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Autore: Mari Lace    31/10/2021    4 recensioni
[Renegades!AU; Zutara]
Il gala è pieno di persone eleganti e ridenti, di assassini mascherati. Katara individua Fulmine blu nella folla, scherza in modo rumoroso con dei ragazzi fasciata nel suo costume da eroe, ma Spirito rosso si è mimetizzato meglio o non è proprio venuto, perché a un primo sguardo non riesce a trovarlo. Le piace avere i suoi nemici sotto controllo, specie trovandosi sola in mezzo a centinaia di loro, ma si dice che non è importante indagare oltre su di lui. Se è presente, probabilmente è da qualche parte a divertirsi con Lama assassina. Non che le interessi.
“Posso chiederti un ballo?”

Questa storia partecipa al gioco di scrittura “Dolcetto o scherzetto” dell’Angolo di Madama Rosmerta su Facebook e ha vinto l'Oscar per i Migliori costumi agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce più la penna.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Azula, Katara, Mai, Ozai, Zuko
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tradimenti mascherati

Tradimenti mascherati

 

Katara osserva la parata con occhi pieni di sdegno e rancore che non si sforza di mascherare. Perché prendersi tanto disturbo? Nessuno nella folla, comunque, le presta attenzione. Osservano tutti i carri dei vincitori, indicando e applaudendo e ridendo.

Lei vibra d’indignazione nel riconoscere un manichino che rappresenta suo padre sul carro di Fulmine blu. La gente fischia vedendolo, ma sanno tutti cosa succederà più tardi: Azula lo ridurrà in cenere con uno dei suoi fulmini. Katara serra i pugni.

Sono passati nove anni dalla battaglia di Gatlon City, nove anni da quando l’invincibile Capitan Fuoco ha sconfitto suo padre e il resto dei Rinnegati. Nove anni in cui la popolazione ha dovuto chinare la testa e sottomettersi alla tirannia che il Capitano e i suoi alleati fanno passare per democrazia. Katara era solo una bambina, la notte della sconfitta, ma in nove anni è diventata l’unica speranza di vendicare i caduti e spodestare i Fuochi.

Ozai, conosciuto dal mondo come Capitan Fuoco, è invincibile a quasi ogni attacco poiché può tramutarsi in fuoco. Gli unici in grado di rappresentare una minaccia per lui sono i prodigi in qualche modo legati all’acqua, motivo per cui una delle sue prime mosse è stata farli eliminare tutti. Quasi tutti, ma lui questo non lo sa: Katara è viva e vegeta, con il potere di sua madre a scorrerle potente nelle vene e un’immensa brama di vendetta a sostenerla.

Incrocia per un solo secondo gli occhi di Zuko, il figlio del Capitano. Abbassa rapida il volto, lasciando che il cappuccio celi il suo sguardo pieno di disprezzo, e si allontana dalla folla.

Avrà la sua vendetta quella sera stessa, all’annuale gala in maschera organizzato dai Fuochi per celebrare la loro vittoria. Per un solo giorno, ogni cittadino di Gatlon City può dimenticare i suoi problemi e unirsi alle danze, per un solo giorno può avvicinarsi agli eroi che hanno sconfitto i Rinnegati e ogni altro gruppo di prodigi.

Ha impiegato nove anni ad affinare le sue abilità in vista del momento in cui poterle mettere a frutto, nove anni a raccogliere informazioni insieme ai superstiti del gruppo di suo padre. Non è mai stata al gala in maschera, prima, ma sa esattamente come si svolge. Ozai si presenta solo verso la fine, pronuncia un discorso infarcito di falsità, sceglie una partner tra la folla per un’ultima danza e, se la trova gradita, per proseguire la conoscenza in un luogo più intimo. Se tutto va bene, quella notte sarà lei a godere di quel privilegio.

Non crede che Ozai gradirà la sorpresa, riflette scivolando nei tunnel sotterranei di Gatlon.

 

 

Zuko osserva distrattamente Azula disintegrare il manichino del Lupo Bianco. È uno spettacolo che ha sempre trovato innecessario, oltre che storicamente sbagliato: il vero Hakoda è prigioniero da anni, ma – per quanto ne sa lui, almeno – fisicamente illeso o quasi. Agli abitanti di Gatlon, tuttavia, sembra piacere quello spettacolo. Sempre se non fingono per timore di fare la stessa fine del manichino. Scuote la testa, cercando di scacciare quel pensiero assurdo. Colpa del commento di Mai quella mattina, l’insinuazione che Azula sia molto più temuta che amata. Insomma, lui per primo riconosce che sua sorella non sia una persona particolarmente affabile e che in alcune occasioni sia anzi piuttosto inquietante, ma non era comunque una frase che si aspettava di sentire da una delle sue migliori amiche. Una delle sue uniche due amiche, in effetti: Azula non è mai stata troppo brava a socializzare – non che lui se la cavi molto meglio. In ogni caso, le parole di Mai gli hanno instillato riflessioni esagerate. Loro, i Fuochi, sono gli eroi di Gatlon: suo padre e suo zio hanno messo fine all’era di anarchia innescata dal Lupo Bianco e hanno preso il controllo della città, stabilizzandola. È ovvio che i cittadini li rispettino e amino, che la loro massima ambizione sia collaborare con loro.

