello che mi stai facendo fare, non me lo scorderò più. Spero solo che quando io non ci sarò e tu ti troverai da solo, vecchio e abbandonato come un derelitto inutile da quei uomini che paghi per proteggerti... in quel momento, magari, ti renderai conto di come la tua decisione di oggi abbia mandato in rovina la famiglia più potente di Boston!".
Titov fischiò sommessamente in un suono derisorio. "Però, che caratterino! C'è la siamo giocata, eh Don Salvatore?".
"Quello che mi importa è la sua incolumità. Un giorno saprà capire".
Vittoria si fece in dietro, scosse lentamente il capo e sospirando stancamente abbassò le palpebre.
Venduta come un animale.
Venduta in sposa a un uomo che ne avrebbe fatto cosa? Una schiava sessuale?
Le stava tremando il labbro inferiore.
Suo padre le aveva fatto questo.
Che Dio la aiutasse, non aveva nessuno.
Sola, contro il mondo intero.
Tra Titov e Don Salvatore ci fu' un rapido scambio di convenevoli e la telefonata venne fatta riagganciare.
"Posso conoscerlo?", chiese la ragazza quando il suo respiro si fu' fatto più tranquillo e la sua mente più silenziosa. "Il mio futuro marito, posso conoscerlo o dovrò vederlo il giorno delle nozze?".
Titov andò a riaprire la porta, la rimessa si era fatta molto più quieta. Gli uomini addetti alla manovalanza se ne erano andati insieme ai panetti di coca.
Restavano in attesa solo Luca, Volkov e gli altri due scagnozzi russi come guardie armate.
Fermi e silenziosi, era chiaro che erano rimasti in ascolto per tutto il tempo.
 Titov le fece cenno di precederlo fuori. "Tuo marito lo hai già conosciuto. L'ho portato quì apposta, per farvi incontrare".
Vittoria partì a passo di carica verso la spicciolata. Come un toro puntò dritta verso quell'inquietante slavo di un Volkov, come se lo volesse incornare.
Di contro, l'uomo la stava attendendo senza muovere un muscolo. Di nuovo era piantato in quella posa da soldato a riposo, gambe divaricate e mani incrociate davanti all'inguine.
Faceva paura. Aveva la mascella contratta e quel tipo di espressione che avrebbe ucciso a distanza.
Lo vide umettarsi il labbro sfregiato con la punta della lingua. Sembrava che fosse ben disposto a prenderla al volo se gli si fosse fiondata contro.
Già si era pentita di essere partita come una belva a quel modo. Per fortuna trovò la scusa per bloccarsi a metà strada, quando Luca si fece rapidamente avanti.
"Mi dispiace, Vi. Davvero tanto. Ho dovuto obbedire agli ordini ma so' che dovevo dirtelo. Perdonami, piccola".
A Vittoria girava la testa, li odiava tutti.
"Tu lo sapevi", sibilò a denti stretti. "Luca, grandissimo ammasso di sterco!".
Caricò il gancio destro puntandolo dritto in direzione delle palle dell'uomo. Purtroppo lui aveva i riflessi buoni, deviò con una manata il suo pugno e fece un saltello all'indietro.
"Ehi, piccola. Piano!".
 "Voi uomini siete tutti uguali", si disgustò lei puntando il dito contro a ognuno di loro. Compreso contro gli scagnozzi che da quando erano arrivati cercavano solo di mimetizzarsi con l'ambiente.
"Vi credete i padroni del mondo, credete di possedere le donne come fossero oggetti. Ma io...", puntò l'indice contro il proprio petto. "Io non sono di nessuno, capito?".
Fissò dritto negli occhi Volkov mentre giurava: "Non mi avrai mai!".
Per la prima volta da quando era arrivato, Vasilj Volkov proferì parola e la sua voce era così profonda che nell'enorme rimessa rimbombò come se fosse proveniente dal fondo di una caverna.
"Vedremo", promise storpiando la parola con il suo pesante accento dell'est.
A Vittoria si rizzarono tutti i piccoli peli della schiena.
Persino dicendo solo una semplice parola, il corpo di lei aveva risposto.
Lo odiava per questo.
Titov sospirò teatralmente alzando e abbassando le braccia. "Beh, il disprezzo e l'odio sono pur sempre sentimenti e alcuni matrimoni sono stati fatti partendo da molto meno. Coraggio Vasilj, portatela via".
Vittoria artigliò un braccio di Luca. "Fa qualcosa!".
Lui le accarezzò dolcemente una guancia, come il gesto di addio fra due amanti. Parlò velocemente in italiano, in modo da non farsi capire dagli altri.
"Fa quello che ti dicono di fare, arriva viva fino al matrimonio. Sfrutta l'occasione che ti viene data, potrai muoverti tra le file del nemico. Ricordati chi sei e da dove vieni, tuo padre sarà sempre dalla tua parte".
Poi la baciò sulle labbra. Fu' un bacio a stampo rubato, durato appena un secondo perché lei si fece in dietro all'istante.
Volkov arrivò su di loro come un demone. Diede uno spintone sul petto a Luca facendogli perdere l'equilibrio all'indietro, allontanandolo malamente da lei.
Poi fu' talmente rapido a chinarsi e a prendere per la vita la ragazza che Vittoria non si rese nemmeno conto di essere stata sollevata come se non pesasse nulla.
Volkov se la issò in spalla e lei si ritrovò a testa in giù a fissare le chiappe dell'uomo.
"Mettimi subito a terra, razza di disgustoso uomo delle caverne!", sbraitò scalciando come una puledra.
Lui grugnì e le strinse le cosce in una morsa d'acciaio, trattenendola usando entrambe le nerborute braccia.
Se la portò via come un sacco di patate, puntando verso il parcheggio e poi verso le due macchine lussuose in attesa.
Titov, dietro di loro, salutava tutti come se si stesse congedando da una festa.
Quando furono abbastanza vicini all' Audi RSQ8, questa reagì alla prossimità della chiave elettronica che Volkov doveva avere in tasca perché li salutò in un lampeggio di fari a led bianchi.
Le sicure dell'auto scattarono e l'uomo fece scivolare Vittoria davanti a sé, esitando per qualche istante sorreggendola con entrambe le mani artigliate sui suoi glutei prima di farle appoggiare i piedi a terra.
Per un paio di secondi i loro nasi si sfiorarono e Vittoria sentì il cuore mancare un colpo, mentre si perdeva in quelle iridi di un grigio così duro.
Le piaceva associare sempre un profumo agli uomini  e come l'istinto primordiale comandava, se l'odore di una persona piaceva abbastanza all'altra... attivava una serie di reazioni chimiche molto pericolose.
Aveva un buon profumo. Corposo come la calda quercia e speziato come i chiodi di garofano.
Sapeva di uomo pulito, nonostante il suo abbigliamento in tuta Adidas lanciasse il messaggio che fosse uno da palestra.
Lui si schiarì la gola e le indicò lo sportello del passeggero anteriore.
"Dove mi porti?", chiese lei fissando il proprio sconvolto riflesso sul lucido finestrino oscurato.
"Casa mia", le rispose lui fissandola cupamente.
 