Per questo il gala è sempre così affollato; deve dirlo a Mai, dopo la parata, che ciò che ha detto non ha senso e può dimostrarlo.

Il popolo li ama, senz’altro.

Anche se occhi blu pieni di rancore affollano i suoi incubi.

 

 

Mamma, mamma, il mio amico è ferito!

Sua madre sorride, dolce e rassicurante…

Katara stringe i pugni, il ricordo svanisce e lei si ritrova a fissare sé stessa nello specchio. Indossa un elegante abito d’argento, con una spaccatura sulla gamba destra. Non è abituata e non lo trova comodo, ma servirà allo scopo. Sul tavolo alle sue spalle sono poggiate la maschera, anch’essa argentata, e l’oggetto che Aang ha tanto insistito per lasciarle.

“La violenza porta solo altra violenza, Katara.”

Quando ha sentito quelle parole ha desiderato arrabbiarsi, gridare contro Aang che lui non può capirla e non sa cosa ha provato, ma non l’ha fatto. Gli occhi di Aang sono uno specchio della sua stessa tristezza: anche lui ha perso moltissimo nella guerra, a partire dal monaco che gli ha fatto da padre. Il dolore la unisce al ragazzo – poco più di un bambino, costretto a maturare troppo in fretta –, la brama di vendetta li divide.

Tira la manica del bambino, prima di lasciarlo andare via. “Prometti di non dirlo a nessuno?”

Il bambino le sorride grato. “Non lo dirò” promette.

Il ricordo rinnova la sua rabbia, ma anche la sua determinazione. Si è fidata della persona sbagliata, dieci anni prima, stasera potrà finalmente pareggiare i conti. Le parole di Aang, tuttavia, continuano a ripetersi nella sua testa. Katara sospira e afferra il risultato degli sforzi di Aang e Sokka, infilandolo nella tasca nascosta all’interno della sua gonna. Poi solleva la maschera, si volta nuovamente verso lo specchio per un ultimo sguardo e infine l’indossa.

È pronta.

 

Il gala è pieno di persone eleganti e ridenti, di assassini mascherati. Katara individua Fulmine blu nella folla, scherza in modo rumoroso con dei ragazzi fasciata nel suo costume da eroe, ma Spirito rosso si è mimetizzato meglio o non è proprio venuto, perché a un primo sguardo non riesce a trovarlo. Le piace avere i suoi nemici sotto controllo, specie trovandosi sola in mezzo a centinaia di loro, ma si dice che non è importante indagare oltre su di lui. Se è presente, probabilmente è da qualche parte a divertirsi con Lama assassina. Non che le interessi.

“Posso chiederti un ballo?”

La voce sconosciuta la sorprende, riscuotendola dai suoi pensieri. Si volta verso il suo proprietario, un ragazzo con una maschera che gli copre quasi tutto il volto, lasciando libera solo la bocca. La maschera è blu, e già solo questo – il colore dei Rinnegati, il colore che lei non ha osato indossare per non attirarsi sospetti – le ispira una vaga simpatia. Non che sia necessario che provi simpatia: il ragazzo dal volto coperto è un nemico o, nella migliore delle ipotesi, un civile che si è adeguato al governo dei Fuochi. Potrebbe addirittura essere uno dei generali del Capitano – ha sentito dire che durante il gala i generali testano alcune invitate per consigliare Ozai a fine serata, non sa se sia vero –, ma forse è un po’ troppo giovane per questo, e poi non riesce a immaginare un generale indossare del blu. In ogni caso, ballare è un buon modo per mescolarsi agli invitati festanti e magari farsi notare da chi di dovere, sicuramente migliore del restare isolata per tutta la durata del gala. Annuisce, quindi, accettando l’invito dello sconosciuto.

 

 

Invitarla a ballare gli è venuto spontaneo. Quasi non se n’è reso conto finché non le si è ritrovato alle spalle, ma ha avvertito un senso di familiarità, quasi nostalgia, osservando la ragazza vestita d’argento muoversi tra la folla. È già la terza civile con cui balla quella sera; ha cercato di toccare l’argomento governo dei Fuochi con le prime due, ma ha notato che sembravano un po’ a disagio e determinate a tenersi sul vago. “Non è il luogo adatto per questo genere di conversazioni” gli hanno detto, con parole quasi identiche, dopo un paio di risposte esitanti. La sua nuova partner gli pare diversa, tuttavia, non sa nemmeno lui perché: magari dialogare con lei gli darà più soddisfazioni.

La conversazione prende una piega che non aveva previsto quando le chiede se viva con i suoi genitori. La ragazza si blocca un istante, prima di rispondere: “Li ho persi entrambi durante la guerra.”

Zuko dimentica i suoi propositi iniziali: ora rivede parte del suo stesso dolore, negli occhi della sconosciuta, e non riflette prima di dirle che può capirla, almeno un po’, perché anche sua madre è morta.

“Gatlon City ha pagato la pace a un altissimo prezzo” commenta la ragazza; il suo tono è indecifrabile per Zuko.

Gli viene in mente di rispondere che i Fuochi, ne è certo, hanno fatto del loro meglio, ma non lo fa. Pensa a sua madre, a come gli accarezzava i capelli prima che si addormentasse. “È vero” dice soltanto.

Lei sembra quasi sorpresa da quelle parole. Gli sorride.

Zuko non lo nota, che il loro valzer finisce e ne inizia uno nuovo: continuare a sostenerla e guidarla per la stanza è solo naturale.

Restano in silenzio per alcuni minuti, lui cerca qualcosa da dire per alleggerire l’atmosfera: ha l’impressione che Ty Lee, la persona più socievole che conosce, ci proverebbe. Cosa direbbe lei?

“Se avessi un potere, quale sarebbe?” chiede, ricordando la domanda preferita dell’amica di sua sorella. C’è stato un periodo in cui ha tormentato ogni singolo collaboratore senza poteri dei Fuochi fino a farsi svelare il potere desiderato. Zuko possiede il dominio del fuoco, come suo padre, ma se potesse scegliere vorrebbe poter guarire gli altri – questo, tuttavia, non l’ha rivelato, né d’altra parte Ty Lee ha pensato di chiederlo.

La ragazza lo guarda incuriosita, forse stupita dal cambio d’argomento. “Perché pensi che non ce l’abbia già, un potere?”

La domanda lo coglie di sorpresa. In effetti, non ha considerato l’ipotesi nemmeno per un secondo. Certo che non sia una di loro – non lo è, vero? Sarebbe pessimo non averla riconosciuta, se lo è – ha dato per scontato che sia una civile senza poteri, ma non tutti i civili non hanno poteri. Molti hanno poteri pressoché inutili, soprattutto in combattimento, ma forse loro ne vanno fieri ugualmente.

“Sei un’eroina?” chiede, prima di tutto, per togliersi il dubbio appena sorto.

Lei ride. “Non serve un potere per essere un eroe” afferma, guardandolo negli occhi, “né sono eroi tutti quelli che ne hanno uno.”

Zuko annuisce, un po’ stupito. “Qual è il tuo potere, allora, se ne hai uno?” Se poco prima l’ha chiesto solo per spezzare il silenzio, ora è davvero curioso. Nonostante quello che ha appena detto, magari la ragazza di cui non sa – ancora – il nome sarebbe interessata a unirsi a loro. Forse non immagina neanche di star ballando proprio con Spirito rosso, il figlio del Capitano.

Lei non risponde subito, esita mentre compiono una giravolta. “Non dormo” dice infine, senza più guardarlo negli occhi. “Non dormo mai, il mio potere è questo.”

Non ha mai sentito di un potere del genere e non sa bene come reagire. Sembra più un disagio che qualcosa di cui andar fieri e gioire. “Capisco” mormora, giusto per non lasciar prolungare il silenzio.

“Lo trovi un potere stupido?” chiede lei, mentre la musica del loro quarto ballo si spegne.

Si fermano entrambi, separandosi; Zuko incontra di nuovo lo sguardo inquisitore della sua partner. “Non direi stupido” replica, difensivo, “solo… cosa si prova a non dormire mai?”

Lei scrolla le spalle. “Si ha più tempo.”

“Non credo mi piacerebbe” commenta sincero, dopo aver riflettuto alcuni secondi. Forse, pensandoci bene, non dormire mai potrebbe essere utile per questioni strategiche, ma non crede che tollererebbe non avere mai un attimo di pausa, un momento per spegnere il cervello e basta. Se non avesse mai incubi, poi, non potrebbe più vedere lei nemmeno lì.

Non saprà mai quale sarebbe stata la risposta, perché qualcosa alle sue spalle calamita lo sguardo della ragazza. Nota inoltre che, di colpo, c’è molto più silenzio; anche le altre coppie hanno smesso di ballare. Si volta e trova conferma alla sua ipotesi: è arrivato suo padre.