 
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Note a margine.
Arrivati a questo punto ecco alcuni appunti:
1- L'organizzazione malavitosa Vory V Zakone esiste veramente ed è per davvero una delle organizzazioni mafiose russe più antiche.
2- La traduzione letterale di Vory V Zakone è: 'Ladro in legge' oppure 'Ladro di legge'. In quanto, i membri si basano da sempre su un loro complesso codice d'onore. Un codice violento e totalitario.
3- Le leggi che io riporto in questo racconto sono presto verificabili in Google. Cerco di essere più fedele possibile alla realtà.
4- Anche per la maggior parte dei tatuaggi da me descritti cerco di fare lo stesso. Significato, occasioni in cui vengono fatti e da chi vengono fatti sono anche questi verificabili. In alcuni casi mi prenderò una licenza poetica aggiungendone qualcuno di sana pianta.
5- Il personaggio di Vasilj è nato nella mia mente partendo da una esperienza personale.
Durante un viaggio in Russia mi è capitato di vedere un uomo distinto. Vestito elegante e con tatuaggi pesantemente evidenti, entrare e uscire rapidamente da un locale. Alcuni amici mi riferirono in quella occasione che stava facendo "il giro". Non dissero altro ma il significato mi parve abbastanza chiaro.
 
GRAZIE PER AVER LETTO FINO A QUI!
 
Il progetto è ancora in fase embrionale perciò vogliate gentilmente lasciarmi le vostre impressioni e suggerimenti. Ne sarei assai felice.
 
  
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