Gli viene istintivo tendere un braccio per trattenere la compagna, quando la vede avviarsi più vicina al palchetto su cui Capitan Fuoco terrà il discorso. Non vuole che lui la veda. Non vuole che lei lo lasci, per suo padre o per chiunque altro – si è trovato bene, vorrebbe approfondire la conoscenza.

Lo sguardo della ragazza è stupito adesso, mentre squadra il suo braccio.

“Non andare” le dice, prima ancora di sentirsi chiedere spiegazioni.

Lei si libera dalla sua presa, ma gli sorride. Poi, senza dargli il tempo di reagire, si avvicina e lo bacia.

“Addio” mormora, ritraendosi troppo presto. Si volta di nuovo e Zuko non la ferma più. La vede rivolgere un grande sorriso all’indirizzo del Capitano, ma non gli sembra vero come quello che ha appena mostrato a lui. Scuote la testa; è inutile autoilludersi. Se n’è andata.

 

 

Il cuore di Katara batte a mille, mentre cammina verso Capitan Fuoco sorridendogli nella speranza di risultare ammaliante. Si ripete che deve calmarsi, non può rischiare di mandare tutto all’aria per un ragazzo carino. Un ragazzo che crede sia carino, per tutta la serata non ha visto niente più della sua bocca e dei suoi occhi dorati dietro la maschera. Un colore bellissimo, fastidiosamente familiare. Ha già conosciuto un ragazzo con gli occhi di quella tonalità e non è finita bene, allora.

È ingiusto, però, paragonare lo sconosciuto con cui ha ballato a Zuko. Forse con lui avrebbe potuto funzionare, se lei fosse stata una normale adolescente venuta al gala per divertirsi e fare conoscenze. Forse avrebbero potuto conoscersi, tenersi per mano, baciarsi sotto le stelle e scoprirsi incontro dopo incontro… ma non potrà mai succedere, perché lei è una Rinnegata e ha una missione ben più importante di una possibile storia d’amore. Magari non avrebbe nemmeno funzionato, con lui, magari si sarebbe rivelato uno sciocco alla fine. Ripensa alle parole che hanno scambiato, poche ma interessanti; a come su due piedi ha inventato un potere di cui non potesse chiederle una dimostrazione immediata, a come sia stato in un certo senso divertente immaginare come sarebbe stato non dormire davvero mai. Nonostante gli incubi, forse non sarebbe piaciuto nemmeno a lei avere ogni giorno otto ore in più per lottare con i sensi di colpa per essersi fidata della persona sbagliata. Ripensa a come è sembrato che la volesse proteggere – da Ozai o cos’altro? –, alla fine, a come per un istante ha desiderato poter rimanere lì con lui. Ha scacciato in fretta quel pensiero. Non saprà mai se avrebbe funzionato o no, e forse è per questo che ha voluto baciarlo: si è concessa un ultimo assaggio della vita normale che non potrà mai avere, si è cullata in quell’illusione per un secondo in più.

Respira a fondo, senza distogliere lo sguardo da Ozai, e ordina al suo cervello di rallentare i battiti impazziti del cuore. Lentamente riesce a calmarsi; ormai è davanti al palco. Il discorso è già iniziato, ma a lei non interessa, finge solo di ascoltare. A un certo punto vede lo sguardo di Capitan Fuoco posarsi su di lei e rimanerci. L’ha notata. Continua a sorridere, ma dentro di sé rievoca ancora una volta il suo incubo peggiore, il momento che ha determinato la sorte di sua madre. È la sua rabbia a motivarla, ed è da lì che attinge la forza di proseguire la recita.

È pericoloso usare il dominio dell’acqua di fronte a testimoni, se i Fuochi lo vengono a sapere ti trasformi automaticamente in un bersaglio. Nonostante questo, sua madre non esita un solo secondo prima di evocare dell’acqua per la ferita dell’amico di sua figlia e infonderla con il suo potere curativo. Non la ferma nemmeno il fatto che l’amico in questione sia Zuko, il figlio del capo dei Fuochi; è solo un bambino che ha bisogno di cure, ai suoi occhi.

Quando se ne va, Zuko promette che non dirà a nessuno il segreto della mamma di Katara.

Quella stessa notte, una squadra di Fuochi sfonda la porta della loro casa e porta via sua madre. Katara non la vede mai più.

“Signorina” le si rivolge Ozai; Katara trattiene un’espressione che sappia troppo di vittoria, cercando invece di esibirne una lusingata, “vuole ballare con me?”

Pensando a quel che verrà dopo, non deve neanche sforzarsi per pronunciare la risposta.

“Mi piacerebbe.”

 

 

Povero Zuzu, sei stato abbandonato di nuovo. Hai proprio sfortuna con le ragazze.”

Zuko si volta, infastidito. Azula gli si è avvicinata senza maschera, forse per sfoggiare meglio la sua espressione fintamente dispiaciuta. Uno sforzo inutile: la mimica facciale interpreta la parte alla perfezione, ma il divertimento nella voce era già evidente – senza contare che conosce sua sorella. “Che vuoi, Azula?” sbotta senza tante cerimonie.

Lei ghigna, niente affatto scoraggiata. “Ho visto tutto” racconta, avvicinandosi di un passo. “Ti ho visto ballare tutta la sera con una civile, per poi metterti in disparte a fissare il vuoto quando ti ha abbandonato. Ti ha spezzato il cuore, Zuzu?”

Irritato, si stacca dal muro a cui si è appoggiato fino a quel momento. Quanto tempo è passato da quando la ragazza ha ballato con suo padre, un lento dopo l’altro? Ha osservato tutto, ma in modo confuso, come se non fosse davvero reale. Avrebbe voluto che non lo fosse.

Squadra sua sorella. “E il tuo compagno dov’è? Dev’essere stata una brutta serata, se l’hai passata a guardare me.”

Il sorriso di Azula si fa più tirato. “Ho conosciuto dei ragazzi molto interessanti, ma la tua partner ha attirato la mia attenzione. Per un attimo ho creduto che avessi ritrovato la tua amichetta, sai? Quella con la madre criminale.”

Il riferimento a Katara lo congela sul posto. “Tu cosa…” inizia, ma Azula mette una mano davanti alla bocca come se avesse detto qualcosa che non doveva. Zuko non è così ingenuo da credere che non intendesse ogni singola parola.

“Che sciocca, è impossibile che fosse lei. Ti odia, da quando hai fatto uccidere sua madre.”

Sente la cicatrice che gli copre metà del volto pulsare sotto la maschera, non è sicuro che sia solo suggestione. “Io non l’ho fatta uccidere” protesta, stringendo i pugni. Il richiamo del fuoco è potente, una parte di lui vorrebbe colpire Azula e sotterrare i ricordi nell’impeto della lotta. Non può farlo, ovviamente, non al gala. Forse è proprio ciò che Azula vorrebbe.

Azula ride. “Certo che no, Zuzu. Non avresti mai raccontato a papà della donna con il potere di ucciderlo, non è vero? Solo perché ti ha curato un graffio. Sei così debole.”

Non comprende subito il significato di quelle parole. Azula non dovrebbe conoscere quell’episodio, lui non l’ha mai raccontato… Improvvisamente tutti i pezzi vanno al loro posto, capisce che di coincidenziale nella cattura della madre di Katara non c’è stato nulla. “Tu eri lì” mormora, mentre la rabbia sale a soffocare il dolore. Si è sempre detto che non è stata colpa sua, se suo padre ha scoperto la madre di Katara. Non è stata colpa sua se quella donna gentile è morta, non è stata colpa sua se suo padre non ha ascoltato le sue suppliche di risparmiarle la vita – non è stata colpa sua se Katara non gli ha rivolto la parola, dopo, fulminandolo con occhi pieni di rabbia e andandosene senza ascoltarlo. Se l’è ripetuto per anni, con la sua cicatrice a ricordargli ogni singolo giorno l’unico risultato delle sue suppliche in favore di una nemica. Si è sbagliato. È stata colpa sua, se Azula era lì per spiarlo.

Indietreggia fino a poggiare la schiena al muro in cerca di sostegno. Non sente più forza nelle gambe, gli gira la testa.

“Ero lì” conferma Azula, con gli occhi che brillano di soddisfazione. “È sempre stato fin troppo facile seguirti, Zuzu” conclude, ridendo, con una scrollata di spalle. “Ma stavolta non sono dovuta intervenire per separarti dalla tua nuova amica, se n’è andata da sola.”

Vorrebbe chiederle perché?, ma nella sua testa il ricordo di Katara si sovrappone a quello della sconosciuta con cui ha ballato. Hanno gli stessi occhi. Gli stessi occhi blu pieni di rancore nei suoi incubi, macchiati di dolore quando quella sera gli ha detto di aver perso entrambi i genitori durante la guerra.

È un pensiero assurdo, impossibile. Katara non avrebbe mai ballato con lui – ma potrebbe non averlo riconosciuto, con quella maschera. Zuko scuote la testa, cercando di snebbiarla. Katara lo odia, ma di certo odia anche suo padre. Non avrebbe mai accettato di ballare con lui, non avrebbe senso… a meno che. Vede Azula voltargli le spalle, divertita, e allontanarsi nella folla. Non ha tempo per lei adesso. Si stacca dal muro, costringendo il suo corpo a ritrovare le forze, e setaccia gli invitati. Di suo padre e della ragazza non c’è traccia. Senza riflettere, si precipita vacillante fuori dalla sala.

 

 

È stato fin troppo facile. Grazie a Suki, che attraversando gli specchi ha occhi ovunque, sapeva già del bagno privato connesso alla stanza di Ozai.

Se non le avesse permesso di usarlo, forse avrebbe avuto una chance. Ma perché non avrebbe dovuto? Non ha sospettato nulla, acconsentendo. Le è sembrato infastidito, forse all’idea di dover attendere o forse perché turbato al solo pensiero dell’acqua – improbabile, ne ha bisogno anche lui, ma l’idea l’ha divertita. Chiusa la porta, ha aperto il rubinetto al massimo. Guardandosi allo specchio, ha tolto la maschera indossata fino a quel momento.

Ora Capitan Fuoco paga il prezzo della sua imprudenza: non può fare altro che guardarla furioso, sospeso e immerso nell’acqua. Non può muoversi, né sottrarsi assumendo la volubilità del fuoco, perché si spegnerebbe in un attimo. È bloccato – lei no, eppure non si affretta ad agire. Le fa uno strano effetto vedere così vulnerabile l’uomo che ha passato gli ultimi nove anni a odiare. “Hai fatto uccidere mia madre.” La frase le è salita spontanea alle labbra, non sa se come accusa o come spiegazione – Ozai non può rispondere né all’una né all’altra, comunque. Non sa neanche se l’abbia sentita: la sua espressione non è cambiata. “Usava l’acqua per guarire, ma a te non è importato, vero? Ne avevi paura.”

Lo sente sforzarsi contro la pressione esercitata dall’acqua per immobilizzarlo, ma è inutile. Si è esercitata per anni a questo solo scopo, non se lo lascerà sfuggire proprio ora che l’ha in suo potere. Esitare oltre, tuttavia, è stupido. Deve finirlo.

“La violenza porta solo altra violenza, Katara.”

Chiude gli occhi, in lotta più con sé stessa che con gli ormai deboli sforzi del Capitano.

Dei passi rimbombano nel corridoio esterno, allarmandola. Riapre gli occhi, prendendo la sua decisione. Estrae la siringa dalla tasca nascosta e la conficca nel cuore di Ozai.

La porta si apre mentre rilascia il controllo sull’acqua, facendo crollare a terra l’uomo che non potrà mai più essere Capitan Fuoco.

“Eri tu.” Non si volta verso la voce che arriva dalla porta, osserva Ozai inspirare a fondo nel tentativo di riprendersi. “Eri davvero tu, Katara.”

Sentire il suo nome la fa sussultare. Ozai, ancora a terra, si scaglia con il braccio verso di lei; intorno all’arto si forma una fiamma, tremola per pochi secondi e poi svanisce. Katara lascia andare il fiato che, più o meno inconsciamente, ha trattenuto fino a quel momento. L’invenzione di Aang e Sokka funziona, i Rinnegati d’ora in poi potranno contare sull’Agente Neutralizzante per evitare soluzioni più violente. Non avrà bisogno di uccidere l’assassino di sua madre e non è certa di come questo la faccia sentire.

“Che cosa… cos’hai fatto?”

Si volta finalmente verso la porta. È il ragazzo con cui ha ballato, appare sconvolto. Si è chiesta se avrebbe mai funzionato, suppone che questa sia la sua risposta: no, dato che lei deve sembrargli una terrorista.

Rivolge un ultimo sguardo all’ex prodigio invincibile. Deve aver compreso ciò che gli ha fatto, perché l’orrore della realizzazione è evidente sul suo volto. Forse una simile sorte è davvero peggio della morte, per lui.

“Il fuoco non ti risponderà mai più” dichiara, decisa a togliergli ogni dubbio.

Dandogli le spalle, si incammina verso il ragazzo, chiedendosi se tenterà di fermarla. Ha più che abbastanza acqua per neutralizzarlo, se dovesse rivelarsi necessario. Lui agisce tuttavia in modo imprevisto: si toglie la maschera.

Non riesce a crederci. Avvampa di rabbia.

Ha baciato Zuko. Ha passato la serata a parlarci, ha rimpianto che non potesse esserci di più. Ha lasciato che lui la illudesse, ancora una volta.

“Katara…”

Vorrebbe dirgli di sparire dalla sua vista, se non vuole ritrovarsi come suo padre – sarebbe una minaccia a vuoto, dato che non ha altro Agente Neutralizzante con sé –, ma non riesce a formare le parole. Con un gesto, evoca l’acqua dal pavimento e lo spinge fuori dalla stanza.

Non gli lascia il tempo di reagire, si precipita nel corridoio e corre verso l’uscita più vicina. Non sa quanto impiegheranno a dare l’allarme, ma non è pronta ad affrontare l’intero corpo dei Fuochi quella notte – non è pronta, non ancora, ad affrontare Fulmine blu. Ma tornerà.

E non sarà da sola.

 

▲▼

 

Ha reagito troppo lentamente. Non ha reagito affatto. Come sua sorella non ha smesso un secondo di rinfacciargli, il suo errore non è stato non portare qualcuno con sé avendo sospettato una presenza nemica, ma non aver attaccato a vista.

“Hai visto nostro padre a terra e non ti è saltato in mente di fare qualcosa di più che chiamare la responsabile, giusto in caso non ti avesse già notato? Sei più inutile di quanto pensassi, Zuko.”

Suo padre è vivo, si è già ripreso dall’attacco. Eccetto per il fatto che non potrà mai più mutare il suo corpo in fuoco, né controllare l’elemento. È stato privato di ogni potere, in modo permanente stando a quanto ha detto Katara. Qualcuno dei loro ha provato a insinuare che la ragazza abbia mentito, che si tratti di un effetto temporaneo. Zuko sa che si sbagliano. Se non avesse potuto neutralizzarlo per sempre, Katara l’avrebbe ucciso.

Le informazioni assimilate nelle ultime ore sono troppe, non riesce a fare i conti con tutte.

Katara è viva, Katara controlla l’acqua, Katara è sua nemica. Katara ha ballato con lui tutta la sera e lui non l’ha capito.

“Gatlon City ha pagato la pace a un altissimo prezzo.”

Le ha dato ragione e lo farebbe ancora.

I Fuochi hanno subito un duro colpo quella notte. La situazione di suo padre è ancora nota solo a pochi eletti, ma non sarà possibile tenerla nascosta per sempre. È impensabile che Ozai mantenga il comando senza i suoi poteri, quasi nessuno lo accetterebbe.

“Padre, risparmiala, ti prego. Non ha fatto niente, usa l’acqua per guarire…”

“Questo modo di pensare ti rende debole, Zuko. Pagherai questa tua debolezza.”

Ha lasciato suo padre a urlare contro i loro migliori guaritori, insistendo che trovino una soluzione e in fretta. Azula gli ha rivolto un ultimo sguardo sprezzante ed è uscita, decisa a trovare Katara – Zuko sospetta che intenda reclamare il posto del padre dopo aver catturato la maggior ricercata del momento. Avrebbe dovuto seguirla, forse. Per aiutarla.

Impossibile.

Più ripensa a quella sera, più trova difficile considerare Katara nemica e il suo attacco sbagliato.

Suo padre ha ucciso o fatto uccidere tutti coloro che considerava ostacoli. Katara avrebbe potuto ucciderlo, quella notte, ma ha scelto di non farlo.

Vorrebbe poterle parlare di nuovo, raccontarle com’è davvero andata la cattura di sua madre. Dirle che non ha infranto la promessa e che ha cercato invano, ma a caro prezzo, di opporsi alla condanna. Che differenza farebbe? La verità non le restituirebbe sua madre, né gli anni passati senza di lei.

“Zuko, sei qui.”

Alza lo sguardo su Mai. Sembra turbata – insolito, per lei che è sempre tanto cauta nel tenere a freno le emozioni –, si chiede se sia per la nuova arma in mano ai ribelli. Ribelli di cui nemmeno sospettavano l’esistenza, fino a poche ore prima.

“I Rinnegati hanno attaccato la Roccia Bollente” gli comunica, cercando il suo sguardo.

“I Rinnegati?” ripete, incerto. Due attacchi nella stessa sera non possono essere una coincidenza, oppure sì?

“È probabile che l’infiltrata del gala sia una di loro. Credevamo si fossero dispersi, dopo la cattura del loro capo, ma evidentemente ci siamo sbagliati. Hakoda è evaso, insieme a una dozzina di altri detenuti.”

Zuko non reagisce, Mai gli poggia una mano sulla spalla.

“Sai cosa significa, vero, Spirito rosso?”

Mai non lo chiama mai con il suo nome da eroe. Deglutisce e assente con gravità.

“È guerra.”

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA

La storia nasce grazie al prompt ricevuto in occasione della challenge “Dolcetto o scherzetto?” del gruppo facebook L’angolo di Madama Rosmerta. Il prompt era: “Un personaggio bacia il suo peggior nemico a una festa in maschera”. Trattandosi di un’enemies to lovers, il richiamo di una Renegades!AU è stato fortissimo ed eccoci qui. La trama mi è un po’ sfuggita di mano, con la questione dell’attentato di Katara, e adesso ho voglia di approfondire la questione, ma questo lo farò magari in futuro in altre storie; nel frattempo spero che l’OS vi sia potuta piacere comunque, nonostante il finale aperto.

Ringrazio moltissimo Shireith e Sia per il supporto e per i consigli!

La storia è candidata agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce più la penna nella categoria Migliori costumi (per le AU), pubblicata proprio l’ultimo giorno disponibile per le iscrizioni! Se non conoscete già l’iniziativa e avete storie edite tra il 2020 e il 2021, magari dateci un occhio!

Dato che il fandom di Renegades lo conosciamo in due, mi sembra il caso di fornire qualche nota riguardo a come vi ho attinto per questa AU. Le allineo a destra, così se non vi interessa potete saltarle.

In Renegades alcune persone sviluppano o nascono con dei poteri, vengono chiamate “prodigi”. Non tutti sono prodigi, anzi, si tratta di una minoranza.

La legenda all’inizio imita i libri della trilogia che, appunto, ne presentano una simile con i personaggi principali dei gruppi (Anarchists e Renegades, lì). La trilogia non è stata tradotta in Italia, i nomi degli eroi sono ovviamente in inglese e sono anche stata tentata di impiegare a mia volta l’inglese nell’inventare soprannomi “eroici” per i personaggi di Avatar, ma poi ho finito per scegliere l’italiano. Capitan Fuoco ricalca Captain Chromium del libro, un personaggio invincibile ma non perché può mutarsi in fuoco; lui non ha una debolezza evidente come quella di Ozai qui né fa una strage di chi potrebbe sconfiggerlo (cioè nessuno). Il soprannome di Mai, Lama assassina, è ispirato al personaggio Red assassin della trilogia, un’alleata del protagonista maschile (che qui, più o meno, sarebbe Zuko: come Adrian è figlio – adottivo – di uno degli eroi originali, Captain Chromiium che qui è Ozai).

Per il nome di Zuko ho dovuto riflettere molto, alla fine ho optato per “Spirito rosso” fondendo il suo alias Spirito blu in Avatar e il colore del fuoco; la maschera blu che indossa al gala è proprio un richiamo a quella che indossa nei panni dello Spirito blu.

Ho stravolto la situazione della trilogia, però: i Renegades nei libri sono la parte vincente, gli eroi di Gatlon City, tecnicamente i buoni. E non sono cattivi (non quanto Ozai di certo), eh, però non sono nemmeno così impeccabili, la loro organizzazione presenta varie sfumature di grigio. I “cattivi” nei libri sono chiamati Anarchists, ma qui ho preferito optare per un più semplice “Fuochi” anche perché l’obiettivo di Ozai non è certo l’anarchia, quanto piuttosto una dittatura più o meno mascherata. Non avrebbe quindi avuto senso chiamarli così.

“Non dormo mai”, il potere che Katara si inventa sul momento, è in realtà il potere (uno dei due) della protagonista di Renegades, Nova; mi piaceva l’idea di inserire questo easter-egg, nonostante abbia scelto di mantenere per entrambi poteri legati al dominio dei loro elementi.

Spero che si sia capito, comunque: Zuko ha cercato di salvare la madre di Katara pregando suo padre di risparmiarla, ma per tutta risposta Ozai l’ha sfigurato (come nel canon) dicendogli che la sua debolezza è un tradimento e che gli sia di lezione. Zuko, che era solo un bambino, un po’ si sente in colpa per non aver potuto salvare la donna, un po’ beve le parole di suo padre e crede di dover diventare più forte. Niente esilio o Avatar da cercare, tuttavia.

Per Aang mi sono ispirata a un personaggio dei libri, ridimensionando molto il suo potere. Ho immaginato che abbia l’abilità di indebolire temporaneamente i prodigi nelle sue vicinanze; non è specificato nella storia, mi sembrava inutile, ma è proprio basandosi sul suo potere che lui e Sokka creano l’Agente Neutralizzante. Una sostanza così esiste anche in Renegades. Mi piace l’idea che anche qui Ozai venga infine neutralizzato invece che ucciso, anche se a compiere la scelta stavolta è Katara (ma sempre con l’apporto di Aang). Credo che sia realistico, dato che proprio Katara rinuncia a vendicarsi dell’assassino di sua madre nel canon. “Non so se sono troppo debole o troppo forte per farlo.”

Mi scuso per le note lunghissime, volevo rendere l’idea!

Grazie per aver letto. Alla prossima,

Mari

  
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